sabato 27 dicembre 2014

43 L'Africa e la tratta dei neri


L’AFRICA E LA TRATTA DEI NERI

Nel corso del Medioevo una parte degli abitanti dell’Africa nera (come viene chiamata quella a sud del Sahara) formava delle tribù, che vivevano in villaggi rurali praticando un’economia di semisussistenza, integrata da un semplice commercio locale; non conoscevano forme di governo di tipo monarchico. Ma anche in Africa si formarono, soprattutto nel Basso Medioevo, alcuni grandi regni, che controllavano direttamente un vasto territorio e dominavano, mediante la supremazia della classe militare, su popolazioni diverse, imponendo loro di pagare un tributo personale o un’imposta sul commercio a lunga distanza.

Figura di cavaliere, terracotta proveniente da Djenné nel Mali, realizzata in un periodo tra 
IX e XV secolo, conservata a Londra alla Entwistle Gallery

I primi a conoscere la realtà sub-sahariana furono gli Arabi del Nord Africa: essi vennero a conoscenza di città commerciali e di regni, certamente fondati da tempo e in alcuni casi molto prima dello sviluppo musulmano.
I principali furono:
- il regno del Songhai, il più vasto Stato mai sorto in Africa prima del periodo coloniale
- il regno del Mali, formatosi nel XIII secolo
- il regno del Congo, lungo la costa atlantica
- i regni di Luba e di Lunda nell’interno
- i regni degli Hausa, nel Sudan centrale, che nel ‘500 erano ricchi e pacifici.

L’Africa prima della colonizzazione europea

L’incontro tra Arabi e Africani fu pacifico e fonte di scambi culturali. E i primi viaggiatori e navigatori europei che entrarono in contatto con gli abitanti del continente nero, come si comportarono? A questa domanda possiamo rispondere con sicurezza, perché sono numerosi i diari di viaggio, scritti soprattutto da portoghesi, olandesi e inglesi.
I primi esploratori si imbatterono in molte usanze e credenze che li lasciarono stupefatti: per esempio scoprirono che era piuttosto comune la poligamia, o che venivano innalzati templi agli antenati, riveriti come dèi, o che in alcune occasioni particolari si praticavano sacrifici umani. Ma quasi mai (tranne rarissime volte) navigatori e avventurieri trovarono in ciò che videro qualcosa di strano o di perverso, bensì piuttosto qualcosa di naturale e persino familiare. Trovarono Stati dediti al commercio quasi come avveniva in Europa; governi e popoli rispettosi di leggi e fieri della propria indipendenza; re considerati divini – cioè investiti di un’autorità spirituale, oltre che temporale – né più né meno dei monarchi europei.

Testa coronata femminile del XII-XV secolo, proveniente da Ife (Nigeria) 
conservata al National Museum di Lagos

Fatte salve alcune eccezioni, gli europei del secolo XVI erano convinti di aver trovato in Africa forme di civiltà spesso analoghe alle proprie, sebbene con abitudini e costumi vari e diversi. Solo successivamente – in particolare a partire dal XVIII secolo – si affermò l’idea che l’Africa fosse popolata da barbari selvaggi, che gli africani appartenessero a una razza inferiore. Ma questa idea fu il frutto di ciò che gli europei fecero nei confronti dei neri.
Già durante le esplorazioni sulle coste atlantiche i Portoghesi avevano iniziato a catturare neri africani per renderli schiavi; quando in America la manodopera cominciò a scarseggiare, si pensò che proprio gli schiavi neri africani potessero risolvere il problema. Si scoprì, tra l’altro, che essi si adattavano più facilmente al clima dell’America centrale e meridionale, simile a quello africano, e che resistevano alla fatica meglio degli indios.

Cattura di schiavi sul fiume Senegal

La richiesta di schiavi africani divenne altissima e provocò lo sviluppo del commercio di schiavi neri, fenomeno che venne chiamato tratta dei neri: nel Cinquecento esso rimase ancora limitato (gli storici hanno calcolato 300.000 schiavi portati in America), ma tra il Seicento e l’Ottocento ebbe grandissimo sviluppo e milioni di schiavi neri (le cifre più verosimili parlano di circa 10 milioni) attraversarono l’oceano Atlantico sulle navi dei commercianti di schiavi, detti negrieri. Se inizialmente questo commercio era soprattutto nelle mani di Portoghesi e Olandesi, poi passò sotto il controllo dei Francesi e degli Inglesi: Nantes in Francia e Liverpool in Inghilterra si specializzarono in questo commercio.

Modello di nave negriera

I negrieri si procuravano uomini e donne da vendere come schiavi in modi diversi. A volte attaccavano dei villaggi, catturando personalmente coloro che erano in grado di lavorare, oppure rapivano persone isolate. Più spesso compravano prigionieri da qualche capotribù o re africano: questi prigionieri potevano essere uomini e donne ridotti in schiavitù a causa di debiti o di delitti commessi, oppure erano stati catturati durante incursioni o razzie contro villaggi vicini. Per molte tribù africane attaccare altre popolazioni per catturare prigionieri da vendere agli europei divenne un ottimo affare.

