giovedì 30 aprile 2015

54 L'Italia tra '500 e '600



L’ITALIA TRA ’500 E ’600

Dopo la formazione delle Signorie, che avevano creato in Italia tanti Stati poco estesi e poco popolati, la nostra penisola aveva vissuto la grande stagione del Rinascimento e un periodo di prosperità economica e di pace. Ma già alla fine del Quattrocento qualcosa comincia a cambiare: più volte eserciti prima francesi, poi spagnoli e austriaci invadono l’Italia, occupandola e sfruttandola in vario modo. Segno della debolezza militare e politica degli Stati italiani, ma anche della loro floridezza economica.
Non è un caso che la lotta tra i due personaggi che hanno maggiormente segnato la prima metà del Cinquecento (ossia l’imperatore del Sacro Romano Impero di Germania, Carlo V, e il re di Francia, Francesco I) si combatta in gran parte in Italia e per il controllo dell’Italia. In particolare è al centro della contesa la città di Milano, non solo perché è una base di enorme importanza strategica per il controllo dell’intera penisola, ma anche per le grandi ricchezze che il territorio del Ducato di Milano garantisce.

Carlo V (a sinistra) e Francesco I sono i dominatori dell’Europa nella prima metà del Cinquecento

Nel contrasto tra debolezza militare e politica e vivacità economica e culturale che contraddistingue l’Italia del primo cinquantennio del Cinquecento, si assiste a continui cambiamenti dei “padroni” dei vari Stati italiani: a volte il vincitore è l’Impero, a volte la Francia.
Stretti tra questi due, gli Italiani si distinguono per l’instabilità delle loro amicizie e alleanze, anche nel bel mezzo di una guerra (come accade a Genova nel 1528) e per una certa ambiguità politica, che nasce dal fatto di essere sempre più marginali nell’ambito dell’Europa: è significativo l’atteggiamento di papa Paolo III nei confronti di Carlo V: da una parte sente di doverlo appoggiare perché è un cattolico che combatte i luterani, dall’altra lo teme e lo avversa per la sua forte presenza in Italia.

Il papa Paolo III assieme ai nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (dipinto di Tiziano)

Ugualmente significativo è l’atteggiamento di Venezia, che all’inizio del Cinquecento appare ancora strategica per le vicende italiane ed europee, ma già verso il 1535 comincia a disinteressarsi di ciò che accade nella penisola e nel continente, per concentrarsi solo sui propri interessi. I quali, come avviene anche a Genova, sono compromessi sempre più dall’espansione dei Turchi Ottomani nel Mediterraneo.

Apoteosi di Venezia, di Paolo Veronese (particolare);
la grandezza della città è testimoniata dalle numerose opere d’arte che celebrano i suoi fasti

All’interno di molti Stati italiani, inoltre, la vita politica è controllata da una ristretta oligarchia e da forti corporazioni, che si oppongono a qualsiasi innovazione e impediscono ogni forma di concorrenza. Molte città italiane non si danno da fare per cercare nuovi mercati, nuovi metodi di produzione, nuove rotte marinare (pur non mancando di navigatori come Colombo e Caboto, che però devono cercare in altri Stati i finanziamenti per i loro viaggi); i mercanti italiani si dimostrano poco disponibili a investire in imprese rischiose e vengono per questo tagliati fuori dall’economia europea, che si era enormemente aperta in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo.

Giovanni e Sebastiano Caboto (padre e figlio) viaggiarono per le corone di Spagna e d’Inghilterra

A metà del ‘500 due avvenimenti sono destinati a segnare i decenni successivi in Europa e quindi anche in Italia:
1- nel 1555 Carlo V abdica e divide in due parti il suo immenso impero: al figlio Filippo II vanno la Spagna, i Paesi Bassi, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna, il Ducato di Milano e i possedimenti americani e africani; al fratello Ferdinando vanno l’Austria, la Boemia e l’Ungheria e il titolo di imperatore;
2- nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis mette fine alla guerra tra Francia e Impero, che era ripresa anche dopo l’abdicazione di Carlo V.

L’Italia dopo la pace di Cateau-Cambrésis

Questi due avvenimenti creano in Italia una situazione destinata a durare fino all’inizio del Settecento, vale a dire per un secolo e mezzo: è un lungo periodo che vede gli Stati italiani liberi da guerre distruttive sul proprio territorio, ma che si accompagna anche a un lento ma inesorabile declino economico.
Esso è legato al fatto che gran parte dell’Italia si trova dominata dalla Spagna, un regno anch’esso avviato al tramonto, a causa dei dissesti finanziari provocati dalle guerre, della costante minaccia turca ai suoi possedimenti mediterranei e della mancanza di strutture produttive interne, che si fece notare non appena la quantità di oro e di argento proveniente dall’America cessa di affluire.
Gli Stati che sono rimasti indipendenti si trovano inefficienti in confronto alla potenza spagnola, incapaci di ogni moto di reazione e diventano, per ragioni di convenienza, vassalli più o meno fedeli, più o meno sinceri di Filippo II.

Filippo II di Spagna ritratto dal Tiziano nel 1551

Per approfondire questo quadro, vediamo ora la situazione nei principali Stati italiani nei due secoli qui considerati.

L’ITALIA SPAGNOLA

Dopo la pace di Cateau-Cambrésis la Spagna domina direttamente il Ducato di Milano, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna e lo Stato dei Presidi, formato da alcuni porti fortificati in Toscana.
Nei tre regni governano altrettanti viceré, a Milano un governatore: tutti sono veri rappresentanti dell’autorità regia spagnola e tendono a circondarsi di funzionari iberici, escludendo gli italiani e soffocando ogni loro volontà politica.

