mercoledì 30 settembre 2015

66 La Restaurazione


LA RESTAURAZIONE

Dopo la sconfitta di Napoleone, si cercò un po’ ovunque in Europa di cancellare i cambiamenti avvenuti con la rivoluzione francese e con l’impero napoleonico e di riportare la situazione a quella esistente prima del 1789. Per questo il periodo successivo al 1815 viene chiamato Restaurazione: come si restaura un dipinto che abbia subito i danni del tempo, così si dovevano cancellare i danni provocati in un quarto di secolo (dal 1789 al 1815) dalla rivoluzione francese e da Napoleone.
Per ottenere questo scopo, i rappresentanti dei diversi sovrani europei si riunirono a Vienna in un congresso (detto appunto Congresso di Vienna) tra il 1814 e il 1815 e stabilirono che i confini tra gli Stati dovevano ritornare a com’erano prima delle conquiste napoleoniche.

I lavori del Congresso di Vienna (qui in un dipinto di Jean-Baptiste Isabey) cominciarono il primo novembre 1814 e terminarono il 9 giugno 1815

Però questo ritorno ai confini prenapoleonici riuscì solo in parte. Infatti, poiché le grandi potenze europee che avevano sconfitto Napoleone miravano ognuna a rafforzare la propria posizione, vi furono alcuni cambiamenti nei confini degli Stati, soprattutto a spese degli Stati più deboli e delle repubbliche esistenti prima del periodo napoleonico: l’Austria mantenne il territorio della repubblica di Venezia, ottenuto con il trattato di Campoformio del 1797; l’Inghilterra conservò le colonie olandesi che aveva conquistato durante le guerre napoleoniche (in particolare Ceylon, l’attuale Sri Lanka, in Asia, e la colonia del Capo di Buona Speranza, in Africa); la Russia mantenne il controllo della Finlandia e della Polonia; la Prussia acquistò diversi territori in Germania, diventando il più forte Stato tedesco, accanto all’Austria. La Francia mantenne i confini del 1792, ossia le furono lasciati i territori conquistati nei primi anni della rivoluzione (nelle Fiandre, presso il Reno e in Savoia), grazie all’abilità del rappresentante francese, il marchese di Talleyrand, che riuscì a fare in modo che il nuove re francese non venisse umiliato e perdesse per questo l’appoggio dei Francesi.

Due dei principali artefici del Congresso di Vienna: il marchese di Talleyrand (francese, a sinistra) e il principe di Metternich (austriaco)

Vennero rafforzati gli Stati ai confini della Francia, affinché fossero in grado di resistere meglio in caso di eventuali nuovi attacchi francesi: il Regno di Sardegna ottenne il territorio della repubblica di Genova; il Belgio (dominio austriaco fino alle guerre napoleoniche) fu unito alle Province Unite, formando il Regno dei Paesi Bassi.
L’Impero Germanico fu sostituito da una Confederazione Germanica (nel 1819) formata da 39 Stati, là dove prima ve n’erano 350: i cambiamenti di confine furono numerosi. Gli Asburgo, inoltre, non ebbero più il titolo di imperatori germanici, ma quello più modesto di imperatori d’Austria.

L’Europa dopo il Congresso di Vienna (1815)

Allo stesso modo il Congresso di Vienna cercò di cancellare i cambiamenti politici e sociali introdotti in Europa nel periodo precedente: per esempio venne eliminato il Codice civile e si restituirono alla nobiltà alcuni dei privilegi che le erano stati tolti; ma anche in questo ambito il “restauro” non riuscì completamente.
Non era possibile, infatti, restituire alla Chiesa le terre messe in vendita e comperate dalla borghesia, perché questo avrebbe potuto provocare una rivolta. Alcune riforme che avevano rafforzato il potere regale (come l’eliminazione delle autonomie regionali) furono mantenute: questo accadde negli Stati che avevano subito il dominio napoleonico e che mantennero perciò un ordinamento (un’organizzazione statale) più moderno.
Molti Stati rimasero monarchie assolute, ma in alcuni si ebbero delle riforme, a cominciare dalla Francia, dove era salito al trono il re Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI, essendo Luigi XVII (il figlio del re ghigliottinato) morto a soli dieci anni quando venne imprigionato dalla repubblica francese. Comprendendo che i Francesi non avrebbero accettato un completo ritorno al passato, Luigi XVIII concesse una costituzione ancora nel 1814, il che fece della Francia una monarchia costituzionale, come era già l’Inghilterra. Il suffragio (cioè il diritto di voto) era però limitato ai cittadini più ricchi: solo 72.000 cittadini maschi, su una popolazione complessiva di venti milioni, eleggevano il parlamento.