Un africano vende degli schiavi a un mercante europeo

Poiché le popolazioni che si dedicavano al commercio degli schiavi ricevevano dagli europei anche armi da fuoco (le altre merci di scambio erano solitamente perline, stoffe, nastri), esse erano in grado di affrontare e sconfiggere facilmente le tribù che non avevano armi: era perciò molto difficile opporsi alla tratta, anche se alcuni sovrani africani cercarono in tutti i modi di ostacolare la vendita di schiavi agli europei.

Mercanti di schiavi europei e africani (1856)

La tratta dei neri portò a una forte riduzione della popolazione africana in tutte le regioni in cui veniva praticato questo commercio. Oltre alle donne e agli uomini che venivano catturati e portati in America, molti altri morirono durante gli attacchi ai villaggi, o durante la traversata dell’oceano: le condizioni in cui essa avveniva erano disumane, anche perché i negrieri tendevano a stipare le navi il più possibile di schiavi e a spendere per il loro mantenimento il meno possibile.

Nella stiva di una nave negriera

La perdita della libertà, l’allontanamento dalla propria terra senza sapere il motivo e la destinazione, il distacco dai parenti se non erano stati catturati anch’essi, spingevano gli africani al suicidio o alla ribellione, alla quale i negrieri opponevano una violenza tale da provocare, anche contro i loro interessi, la morte di molti schiavi.

Rivolta in una nave negriera (1787)

Più tardi, quando nel XIX secolo la tratta dei neri venne proibita e navi da guerra inglesi davano la caccia ai negrieri, questi, per non essere sorpresi con il loro carico, gettavano in mare gli schiavi, facendoli morire nelle acque dell’oceano.

Negrieri gettano in mare degli schiavi, dopo che la loro nave è stata avvistata dagli inglesi

La popolazione africana diminuì anche perché i negrieri catturavano soprattutto gli adulti, che potevano vendere più facilmente; rimasti in Africa da soli molti bambini, privi dei genitori, e molti anziani, privati dell’aiuto dei figli, morivano di fame e di stenti.

Un gruppo di bambini salvati dalla schiavitù dalla nave inglese “Daphne” al largo di Zanzibar (1869): l’episodio dimostra che in realtà si facevano schiavi anche i bambini

Sbarcati in America, gli schiavi venivano venduti e impiegati soprattutto nelle piantagioni: ad essi erano affidate le occupazioni più pesanti, come la raccolta e la lavorazione della canna per ottenere zucchero e rhum. I lavori a cui erano costretti erano spesso massacranti e le condizioni di vita molto dure. Solo gli schiavi domestici, che vivevano nelle case del proprietario e si dedicavano alla cura della sua persona, alla pulizia della casa o alla cucina, vivevano in condizioni migliori.

Schiavi africani sbarcano in America

Al lavoro in una piantagione di canna da zucchero

Tutti gli schiavi erano soggetti a punizioni, spesso molto pesanti, per qualunque motivo: per non aver lavorato abbastanza, per essersi allontanati senza permesso durante la notte, magari per andare a trovare altri schiavi in una piantagione vicina; per aver tentato la fuga.
I tentativi di fuga, in effetti, erano frequenti, ma per lo più inutili, perché non c’erano posti dove nascondersi e la caccia allo schiavo fuggiasco avveniva con cani addestrati allo scopo e con meticolosa ferocia: era un cattivo esempio per gli altri permettere a uno schiavo di scappare.

Schiavo fuggiasco braccato dai cani

Perciò quasi sempre gli schiavi venivano ripresi e duramente puniti, marchiandoli, frustandoli, mutilandoli o anche uccidendoli, per scoraggiare chiunque volesse fuggire. Nell’America meridionale però molti schiavi riuscirono a nascondersi nelle grandi foreste e a vivervi liberi, mentre nell’America settentrionale la fuga divenne possibile solo nell’Ottocento, quando gli schiavi che riuscivano a fuggire raggiungevano le zone in cui la schiavitù era stata abolita.

Marchiatura degli schiavi


Punizione di uno schiavo

Le condizioni di vita inumane provocarono a volte anche alcuni tentativi di rivolta, come successe già nel 1526 nella Carolina del Sud (una delle colonie inglesi dell’America settentrionale).

Rivolta di schiavi in Giamaica (1759)

Lavoro massacrante, maltrattamenti, punizioni provocarono un’alta mortalità tra i neri, per cui la richiesta di nuovi schiavi rimase sempre molto forte, anche perché gli schiavi avevano pochi figli. Spesso i coloni europei avevano figli mulatti dalle schiave nere.