Pianta di Milano e di altre città vicine (secolo XVIII)

Contemporaneamente, però, gli spagnoli guardano alla nobiltà locale come alla propria naturale alleata: perciò riservano ad essa esenzioni e privilegi fiscali, mentre non si curano affatto del ceto medio e disprezzano totalmente il popolo minuto, ridotto alla miseria più spaventosa, ma utilizzato talvolta, ove necessario, come massa bellicosa da contrapporre alla nobiltà.
L’aspetto più catastrofico del governo spagnolo in Italia è proprio la pressione fiscale, che favorisce le classi privilegiate e grava pesantemente su quelle meno abbienti; nel 1647-1648 l’imposizione di nuove tasse fa scoppiare rivolte a Napoli e Palermo. Si tratta di rivolte provocate dalla fame e non da precise rivendicazioni politiche, per cui la Spagna ha facile gioco nel reprimerle: qualche impiccagione dei capi ribelli, alcune opportune distribuzioni di grano e qualche modesta concessione permettono a Madrid di tornare allo sfruttamento del Mezzogiorno d’Italia. Per tutta la seconda metà del Seicento la pressione fiscale è insopportabile: nel vicereame di Napoli  una moltitudine di mendicanti sopravvive chiedendo l’elemosina e alla fine del secolo, per non gettare il Napoletano nel baratro, gli stessi viceré sono costretti a respingere le continue richieste di denaro che giungono da Madrid e che hanno contribuito non poco al declino economico dell’Italia meridionale.

Dipinto di Giuseppe Mazza del 1857 raffigurante il celebre capo dei ribelli napoletani Masaniello

IL DUCATO DEL PIEMONTE

Le qualità di condottiero di Emanuele Filiberto di Savoia, che combatte nel 1557 per Carlo V vincendo contro i Francesi, permettono ai Savoia di ritornare in possesso del Ducato, su cui i Francesi avanzavano delle pretese. Il Ducato sabaudo (diviso in due parti, una al di qua delle Alpi, il Piemonte, una al di là, la Savoia) è nel 1559 devastato e immiserito dalle guerre.

La battaglia di San Quintino, nella quale Emanuele Filiberto si impose
come grande condottiero al servizio di Carlo V

Il giovane duca Emanuele Filiberto riesce in vent’anni di governo (morì nel 1580 a 52 anni) a trasformarlo e rinvigorirlo notevolmente: crea un’amministrazione di tipo assolutistico, eliminando le assemblee di origine feudale e introducendone altre di tipo parlamentare prese a modello dalla Francia. Crea un esercito agguerrito, rinunciando quasi del tutto alle truppe mercenarie e introducendo la leva obbligatoria per tutti gli uomini validi fra i 18 e i 50 anni. Appronta un sistema di tassazioni dirette e indirette, pesantissime per la popolazione, ma tali da far salire vertiginosamente le entrate fiscali e permettere al duca di provvedere alle molte pubbliche necessità. Rafforza l’economia dello Stato con investimenti e accorgimenti illuminati: lavori di bonifica e di irrigazione, miglioramento delle vie di comunicazione, aiuti alle manifatture, sfruttamento delle ricchezze minerarie in Valle d’Aosta.

Un dipinto del XVI secolo che ritrae Emanuele Filiberto in armatura da parata

Alla sua morte il figlio Carlo Emanuele I eredita uno stato trasformato e rinnovato: il nuovo duca ha solo 18 anni e non è accorto come il padre. Durante il suo lunghissimo governo (dal 1580 al 1630), dominato dallo spirito d’avventura e da sogni di gloria impossibili, intraprende una serie di iniziative che non sempre giungono a buon fine: si lega alla Spagna sposando la figlia di Filippo II, rende più unito il suo ducato al di qua delle Alpi e lo amplia, perde qualche territorio in Francia e poi anche in Italia (Pinerolo e Casale Monferrato, in Piemonte), facendo in modo che la presenza francese in Italia diventi un pericolo per la Spagna. Tanto più che Luigi XIV non perde occasione di intervenire nelle faccende italiane, approfittando di ogni occasione per fiaccare l’eterno rivale spagnolo e estendere i suoi possedimenti. Solo verso la fine del Seicento la partecipazione a una coalizione antifrancese permette al duca Vittorio Amedeo II di togliere alla Francia quei possedimenti di Pinerolo e Casale che rappresentavano una spina nel fianco per i Savoia.

Carlo Emanuele I di Savoia

DUCATO E GRANDUCATO DI TOSCANA

Dopo un breve periodo repubblicano (1527-1530) i Medici rientrano a Firenze, per merito delle truppe di Carlo V. Nel 1532 Alessandro de’ Medici riceve dall’imperatore il titolo di duca con diritto ereditario e nel 1536 accentua la sua dipendenza dall’impero sposando Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V.

Alessandro de’ Medici ritratto da Jacopo Pontorno

La sua vita dissoluta e i suoi comportamenti da tiranno armano la mano di un lontano parente, Lorenzino de’ Medici, che lo uccide nel 1537. Nel caos che ne consegue Firenze chiama al governo della città Cosimo de’ Medici, figlio del condottiero Giovanni dalle Bande Nere.
Cosimo I opera per concentrare nelle proprie mani tutto il potere e per rendere più omogeneo il territorio si cui governa, eliminando le disparità esistenti tra Firenze e le città soggette. Inoltre allarga i propri domini, annettendosi alcune fortezze presidiate dagli imperiali e la città di Siena; infine riesce ad ottenere (prima dal papa, poi dall’imperatore) il titolo di Granduca di Toscana, che gli dà una preminenza di fronte agli altri principi italiani.

Cosimo de Medici ritratto da Agnolo Bronzino

Dopo l’abdicazione di Carlo V la Toscana si trova legata alla Spagna di Filippo II e i successori di Cosimo I cercano variamente di svincolarsi dal vassallaggio nei suoi confronti e di accostarsi alla Francia: Ferdinando I de’ Medici, per esempio, dà in sposa al re francese Enrico IV la propria nipote Maria de’ Medici. Però lo Stato mediceo è destinato a lento ma inesorabile declino durante tutto il Seicento, finché nel 1737 si spegne la dinastia dei Medici.

