I COMUNI
In tutta l’Europa occidentale le città
facevano parte di feudi nobiliari o ecclesiastici, ma gli abitanti della città
avevano interessi molto diversi da quelli dei feudatari: perciò essi si
associarono e cercarono di liberarsi dai legami feudali. Molte città
acquistarono la libertà dal conte o dal vescovo che era il loro signore
feudale, altre l’ottennero ribellandosi.
Si formarono così i primi Comuni, come
Viterbo (1085) o Bologna (1123). Essi ottennero una grande autonomia, ma in
quasi tutta l’Europa rimasero sotto il controllo dei re. Invece molte città
dell’Italia centro-settentrionale (che facevano parte dell’Impero Germanico)
riuscirono a ottenere l’indipendenza, opponendosi agli imperatori tedeschi. Al sud,
invece, il regno normanno mise ben presto fine alle velleità d’indipendenza
delle città, le quali vennero amministrate da funzionari regi.
Una città
di mare in una miniatura del XIV secolo: protetta dal mare da una parte, da una
cinta muraria nell’entroterra, la città si appresta a sostenere un assedio
Nell’Italia centro-settentrionale ci
furono anche Comuni rurali (o rustici), cioè di campagna, là dove i contadini
di alcuni villaggi si associarono per sottrarsi al dominio feudale o almeno
limitare il potere del feudatario.
I Comuni erano governati da un’assemblea
dei cittadini, chiamata Senato (o Arengo, Parlamento, Consiglio), di cui però
non facevano parte tutti i cittadini, ma solo i nobili e poi una parte della
borghesia. Accanto all’assemblea vi erano due o più magistrati chiamati
consoli, che dovevano occuparsi dei tribunali, delle finanze e dei rapporti con
gli altri Stati.
Il
Consiglio dei nobili della città in una miniatura veneta del secolo XIV
L’elezione di questi magistrati, all’inizio
più semplice e informale ma anche più confusa, si complicò nel corso del tempo:
si giunse a casi estremi, come quello di Firenze che nel 1292 prese in
considerazione addirittura 24 sistemi diversi per l’elezione dei consoli. Oppure
ci furono casi curiosi, come quello di Venezia. L’elezione del doge (ossia il
capo della Repubblica Veneziana) dal 1268 prevedeva che il più giovane membro
del Maggior Consiglio (il massimo organo politico della Repubblica) si recasse
per prima cosa a pregare nella basilica di San Marco, e poi tornasse portando
con sé il primo ragazzino incontrato per strada: costui era delegato a estrarre
da apposite urne dei foglietti, su cui erano stati scritti dei nomi. Attraverso
un rituale piuttosto complesso, l’estrazione di questi nomi veniva ripetuta più
volte, mediante un sistema di “scrematura”, che alla fine designava coloro che
sarebbero divenuti gli elettori del nuovo doge.
Il
giorno in cui veniva incoronato, il doge veniva portato in piazza San Marco
seduto su una sedia detta “il pozzetto”, elargendo denaro proprio al popolo
acclamante (incisione del XVII secolo)
La vita dei Comuni italiani non fu facile:
essi dovettero sostenere le proprie libertà, lottando a lungo contro quelli che
si consideravano (e formalmente erano) i signori delle stesse città e
scontrandosi con gli imperatori, con i feudatari, con i vescovi. Ma si può dire
facilmente che i veri problemi da affrontare erano quelli all’interno dei
Comuni, più che all’esterno: i contrasti per l’esercizio del potere tra le
classi sociali interne ai Comuni furono frequenti e profondi, tanto che non
erano rari omicidi, vendette e scontri armati. La sete di potere portò poi i
Comuni a scontrarsi tra loro, ancor più se i due Comuni in armi militavano su
fronti opposti, per esempio se uno era guelfo e l’altro ghibellino.
Una miniatura
del XIV secolo raffigurante la battaglia di Montaperti, che si svolse nel 1260
tra la guelfa Firenze e la ghibellina Siena
Inizialmente le città erano sotto il
controllo delle famiglie nobili, che erano divise da profonde rivalità. Perciò spesso
si formavano fazioni (gruppi contrapposti gli uni agli altri) in lotta l’una
contro l’altra: a Firenze, ad esempio, tra il 1177 e il 1179 ci furono scontri
armati tra le famiglie degli Uberti e dei Donati.
In seguito in molte città i nobili furono
costretti a cedere almeno in parte il potere: a Bologna, ad esempio, nel 1220
la borghesia ottenne di partecipare al Consiglio, occupando il palazzo del
Comune. Spesso però era solo il popolo grasso, che controllava le attività
economiche, a partecipare al governo, mentre il popolo minuto ne rimaneva
escluso. Ciò provocò tensioni all’interno della borghesia, tra popolo minuto e
popolo grasso.
I profondi contrasti esistenti all’interno
dei Comuni rendevano spesso difficile governare le città e scegliere consoli in
cui tutti avessero fiducia. Perciò tra la fine del XII e l’inizio del XIII
secolo molti Comuni decisero di chiamare una persona da un’altra città, non
legata a nessuna delle fazioni in lotta per il potere: era il podestà, che
svolgeva i compiti originariamente assegnati ai due consoli.
Il podestà di Genova (a cavallo) fa abbattere la casa di un cittadino ribelle (miniatura del XII secolo)
Nel XIII secolo in molti Comuni il popolo
riuscì a imporre una nuova carica, quella di capitano del popolo, il cui
compito consisteva nel proteggere gli interessi della borghesia contro quelli
della nobiltà.
Per gli abitanti delle città era
necessario controllare le campagne circostanti, perché dalla campagna
provenivano i prodotti necessari per l’alimentazione dei cittadini e per molte
attività. Perciò in gran parte dell’Italia settentrionale e centrale, i Comuni
conquistarono la campagna intorno alla città, inserendola nel territorio
comunale e liberando i servi della gleba (a Bologna nel 1257 e 1282; a Firenze
verso il 1280), ma cancellando le autonomie dei Comuni rurali.
L’incipit
del Liber Paradisus, il documento che riporta il nome dei servi che vennero
liberati a Bologna nel 1257
Nei territori sotto il controllo dei
Comuni, i borghesi più ricchi investivano parte del loro denaro nell’acquisto
di terreni, che facevano coltivare da contadini liberi, con i quali stabilivano
precisi contratti. Dal XIII secolo il contratto più diffuso fu quello di
mezzadria: il padrone del campo forniva gli strumenti necessari per il lavoro e
l’occorrente per la semina, il contadino svolgeva i lavori necessari e il
raccolto veniva diviso a metà. Con il passaggio dalla condizione di servi della
gleba a quella di mezzadri, i contadini si liberarono degli obblighi feudali a
cui sottostavano da secoli.
Due miniature
della metà circa del XV secolo, raffiguranti i lavori dei contadini nel mese di
febbraio e in quello di settembre
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