Spagnolo con moglie nera e figlio mulatto

Intanto gli europei imparavano a conoscere meglio l’Africa, fondando alcune basi commerciali lungo le coste; queste basi servivano sia per il commercio degli schiavi, sia come punti di rifornimento lungo la rotta per le Indie. Gli europei però non si spinsero mai, prima dell’Ottocento, nell’interno del continente, che era poco accessibile, per la mancanza di grandi vie di comunicazione: infatti non vi erano strade; molti dei grandi fiumi non erano navigabili; montagne, deserti e fitte foreste costituivano altrettanti ostacoli che scoraggiavano le esplorazioni. Inoltre la prospettiva di venire alle prese con regni bellicosi e potenti faceva accantonare ogni progetto di conquista. Infine in Africa erano presenti malattie (malaria, febbre gialla), contro le quali gli europei non avevano anticorpi: ancora a metà dell’Ottocento circa la metà degli europei sbarcati in Africa occidentale morivano entro il primo anno di permanenza.

Un villaggio africano in un’illustrazione del 1799

Solo nel 1652 gli Olandesi fondarono una base stabile al Capo di Buona Speranza (la punta meridionale del continente), dove le condizioni climatiche erano abbastanza simili a quelle europee: i boeri (cioè i coloni olandesi che vi si stabilirono) diedero vita alla colonia africana con la più consistente popolazione europea.

Boeri di ritorno dalla caccia in un dipinto del 1804 di Samuel Daniell

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L'Africa e la tratta dei neri

mercoledì 19 novembre 2014

42 La conquista dell'America



LA CONQUISTA DELL’AMERICA

Dal 1492 in poi Spagnoli e Portoghesi si gettarono alla conquista dell’America; qualche anno dopo si aggiunsero ad essi anche Francesi, Inglesi e Olandesi.
La conquista dell’America da parte degli Europei fu un evento unico nella storia dell’umanità (non paragonabile al diffondersi della presenza europea in Africa e in Asia), infatti ebbe alcune caratteristiche particolari:
-         la conquista fu totale, da Nord a Sud, e travolse tutti i sistemi politici e sociali esistenti nel continente, sostituiti da altri del tutto diversi;
-         le popolazioni indigene (cioè originarie del luogo; si può dire anche native, o autoctone) furono tutte messe in una situazione di inferiorità, pur essendo e rimanendo in molti luoghi in maggioranza dal punto di vista numerico;
-         nel Nuovo Mondo si assistette a un travaso enorme di Europei, i quali furono poi anche responsabili dell’invio in America di masse consistenti di popolazioni di altri continenti, in particolare di quegli Africani che hanno attraversato l’Atlantico incatenati a bordo di navi negriere.

Disegno che sintetizza il volto delle tante popolazioni amerindie all’inizio del XX secolo

Queste tre caratteristiche della conquista dell’America hanno avuto effetti che perdurano ancora oggi e hanno alterato la composizione umana dell’America, creando intrecci e problemi non presenti altrove.
I primi europei che si stabilirono in America furono spagnoli che si insediarono nelle isole delle Antille scoperte da Colombo; si trattava di contadini in cerca di terra e di avventurieri in cerca di ricchezze, i quali ritenevano naturale prendere con la forza le terre degli indigeni e costringerli a lavorare per loro.

Scontro tra indios e conquistadores in un’illustrazione di Johann Theodor De Bry 
dal De America del 1592

Dalle Antille gli Spagnoli cominciarono la conquista della terraferma, dove esistevano vasti Stati amerindi: Hernán Cortés conquistò dal 1519 al 1521 l’impero degli Aztechi, alleandosi con le popolazioni che erano state sottomesse da costoro; Francisco Pizarro si impadronì dell’impero degli Incas (1531-1534), approfittando dei contrasti tra i due figli dell’ultimo inca; molti altri conquistadores si impadronirono di altre terre e sottomisero altri popoli. A quarant’anni dall’arrivo di Colombo tutti gli Stati e le regioni più ricche dell’America centro-meridionale erano sotto dominio spagnolo e gli indios erano ridotti in schiavitù.

Ritratto di Hernán Cortés
 
Ritratto di Francisco Pizarro

Diversi sono gli elementi che spiegano la rapidità di questa conquista.
Innanzitutto la netta superiorità militare: gli Spagnoli erano soldati di professione e soprattutto erano equipaggiati con armi da fuoco, spade d’acciaio, solide armature e cavalli. Nelle guerre essi si dimostravano spietati e riuscivano a provocare il terrore tra gli avversari: imprigionavano e uccidevano i principi locali, privando le popolazioni dei loro capi, e distruggevano i templi, convincendo gli indigeni della superiorità del Dio cristiano sui loro dèi.

Indios sbranati dai cani sotto lo sguardo indifferente di soldati spagnoli

Inoltre gli Spagnoli seppero sfruttare le tensioni esistenti all’interno dei grandi Stati, cercando alleati tra i popoli sottomessi o approfittando dei conflitti tra pretendenti al trono o tra grandi famiglie.