Maria de’ Medici in un ritratto di Pietro Facchetti del 1595

LO STATO PONTIFICIO

Lo Stato pontificio è nel Cinquecento tra i più vasti d’Italia: alla fine del secolo si allarga ulteriormente, inglobando il Ducato di Ferrara, allorché Alfonso II d’Este muore senza lasciare eredi diretti (un membro collaterale della famiglia d’Este cerca di rivendicare Ferrara, ma è costretto ad accontentarsi di Modena e Reggio Emilia).
Roma, la capitale dello Stato della Chiesa, conosce nel Cinquecento uno sviluppo straordinario: interi quartieri vengono demoliti per far posto alla costruzione di nuovi edifici, all’apertura di nuove strade, all’erezione di grandiosi monumenti; la città assume proprio in questo periodo la fisionomia che poi conserverà nei secoli successivi.

Roma nel 1549


Incisione del XVI secolo che ritrae papa Sisto V mentre discute con gli architetti 
l’erezione della Biblioteca Vaticana

L’impegno finanziario sostenuto dai papi è altissimo: i pontefici ricorrono a prestiti di banchieri stranieri e ancor più a una politica fiscale oppressiva, che spinge un gran numero di sudditi (si parla di 25.000 persone) a diventare briganti. Il fenomeno coinvolge non solo i poveri, ma persino alcuni nobili, insofferenti degli eccessivi carichi fiscali papali.
Il banditismo nel Lazio è legato anche alle frequenti carestie che scoppiano nello Stato della Chiesa e che hanno la loro causa nell’abbandono di numerose terre agricole trasformate in pascoli.

Briganti in un’incisione ottocentesca di Bartolomeo Pinelli

Nello stesso periodo i papi sono impegnati a contenere la Riforma protestante e a sopprimere ogni posizione considerata eretica, tramite il Sant’Uffizio, che ricorre spesso alla pena di morte.
La decadenza dello Stato pontificio, che ha perso gran parte del proprio prestigio internazionale, si accentua nel Seicento, quando tutta la penisola è colpita da una grave crisi economica.

LA REPUBBLICA DI GENOVA

La Repubblica di Genova si lega all’Impero nel 1528, allorché Andrea Doria, comandante della flotta genovese al servizio della Francia, passa inaspettatamente dalla parte di Carlo V; in cambio ne ottiene la protezione e la garanzia del mantenimento del regime repubblicano in città.
Da allora Genova (che era un piccolo stato, abitato in tutto il suo territorio solo da 300.000 persone) resta legata a lungo alle sorti del regno di Spagna: un legame utile ad entrambe le parti. Infatti Genova offre agli Spagnoli sia il suo porto sicuro (utile in particolare quando scoppierà la guerra contro i Paesi Bassi), sia la sua potenza finanziaria, fondamentale per le dissestate finanze spagnole. D’altra parte la Spagna offre a Genova una solida protezione politica e un poderoso appoggio militare.

L’ammiraglio Andrea Doria in un ritratto di Sebastiano del Piombo (XVI secolo)

LA REPUBBLICA DI VENEZIA

All’inizio del Cinquecento Venezia guarda allarmata alle nuove rotte per l’oriente aperte dai portoghesi e al pericolo rappresentato dai Turchi, che erano riusciti a togliere già da alcuni decenni alla città lagunare una parte dei suoi traffici commerciali.
Nel corso del ‘500, però, Venezia riesce a conservare il suo ruolo di città ricca e prestigiosa, sebbene non quanto lo fosse in precedenza.
Dopo la pace di Cateau-Cambrésis i suoi territori si estendono dall’Adda all’Isonzo, a buona parte dell’Istria e della Dalmazia, delle isole Ionie, di alcune piazzeforti dell’Epiro e del Peloponneso e delle isole di Candia (vale a dire Creta) e Cipro.
La costituzione veneziana, incentrata sul doge (il simbolo della nazione), sul Maggior Consiglio (il titolare della effettiva sovranità) e su una serie di magistrature create mano a mano che nascono nuovi problemi, suscita ammirazione in tutta Europa.

Seduta del Maggior Consiglio a Venezia in un dipinto di Joseph Heintz il giovane del 1678

Le ricchezze della classe dominante sono indubbiamente dovute alle attività commerciali (per quanto intaccate dalla crisi), ma anche allo sviluppo delle attività manifatturiere, che fanno di Venezia uno dei centri “industriali” più operosi in Italia. Le manifatture più sviluppate sono quelle tessili, delle costruzioni navali, del sapone e quella tipografica.

Particolare di un dipinto del XVI secolo raffigurante i falegnami dell’Arsenale di Venezia 
che costruiscono i remi per le galere

Inoltre è nel Cinquecento che cresce l’importanza della terraferma per la città lagunare. Di fronte alle sempre maggiori difficoltà del commercio, molti veneziani decidono di ritirarsi dagli affari e di investire cospicui capitali nell’acquisto di terre e nella costruzione di palazzi e ville; inoltre nelle campagne vengono introdotte e diffuse nuove colture e vengono avviate numerose opere di bonifica.
Malgrado questi elementi di forza, Venezia conosce sul finire del secolo – come il resto dell’Italia – l’inizio della decadenza economica, che si manifesta in modo particolare nel 1570 con la perdita di Cipro e nel 1669 con quella di Creta, entrambe conquistate dai Turchi.

Veduta di Venezia di Joseph Heintz il giovane (secolo XVII)


LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE

Nel ‘500 l’Italia è ancora un modello economico e culturale per il resto dell’Europa, ma poi, con l’abdicazione di Carlo V e la pace di Cateau-Cambrésis (1559), incomincia per la penisola un periodo di decadenza economica inarrestabile.
La Spagna domina su numerose regioni italiane (il Ducato di Milano a nord e i Regni di Napoli, Sicilia, Sardegna a sud) e il declino spagnolo si riversa inevitabilmente su questi domini italiani, in cui la popolazione vive in condizioni di miseria e, se anche spesso si ribella, viene facilmente domata dalla politica repressiva spagnola.
Gli altri Stati presenti nel territorio della penisola sono troppo piccoli per contare veramente a livello europeo, pur avendo alcuni di essi ancora alcuni elementi di forza; si distinguono in particolare
- il Ducato del Piemonte retto dalla dinastia dei Savoia in maniera assolutistica e che conosce uno sviluppo economico che fa di questo Stato la parte più moderna dell’Italia;
- la Toscana dei Medici, che ottiene il rango di Granducato, ma poi viene a trovarsi sempre più legata alla Spagna e conosce un lento declino;
- lo Stato della Chiesa, che opprime la popolazione con un carico fiscale enorme (alimentando il fenomeno del banditismo) e che deve occuparsi di limitare l’estensione della Riforma protestante; solo la città di Roma conosce una straordinaria fioritura urbanistica;
- la Repubblica di Genova, legata alla Spagna, da cui ricava protezione e ricchezza, poiché i banchieri genovesi diventano i finanziatori delle imprese della monarchia spagnola;
- la Repubblica di Venezia, che si estende sulla terraferma nel nord-est dell’Italia e conserva a lungo la sua potenza economica, ma che, nello scontro con i Turchi che la privano di possedimenti e di possibilità commerciali, è destinata a decadere.





