GLI ARABI E L’ISLAMISMO
Nel VII secolo nella penisola
arabica accadde un fatto destinato a cambiare la storia: la predicazione di
Maometto tra gli Arabi.
Gli Arabi erano nomadi (la parola
arab significa proprio nomade) e
abitavano un territorio, esteso tra Mediterraneo, Mar Rosso e Oceano Indiano,
grande dieci volta l’Italia, ma per nove decimi desertico. Solo lungo le coste
dell’Oceano Indiano e nelle oasi in mezzo al deserto la presenza di venti umidi
come i monsoni o di sorgenti d’acqua permetteva la crescita della vegetazione e
quindi garantiva la possibilità di praticare l’agricoltura.
La maggioranza degli Arabi si
dedicava alla pastorizia o al commercio, grazie a un animale – il dromedario –
capace di resistere per giorni interi senza bere.
I beduini (= uomini del deserto)
attraversavano le distese sabbiose trasportando i prodotti orientali dalle
coste dell’Oceano a quelle del Mar Mediterraneo e i prodotti siriani e egiziani
nel percorso inverso. Ogni carovana di beduini rappresentava un’intera tribù e
tutte le tribù erano legate da antiche parentele, o divise da inimicizie
segnate da faide senza fine. Per questo l’attività commerciale dei beduini era
affiancata spesso dalla rapina e dal saccheggio: attaccare la carovana di una
tribù rivale e depredarla di tutto il suo carico, dava
la soddisfazione di sfogare
antichi rancori, garantiva un bottino e permetteva di dimostrare il valore
guerrieri dei beduini.
Poi, l’arrivo in un’oasi,
permetteva il riposo, lo scambio di merci e informazioni, l’ascolto delle
storie raccontate dai poeti, l’adorazione delle proprie divinità, che avevano
protetto la carovana dai guerrieri nemici, dalle tempeste di sabbia, dalla sete
del deserto.
Gli Arabi erano infatti
politeisti: nella loro religione erano venerati sia elementi naturali (il
cielo, le sorgenti d’acqua, le meteoriti che, cadute dallo spazio, si trovavano
nelle sabbie del deserto come se qualche mano divina ve le avesse deposte), sia
dèi come nelle altre religioni, dèi locali ma anche presi da altri popoli; per
esempio dagli Ebrei gli Arabi avevano conosciuto Jahvè e gli angeli, gli
arcangeli, i profeti della Bibbia e del Vangelo, tra cui Gesù.
Una delle principali oasi del
deserto arabico era La Mecca: sorgeva all’incrocio delle piste carovaniere
dirette ai porti del Mar Rosso ed era divenuta una grande città commerciale,
piena di traffico e di mercanzie; anzi, verso la fine del V secolo la potente e
ricca tribù dei Quraysh diffuse la voce che la Pietra Nera conservata in città
(si trattava di un meteorite venerato da tempo, poiché si diceva che l’avesse
portato sulla Terra lo stesso arcangelo Gabriele) avesse effetti miracolosi. La
Mecca venne proclamata città santa dell’Arabia e non c’era carovana che
non vi facesse tappa, unendo alle necessità commerciali la devozione del
pellegrinaggio.
La Kaaba che conserva la Pietra nera alla Mecca
Il movimento di denaro aumentò
vertiginosamente e i Quraysh si arricchirono oltre ogni limite. Accanto alle
loro dimore lussuose sorgevano però i miserabili quartieri delle altre tribù,
molte delle quali ridotte a una vita di stenti. Il contrasto era troppo forte
per passare inosservato e ben presto le critiche contro lo stile di vita dei
ricchi, la loro arroganza ed avidità, divennero sempre più forti.
A La Mecca visse Muhammad, noto
in Europa come Maometto (570-632); in seguito ad una serie di visioni, in cui
gli apparve l’arcangelo Gabriele, egli incominciò a predicare un insieme di
insegnamenti religiosi e morali, che nel giro di pochi anni diedero vita a una
nuova religione, chiamata Islamismo, che vuol dire sottomissione. Infatti
Maometto predicava l’esistenza di un unico Dio (Allah in arabo), al
quale bisognava sottomettersi completamente: chi credeva in lui veniva detto
musulmano, cioè appartenente all’Islamismo, e doveva vivere seguendo la
castità, la giustizia, la carità e la penitenza e condannando l’avarizia e
l’avidità.