Guerra tra Aztechi e Cuitlahuac (incisione dalla Historia de las Indias di Diego Durán – 1579)

Infine poterono contare su un alleato imprevisto: le malattie. I microbi portati dagli Spagnoli, infatti, non erano presenti in America, perciò gli Amerindi non avevano anticorpi con cui difendersi e i contatti con gli Europei provocarono epidemie spaventose, che decimarono le popolazioni e le convinsero che i loro dèi le avevano abbandonate.

Indios colpiti dal vaiolo

Anche se la conquista spagnola dell’America centro-meridionale fu molto rapida, non mancarono numerosi e duraturi fenomeni di resistenza da parte di diverse popolazioni: per esempio i maya Itzà dello Yucatan furono sottomessi solo nel 1696  e altre popolazioni, ancora più isolate, riuscirono a difendere la propria indipendenza fino al XVIII secolo; alcune, come gli Araucani del Cile e i Chichimechi del Messico, non furono completamente sottomesse fino al XIX secolo.
Inoltre nelle regioni sottomesse scoppiarono a lungo rivolte contro gli Spagnoli: ancora nel 1780 in Perù ci fu una grande ribellione guidata da un cacicco (il nome dato ai capi locali) che aveva preso il nome dell’ultimo inca, Tupac Amaru.

Dipinto novecentesco di Pedro Subercaseaux raffigurante Lautaro, uno dei capi degli Araucani 
che combatterono contro i conquistadores del Cile

INSEDIAMENTO EUROPEO IN AMERICA

Assieme alla conquista (nel 1556 una disposizione reale spagnola proibì da quel momento l’uso delle parole conquista e conquistadores e impose, al loro posto, i due nuovi termini descubrimiento e pobladores) cominciò e durò 3 secoli una profonda attività di esplorazione dell’America: essa fu sempre la premessa di nuovi insediamenti da parte degli europei.
In seguito a un accordo con la Spagna (il trattato di Tordesillas del 1494), i Portoghesi occuparono la regione che prese poi il nome di Brasile: qui però non sembravano esserci grandi ricchezze da sfruttare, per cui inizialmente vi si stabilirono pochi portoghesi.

Il cosiddetto planisfero di Alberto Cantino (dell’inizio del XVI secolo) in cui è segnato il meridiano 
di Tordesillas, che segna le terre spettanti alla Spagna (a ovest del meridiano) e quelle al Portogallo (a destra)

Nel corso del Seicento nelle piccole Antille (le isole minori dell’arcipelago) e lungo la costa del Mar dei Caraibi si stabilirono inglesi, francesi ed olandesi, che non volevano essere esclusi dal commercio e dallo sfruttamento dell’America e che usarono questi territori per impiantarvi delle basi commerciali e per creare piantagioni in cui coltivare i prodotti tropicali che stavano diventando di moda in Europa.
Le terre del Mar dei Caraibi si trasformarono anche in basi per i pirati e i corsari che attaccavano le navi spagnole, cariche d’oro e d’argento.
Nell’America settentrionale, dove esistevano pochi insediamenti spagnoli (in Florida e nelle regioni a nord dell’attuale Messico), cominciarono a stabilirsi coloni francesi (in Canada e nella Louisiana, lungo il corso del Mississippi) e inglesi (lungo la costa atlantica e nella baia di Hudson), ma fino al XVIII secolo i coloni europei rimasero poco numerosi.

LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE

La presenza europea in America si caratterizzò a lungo per lo sfruttamento delle risorse del nuovo continente: innanzitutto delle miniere di oro e argento, che arrivarono in Spagna in enormi quantità.

Schiavi che cercano l’oro per gli Spagnoli

Nelle regioni più fertili i coloni europei crearono grandi piantagioni, cioè grandi estensioni di terreno in ognuna delle quali veniva coltivato un particolare prodotto: la canna da zucchero (di origine asiatica), il caffè (di origine africana), il cacao (un prodotto americano che divenne di moda in Europa a partire dalla seconda metà del XVII secolo), il tabacco, più tardi il cotone.
La manodopera nelle miniere e nelle piantagioni americane era costituita da indios, ma in molte regioni la popolazione amerindia andò diminuendo rapidamente, per lo sterminio provocato dalle armi o dalle malattie europee. Allora i coloni europei si procurarono nuova manodopera catturando in altre regioni indios da rendere schiavi, ma quando anche queste regioni furono spopolate, la scarsità di manodopera divenne un grave problema.

Indios impiegati come schiavi nelle miniere d’argento di Potosí (Bolivia)

Dall’America settentrionale, in cui il clima era più freddo e la presenza europea più scarsa, provenivano soprattutto pellicce, pesce e legname. I mercanti di pelli si addentravano nelle grandi foreste del Nord e ottenevano dagli indiani pelli di castori e di altri animali; boscaioli e pescatori si stabilivano invece lungo le coste, per sfruttare i primi le grandi foreste e i secondi le zone molto pescose dell’Atlantico settentrionale.