Luigi XVIII in un ritratto di Jean-Baptiste Paulin Guérin dei primi decenni del secolo XIX

Anche altri Paesi (come la Svezia, i Paesi Bassi e alcuni Stati tedeschi) divennero monarchie costituzionali.
I sovrani di Russia (Alessandro I), Prussia (Federico Guglielmo III) e Austria (Francesco II) stabilirono un patto, con il quale si impegnarono ad appoggiarsi a vicenda per reprimere ogni tentativo rivoluzionario in Europa. Questo accordo venne chiamato Santa Alleanza, perché basato sulla fede cristiana comune alla Russia ortodossa, alla Prussia protestante e all’Austria cattolica. Con essa collaborarono anche l’Inghilterra e la Francia (1818).

I 3 sovrani della Santa Alleanza: da sinistra lo zar di Russia, il re della Prussia e l’imperatore d’Austria

La Restaurazione, dunque, fece recuperare alla nobiltà il prestigio perduto, riportandola a rivestire un ruolo importante nel governo dello Stato; al contrario, la borghesia era stata nuovamente esclusa dal potere. Dopo quanto era successo dalla presa della Bastiglia in poi, la borghesia non poteva accettare questa situazione.
All’interno della borghesia si sviluppò il liberalismo, un movimento che richiedeva maggiore libertà, in particolare di riunione, di associazione e di stampa, in modo da poter far circolare le proprie idee. La borghesia liberale sosteneva inoltre che lo Stato non doveva controllare in nessun modo le attività economiche, lasciando agli imprenditori la libertà di organizzarsi come volevano; questo modo di pensare prese il nome di liberismo.
I liberali richiedevano un maggiore potere per i cittadini e quindi volevano che il potere dei re fosse limitato da un parlamento, come avveniva da secoli in Inghilterra e, dopo la rivoluzione, anche in Francia. Essi perciò volevano che si tenessero elezioni, in cui eleggere liberamente un parlamento.
All’interno dei liberali vi erano però posizioni molto diverse. Alcuni, chiamati democratici, volevano il suffragio universale, ossia il diritto di voto per tutti i cittadini (ma considera che in Europa per tutto l’Ottocento solo i maschi erano considerati cittadini). Altri, chiamati moderati, chiedevano che il voto fosse concesso in base al censo, ossia il patrimonio posseduto, che veniva sottoposto a tasse: solo i più ricchi, dunque, potevano votare secondo i moderati.
I sovrani cercarono di impedire la circolazione delle idee liberali, che furono anche condannate dalla Chiesa cattolica. Nonostante questo, esse ebbero una larga diffusione in tutta Europa, attraverso giornali clandestini, cioè stampati e fatti circolare di nascosto. A diffondere le idee liberali furono soprattutto delle associazioni segrete, come la Carboneria, di origine francese, che si organizzavano per preparare anche lo scoppio di rivolte, al fine di creare dei governi rispondenti ai bisogni dei borghesi liberali.

I cosiddetti 4 sergenti de La Rochelle, 4 giovani soldati (di età compresa tra 20 e 26 anni) che furono ghigliottinati nel 1822 in quanto carbonari che volevano rovesciare la monarchia

Accanto al diffondersi del liberalismo si assistette anche al diffondersi del nazionalismo, ossia di un forte sentimento di appartenenza ad una nazione, soprattutto da parte di quei popoli che erano o si sentivano oppressi da altri popoli: accadeva ai popoli che vivevano nella penisola Balcanica ed erano dominati dai Turchi, oppure ai polacchi, che erano divisi tra Austria, Russia e Prussia. Tutti costoro cominciarono a manifestare il loro nazionalismo richiedendo la fine della dominazione straniera e l’indipendenza del loro territorio nazionale.
Allo stesso modo i popoli che vivevano divisi in tanti staterelli, come gli Italiani e i Tedeschi, cominciarono a richiedere l’unificazione in un unico grande Stato; nel caso dell’Italia, alcune regioni erano anche sottoposte a dominio straniero, per esempio austriaco, perciò al desiderio di unificazione si univa quello dell’indipendenza.
I movimenti liberali, le associazioni segrete e il nazionalismo sono la testimonianza di quanto fosse difficile, se non impossibile, cancellare un quarto di secolo di storia e restaurare il passato. Nei decenni successivi avverrà proprio il fallimento della Restaurazione.