Era un insegnamento che affascinò
i poveri e scatenò l’ira dei Quraysh, che cominciarono a ostacolare Maometto in
tutti i modi, deridendolo quando predicava, tentando di assassinarlo e infine
vietandogli la predicazione.
Abu Bakr, amico di Maometto e primo califfo dell’Islam, difende il
Profeta dalle pietre che una folla di infedeli gli lancia contro (miniatura
turca del XVI secolo); come spesso accade, Maometto è raffigurato con un velo
sopra il viso
Nel 622 Maometto fu costretto a
fuggire dalla Mecca e a rifugiarsi a Yathrib, la seconda grande oasi arabica.
Da questa fuga (in arabo ègira) i musulmani contano gli anni, come i
cristiani li contano dalla nascita di Gesù. In seguito Yathrib cambiò il
proprio nome in Medina, che vuol dire “la città” (sottintendendo del profeta).
A Medina, in realtà, Maometto non era più solo un semplice profeta che
predicava una nuova religione, ma divenne un capo religioso, politico e anche
militare. Il successo dell’Islamismo doveva passare per la sconfitta della
Mecca e di ciò che rappresentava: le carovane dirette in quella città dovevano
essere rapinate per nutrire i seguaci di Allah e questa non poteva che essere
considerata una guerra santa (jihad in arabo), perché combattuta dai
veri fedeli musulmani contro gli infedeli avidi e politeisti.
Nel 630 i seguaci armati di
Maometto conquistarono La Mecca, quindi si lanciarono alla conquista di tutta
l’Arabia; solo due anni dopo Maometto morì, ma le tante tribù arabe erano
diventate un’unica nazione, che credeva in un unico dio e negli insegnamenti
del suo profeta, raccolti nel libro sacro dei musulmani, il Corano (Quran).
L’esercito di Maometto, in una miniatura persiana conservata alla
Biblioteca Nazionale di Parigi
Con l’Islamismo era nata una
terza religione monoteista, dopo l’Ebraismo e il Cristianesimo; tra le 3
religioni ci sono in effetti almeno 3 aspetti importanti in comune:
- il monoteismo, innanzitutto
- la credenza in un aldilà, che
comprende un paradiso per chi ha seguito le norme religiose e un inferno per
chi non le ha rispettate
- la netta separazione tra gli
infedeli e i credenti, che costituiscono una comunità (umma per i
musulmani).
Miniatura turca del XVI secolo in cui è rappresentato il volto di
Maometto con una fiamma che gli arde attorno
Il Corano impone a tutti i fedeli
cinque obblighi, chiamati i cinque pilastri dell’Islam:
- credere in Dio e dichiarare la
propria fede con la formula «Non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto
è il suo profeta»;
- pregare cinque volte al giorno,
con il viso rivolto alla Mecca, città sacra agli Arabi ancor prima della
predicazione di Maometto;
- fare l’elemosina ai poveri;
- digiunare dall’alba al tramonto
durante il mese del ramadan (il nono mese del calendario lunare
musulmano):
- recarsi, almeno una volta nella
vita, in pellegrinaggio alla Mecca.
Dopo la morte di Maometto, il
potere passò a dei capi politici e spirituali chiamati califfi, ma la cosa non
fu facile, poiché provocò una spaccatura tra i musulmani, che esiste ancor
oggi. Alcuni ritenevano che a capo della comunità potesse essere eletto
qualunque musulmano di buona moralità e sufficienti capacità intellettive,
sostenendo che questo è detto nella sunna, l’insieme dei racconti che
per tradizione spiegano qual è stato il comportamento tenuto da Maometto, dai
suoi familiari e dai primi credenti nel corso della loro vita. I musulmani che
accettano interamente la sunna sono chiamati Sunniti e costituiscono
oggi la larga maggioranza dei seguaci dell’Islam nel mondo (circa il 90%).
Altri musulmani, invece, ritenevano che l’unico califfo legittimo fosse Alì,
cugino e genero del profeta: costoro sono detti Sciiti (da shi’a, che
vuol dire fazione e sottintende “di Alì e dei suoi discendenti) e sono
oggi la maggioranza solo in Iran.
Ad ogni modo, dopo pochi anni
dalla morte di Maometto la carica di califfo divenne ereditaria, prima nella
famiglia degli Omayyadi (661-749), poi nella famiglia degli Abbasidi
(749-1256).