Scambio di prodotti tra Europei e Indios nell’America del Nord

Va ricordato infine che in America gli Europei conobbero prodotti che poterono essere coltivati e divennero di uso quotidiano anche nel nostro continente: il mais, la patata, il pomodoro, un genere di zucca, il fagiolo rosso, il peperone e il peperoncino, il tabacco, una varietà di fragola, la patata americana, il fico d’india, le arachidi, l’uva fragola, il girasole. Tra le piante che potevano essere coltivate solo nelle zone tropicali si scoprirono il cacao, l’ananas, l’avocado, la papaya, la noce di cocco (sulla cui origine, però, ci sono molte incertezze). Mentre tra gli animali si scopre l’esistenza del tacchino, del cincillà, del visone americano, del lama, della vigogna, dell’alpaca, del guanaco, del bisonte americano.


ETNOCIDIO E GENOCIDIO

Nelle regioni dove gli europei si insediarono più numerosi, la popolazione indigena si ridusse a causa delle malattie, dei massacri e del feroce sfruttamento: gli indigeni, che non ricevevano cibo a sufficienza, erano spesso costretti a lavorare nelle miniere e nelle piantagioni fino a morire per la fatica e venivano ferocemente puniti per ogni tentativo di ribellione o di fuga. Perciò tra il 1500 e il 1650 la popolazione amerindia passò da 80-100 milioni (secondo altri 50-60) a circa 10 milioni di abitanti. In alcuni luoghi, come le Antille, già alla fine del XVII secolo la scomparsa dei nativi era totale; qui, ma anche nelle Ande, fu impressionante il numero di suicidi che si registrò tra gli amerindi.

Disegno raffigurante la Matanza del Templo Mayor (20 maggio 1520), uno dei tanti episodi di violenza accaduti durante la conquista dell’America

Se a ciò aggiungiamo le conversioni forzate al cristianesimo, gli spostamenti di intere popolazioni in aree marginali e inospiti e la spoliazione del territorio delle varie tribù, è legittimo parlare sia di etnocidio (cioè di distruzione della cultura di un popolo), sia di genocidio (cioè di uccisione di massa di un popolo).
È sconcertante riscontrare come alcuni storici neghino o ridimensionino tutto questo. Leggiamo ciò che è scritto in un manuale per la scuola media, purtroppo abbastanza diffuso:



GLI EUROPEI IN AMERICA

Così come la popolazione indigena andò calando, quella europea aumentò nel corso del tempo. Molti emigravano dall’Europa e si stabilivano in America per motivazioni economiche, attratti dalla possibilità di arricchirsi o almeno di uscire dalla miseria. Altri lo facevano per sfuggire a persecuzioni religiose, come nel caso di molti coloni inglesi. Non sempre però le migrazioni spontanee erano sufficienti per popolare e tenere sotto controllo i territori conquistati: perciò i governi di alcuni Stati europei (Inghilterra, Francia, Portogallo) inviarono in America anche uomini e donne condannati al carcere.

Detenuti inglesi vengono imbarcati su una nave all’ancora nel Tamigi in partenza per l’America:
si noti come molti di essi siano dei ragazzi

Nelle colonie europee d’America si formò una società mista, bianca e india,  in cui esisteva però una netta divisione sociale: il potere e le ricchezze erano in mano ai bianchi, mentre gli indigeni vivevano in condizioni di inferiorità e molto spesso erano costretti ai lavori forzati per i coloni europei. Poiché nei primi secoli le donne europee erano molto meno numerose degli uomini, molti coloni europei si prendevano concubine indiane: nacquero così molti meticci, cioè persone nate da un genitore di origine europea e uno di origine amerindia, i quali di solito occupavano una posizione inferiore a quella degli europei, ma superiore a quella degli indiani. In alcune aree, per esempio in gran parte del Messico, essi divennero la maggioranza della popolazione.
A partire dal XVI secolo in America si stabilì un’altra popolazione: i neri portati come schiavi dall’Africa per lavorare nelle piantagioni.


Gli europei trasferirono in America piante e animali domestici, modelli di abitazione e di famiglia, modi di vivere, religione e lingua: essi trasformarono profondamente l’America, in cui sorsero città di tipo europeo, porti, strade, fortezze, università (la prima fu quella di San Marco a Lima, nel 1551), chiese, conventi.