lunedì 20 aprile 2015

53 Le monarchie assolute



LE MONARCHIE ASSOLUTE

Nell’Età Moderna e in particolare nel XVII secolo molti re europei riuscirono a rafforzare il proprio controllo sul territorio di cui erano sovrani, spesso approfittando dei contrasti esistenti tra i diversi poteri locali, per esempio tra i nobili e le comunità contadine. Le decisioni politiche, l’amministrazione della giustizia, l’uso della violenza armata divennero in gran parte dell’Europa monopolio regale: solo il monarca e gli uomini da lui nominati potevano mantenere rapporti con gli altri Stati, giudicare, fare ricorso alle armi.
Questo avvenne con particolare evidenza in Francia, dove il re Luigi XIV (1638-1715), che scelse per sé l’appellativo di «Re Sole», riuscì durante il suo lungo regno a togliere alla nobiltà ogni importanza politica. Al contrario in Inghilterra ogni tentativo del re di imporre la propria volontà su tutti i sudditi riuscì solo per un certo periodo, ma finì tragicamente, come vedremo più avanti.

Luigi XIV ritratto da Hyacinthe Rigaud

Gli Stati in cui i poteri del re si rafforzarono molto vengono chiamati monarchie assolute, in quanto il potere dei sovrani era ab solutus, cioè “sciolto” da ogni costrizione esterna (in pratica, nessuno poteva dire a un re che cosa fare); in realtà i re non furono mai in grado di governare senza il consenso di una parte, anche minima, della popolazione: avevano bisogno, infatti, di tutta una serie di alti funzionari (consiglieri, segretari, ministri, diplomatici), i quali potevano anche ottenere un grande potere personale, ma correvano sempre il rischio di essere privati della loro carica e talvolta anche della libertà e della vita, se il re non era soddisfatto di loro o li sospettava di tradimento.
La necessità di controllare il territorio e di aver bisogno per farlo di persone di fiducia dei monarchi portò a uno sviluppo della pubblica amministrazione: negli Stati europei nacque quella che viene chiamata burocrazia, ossia l’insieme dei dipendenti pubblici, che si occupavano di far funzionare lo Stato applicando le direttive del re. Questo lavoro offriva possibilità di carriera e di arricchimento per i nobili e i ricchi borghesi, perciò le cariche pubbliche erano molto richieste e spesso venivano vendute dallo Stato.

Luigi XIII di Francia con il suo ministro il cardinale Richelieu e altri personaggi

Per controllare meglio i propri regni, i sovrani cercarono anche di unificare norme e regolamenti: i re di Inghilterra, Francia e dei diversi Stati tedeschi adottarono un sistema monetario e doganale nazionale; istituirono un unico sistema di pesi e misure; allestirono un sistema postale nazionale.
Naturalmente per fare tutto questo, per mantenere il controllo del territorio e, ancor più, per le spese straordinarie, bisognava trovare il denaro necessario: il solo mantenimento della corte e il pagamento dei funzionari necessitavano di finanze costanti e sicure. Le entrate dello Stato provenivano dallo sfruttamento delle miniere d’oro e d’argento presenti entro i confini del regno, dalle dogane esistenti ai confini (che comportavano il pagamento di una tassa per tutte le merci che entravano o uscivano da quei confini), dai possedimenti del re (che spesso erano molto estesi) e dalle tasse, ordinarie o straordinarie, che i sudditi dovevano pagare.
Spesso queste entrate non erano sufficienti, ma ogni imposizione di nuove tasse poteva provocare malcontento e rivolte. Perciò succedeva molte volte che i re dovessero ricorrere a prestiti, che non sempre venivano pagati: per esempio tra il 1560 e il 1662 la Spagna sospese o rinviò i pagamenti ben otto volte, provocando il fallimento di una serie di banche e crisi finanziarie internazionali.

Bartholomeus Strobel il Giovane, particolare dal Banchetto di Erode (del 1630 ca):
anche se di argomento religioso antico, il dipinto rende bene l’idea della nobiltà seicentesca 
(in questo caso, quella spagnola)

IL CASO DELLA FRANCIA

La storia della Francia tra Cinquecento e Settecento è particolarmente significativa per comprendere l’attuarsi del concetto di assolutismo, fin qui esposto nelle sue caratteristiche generali.
Fin dai primi anni del Trecento in Francia esisteva un Parlamento, cioè un’assemblea nella quale sedevano i rappresentanti dei vari ordini di sudditi. Il Parlamento francese veniva chiamato Stati Generali, in quanto tutti i sudditi erano stati suddivisi in 3 gruppi, chiamati appunto stati: il clero formava il Primo stato, la nobiltà il Secondo, tutti gli altri (ossia coloro che non erano né ecclesiastici né nobili) il Terzo.