In meno di un secolo, dal 633 al
712, gli Arabi conquistarono gran parte dell’Asia occidentale e centrale,
l’Africa settentrionale e la penisola iberica. La rapidità di questa espansione
dipese da tre fattori fondamentali:
- l’Impero Bizantino e l’Impero
Persiano erano indeboliti dalle guerre tra di loro, da forti contrasti interni
e dal malcontento popolare verso le tasse, e non seppero opporre un’efficace
resistenza;
- l’esercito arabo, costituito da
nomadi, era capace di muoversi rapidamente, spingendosi anche molto lontano
dalle proprie basi;
- i guerrieri musulmani
affrontavano le battaglie con grande coraggio: mossi dalla propria fede, erano
certi – secondo l’insegnamento di Maometto – che se fossero morti combattendo
sarebbero andati in paradiso.
L’impero arabo-islamico nel secolo VIII
Solo nella prima metà dell’VIII
secolo i Franchi nell’Europa occidentale, l’Impero Bizantino in Anatolia e
l’Impero Cinese a est fermarono l’espansione araba; ulteriori conquiste si
ebbero solamente il IX secolo e riguardarono Creta e la Sicilia.
Ma l’Impero Islamico era ormai
una realtà, destinata a restare per secoli. Era uno Stato forte e ben
organizzato, secondo modelli diversi da quelli degli altri impero dello stesso
periodo.
Innanzitutto era uno Stato di
forte impronta religiosa: il Corano non conteneva solo i precetti religiosi, ma
anche le norme a cui le leggi politiche dovevano ispirarsi, eterne e
immutabili. Gli stessi giudici erano contemporaneamente anche imàm, cioè
guide spirituali della loro comunità: il loro ruolo politico non era
prescindibile dall’insegnamento religioso.
L’Impero Islamico era anche uno
Stato piuttosto tollerante nei confronti dei popoli conquistati: essi erano gli
unici a pagare le tasse, ma per il resto erano liberi di esercitare un
mestiere, di essere giudicati dai loro tribunali sulla base delle loro
tradizioni, di professare la loro fede. Molti si convertirono all’Islamismo e
quando ciò avveniva, non dovevano più pagare le tasse e ottenevano gli stessi
diritti degli altri musulmani, potendo migliorare la loro condizione sociale.
Infatti nella società araba non c’era una netta divisione tra nobili e popolo,
come avveniva invece nell’Europa occidentale.
Nello Stato Islamico esisteva la
schiavitù, ma per gli Arabi lo schiavo non era una bestia da sfruttare, bensì
una persona a tutti gli effetti. Se si convertiva ed era fedele al suo padrone,
restava per la legge sempre uno schiavo, però era libero di sposarsi,
guadagnare, mettere soldi da parte; se poi era colto e intelligente, poteva
aspirare a una carriera addirittura superiore a quella di un arabo (molti
schiavi divennero, per esempio, visir, vale a dire primi ministri dei
califfi).
Lo Stato Islamico, infine, era
basato su una forte differenziazione tra maschi e femmine. Anche se Maometto
aveva migliorato la condizione della donna, per esempio proibendo
l’infanticidio femminile (cioè l’uccisione delle neonate femmine subito dopo la
nascita, una praticata dettata dall’estrema povertà di molte tribù del deserto,
le quali preferivano avere dei figli maschi) e stabilendo che anche le donne
avevano diritto ad una parte dell’eredità dei genitori (ma inferiore a quella
dei fratelli), nella società musulmana la donna rimase in una posizione
nettamente inferiore all’uomo. Il marito infatti poteva ripudiare la moglie e
praticare la poligamia, sposando fino a quattro donne (ma i ricchi e i potenti
avevano numerose concubine – di solito schiave – nei loro harem, le
stanze appartate dove nessun maschio, tranne il padrone, poteva entrare).
Donne dell’harem in giardino con il loro signore e un suonatore di
liuto (miniatura del XIII secolo)
Nei territori sotto dominio
arabo, dopo un periodo di crisi legato alle guerre di conquista, ci fu un
grande sviluppo economico, che ebbe i suoi centri nelle numerose e popolose
città, quali Damasco, Palermo, Il Cairo, Baghdad, Fès (in Marocco) e Córdoba
(in Spagna).