Cuzco (Perù): la Cattedrale cattolica costruita tra il 1560 e il 1664, al posto di una prima chiesa 
che era stata costruita nel 1539 sopra un tempio inca

Persino i nomi dati alle regioni erano spesso di origine europea: Nuova Spagna venne chiamato il vicereame spagnolo esteso nell’America centrale, Nuova Castiglia quello in Perù, Nuova Scozia venne chiamata una regione del Canada, molte furono le città dal nome europeo, come Nuova York (ossia New York).
I figli della nobiltà amerindia vennero mandati in scuole in cui imparavano la lingua, la religione e i valori europei. Molti indiani perciò cominciarono a imitare i modi di vita degli europei. Anche nell’interno dell’America del Nord, dove i coloni europei furono a lungo una minoranza, gli scambi commerciali modificarono profondamente il modo di vivere degli indiani, diffondendo l’uso delle armi da fuoco e dei cavalli.

Dipinto raffigurante una scena (dei pellerossa a cavallo) che a noi oggi appare comune, ma che è la conseguenza dell’introduzione del cavallo in America da parte degli Europei

Gli europei imposero ovunque il Cristianesimo e distrussero le statue degli dèi, che essi consideravano idoli, e i templi, costruendo invece al loro posto un gran numero di chiese. Le popolazioni indigene furono convinte o costrette a convertirsi, ma il Cristianesimo non sostituì completamente le religioni tradizionali: spesso si ebbe una mescolanza di elementi (credenze, miti e riti) della religione cristiana con quella locale, che prende il nome di sincretismo religioso.
I territori spagnoli, inglesi, portoghesi e poi anche quelli francesi in America dipendevano direttamente dai re degli Stati che li avevano conquistati e avevano una limitata autonomia: le colonie spagnole, ad esempio, erano amministrate da un Consiglio delle Indie, che aveva sede a Madrid, e le miniere americane erano monopolio reale (cioè erano sotto il completo controllo del re). Tutte le decisioni più importanti erano perciò prese al di fuori delle colonie e talvolta i coloni protestavano, perché i loro interessi venivano danneggiati.
In generale i governi europei non incoraggiarono lo sviluppo delle attività artigianali in America e, per favorire i propri centri di produzione, imposero ai coloni di importare dalla madrepatria tutti i prodotti necessari, in particolare tessuti e liquori. In questo modo l’America forniva all’Europa prodotti minerari e agricoli, ma non artigianali e questo fatto è all’origine di sviluppi futuri della storia del Nuovo Mondo.

Mappa di Londra nel 1572: la grandezza della Gran Bretagna e di Londra passò anche attraverso 
i commerci con il Nuovo Mondo

Se vuoi ascoltare/vedere questa lezione, clicca sui video seguenti:
La conquista dell'America (parte 1)
La conquista dell'America (parte 2)


mercoledì 12 novembre 2014

41 L'America prima di Colombo



L’AMERICA PRIMA DI COLOMBO

Quando gli Europei arrivarono in America, il continente era già densamente popolato, almeno in alcune aree. Ma da chi? E a quale grado di sviluppo? E come gli Europei si relazionarono con le popolazioni che incontrarono?


Le fonti scritte locali antecedenti alla scoperta sono scarse e limitate alla Mesoamerica, termine che indica un territorio compreso tra il Messico, l’Honduras e il Nicaragua, dove si manifestò una realtà culturale variegata ma piuttosto sviluppata. La scarsità dei codici precolombiani va spiegata: presso le corti regali, i tribunali, i templi e le scuole esistevano delle autentiche biblioteche, però esse vennero bruciate dagli Europei, che le consideravano un insieme di opere eretiche. Gli Europei, infatti, maturarono da subito nei confronti degli indios americani un atteggiamento negativo, non solo perché nei primi contatti essi incontrarono popolazioni nude e impiumate, ma anche perché riscontrarono due caratteristiche per loro inconcepibili: da una parte l’assenza di conquiste economiche e tecnologiche assodate per gli Europei (per esempio gli animali domestici, la ruota, la siderurgia), dall’altra la presenza di tradizioni sinistre, come il cannibalismo, i sacrifici umani, la bellicosità. Questi due aspetti spinsero gli Europei a evidenziare i valori negativi delle popolazioni precolombiane e a considerare le loro creazioni più evolute (per esempio la monumentale architettura, l’oreficeria, l’agricoltura intensiva, il commercio fiorente, l’organizzazione monarchica) non come opera della loro civiltà, bensì del diavolo: perciò esse andavano distrutte alle radici e sostituite con la religione cristiana e la civiltà europea.

Una scena di cannibalismo raffigurata in un’illustrazione del XVI secolo

L’AMERICA SETTENTRIONALE

Tra il Trecento e il Quattrocento l’America settentrionale era abitata da diverse popolazioni, che occupavano territori vastissimi, occupandosi soprattutto di agricoltura, o, nelle regioni più fredde, di caccia e raccolta. Lungo la costa e nelle zone ricche di laghi era molto praticata anche la pesca.
Nell’America settentrionale non vi erano Stati e le popolazioni erano divise in tribù, ognuna delle quali controllava un territorio. Le diverse tribù vivevano in villaggi, o, se erano nomadi, in accampamenti di tende, che si potevano spostare facilmente secondo le necessità. In tutta questa parte del continente non si svilupparono civiltà urbane, anche se soprattutto in Florida e lungo il corso del Mississippi sono stati rinvenuti dei centri archeologici che fanno pensare all’esistenza di città anche di notevole ampiezza, con grandi piattaforme che sostenevano le abitazioni dei sovrani, i templi e i luoghi dove celebrare cerimonie.