Due nobili francesi del Seicento

Ognuno dei tre stati aveva diritto ad esprimere il proprio parere, quando il Parlamento fosse stato convocato dal re, mediante un voto singolo per ogni stato; poiché il Primo e il Secondo stato erano naturali alleati, avevano sempre la meglio sul Terzo stato, il cui voto era minoritario rispetto ai due di clero e nobiltà. Inoltre va considerato che i re francesi convocavano il Parlamento in rarissime occasioni e questo creò una situazione molto diversa da quella che invece si ebbe in Inghilterra (e che spiegheremo più avanti).
Le guerre di religione che insanguinarono la Francia nella seconda metà del XVI secolo furono anche un modo per la nobiltà di indebolire la monarchia; ne uscì vincitore il duca di Borbone, che salì al trono nel 1589 con il nome di Enrico IV e, abiurando alla sua fede ugonotta, riuscì a pacificare un Paese a maggioranza cattolica. Ma nel 1610 Enrico IV venne ucciso da un cattolico che non credeva alla sincerità della sua conversione; ereditò la corona suo figlio Luigi XIII, che però aveva solo 9 anni.

L’assassinio di Enrico IV in un’incisione di Gaspard Bouttats della seconda metà del Seicento

La madre, Maria de’ Medici, divenne reggente del figlio, accumulando un forte potere che non volle cedere nemmeno quando Luigi divenne maggiorenne. Ne seguirono complotti e intrighi, anche dopo che il re aveva trovato nel cardinale Richelieu un uomo di fiducia con cui dedicarsi al rafforzamento della monarchia.

Philippe de Champaigne, Triplo ritratto di Richelieu (1642 ca)

La Francia di Richelieu entrò nella Guerra dei Trent’anni (tra il 1618 e il 1648), scoppiata per i contrasti religiosi tra i re cattolici d’Austria e di Spagna e i principi protestanti tedeschi, la Danimarca, la Svezia e l’Olanda: il conflitto si trasformò ben presto in una contesa tra Stati avidi di territori.

Rievocazione moderna della battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1620), uno scontro della Guerra dei Trent'anni

In quegli anni in Francia si ebbero rivolte dei contadini affamati dalle tasse imposte per la guerra; ci furono tensioni da parte degli ugonotti, che non avevano fiducia in un governo retto da un cardinale cattolico; ci furono complotti degli aristocratici contro la monarchia. La risposta di Richelieu fu sempre all’insegna della più dura repressione, anche nei confronti degli appartenenti alle più illustri famiglie di Francia, che furono a decine condannati a morte.
La guerra finì nel 1648 con la pace di Westfalia, che decretò la sconfitta degli Asburgo d’Austria, l’indipendenza definitiva dell’Olanda e il rafforzamento della Svezia; la Francia, che poté sedere al tavolo dell’armistizio tra le potenze vincitrici, ottenne il possesso di importanti regioni al confine con la Germania.

La firma del trattato di Münster nel 1648 (dipinto di Gerard Ter Boch):
il trattato di Münster fu uno di quelli che portarono alla pace di Westfalia

Ma sul piano interno la situazione era molto delicata: la Francia infatti aveva vinto nel 1643 una importante battaglia, quella di Rocroi, ma le truppe francesi erano comandate dal principe di Condé, appartenente a una delle famiglie aristocratiche più ostili ai Borbone. La morte di Richelieu nel 1642 e quella di Luigi XIII nel 1643 complicarono le cose: l’erede di Richelieu fu un altro cardinale, Giulio Mazzarino, l’erede del re fu il figlio Luigi XIV che aveva solo 5 anni; la reggente, la regina madre Anna d’Austria, era inesperta contro una nobiltà ridivenuta fortissima e desiderosa di vendicare i morti decretati ai tempi di Richelieu.

Luigi XIV bambino con la madre Anna d'Austria (di anonimo)

Pierre Mignard, Ritratto di Giulio Mazzarino

I primi anni del regno di Luigi XIV furono un incubo. Nel 1648, quando il re aveva dieci anni, i nobili gli scatenarono contro l’agitazione della Fronda (dal nome della fionda, l’arma con cui il popolo parigino rompeva i vetri delle finestre del cardinale Mazzarino): le violenze costrinsero il bambino sovrano e la madre a fuggire per due volte da Parigi, mentre il popolo, sobillato dai principi, moriva sulle barricate massacrato dai soldati del re.

F. Dupré, Le barricate durante la fronda del 27 agosto 1648

Alla fine la Fronda fu sconfitta, ma Luigi XIV aveva ormai capito che i nemici della sua monarchia erano i nobili e il Parlamento. Nel 1661 morì il Mazzarino e lo stesso giorno il re (che aveva 23 anni) convocò il Consiglio della Corona e comunicò agli esterrefatti ministri che da quel momento in poi egli avrebbe governato da solo.
Mantenne, si può dire, la parola: infatti licenziò l’intero Consiglio e scelse tre nuovi collaboratori, i quali, sotto la direzione del re, riorganizzarono l’intera Francia, con una serie di atti apparentemente rispondenti a effettive esigenze di miglioramento (sociale, economico, militare), in realtà miranti a togliere alla nobiltà ogni potere.

Charles Le Brun, Il re governa da se stesso (dipinto della reggia di Versailles)

In compenso Luigi XIV diede all’aristocrazia ciò che essa soprattutto cercava: il denaro con cui conservare il lusso in cui viveva. Il sovrano chiamò decine di nobili a corte, creando cariche magnifiche e prestigiose (come quella di sovrintendente alla Tavola reale, che voleva dire curare il menu delle feste organizzate a corte), che erano del tutto prive di potere, ma erano pagate con lauti stipendi. In più, per mantenere questi nobili in un ambiente che fosse il più splendido d’Europa, fece costruire a pochi chilometri da Parigi la reggia di Versailles: i nobili avevano l’obbligo di risiedervi e per avere onorificenze e premi bisognava che entrassero nelle grazie del re e dei suoi favoriti.

Versailles nel Seicento

Contemporaneamente il ministro delle finanze, Colbert, riuscì a trasformare la Francia in una nazione moderna, in cui il controllo dello Stato nell’amministrazione e nell’economia era capillare; venne favorito lo sviluppo delle manifatture francesi, sia quelle per i prodotti di lusso, sia quelle di vitale utilità, come le vetrerie, i cantieri navali, le officine metallurgiche, le manifatture per la lavorazione del sapone, dei tabacchi, dello zucchero.