Il secolo XIX venne segnato da un gran numero di rivolte dei popoli oppressi contro i popoli oppressori, come quella di questa illustrazione che vede i liberali italiani contro l’esercito austriaco

martedì 29 settembre 2015

65 Napoleone Bonaparte



NAPOLEONE BONAPARTE

Dall’autunno del 1793 la situazione internazionale migliorò per la Francia, che ottenne una serie di vittorie nelle guerre in corso contro gli altri Stati europei: tra il 1792 e il 1796 vennero conquistati il Belgio, le Province Unite (ossia l’Olanda) e l’Italia settentrionale. In queste due ultime regioni si formarono delle Repubbliche (Repubblica Batava e Repubblica Cisalpina) sul modello francese, che però dipendevano completamente dalla Francia.
La campagna militare condotta in Italia a partire dal 1796 fu l’occasione giusta per un generale francese di mettersi in mostra: si chiamava Napoleone Bonaparte, aveva 27 anni ed era nato ad Ajaccio, in Corsica, pochi mesi dopo il passaggio dell’isola dal dominio genovese a quello francese.

Statua a Napoleone Bonaparte ad Ajaccio

Nel corso della campagna d’Italia Napoleone sbaragliò prima l’esercito piemontese, quindi quello austriaco e infine la Repubblica di Venezia. Le conquiste diedero a Napoleone un grande prestigio militare e anche una notevole autorità politica, accresciuta dal fatto che dall’Italia partì, diretto alla Francia, un enorme flusso di denaro e di opere d’arte. Napoleone approfittò di ciò per far nascere la Repubblica Cisalpina, presentata come il coronamento del sogno dei patrioti italiani di liberarsi dei prìncipi assoluti, ma in realtà punto di partenza delle ambizioni del generale.
Fu per volontà di Napoleone che nacque prima la Repubblica ligure e che nell’ottobre 1797 venne firmato l’armistizio con l’Austria (trattato di Campoformio), in base al quale Venezia veniva ceduta all’impero asburgico assieme a gran parte della terraferma, l’Istria e la Dalmazia. Il comportamento di Napoleone, che, venuto in Italia come portatore di libertà, si dimostrava mercante di popoli a suo piacimento, deluse molti patrioti italiani.

Napoleone durante la campagna d’Italia, in un dipinto di Antoine-Jean Gros del 1801

Rientrato in Francia circondato dall’aureola del vincitore, Bonaparte preoccupava il Direttorio, che decise di liberarsene affidandogli il compito di conquistare l’Inghilterra; il generale, in grado ormai di fare di testa sua, preferì una spedizione in Egitto, destinata a colpire l’Inghilterra nei suoi traffici con l’Oriente.
A una prima vittoria seguì una clamorosa sconfitta della flotta francese ad opera dell’ammiraglio Horatio Nelson.

Napoleone durante la campagna in Egitto (dipinto di Antoine-Jean Gros del 1807)

Intanto in Francia il governo si trovava in difficoltà, per una serie di sconfitte militari e di contrasti interni. Napoleone intuì che l’occasione era unica, lasciò l’Egitto, riuscendo a sfuggire al blocco navale inglese, e il 9 novembre 1799 attuò un colpo di stato: pose fine al governo del Direttorio e formò un triumvirato (di cui era uno dei membri) che si attribuì l’incarico di dare alla Francia una nuova Costituzione.
Questa (detta la Costituzione dell’anno VIII) venne approvata da un plebiscito popolare l’anno successivo: affidava poteri quasi dittatoriali a un primo console (Napoleone stesso), coadiuvato da altri due consoli subalterni. Non contento di imporre la propria volontà in tutti i campi, nel 1804 Napoleone si fece nominare imperatore dei Francesi, anche se la Francia rimase teoricamente una repubblica, e si incoronò da se stesso alla presenza di papa Pio VII.