Recipiente in terracotta dipinta e incisa a forma di testa umana, dal Medio Mississippi 
(1400-1650 d.C.) Washington, National Museum of the American Indian

Il sito archeologico di Mesa Verde (Colorado, U.S.A.), il più importante insediamento 
del popolo degli Anasazi

L’AMERICA CENTRALE

L’America centrale, in particolare quella che viene storicamente indicata come Mesoamerica, era più popolata dell’America del Nord: vi vivevano popolazioni diverse, dedite all’agricoltura, all’artigianato e al commercio. Esse si erano organizzate in città-stato, che erano spesso in guerra tra loro, anche se più per motivi di prestigio individuale, di razzia e per la cattura di prigionieri, che di conquista territoriale. Tra le diverse popolazioni erano frequenti, comunque, gli scambi commerciali, intensi e regolari. Pur parlando lingue diverse e pur essendo divise in tanti Stati, queste popolazioni avevano credenze e tradizioni comuni, soprattutto per ciò che riguardava la religione: essa era un aspetto importante per ciascuno di questi popoli, per questo i templi erano gli edifici principali delle loro città e i sacerdoti avevano molto potere.

 I popoli precolombiani che vivevano in Mesoamerica

Tra i popoli della Mesoamerica si distinsero i Maya, che occuparono una vasta area compresa tra Messico, Guatemala, Honduras, Belize e Salvador. In questa stessa zona i Maya sopravvivono ancora oggi, formando uno dei gruppi etnici più consistenti e omogenei del continente americano.

Due donne maya oggi

L’antica civiltà maya conobbe il proprio apogeo tra il III e il X secolo d.C.; non formò mai uno Stato unitario, ma rimase frazionata in numerose città-stato, di cui la più estesa fu quella che si formò a Tikal (nell’attuale Guatemala) e che contava circa 25.000 abitanti.

L’area archeologica di Tikal

Raggiunse risultati sorprendenti nella costruzione di opere pubbliche (templi e strade soprattutto) e in campo matematico e astronomico. I Maya usavano nella numerazione un sistema a base 20 (vigesimale) e avevano inventato una scrittura di tipo geroglifico (che abbiamo in parte decifrato).

Suonatori maya in un affresco del Tempio delle Pitture di Bonampák dell’VIII secolo d.C.

Verso il IX secolo ebbero un crollo che li obbligò a spostarsi nei bassopiani dello Yucatán, dove nel X secolo furono sbaragliati dai Toltechi, una popolazione guerriera proveniente dal Messico centrale, che impose ai Maya nuove e sanguinarie credenze religiose, quali il culto del serpente piumato e i sacrifici umani.
Intorno al 1250 emersero nello Yucatán gli Itzá, un gruppo misto di Maya e Toltechi, che però si consumò rapidamente in guerre locali, tanto che tra il 1524 e il 1528 gli Spagnoli conquistarono facilmente le loro terre.

Copia di un affresco del Tempio dei Giaguari a Chicén Itzá raffigurante una scena di battaglia (900-1250 d.C.) Città del Messico, Museo Antropologico

Nel XV secolo, in una zona a nord-ovest rispetto a quella occupata dai Maya, i Mexica o Aztechi costituirono un vasto impero, conquistando numerose città e costringendo le popolazioni sottomesse a pagare un tributo. Perciò nella capitale degli Aztechi, Mexico-Tenochtitlàn, confluivano i prodotti di molte città, sia quelli destinati all’uso quotidiano (cibo, abiti di cotone), sia quelli per la nobiltà azteca (ornamenti, oggetti preziosi, animali rari). I popoli sottomessi inoltre erano tenuti a fornire lavoratori per le grandi opere di costruzione che trasformarono Mexico-Tenochtitlàn in una delle più ricche città del mondo: paragonata a Venezia dagli Spagnoli quando vi arrivarono, la città era un’autentica metropoli per la grandiosità degli edifici pubblici e per il numero degli abitanti, calcolati a circa 360.000, una cifra enorme per l’epoca.