Visita all’Arsenale di Marsiglia (dipinto del 1677 circa conservato nella reggia di Versailles)

Il programma di Colbert ebbe però effetti limitati, sia perché non seppe intervenire nell’agricoltura, che era ancora la base della ricchezza delle nazioni, sia a causa delle enormi spese che Luigi XIV fu costretto a sostenere, in quanto coinvolto nella guerra di successione spagnola che si combatté tra il 1702 e il 1713.

Claude Lefébvre, Ritratto di Jean-Baptiste Colbert

A corte vennero invitati scrittori e artisti: i grandi commediografi Racine e Molière, l’architetto Gian Lorenzo Bernini (che progettò l’ampliamento del Louvre), il musicista Giambattista Lulli. Anche nei confronti dell’arte il controllo statale era rigido: la censura si abbatteva su tutta la produzione intellettuale che non fosse in linea con il volere del Re Sole.

Charles Le Brun, Ritratto di Molière

IL CASO DELL’INGHILTERRA

Pur molto diverso da quello francese, il caso dell’Inghilterra aiuta a capire un aspetto dell’assolutismo monarchico che caratterizzò il Seicento.
L’Inghilterra era stata la nazione che per prima si era dotata di un Parlamento: probabilmente ricorderai che nel 1215 la promulgazione della Magna charta libertatum fu il primo esempio di assemblea rappresentativa di un gruppo sociale ammesso a prendere delle decisioni politiche assieme al monarca (PARLAMENTO significa appunto che si aveva il diritto di PARLARE di fronte al re).
Nel Cinquecento il Parlamento inglese era composta da due Camere, cioè due assemblee rappresentative:
- la Camera Alta o Camera dei Lords, in cui sedevano i rappresentanti dell’aristocrazia, poco più di un centinaio di famiglie di grandi proprietari terrieri
- la Camera Bassa o Camera dei Comuni, formata dai rappresentanti delle città e delle campagne.

La Camera dei Lords nel XVII secolo

Il Parlamento dipendeva dal re, perché solo il re aveva il diritto di convocarlo; ma anche il re dipendeva dal Parlamento, perché esso aveva il diritto di bocciare le sue proposte.
Naturalmente non sempre il re sottoponeva all’approvazione delle due Camere i suoi atti di governo, anzi, in certi periodi i sovrani avevano usato ogni tipo di sistema per non convocarle; però il Parlamento aveva continuato ad esistere e con Elisabetta I era stato accresciuto nel numero dei suoi membri ed era stato regolarmente convocato.
Elisabetta I morì nel 1603 senza eredi: con lei si estinse la dinastia dei Tudor. Al trono salì dopo di lei Giacomo I Stuart, cugino scozzese di Elisabetta, imparentato per via di matrimoni con gli Asburgo, cattolico e convinto che un re è tale per diritto divino e che il suo potere non va spartito con nessuno.

Anthonis van Dyck, Carlo I a caccia (1635)

Con Giacomo I e poi con il successore Carlo I i contrasti con il Parlamento furono inevitabili. Per molti anni Carlo I riuscì a governare senza convocare le due Camere: fu costretto a farlo nel 1640, in seguito alla rivolta prima della Scozia e poi dell’Irlanda, scoppiate per motivi religiosi. Per fronteggiare le rivolte, Carlo I voleva imporre forti tasse con cui armare l’esercito, ma prima dovette chiedere l’appoggio del Parlamento. Questo accettò la proposta del re, ma solo a patto che il comando dell’esercito fosse affidato al Parlamento stesso. Poiché Carlo I rifiutò, fu guerra civile.
A guidare i fautori del Parlamento fu un gentiluomo di campagna, Oliver Cromwell, dotato di notevoli capacità militari e politiche.

Samuel Cooper, Oliver Cromwell (1656)

L’esercito da lui comandato sbaragliò le truppe fedeli al re, che venne fatto prigioniero. Poiché Carlo I non si dimostrò minimamente disposto a rispettare le Camere, anzi, dalla prigione in cui era rinchiuso tramò per riaccendere la guerra civile, nel 1649 fu accusato di crimini contro lo Stato, processato dal Parlamento e condannato alla decapitazione.

La decapitazione di Carlo I

Dopo la morte del re l’Inghilterra divenne una repubblica, in cui però l’attività del Parlamento era sospesa e a governare era il solo Cromwell, sostenuto dal suo esercito: si trattava in sostanza di una dittatura personale.
Quando Cromwell morì nel 1658, gli Inglesi restaurarono la monarchia e restituirono il trono agli Stuart; questi però dimostrarono di non aver imparato niente dai fatti successi e tornarono a calpestare il Parlamento. Nel 1688 gli Inglesi decisero di liberarsi per sempre di una casa regnante inadatta al paese: un gruppo di Lords offrì segretamente il trono a un principe olandese, Guglielmo d’Orange, che sbarcò a Londra, mentre l’ultimo degli Stuart si rifugiava in Francia.

Ritratto di Guglielmo III d’Inghilterra (il nome assunto da Guglielmo d’Orange)

L’anno seguente (1689) il Parlamento votò il Bill of Rights, cioè la Dichiarazione dei Diritti, con la quale attribuiva a se stesso tutte le decisioni politiche fondamentali, rendeva i ministri del re responsabili delle loro azioni di fronte alle Camere e affermava l’indipendenza dei giudici dalla monarchia. Gli eventi del 1689 furono chiamati Gloriosa Rivoluzione: essi segnarono il trionfo finale del Parlamento e il tramonto in Inghilterra della monarchia assoluta.

