Canti Grande Guerra 2: Canti reinterpretati

Questo è il secondo di 4 post dedicati ai canti della Grande Guerra.

2- Canti dell’epoca reinterpretati in anni più recenti
Molti canti della Grande Guerra sono stati interpretati in tempi recenti (ossia, dopo la Seconda Guerra mondiale) in versioni musicalmente più vicine al gusto moderno. Eccone alcune.

MASSIMO BUBOLA: PONTE DE PRIULA (2005)
Questa canzone descrive la ritirata italiana da Caporetto al Piave, dove il ponte è collocato. L'anonimo narratore descrive l'orrore della guerra con straordinaria efficacia: ogni strofa fotografa una stazione del dolore di questa via crucis dell'esercito italiano. Come sulla croce del Cristo, anche in questo caso viene infine attaccato un cartello. Su questo cartello c'è l'immagine della morte, nel cui nome si chiude questa raggelante descrizione.

Ponte de Priula l'è un Piave streto
i ferma chi vién da Caporeto

Ponte de Priula l'è un Piave streto
i copa chi che no ga 'l moscheto.

Ponte de Priula l'è un Piave nero
tuta la grava l'è un simitero

Ponte de Priula l'è un Piave amaro
i fusilai butai in un maro.

Ponte de Priula l'è un Piave mosso
el sangue italiàn l'ha fatto rosso.

Ponte de Priula sora le porte
i taca un cartèl con su la morte

La copertina del disco di Massimo Bubola da cui è tratta la canzone

GIOVANNA DAFFINI: FUOCO E MITRAGLIATRICI (1966)
Canto della Grande Guerra composto sull’aria della canzonetta napoletana “Sona chitara” di Libero Bovio con musica di Ernesto De Curtis, del 1913. Le località menzionate nelle varie versioni del canto ne fanno risalire la composizione tra la fine del 1915 e l'inizio del 1916. Alle pendici di Monte San Michele era allora situato un trincerone italiano, che verso valle andava al bosco Cappuccio (qui chiamato "monte Cappuccio"), e verso monte al bosco Lancia ed alle trincee delle Frasche e dei Razzi. La conquista di quest'ultima (qui citata come "Trincea dei Raggi"), il 16 dicembre 1915, costò alla brigata Sassari la morte dei due terzi dei suoi soldati.
Canti come questo, da cui traspare - con inattesa sincerità - un sentimento doloroso verso l’obbligo del servizio militare e verso la guerra, non sono molto frequenti nel repertorio dei soldati, dato che la retorica celebrativa dei canti militari impone e diffonde ben altri testi. Questo canto è stato interpretato nel 1994 anche dai Barabàn.

Non ne parliamo di questa guerra
che sarà lunga un'eternità;
per conquistare un palmo di terra
quanti fratelli son morti di già!

Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia ! - si va.

Trincea di raggi, maledizioni,
quanti fratelli son morti lassù!
Finirà dunque 'sta flagellazione?
Di questa guerra non se ne parli più.

O Monte San Michele,
bagnato di sangue italiano!
Tentato più volte, ma invano
Gorizia pigliar.

Da Monte Nero a Monte Cappuccio
fino all'altura di Doberdò,
un reggimento più volte distrutto:
alfine indietro nessuno tornò.

Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia ! - si va.

Giovanna Daffini

GIOVANNA DAFFINI: LA TRADOTTA CHE PARTE DA NOVARA (1966)

È la tradotta che parte da Novara
E va diretta al Monte Santo,
E va diretta al Monte Santo,
Il cimitero della gioventù.

Sulle montagne fa molto freddo
Ed i miei piedi si son gelati,
Ed i miei piedi si son gelati,
All’ospedale mi tocca andar.

Appena giunto all’ospedale
Il professore mi ha visitato:
“O figlio mio sei rovinato
ed i tuoi piedi li dobbiam tagliar”.