Napoleone alla presenza del papa incorona la moglie Joséphine imperatrice, dopo essersi messo da sé la corona imperiale (dipinto di Jacques-Louis David del 1805-1807)

Il nuovo imperatore ebbe l’appoggio della borghesia, che conservò il potere ottenuto durante la rivoluzione, e di gran parte del popolo, che vedeva in lui il salvatore della Francia. Solo la nobiltà, che rimpiangeva l’Ancien Régime, e alcuni gruppi, che volevano una maggiore uguaglianza tra i cittadini e un governo repubblicano, gli furono sempre ostili.
Napoleone raggiunse un accordo con la Chiesa (Concordato, 1801), per cui mantenne un certo controllo sulla Chiesa francese, ma il Cristianesimo cattolico fu riconosciuto come religione della maggioranza dei Francesi, vennero abolite le norme che imponevano l’elezione dei vescovi da parte del popolo e l’istruzione tornò a essere in prevalenza religiosa. Grazie a questo accordo Napoleone ebbe l’appoggio della Chiesa.
L’opera più importante di Napoleone fu il Codice civile (1804), cioè la raccolta di leggi che regolavano i rapporti tra i cittadini. Il Codice civile di Napoleone si ispirava ai principi della rivoluzione francese, affermando l’uguaglianza dei cittadini, cancellando tutti i privilegi (degli stati, in particolare della nobiltà e del clero; delle regioni e delle città) e dando ai cittadini francesi un ordinamento unico, valido per tutto il territorio nazionale; questo ordinamento venne imposto anche nei territori in seguito conquistati dalla Francia.
Il Codice civile affermò anche l’inviolabilità della proprietà privata, cioè il fatto che essa doveva essere rispettata e protetta dallo Stato, e diede spazio all’iniziativa economica privata: soprattutto quest’ultimo provvedimento andava a vantaggio della borghesia, le cui attività economiche potevano ora svilupparsi molto più liberamente.
All’interno della famiglia il Codice affermò il principio della superiorità maschile, eliminando alcune delle limitate conquiste delle donne nel periodo rivoluzionario.

Un’edizione del Codice civile del 1804

Anche se imperatore, Napoleone fino al 1815 guidò l’esercito francese in moltissime guerre contro gli Stati europei: Austria, Prussia, Russia e Inghilterra furono i suoi principali nemici e si unirono in numerose coalizioni, insieme ad alcuni Stati minori, per cercare di sconfiggerlo.
Fino al 1812 Napoleone riportò una lunga serie di vittorie, costringendo gli altri Stati alla resa o a un accordo: la Prussia e la Russia vennero sconfitte e persero territori, Vienna fu occupata (1809) e Napoleone ottenne in moglie Maria Luisa d’Asburgo, figlia dell’imperatore (1810).

Il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, in un dipinto di Georges Rouget del 1810

Solo nei confronti dell’Inghilterra Napoleone non riuscì mai a ottenere una vittoria decisiva: la flotta inglese controllava i mari e rendeva impossibile effettuare uno sbarco sull’isola. Napoleone perciò impose un blocco continentale (1806), con cui vietava alle navi inglesi di sbarcare in qualsiasi porto del continente: poiché Napoleone controllava gran parte dell’Europa, il blocco danneggiò fortemente l’economia inglese, senza però costringere l’Inghilterra alla resa.
Gli Stati conquistati dal Bonaparte subirono sorti diverse: alcuni furono uniti alla Francia, come avvenne nel 1812 agli attuali Belgio e Olanda, altri divennero Stati autonomi, a capo dei quali Napoleone mise i suoi parenti: ad esempio il fratello Giuseppe fu prima re di Napoli (1806), poi di Spagna (1808).
Anche l’Italia subì la stessa sorte: alcune regioni (il Piemonte, la Liguria, il territorio di Parma, poi anche la Toscana, l’Umbria e il Lazio) vennero unite alla Francia, mentre venivano creati il Regno d’Italia (nel centro-nord della penisola) e quello di Napoli, di fatto sotto il controllo di Napoleone.
Il dominio francese mirava allo sfruttamento delle terre occupate a vantaggio della Francia e ovunque vennero imposte forti tasse, mentre ricchezze e opere d’arte venivano prese per essere portate a Parigi. L’avidità dei Francesi suscitò in molti Paesi una forte opposizione, ispirata a quegli ideali di libertà dei popoli che gli stessi Francesi avevano diffuso. Si ebbero perciò rivolte, in particolare in Spagna e nel Tirolo, sotto la guida dell’oste Andreas Hofer (1809).