Il Bill of Rights originale del 1689


LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE

Il Seicento (secolo XVII) è il secolo dell’assolutismo, cioè di una forma di governo in cui un monarca cerca di assumere in sé ogni potere politico (quello legislativo, quello esecutivo, quello giudiziario) e di controllare appieno la vita economica e le decisioni militari del proprio paese.
Ciò avviene in particolare in Francia, con i re Luigi XIII e soprattutto Luigi XIV, che regna per 5 decenni e riesce a imporsi su tutti i suoi sudditi (nobili compresi), limitando al minimo le proteste e le ribellioni, domate con la repressione, e concedendo a nobili e ecclesiastici una serie di privilegi (ad esempio quello di non pagare le tasse), che li rendono docili al suo volere. Pur prendendo personalmente (o con pochi stretti collaboratori) le decisioni politiche fondamentali, il re ha bisogno di un gran numero di funzionari che eseguono i suoi ordini (formando quella che si chiama burocrazia) e che possono perdere il loro ruolo, se solo non sono più graditi al sovrano.
Anche in Inghilterra i monarchi della dinastia Stuart (succeduta a quella Tudor alla morte di Elisabetta I che non ha eredi) cercano di raggiungere gli stessi scopi, ma non ci riescono; in Inghilterra, infatti, il Parlamento (cioè i rappresentanti dei sudditi inglesi) si oppone a questi tentativi assolutistici e prima (1649) fa decapitare il re Carlo I e instaura una repubblica (con Oliver Cromwell, che però si trasforma in un dittatore), poi (1688) affidando il trono a Guglielmo d’Orange, un principe olandese, che nel 1689 promulga il Bill of Rights, un documento in cui i ruoli del re, del Parlamento e dei giudici vengono stabiliti con cura: l’Inghilterra diventa così la prima nazione al mondo che si dà una Costituzione.







lunedì 13 aprile 2015

52 Le grandi potenze europee nel Cinquecento


LE GRANDI POTENZE EUROPEE NEL CINQUECENTO

All’inizio del Cinquecento in Europa c’erano 4 grandi potenze: la Spagna, la Francia, l’Inghilterra e l’Austria. Nell’estremità sud-orientale del continente si estendeva l’Impero Ottomano, che costituiva un pericolo costante per l’Europa e, a causa della sua diversità religiosa, era vissuto come un elemento estraneo.

L’Europa nel Cinquecento

Già all’inizio del secolo la situazione sembrava però destinata a cambiare.

L’IMPERO DEGLI ASBURGO

Grazie a una giusta serie di matrimoni, la famiglia austriaca degli Asburgo sembrava avviata al dominio di gran parte dell’Europa. Il personaggio centrale di tutto questo fu Carlo V d’Asburgo, che ereditò dai suoi vari antenati vastissimi possedimenti, tanto che – come egli amava ripetere – nel suo «impero non tramontava mai il sole».
Dal nonno materno, Ferdinando d’Aragona, Carlo V ereditò il regno di Aragona (1516) con le sue dipendenze in Italia (regni di Napoli, Sicilia e Sardegna).
Dalla madre Giovanna, figlia di Isabella di Castiglia, ereditò il regno di Castiglia (1506) con i suoi possedimenti in America, che durante il suo regno si ampliarono e si organizzarono nei vicereami della Nuova Spagna e della Nuova Castiglia.
Dalla nonna paterna, Maria di Borgogna, Carlo V ereditò i Paesi Bassi e la Franca Contea (1506) e dal nonno paterno, Massimiliano d’Asburgo, l’Austria (1519), che egli però cedette al fratello Ferdinando, re d’Ungheria e di Boemia.


In questo modo Carlo V si trovò ad essere il più forte sovrano europeo e nel 1519 si fece eleggere imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, carica che dal 1438 era sempre stata assegnata alla dinastia degli Asburgo dai sette elettori cui spettava questo compito. Carlo V, in realtà, comprò i voti necessari per essere eletto imperatore, sborsando la bella cifra di 850.000 fiorini, di cui oltre 500.000 prestati dal banchiere Jakob Fugger.

Jacob Fugger in un ritratto di Albrecht Dürer

Il potere di Carlo V (che egli cercò per giunta di estendere ulteriormente) suscitò l’opposizione di tutti coloro che se ne vedevano minacciati, in particolare
-         i principi tedeschi, che volevano mantenere la propria autonomia
-         il papa, a cui Carlo V avrebbe voluto imporre una riforma della Chiesa
-         il re di Francia, Francesco I, i cui territori erano quasi completamente circondati dai domini asburgici.
Carlo V fu costretto per questo a intraprendere numerose guerre, come quella contro Francesco I, che culminò nella battaglia di Pavia del 1525, con la quale il re francese venne sconfitto e finì per un anno prigioniero dell’imperatore, il quale intanto si impadroniva del Ducato di Milano.

La cattura di Francesco I alla battaglia di Pavia

O come quella contro una Lega di Stati italiani che si era formata per opporglisi e che portò un esercito di lanzichenecchi (soldati mercenari tedeschi) a scendere in Italia e, poiché non venivano pagati regolarmente, a puntare nel 1527 su Roma e a sottoporla a un violentissimo saccheggio durato 9 mesi.

Il sacco di Roma del 1527 in un dipinto ottocentesco di Francisco Javier Amérigo y Aparici

Ciò nonostante Carlo V non riuscì nel suo sogno di unificare l’Europa in un unico grande impero e verso la fine della sua vita (nel 1556) abdicò, deluso dalle fatiche e dai compromessi, e si ritirò in un convento spagnolo, lasciando i suoi domini al figlio Filippo II, ma la corona imperiale al fratello Ferdinando d’Asburgo.

Il monastero di San Jeronimo de Yuste dove si ritirò Carlo V

Questa divisione dei possedimenti di Carlo V determinò due percorsi differenti per l’Austria asburgica e per la Spagna di Filippo II. Quest’ultima rimase ancora per la seconda metà del ‘500 uno degli Stati più importanti in Europa, ma le numerose guerre che Filippo II dovette combattere (per sostenere la grandezza della Spagna, per esempio contro l’Inghilterra) e la mancanza di investimenti nelle attività produttive la impoverirono progressivamente. Alla fine del secolo cominciò per il regno iberico un lungo periodo di crisi politica ed economica, che escluse la Spagna dal novero delle grandi potenze.

Filippo II ritratto da Tiziano

I PAESI BASSI

In più Filippo II perse anche il possesso della ricca regione dei Paesi Bassi; qui egli aveva cercato di imporre la religione cristiano-cattolica, provocando una rivolta (1566), che la Spagna represse ferocemente. La repressione e il malgoverno spagnolo spinsero i protestanti delle province settentrionali dei Paesi Bassi a una nuova rivolta e alla dichiarazione di indipendenza (1581): nacquero così le Province Unite, chiamate spesso Olanda, dal nome della provincia più ricca.