E i miei piedi mi hanno tagliato,
Due stampelle mi hanno dato,
Due stampelle mi hanno dato,
A casa mia lor mi han mandà.

A casa mia mi sono arrivato,
Fratelli e madre compiangenti
E fra singhiozzi e fra lamenti:
“O figlio caro, tu sei rovinà”.

Mi hanno segnato una pensione
Di una lira e cinquantotto;
Mi tocca fare il galeotto
Per potermi ben disfamar.

Ho girato tutti i paesi
E tutti quanti ne hanno compassione,
Ma quei vigliacchi di quei signori
Nemmeno un soldo lor mi hanno dà.

Copertina di un numero de “La tradotta”, il più famoso giornale di trincea italiano

MONDINE DI BENTIVOGLIO: PRENDI IL FUCILE
È una versione particolare del coro “Gran Dio del cielo” presente più sopra, con alcune strofe diverse, in particolare l’ultima, che è molto interessante per il suo antimilitarismo. Non conosciamo la data di incisione.

Prendi il fucile
E vattene alla frontiera
Là c’è il nemico
Che alla frontiera aspetta

I primi colpi
Che sparo dal mio fucile
Son tutti baci
Che mando alla mia bella

Dio del cielo
Se fossi una rondinella
Vorrei volare
In braccio alla mia bella

Prendi quel secchio
E vattene alla fontana
Là c’è il tuo amore
Che alla fontana aspetta

Prendi il fucile
E buttalo lì per terra
Vogliam la pace
E mai mai più la guerra.

Soldati italiani passano l’Isonzo su un traghetto

ROSARIA GUACCI: E ANCHE AL MI’ MARITO TOCCA ANDARE

E anche al mi' marito tocca andare
a fa' barriera contro l'invasore,
ma se va a fa' la guerra e po' ci more
rimango sola con quattro creature.

E avevano ragione i socialisti:
ne more tanti e 'un semo ancora lesti;
ma s'anco 'r prete dice che dovresti,
a morì te 'un ci vai, 'un ci hanno cristi.

E a te, Cadorna, 'un mancan l'accidenti,
ché a Caporetto n'hai ammazzati tanti;
noi si patisce tutti questi pianti
e te, nato d'un cane, non li senti.

E 'un me ne 'mporta della tu' vittoria,
perché ci sputo sopra alla bandiera;
sputo sopra l'Italia tutta 'ntera
e vado 'n culo al re con la su' boria.

E quando si farà rivoluzione
ti voglio ammazzà io, nato d'un cane,
e a' generali figli di puttane
gli voglio sparà a tutti cor cannone

Soldati russi in trincea nel 1914

LUCIANO PAVAROTTI: LA CAMPANA DI SAN GIUSTO (1985)
Canzone del 1919 scritta da Giovanni Drovetti (parole) e Colombino Arona (musica). La campana di San Giusto è quella della cattedrale che domina Trieste, la città che per gli irredentisti doveva entrare a far parte del regno d’Italia (l’annessione avverrà nel 1920). Ne esistono diverse versioni: a me piace quella cantata da Luciano Pavarotti.
Per le spiagge, per le rive di Trieste
suona e chiama di San Giusto la Campana,
l'ora suona, l'ora suona non lontana
che più schiava non sarà.

Le ragazze di Trieste
cantan tutte con ardore:
- O Italia, o Italia del mio cuore,
tu ci vieni a liberar!

Avrà baci, fiori e rose la marina,
la campana perderà la nota mesta,
su San Giusto sventolar vedremo a festa
il vessillo tricolor.

Le ragazze di Trieste
cantan tutte con ardore:
- O Italia, o Italia del mio cuore,
tu ci vieni a liberar!   

Spartito della canzone

GIOVANNA MARINI: O GORIZIA (1964)
La battaglia di Gorizia (9-10 agosto 1916) costò, secondo dati ufficiali, la vita a 1.759 ufficiali e 50.000 soldati circa, di parte italiana e a 862 ufficiali e 40.000 soldati circa di parte austriaca. Fu uno dei più pazzeschi massacri di una guerra tutta pazzesca. Chi veniva sorpreso a cantare questa canzone durante la guerra era accusato di disfattismo e poteva essere fucilato.