Il patriota tirolese Andreas Hofer, ritratto da Georg Wachter attorno al 1840

Dopo molte guerre vittoriose Napoleone intraprese una spedizione per sconfiggere definitivamente la Russia, l’avversario più temibile sul continente. Napoleone riuscì ad arrivare a Mosca, abbandonata dallo zar, ma fu costretto a ritirarsi per l’avvicinarsi dell’inverno (1812). Il gelo invernale e gli attacchi russi trasformarono la ritirata in una disfatta e l’esercito francese fu decimato: dei 600.000 uomini partiti per la Russia, solo 20.000 riuscirono a tornare.

La ritirata da Mosca (dipinto di Adolph Northen del 1851)

L’anno successivo (1813) Napoleone subì una sconfitta (battaglia di Lipsia) che mise fine al suo dominio sull’Europa. Egli venne esiliato nell’isola d’Elba, da cui riuscì a fuggire per ritornare in Francia e riprendere il potere (questo periodo fu detto dei Cento giorni, poiché durò dal marzo al giugno 1815). Il 18 giugno 1815 Napoleone venne definitivamente sconfitto a Waterloo: fu esiliato nell’isoletta di Sant’Elena, sperduta nell’oceano Atlantico, dove morì il 5 maggio 1821.

Napoleone a Sant’Elena (acquerello di François-Joseph Sandmann di data ignota)

Le conquiste napoleoniche ebbero breve durata, ma furono molto importanti per la storia dell’Europa, perché portarono a un grande rinnovamento.
Napoleone introdusse in tutti i territori conquistati il Codice civile, emanato in Francia nel 1804 e poi diffuso in gran parte dell’Europa (Germania, Spagna, Polonia, Olanda, Stati italiani). Esso si basava sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: la nobiltà perse perciò i suoi privilegi, pur mantenendo i propri titoli,  e la borghesia poté partecipare al potere. Si ebbe quindi un declino della nobiltà e la definitiva scomparsa del sistema feudale.
Nel periodo napoleonico vi fu un rafforzamento dello Stato prima in Francia, poi in diversi altri Paesi europei: si passò infatti a uno Stato molto centralizzato (in cui tutte le decisioni venivano prese dal centro, cioè dal governo nazionale) e venne creato un apparato amministrativo (un insieme di dipendenti pubblici) moderno ed efficiente.

L’Europa sotto Napoleone nel 1812

La Chiesa, che già aveva perso molto del suo potere nel Settecento, venne sempre più esclusa dalla vita politica e la libertà religiosa fu garantita a tutti i cittadini.
Sotto Napoleone furono introdotte numerose leggi che tendevano a favorire lo sviluppo economico, come il codice di commercio (1807) e la legge sulle concessioni minerarie (1810): vennero ad esempio eliminati molti dazi che occorreva pagare per il trasporto delle merci e vennero unificati i sistemi di pesi e misure (vedi lezione n° 64). Furono inoltre messe in vendita le proprietà ecclesiastiche, che vennero acquistate prevalentemente dalla borghesia.
Tutte queste norme favorirono la borghesia, che poté sviluppare le proprie attività e ottenne perciò un maggiore potere economico in gran parte dell’Europa.
Un altro cambiamento dipese dalle frequenti guerre: i re di diversi Paesi, come la Prussia e la Russia, chiamarono alle armi i cittadini contro le truppe francesi in nome della libertà e della difesa della patria. Essi contribuirono quindi a sviluppare il nazionalismo, che nel corso del XIX secolo si diffuse grandemente.
Tutti questi fenomeni caratterizzarono l’intero Ottocento, nonostante gli sforzi compiuti da molti sovrani per cancellare le innovazioni napoleoniche.

Un celebre ritratto di Napoleone di Jacques-Louis David del 1812


venerdì 11 settembre 2015

64 Le riforme della rivoluzione francese



LE RIFORME DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

I diversi governi che si succedettero in Francia durante gli anni della rivoluzione (l’Assemblea nazionale o costituente, la Convenzione, il Comitato di Salute Pubblica) approvarono numerose riforme, che trasformarono profondamente l’ordinamento francese e che, nei due secoli successivi, vennero riprese da altri Stati europei. Solo alcune di queste riforme vennero poi abolite, in quanto inutili.