Guglielmo I d’Orange, il capo degli Olandesi nella guerra di indipendenza

LA FRANCIA

La storia della Francia nell’Europa del ‘500 può essere fatta cominciare dalla spedizione del 1494-1498 di Carlo VIII in Italia. Carlo VIII di Valois era cugino degli Angiò, che avevano dominato il sud d’Italia nella prima metà del Quattrocento, ma ne erano stati scacciati nel 1442 dagli Aragona di Spagna. Il tentativo di Carlo VIII di riprendersi Napoli fallì, ma la sua spedizione è per noi importante, perché fu il primo episodio di una serie di guerre che insanguinarono l’Italia.

Carlo VIII di Francia

Il successore Luigi XII ne organizzò altre due e dopo di lui Francesco I mise in gioco la sua reputazione ancora una volta in Italia, ma nel quadro più ampio dell’opposizione al crescente potere di Carlo V.
Le guerre contro gli Asburgo impegnarono Francesco I per un quarto di secolo, con esiti alterni. Cessarono nel 1559 con la pace di Cateau-Cambrésis, firmata dal successore Enrico II. Ma se per la Francia erano terminate le guerre esterne, con la seconda metà del Cinquecento cominciavano quelle interne di religione (per le quali puoi vedere la lezione precedente).

Enrico II di Francia

L’INGHILTERRA

Se la prima metà del secolo è segnata dalla presenza di Enrico VIII e dal suo distacco dalla Chiesa di Roma, con la fondazione della Chiesa Anglicana, la seconda metà è dominata dalla figura della regina Elisabetta I. Nata nel 1533, era figlia di Enrico VIII e della sua seconda moglie, Anna Bolena, sposata dopo il divorzio da Caterina d’Aragona: divorzio rifiutato dal papa e che è all’origine proprio della nascita della Chiesa Anglicana.

Elisabetta I d’Inghilterra

Elisabetta divenne regina d’Inghilterra nel 1558, alla morte della sorellastra, Maria la Cattolica. La sua incoronazione venne però avversata dai cattolici, poiché non davano valore legale al secondo matrimonio di Enrico VIII; essi sostenevano piuttosto la candidatura al trono d’Inghilterra della cugina di Elisabetta, la cattolica Maria Stuart, regina di Scozia.
Nel 1570 il papa scomunicò Elisabetta e ci furono diverse congiure per toglierle il trono, alcune delle quali attribuite a Maria Stuart che finì decapitata nel 1587.

La decapitazione di Maria Stuart (spesso italianizzata Stuarda)

Elisabetta reagì alle congiure rafforzando la Chiesa Anglicana e regnò comunque per più di quarant’anni, dal 1558 al 1603, durante i quali l’Inghilterra conobbe un grande sviluppo economico, nel settore agricolo, navale, tessile e minerario.
Incentivò la fondazione di colonie in Asia e in America: la prima colonia inglese nell’America settentrionale venne chiamata Virginia, in onore di Elisabetta che era detta la Regina vergine, in quanto non si sposò mai. Per il commercio con l’oriente costituì la Compagnia delle Indie Orientali: lo sviluppo della flotta inglese fu la base della potenza commerciale e militare dell’Inghilterra, che divenne uno degli Stati più ricchi al mondo.
La protezione accordata da Elisabetta ai corsari che operavano in America (vedi lezione sulla pirateria) e la rivalità con la Spagna per il controllo degli oceani portarono a una guerra tra Spagna e Inghilterra; essa culminò nel 1588 con la distruzione della flotta spagnola (sebbene fosse chiamata Invincibile Armata), in uno scontro avvenuto nel Canale della Manica e con il soccorso in favore degli inglesi di tre violentissime tempeste; dopo di allora l’Inghilterra fu la prima potenza navale nel mondo.

Dipinto di anonimo con navi inglesi e navi dell’Invincibile Armata spagnola

Durante il regno di Elisabetta I vi fu anche un grande sviluppo culturale, testimoniato dall’opera del massimo scrittore di teatro della storia, William Shakespeare, autore di “Romeo e Giulietta”, "Amleto", “Otello”, “Re Lear”, “Macbeth”, “La bisbetica domata”, “Riccardo III”, "Il mercante di Venezia" e molte altre opere famosissime in tutto il mondo.

Dipinto di anonimo e di epoca recente di William Shakespeare

L’AUSTRIA

All’interno dell’Impero Germanico l’Austria rimase a lungo lo Stato più forte, ma per molto tempo dovette impegnare le sue forze per difendersi dagli attacchi dei Turchi Ottomani, che giunsero ad assediare la stessa capitale, Vienna (nel 1529 e nel 1683). Per quanto fossero anche re d’Ungheria, gli Asburgo controllavano solo una minima parte del territorio ungherese, che era sotto dominio turco.

L’assedio di Vienna del 1683 di anonimo

L’IMPERO OTTOMANO

L’Impero Ottomano continuò la sua espansione fino alla fine del Seicento; un momento critico si ebbe nel 1571, quando i Turchi furono sconfitti nella battaglia navale di Lepanto, ad opera di una flotta cristiana costituita da Veneziani, Genovesi e Spagnoli. Il declino turco cominciò verso la fine del Seicento: nel 1686 l’Ungheria tornò sotto il dominio degli Asburgo.



La battaglia di Lepanto in un dipinto anonimo

LA RUSSIA

Un’altra nuova grande potenza si affermò nell’Europa orientale: la Russia.
Il principe di Mosca Ivan IV il Terribile (1533-1584) assunse il titolo di zar (imperatore) e la Russia divenne un impero, che nel corso dell’Età Moderna si estese fino a raggiungere il mar Baltico a ovest e l’Oceano Pacifico a est (1649). Nel Seicento la Russia confermò la sua potenza, cominciando a partecipare alle guerre che si combattevano in Europa.

Ivan IV il Terribile in un ritratto di Viktor Michajlovič Vasnecov

APPROFONDIMENTI
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La disfatta dell'Invincibile Armata (1588)