Ci furono grandi progressi in
agricoltura, grazie alle tecniche di irrigazione, che gli Arabi avevano appreso
dai Persiani, e ai nuovi prodotti di cui diffusero la coltivazione, come
arance, limoni, pesche e albicocche.
La sicurezza delle strade e dei
mari permise lo sviluppo del commercio, che si serviva della moneta: nel 695
vennero coniate le prime monete d’oro (dinar) e d’argento (dirham), che
sostituirono le monete bizantine fino ad allora in uso. Lo sviluppo del
commercio portò a costruire o riadattare i porti sulle cose del Mediterraneo e
del Mar Rosso, mentre lungo le piste carovaniere sorsero i caravanserragli, dei
grandi complessi fortificati, che venivano innalzati alla distanza regolare di
una giornata di viaggio l’uno dall’altro. Essi erano in grado di offrire
ospitalità agli uomini, agli animali e alle merci, gratuitamente per tre
giorni; vi si trovavano una cucina, foraggio per le bestie, un medico e un
veterinario, acqua da bere e una sala per la preghiera.
Il caravanserraglio di Miandasht (Iran)
La presenza di una rete
commerciale molto ampia favorì lo sviluppo dell’artigianato.
Un’altra attività assai praticata
era la pirateria, a danno dei paesi cristiani, che mirava soprattutto alla
cattura di schiavi da rivendere.
All’interno del mondo
arabo-musulmano l’istruzione era molto diffusa.
Gli Arabi, entrando in contatto
con tutte le grandi civiltà del loro tempo, poterono sviluppare le scienze e le
tecniche. Rinnovarono la medicina, basandosi sugli antichi testi greci;
rivoluzionarono la matematica, introducendo lo zero e i numeri su base decimale
che noi usiamo ancora oggi; misero le basi della chimica, la scienza che studia
le proprietà e la composizione delle sostanze; fecero notevoli progressi in
astronomia; svilupparono la geografia.
Farmacista arabo intento a preparare medicinali (miniatura da un codice
del secolo XIII)
Furono gli Arabi a introdurre in
Europa la carta e probabilmente la bussola, già usate precedentemente dai
Cinesi, e il mulino a vento, di origine asiatica.
La letteratura araba ha la sua
opera maggiore nella celebre raccolta di racconti Le mille e una notte, scritta da diversi autori a partire dal X
secolo.
Le arti figurative (pittura e
scultura) si svilupparono in modo diverso da quelle europee, perché Maometto
proibì ai musulmani di rappresentare persone o animali, probabilmente perché
temeva che gli Arabi tornassero ad adorare idoli. Perciò le moschee, cioè i
templi musulmani, vennero decorate con motivi geometrici o floreali (fiori e
foglie), detti arabeschi, o con i versetti del Corano.
Le decorazioni nella moschea del sultano Hassan a Il Cairo (Egitto)
L’architettura araba ha creato
nei secoli degli autentici capolavori: le moschee e i palazzi dei califfi.
Le moschee sono innanzitutto dei
luoghi di preghiera: in origine erano solamente delle grandi sale in cui si
apriva una nicchia che indicava la direzione della Mecca, perché è in quella
direzione che bisogna mettersi quando si prega. Dopo le conquiste le moschee
divennero anche biblioteche e centri della cultura religiosa: accanto
all’edificio per la preghiera sorse spesso la madrasa, cioè appunto la scuola
religiosa. Ogni moschea è affiancata da una torre molto alta, il minareto,
dalla cui terrazza un fedele scelto dalla comunità, il muezzin, chiama i
cittadini alla preghiera cinque volte al giorno. In ogni moschea vi è un
impianto idrico con una fontana, perché i fedeli devono lavarsi prima della
preghiera.
La moschea di Córdoba
La cura per l’igiene predicata da
Maometto ha portato alla creazione dei bagni pubblici in tutti i centri dotati
di una moschea. Ugualmente le città arabe sono dotate di suk (o bazar), cioè di
mercati (coperti o all’aperto), a volte grandi come interi quartieri, perché vi
si trovano non solo le botteghe, ma anche i laboratori artigianali; nei tempi
passati vi erano anche aree per le tende dei mercanti girovaghi e stalle per
gli animali.
Il suq di Marrakesh (Marocco) oggi
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