RIFORME NEI RAPPORTI CON LA CHIESA

Vennero aboliti tutti gli ordini religiosi che non svolgevano opera educativa o assistenziale (già nel 1789) e le loro terre vennero confiscate. Nel 1790 i provvedimenti chiamati Costituzione civile del clero francese decisero che gli ecclesiastici sarebbero stati stipendiati dallo Stato, purché giurassero fedeltà alla costituzione francese; poiché il papa si oppose a tale riforma, i vescovi e molti preti rifiutarono di prestare giuramento e ciò provocò uno scisma all’interno della Chiesa francese: da una parte c’era la Chiesa costituzionale, riconosciuta e sovvenzionata dallo Stato, dall’altra la Chiesa rimasta fedele al papa, i cui preti erano «refrattari» (cioè non disposti) al giuramento e non riconoscevano la costituzione.
Questi provvedimenti e l’appoggio dato dalla Chiesa al re e ai nobili aprirono un periodo di forti contrasti tra la Chiesa e il governo rivoluzionario e favorirono il diffondersi di una mentalità laica.

Decreto dell’Assemblea Nazionale che sopprime gli ordini religiosi (1790)

RIFORME SOCIALI

Altri provvedimenti eliminarono quanto rimaneva del feudalesimo: le decime, i diritti dei signori, i privilegi personali, le prestazioni di lavoro obbligatorie, ossia le odiate corvées. Nel 1790 vennero aboliti i titoli nobiliari, il che favorì una maggiore uguaglianza sociale.
Venne introdotta una nuova legislazione per la famiglia: venne istituito il matrimonio civile, celebrato da un funzionario statale e non più da un prete, e venne accordata a entrambi i coniugi la possibilità di divorziare e di contrarre un secondo matrimonio (1792).
Furono approvati anche provvedimenti relativi all’assistenza pubblica e all’istruzione: le pensioni agli anziani e ai malati poveri, l’assistenza alle famiglie povere e alle vedove, l’istituzione della scuola elementare.

Medaglia commemorativa in bronzo raffigurante “l’abbandono di tutti i privilegi”
(Parigi, Museo Carnavalet)

RIFORME ECONOMICHE

Per quanto riguarda le attività economiche, lo scioglimento delle corporazioni (1791) diede piena libertà all’iniziativa economica privata, poiché non era più necessario far parte di una corporazione (e accettarne le regole) per avviare un’attività artigianale o commerciale.
La libertà commerciale interna al Paese venne facilitata dalla scelta di uniformare in tutta la Francia il sistema dei pesi e delle misure e a sua volta favorì lo sviluppo delle banche e delle società finanziarie. Vennero aboliti pedaggi, dazi, dogane e la maggior parte delle imposte dirette e lo Stato poté contare solo sulle imposte dirette, legate ai beni mobili e immobili dei cittadini. I governi rivoluzionari furono meno decisi nei cambiamenti riguardanti il commercio estero: anche se vennero aboliti i privilegi di cui godevano alcuni porti (come Marsiglia) o le compagnie di commercio (come la Compagnia delle Indie) e le imposte doganali, fu conservato un sistema di tipo protezionista, che favoriva gli interessi dei cittadini francesi a danno dei coloni, i quali ovviamente protestarono. Ai coloni fu concessa la libertà di legiferare all’interno delle colonie ed essi, malgrado i principi di uguaglianza della rivoluzione, mantennero la tratta dei neri e la schiavitù.
Anche nel mondo delle industrie (ancora agli albori) le riforme furono caute: venne mantenuta una vecchia ordinanza che vietava agli operai di associarsi e di mettersi in sciopero.
In agricoltura, invece, i cambiamenti furono profondi: la vendita delle terre della Chiesa e di quelle sequestrate ai nobili che erano emigrati all’estero permise a molti borghesi e contadini (più ai primi che ai secondi) di acquistare una proprietà e favorì il formarsi di un’ampia classe di proprietari terrieri.

La carestia del 1794-1795, acquarello dei fratelli La Sueur

RIFORME POLITICHE

Profonde furono le trasformazioni nello Stato francese, poi estese ad altri Paesi europei.
Innanzitutto la rivoluzione francese portò a un forte accentramento del potere all’interno dello Stato: tutti i diversi poteri locali (come i parlamenti regionali) vennero aboliti; un gran numero di funzionari stipendiati dal governo assicurò allo Stato il controllo diretto di tutto il territorio nazionale; le leggi divennero uniche per tutto il Paese e il francese venne imposto come unica lingua ufficiale anche nelle aree abitate da minoranze linguistiche.
Molto importante fu l’affermazione del principio della cittadinanza: all’interno dello Stato non vi erano più sudditi, ma cittadini che avevano alcuni diritti, regolati da leggi scritte. Tra questi diritti vi erano la libertà di stampa, quella religiosa e il diritto a un processo imparziale. Le donne rimasero escluse dalla piena cittadinanza, anche se esse si videro riconosciuti alcuni diritti.