La mattina del cinque di agosto
si muovevano le truppe italiane
per Gorizia, le terre lontane
e dolente ognun si partì.

Sotto l'acqua che cadeva a rovescio
grandinavano le palle nemiche;
su quei monti, colline e gran valli
si moriva dicendo così:

O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.

O vigliacchi che voi ve ne state
con le mogli sui letti di lana,
schernitori di noi carne umana,
questa guerra ci insegna a punir.

Voi chiamate il campo d'onore
questa terra di là dei confini;
qui si muore gridando: assassini!
maledetti sarete un dì.

Cara moglie, che tu non mi senti
raccomando ai compagni vicini
di tenermi da conto i bambini,
che io muoio col suo nome nel cuor.

O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.

VARIANTE:
Traditori signori ufficiali
che la guerra l'avete voluta,
scannatori di carne venduta,
e rovina della gioventù.

Giovanna Marini

NANNI SVAMPA: ADDIO PADRE E MADRE ADDIO (1977)
Conosciuta soprattutto nell’Italia settentrionale durante la Grande Guerra, questa canzone è forse antecedente al periodo bellico.

Addio padre e madre addio,
che per la guerra mi tocca di partir,
ma che fu triste il mio destino,
che per l'Italia mi tocca di morir.

Quando fui stato in terra straniera
subito l'ordine a me m'arrivò,
mi dan l'assalto, la baionetta in canna,
addirittura un macello diventò.

E fui ferito con una palla al petto,
i miei compagni li vedo a fuggir
ed io per terra rimasi costretto
mentre quel chiodo* lo vedo a venir.

"Fermati o chiodo, che sto per morire,
pensa a una moglie che piange per me",
ma quell'infame col cuore crudele
col suo pugnale morire mi fé.

Voialtre mamme che soffrite tanto
per allevare la bella gioventù
nel cuor vi restano lacrime e pianto
e i vostri figli che muore laggiù.

Sian maledetti quei giovani studenti
che hanno studiato e la guerra han voluto,
hanno gettato l'Italia nel lutto,
per cento anni dolor sentirà.

* Il chiodo è il tedesco, in quanto i tedeschi avevano l’elmetto a punta (Pickelhaube)

Il kaiser Guglielmo II e ufficiali del suo esercito con il Pickelhaube nel 1915

GUALTIERO BERTELLI: ADDIO VENEZIA ADDIO (1968)
Il canto (del 1917/18 circa) parla dei veneziani che dopo la rotta di Caporetto, mentre la città incominciava
ad essere preda delle incursioni nemiche, sono andati profughi in varie località della costa adriatica

Adio, Venessia, adio,
noi se ne andiamo,
adio, Venessia, adio,
Venezia salutiamo.

Passando per Malamoco
ghe gera de le donéte,
che tutte ci dimandavano:
Ma da che parte siete?

Siamo dal Cannaregio,
San Giacomo e Castèlo,
siamo fuggiti via
col nostro fagotèlo.

E arrivati a Chioggia
ci misero acampati
come fussimo stati
i pòvari soldati.

Dopo tre ore bone
'rivata la tradòta,
ai pòvari bambini
un poca de acqua sporca.

E a noi per colazione
la carne congelada,
e dentro ghe conteneva
qualche bona pissada.

E da Rovigo a Ferrara
una lunga fermata,
durante tutta la notte
fino alla matinata.

Dopo quarantott’ore
de nostro penoso viaggio,
siamo arrivati a Pesaro,
uso pellegrinaggio.

Sfollati

MASSIMO BUBOLA: ADIO RONCO (2005)
Questo canto (scritto da italiani sudditi e soldati austroungarici) prende spunto dalla partenza, nel 1914, dei Kaiserjäger, i Cacciatori delle Alpi, verso il fronte russo.