Pianta di Tenochtitlàn nel XVI secolo


“La grande Tenochtitlàn”, mural di Diego Rivera che rievoca le meraviglie della capitale azteca: sullo sfondo si vedono i canali, i templi e i palazzi, in primo piano il mercato, affollato di venditori, 
di popolo, di merci (Città del Messico, Palazzo Nazionale)

La potenza azteca non era però ancora consolidata, infatti gli Aztechi avevano difficoltà a tenere sotto controllo le province più lontane, tanto più che mancavano mezzi di trasporto veloci, poiché il cavallo non era presente in America, e non vi erano grandi vie di comunicazione. Per questo le rivolte contro i dominatori aztechi erano frequenti, così come l’odio nei confronti di un popolo che aveva l’abitudine di sacrificare sugli altari migliaia di prigionieri.

Nezahualcoyotl (Coyote digiunante), nobile azteco dipinto nel Codice Ixtlilxochitl 
(fine XVI - inizio XVII secolo) (Parigi, Biblioteca Nazionale)

L’AMERICA MERIDIONALE

Nell’America meridionale la regione montuosa delle Ande, lungo la costa del Pacifico, era densamente popolata e da millenni vi esistevano civiltà diverse con centri urbani importanti. Lo sviluppo delle terre andine risale al 2500 a.C., quando le popolazioni impararono a coltivare molte specie vegetali; la domesticazione degli animali fu più tarda, ad eccezione dei due camelidi andini più diffusi, il lama e l’alpaca. Più tardo fu anche lo sviluppo delle zone costiere, dove l’agricoltura non era sufficiente al mantenimento della popolazione, che ricorreva infatti abbondantemente ai prodotti della pesca.

Poncho con la caratteristica composizione a scacchiera dell’arte tessile Paracas, la cultura che si diffuse nei primi secoli a.C. nella costa meridionale del Perù

Nel XV secolo i popoli che vivevano nella regione delle Ande vennero in maggioranza sottomessi da una popolazione originaria del Perù, che fondò un grande impero. Noi ignoriamo l’origine etnica di questa popolazione, ma si ritiene che essa sia affine ai Quechua che ancora oggi rappresentano il gruppo indigeno più consistente del Perù. Questa popolazione viene indicata comunemente con il termine di Incas, in quanto inca era il nome dato ai nobili (l’imperatore, che era al vertice della società, era detto Sapa Inca). L’impero degli Incas dipendeva da un forte potere centrale: infatti l’inca controllava tutta la popolazione, grazie a un’estesa rete di strade, che permetteva il rapido spostamento di soldati e messaggeri, e di un gran numero di funzionari locali: essi eseguivano gli ordini dell’inca in ogni regione e riferivano quanto accadeva.

Veduta di Machu Picchu, cittadella degli Inca costruita sulle Ande a 2450 m di altitudine,
non molto lontano da Cuzco, la capitale incaica

L’artigianato (tra cui la lavorazione dell’oro e della ceramica) e il commercio erano molto sviluppati, ma l’attività principale all’interno dell’impero era l’agricoltura: essa veniva praticata in maniera intensiva, sfruttando il terreno in senso verticale, con la costruzione di terrazzamenti, e mediante irrigazione artificiale e concimazione. Le terre, di proprietà dell’imperatore, venivano distinte in tre parti, una per lo Stato, una per i servizi della religione e la terza veniva assegnata alle comunità (dette ayllu), che le distribuivano alle famiglie, in base al numero di componenti, affinché ognuna avesse il necessario per vivere. Le terre assegnate alle vedove, agli anziani e agli orfani, che non erano in grado di svolgere da soli il lavoro necessario, venivano coltivate da tutti gli abitanti del villaggio. I lavori sui terreni pubblici avevano comunque la precedenza su quelli svolti nei terreni privati: tutti gli agricoltori abili erano obbligati a quelle mansioni, che avevano lo scopo di rendere tutti partecipi della prosperità dell’impero e di certi vantaggi materiali; infatti i prodotti dei terreni demaniali (ossia pubblici) ammassati nei magazzini di stato, costruiti ad apposite distanze lungo le vie imperiali, servivano per il nutrimento degli eserciti in marcia, dei pubblici funzionari in viaggio di servizio e del clero, ma potevano anche essere distribuiti alla popolazione in caso di carestia.

I terrazzamenti di Pisac (in Perù) sono la testimonianza degli immensi lavori realizzati per favorire 
lo sviluppo agricolo nell’impero degli Incas

Come per gli altri popoli precolombiani, anche per gli Incas la religione costituiva un elemento importante: il culto del Sole, considerato il capostipite della dinastia al potere nei secoli XIV-XV, era un elemento di unificazione dell’impero, ma poiché gli Incas (come gli Aztechi) erano molto tolleranti in materia religiosa, i popoli conquistati potevano adorare anche le proprie divinità. Una volta operata l’annessione politica di un territorio, i simulacri della religione locale venivano trasportati con tutti gli onori nel tempio principale di Cuzco, quale simbolo di alleanza e pegno di fedeltà. Uno dei motivi di maggior contrasto tra Incas e Spagnoli fu proprio l’intolleranza manifestata da questi ultimi.

Cerimonia a Inti, il Dio del Sole degli Incas