La libertà di stampa, incisione anonima del 1789

Ai cittadini spettava il potere di governare lo Stato attraverso i loro rappresentanti, liberamente eletti: si affermò quindi il principio, espresso nella Dichiarazione dei diritti, della sovranità popolare. I rappresentanti scelti dai cittadini dovevano difendere non gli interessi specifici di una categoria di cittadini, bensì gli interessi generali della nazione. L’assemblea (il Parlamento) divenne ciò che prima era il re: il rappresentante dell’unità nazionale e la sede della sovranità.
I cittadini nel loro insieme costituivano la nazione e tutti erano tenuti a difendere la patria: per questo venne introdotta la coscrizione generale per i maschi, ossia l’obbligo per ogni maschio di prestare il servizio militare. Questi provvedimenti svilupparono in Francia l’idea di nazionalismo, cioè la tendenza a esaltare la propria nazione, che diverrà tipica di molti Stati nel corso del secolo XIX.

Cittadini francesi si arruolano per difendere la patria (guazzo dei fratelli La Sueur del 1792)

Tra le riforme che nascevano dal desiderio di avere leggi uniche per tutta la Francia, alcune entrarono definitivamente in vigore, altre vennero poi cancellate.
Al primo gruppo appartengono i cambiamenti relativi ai sistemi di misurazione: con una legge del 1795 si scelse di adottare un sistema basato su una frazione del meridiano terrestre passante per Parigi (in realtà uguale a qualunque meridiano terrestre completo). Così per la lunghezza venne adottato il metro (corrispondente alla quaranta milionesima parte del meridiano terrestre), per le aree e i volumi vennero adottati il metro quadro e il metro cubo, per il peso il chilogrammo (corrispondente al peso di un litro d’acqua distillata a 4°C). Il nuovo sistema divenne obbligatorio nel 1801 e rimase in vigore anche nei Paesi che Napoleone aveva conquistato durante le sue campagne (per esempio nel Regno d’Italia venne introdotto nel 1796).

Illustrazione sull’uso delle nuove misure: 1 il litro – 2 il grammo – 3 il metro – 4 l’ara (misura di superficie dei terreni) – 5 il franco – 6 lo stero (un’unità di misura per il volume del legno)

Al gruppo delle riforme che poi vennero cancellate appartiene la riforma del calendario, approvata nel 1793.
Fu adottato come inizio dell’anno il 22 settembre, cioè il giorno in cui cadeva anche l’anniversario della proclamazione della Repubblica. In omaggio al principio di eguaglianza l’anno fu diviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, e i mesi in tre «decadi»; i giorni delle decadi si chiamavano primidì, duedì, tridì… decadì. Alla fine dell’anno si aggiungevano cinque giorni (che diventavano sei ogni 4 anni) detti sanculottidi.
I nomi dei mesi furono presi dai lavori campestri, dalle caratteristiche delle stagioni, dalle vicende atmosferiche. Così, a partire dall’inizio dell’anno rivoluzionario, si susseguivano questi mesi: Vendemmiaio, Brumaio (il mese delle brume, ossia le nebbie), Frimaio (il mese del freddo), Nevoso, Piovoso, Ventoso, Floreale, Germinale, Pratile, Messidoro, Termidoro (il mese del caldo), Fruttidoro.
Anche i giorni dell’anno avevano un nome proprio, tratto dai frutti della terra, tranne i quintidì e i decadì che portavano il nome di un animale domestico e di un attrezzo agricolo. Questo sistema, che tendeva a perpetuare ogni anno la stessa successione di giorni, decadi e mesi, aboliva non solo il riposo del settimo giorno (la domenica), ma anche tutte le festività religiose e i santi ai quali erano stati dedicati i vari giorni dell’anno. Inoltre, avendo dato un nuovo nome ai diversi giorni, accadde che il giorno di Natale diventava il giorno del cane, san Francesco diventava una zucca, san Tommaso un pioppo e così via, con una forte carica anticristiana.
Il calendario rivoluzionario fu abolito bel 1805 da Napoleone, che ristabilì il calendario gregoriano a partire dal primo gennaio 1806.

Il calendario repubblicano francese in una incisione d’epoca (Parigi, Bibliothèque Nationale)