Adio Ronco mio paese
ti saluto con la mano
ti saluto con la mano
me ne vado via lontàn

Via lontano alla guerra
contro i Russi già iniziata
sto per prendere l'armata
via coi bravi Cacciatòr

Contro i Russi sto marciando
per la guerra già iniziata
per la forte grande armata
che fa parte i Cacciatòr

Noi ci coglie l'emozione
che a lasciar l'amante mia
l'è per essa un'agonia
la partenza del suo amor

Caro padre, madre mia
io piangendo vi saluto
non portate per me 'l lutto
se Dio vuol ritornerò,
non portate per me 'l lutto
se io non ritornerò

Cari amici vi saluto
rammentate i desolati
che ancor oggi van soldati
o per vincere o per morir

Manifesto per i Kaiserjäger

ANNA IDENTICI: NINNA NANNA DELLA GUERRA (1973)

Ninna nanna scritta nel 1914 da Trilussa.
Trilussa (Roma, 26 ottobre 1871 - 21 dicembre 1950), pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, è stato un poeta italiano, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco, che riuscì ad elevare a lingua letteraria.
Dopo un'infanzia poverissima (a tre anni era rimasto orfano del padre), compì studi irregolari e debuttò giovanissimo (1887), con poesiole romanesche, su Il Rugantino di Luigi Zanazzo; più tardi scrisse anche per il Don Chisciotte, il Capitan Fracassa, Il Messaggero e Il Travaso delle idee.
Di carattere folcloristico, provinciale e madrigalesco è il primo volume di versi, Le Stelle de Roma (1889); poi la sua vena, prevalentemente satirica, andò via via affinandosi, trovando la misura più congeniale nel bozzetto di costume e nella favola moraleggiante di ascendenza esopiana: Quaranta sonetti (1895), Favole romanesche (1900), Caffè-concerto (1901), Er serrajo (1903), Ommini e bestie (1908), Le storie (1915), Lupi e agnelli (1919), Le cose (1922), La gente (1927) e molte altre.
Con un linguaggio arguto, appena increspato dal dialetto borghese, Trilussa ha commentato circa cinquant'anni di cronaca romana e italiana, dall'età giolittiana agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli preferiti.
Ma la satira politica e sociale, condotta d'altronde con un certo scetticismo qualunquistico, non è l'unico motivo ispiratore della poesia trilussiana: frequenti sono i momenti di crepuscolare malinconia, la riflessione sconsolata, qua e là corretta dai guizzi dell'ironia, sugli amori che appassiscono, sulla solitudine che rende amara e vuota la vecchiaia (i modelli sono, in questo caso, Lorenzo Stecchetti e Guido Gozzano).
Personaggio popolarissimo, Trilussa visse di proventi editoriali e di collaborazioni giornalistiche: era anche un efficace dicitore dei suoi versi, e come lettore di poesia fece lunghe tournée in Italia e all'estero. La raccolta di Tutte le poesie uscì postuma, nel 1951, a cura di Pietro Pancrazi, e con disegni dell'autore.
Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1 dicembre 1950, venti giorni prima che morisse.

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna,
dormi dormi cocco bello,
se no chiamo Farfarello,
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Cecco Peppe
che s'aregge co' le zeppe:
co' le zeppe de un impero
mezzo giallo e mezzo nero;
ninna nanna pija sonno,
che se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno.
Fra le spade e li fucili
de li popoli civili.
Ninna nanna, tu non senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che comanna,
che comanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza.
O a vantaggio de una fede,
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar sovrano macellaro;
che quer covo d'assassini
che c'insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura 'sto macello,
fa la ninna che domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima,
boni amici come prima;
so' cuggini e fra parenti
nun se fanno complimenti!
Torneranno più cordiali
li rapporti personali
e, riuniti infra de loro,
senza l'ombra de un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone

Trilussa e Anna Identici

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