martedì 30 settembre 2014

27 I Comuni

I COMUNI

In tutta l’Europa occidentale le città facevano parte di feudi nobiliari o ecclesiastici, ma gli abitanti della città avevano interessi molto diversi da quelli dei feudatari: perciò essi si associarono e cercarono di liberarsi dai legami feudali. Molte città acquistarono la libertà dal conte o dal vescovo che era il loro signore feudale, altre l’ottennero ribellandosi.
Si formarono così i primi Comuni, come Viterbo (1085) o Bologna (1123). Essi ottennero una grande autonomia, ma in quasi tutta l’Europa rimasero sotto il controllo dei re. Invece molte città dell’Italia centro-settentrionale (che facevano parte dell’Impero Germanico) riuscirono a ottenere l’indipendenza, opponendosi agli imperatori tedeschi. Al sud, invece, il regno normanno mise ben presto fine alle velleità d’indipendenza delle città, le quali vennero amministrate da funzionari regi.

Una città di mare in una miniatura del XIV secolo: protetta dal mare da una parte, da una cinta muraria nell’entroterra, la città si appresta a sostenere un assedio

Nell’Italia centro-settentrionale ci furono anche Comuni rurali (o rustici), cioè di campagna, là dove i contadini di alcuni villaggi si associarono per sottrarsi al dominio feudale o almeno limitare il potere del feudatario.
I Comuni erano governati da un’assemblea dei cittadini, chiamata Senato (o Arengo, Parlamento, Consiglio), di cui però non facevano parte tutti i cittadini, ma solo i nobili e poi una parte della borghesia. Accanto all’assemblea vi erano due o più magistrati chiamati consoli, che dovevano occuparsi dei tribunali, delle finanze e dei rapporti con gli altri Stati.

Il Consiglio dei nobili della città in una miniatura veneta del secolo XIV

L’elezione di questi magistrati, all’inizio più semplice e informale ma anche più confusa, si complicò nel corso del tempo: si giunse a casi estremi, come quello di Firenze che nel 1292 prese in considerazione addirittura 24 sistemi diversi per l’elezione dei consoli. Oppure ci furono casi curiosi, come quello di Venezia. L’elezione del doge (ossia il capo della Repubblica Veneziana) dal 1268 prevedeva che il più giovane membro del Maggior Consiglio (il massimo organo politico della Repubblica) si recasse per prima cosa a pregare nella basilica di San Marco, e poi tornasse portando con sé il primo ragazzino incontrato per strada: costui era delegato a estrarre da apposite urne dei foglietti, su cui erano stati scritti dei nomi. Attraverso un rituale piuttosto complesso, l’estrazione di questi nomi veniva ripetuta più volte, mediante un sistema di “scrematura”, che alla fine designava coloro che sarebbero divenuti gli elettori del nuovo doge.

Il giorno in cui veniva incoronato, il doge veniva portato in piazza San Marco seduto su una sedia detta “il pozzetto”, elargendo denaro proprio al popolo acclamante (incisione del XVII secolo)

La vita dei Comuni italiani non fu facile: essi dovettero sostenere le proprie libertà, lottando a lungo contro quelli che si consideravano (e formalmente erano) i signori delle stesse città e scontrandosi con gli imperatori, con i feudatari, con i vescovi. Ma si può dire facilmente che i veri problemi da affrontare erano quelli all’interno dei Comuni, più che all’esterno: i contrasti per l’esercizio del potere tra le classi sociali interne ai Comuni furono frequenti e profondi, tanto che non erano rari omicidi, vendette e scontri armati. La sete di potere portò poi i Comuni a scontrarsi tra loro, ancor più se i due Comuni in armi militavano su fronti opposti, per esempio se uno era guelfo e l’altro ghibellino.

Una miniatura del XIV secolo raffigurante la battaglia di Montaperti, che si svolse nel 1260 tra la guelfa Firenze e la ghibellina Siena

Inizialmente le città erano sotto il controllo delle famiglie nobili, che erano divise da profonde rivalità. Perciò spesso si formavano fazioni (gruppi contrapposti gli uni agli altri) in lotta l’una contro l’altra: a Firenze, ad esempio, tra il 1177 e il 1179 ci furono scontri armati tra le famiglie degli Uberti e dei Donati.
In seguito in molte città i nobili furono costretti a cedere almeno in parte il potere: a Bologna, ad esempio, nel 1220 la borghesia ottenne di partecipare al Consiglio, occupando il palazzo del Comune. Spesso però era solo il popolo grasso, che controllava le attività economiche, a partecipare al governo, mentre il popolo minuto ne rimaneva escluso. Ciò provocò tensioni all’interno della borghesia, tra popolo minuto e popolo grasso.
I profondi contrasti esistenti all’interno dei Comuni rendevano spesso difficile governare le città e scegliere consoli in cui tutti avessero fiducia. Perciò tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo molti Comuni decisero di chiamare una persona da un’altra città, non legata a nessuna delle fazioni in lotta per il potere: era il podestà, che svolgeva i compiti originariamente assegnati ai due consoli.

Il podestà di Genova (a cavallo) fa abbattere la casa di un cittadino ribelle (miniatura del XII secolo)

Nel XIII secolo in molti Comuni il popolo riuscì a imporre una nuova carica, quella di capitano del popolo, il cui compito consisteva nel proteggere gli interessi della borghesia contro quelli della nobiltà.
Per gli abitanti delle città era necessario controllare le campagne circostanti, perché dalla campagna provenivano i prodotti necessari per l’alimentazione dei cittadini e per molte attività. Perciò in gran parte dell’Italia settentrionale e centrale, i Comuni conquistarono la campagna intorno alla città, inserendola nel territorio comunale e liberando i servi della gleba (a Bologna nel 1257 e 1282; a Firenze verso il 1280), ma cancellando le autonomie dei Comuni rurali.

L’incipit del Liber Paradisus, il documento che riporta il nome dei servi che vennero liberati a Bologna nel 1257

Nei territori sotto il controllo dei Comuni, i borghesi più ricchi investivano parte del loro denaro nell’acquisto di terreni, che facevano coltivare da contadini liberi, con i quali stabilivano precisi contratti. Dal XIII secolo il contratto più diffuso fu quello di mezzadria: il padrone del campo forniva gli strumenti necessari per il lavoro e l’occorrente per la semina, il contadino svolgeva i lavori necessari e il raccolto veniva diviso a metà. Con il passaggio dalla condizione di servi della gleba a quella di mezzadri, i contadini si liberarono degli obblighi feudali a cui sottostavano da secoli.

Due miniature della metà circa del XV secolo, raffiguranti i lavori dei contadini nel mese di febbraio e in quello di settembre





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