Illuminismo e opera lirica

ILLUMINISMO E OPERA LIRICA

Le idee dell’Illuminismo penetrarono un po’ alla volta nell’arte: nella letteratura, nella pittura, nella musica.
Esaminiamo qui, molto brevemente, alcuni aspetti illuministici presenti nel teatro musicale, cioè nell’opera lirica, del Settecento, soffermandoci in maniera molto parziale sulle tre opere scritte da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto dell’italiano Lorenzo Da Ponte:
- Le nozze di Figaro
- Don Giovanni
- Così fan tutte.
“Le nozze di Figaro” (scritte tra il 1785 e il 1786) sono tratte dalla commedia omonima del francese Pierre-Augustin de Beaumarchais, del 1778, e raccontano degli intrighi predisposti dai diversi protagonisti per risolvere a proprio favore le complicate situazioni che scaturiscono dalle previste nozze tra Figaro e Susanna, due servitori del Conte d’Almaviva. Naturalmente, trattandosi di una commedia, tutto si risolverà per il meglio, ma questo accade perché i personaggi principali sapranno far ricorso alla propria astuzia.
La ragione illuministica viene nell’opera di Mozart semplificata ad astuzia, però è evidente che il riferimento è a quella ‘luce della ragione’, che l’Illuminismo esaltava come fondamento della vita umana, in contrapposizione alle tenebre dell’ignoranza e della superstizione.
Non a caso, inoltre, nell’opera mozartiana i personaggi più positivi sono i semplici, contrapposti ai nobili, più volte rappresentati come stupidi e arroganti, nelle loro pretese di privilegi assurdi. A cominciare da quello (per altro più messo su carta che praticato) dello IUS PRIMAE NOCTIS, che consentiva a un nobile di passare la prima notte di nozze con la sposa. Questo tema è posto nell’opera proprio all’inizio: nella prima scena Figaro e Susanna si stanno preparando al loro matrimonio e il futuro sposo è particolarmente contento del fatto che il conte abbia permesso ai novelli sposi di occupare la più comoda stanza del palazzo, quella accanto alla camera del conte. Ma Susanna gli spiega che quel particolare favore nasconde ben altro:

SUSANNA   
Il signor Conte,
stanco di andar cacciando le straniere
bellezze forastiere,
vuole ancor nel castello
ritentar la sua sorte;
né già di sua consorte, bada bene,
appetito gli viene.
FIGARO
E di chi, dunque?
SUSANNA
Della tua Susannetta.
FIGARO (con sorpresa)
Di te?
SUSANNA
Di me medesma. Ed ha speranza
che al nobil suo progetto
utilissima sia tal vicinanza.
FIGARO
Bravo! Tiriamo avanti.
SUSANNA
Queste le grazie son, questa la cura
Ch’egli prende di te, della tua sposa.
FIGARO
Oh, guarda un po’ che carità pelosa!
SUSANNA
Chétati: or viene il meglio. Don Basilio,
mio maestro di canto e suo factotum,
nel darmi la lezione
mi ripete ogni dì questa canzone.
FIGARO
Chi? Basilio? Oh, birbante!
SUSANNA
E tu credevi
che fosse la mia dote
merto del tuo bel muso?
FIGARO
Me n’era lusingato.
SUSANNA
Ei la destina
per ottener da me certe mezz’ore
che il diritto feudale...
FIGARO
Come! Ne’ feudi suoi
non l’ha il Conte abolito?
SUSANNA
Ebben, ora è pentito; e par che tenti
riscattarlo da me

E nell’atto terzo, quando il Conte è già stato beffato, vedendo che non può attuare i suoi piani di seduzione, si esprime con queste parole, che ben poco gli fanno onore:

CONTE
Vedrò, mentr’io sospiro,
felice un servo mio?
E un ben che invan desio
ei posseder dovrà?
Vedrò per man d’amore
unita a un vile oggetto
chi in me destò un affetto
che per me poi non ha?
Ah, no! Lasciarti in pace
non vo’ questo contento!
Tu non nascesti, audace!
per dare a me tormento,
e forse ancor per ridere
di mia infelicità.
Già la speranza sola
delle vendette mie
quest’anima consola
e giubilar mi fa.

La critica al mondo dell’aristocrazia è presente anche nell’opera “Don Giovanni” (del 1787): il protagonista è un nobile libertino che seduce le donne (indifferentemente di alto e basso rango) per spassarsela con loro finché gli vengono a noia. Il suo servitore, Leporello, inizia l’opera cantando queste parole che all’epoca (siamo due anni prima dello scoppio della Rivoluzione francese) erano decisamente rivoluzionarie:

LEPORELLO
Notte e giorno faticar
per chi nulla sa gradir,
pioggia e vento sopportar,
mangiar male e mal dormir…
Voglio fare il gentiluomo,
e non voglio più servir.
Oh, che caro galantuomo!
Vuol star dentro colla bella,
ed io a far la sentinella!

Infine, nell’opera “Così fan tutte” (composta tra il 1789 e il 1790) don Alfonso, filosofo cinico, ordisce un intricato messinscena per far capire a due ufficiali dell’esercito, innamorati di due sorelle, che la fiducia nelle donne è mal riposta, poiché tutte cambiano idea sull’amore in continuazione; lo conferma indirettamente anche Despina, la domestica delle due sorelle, nell’atto secondo, quando invita le due dame a farsi più astute, per divertirsi e ingannare gli uomini sciocchi e creduloni:

DESPINA
Una donna a quindici anni
dée saper ogni gran moda,
dove il diavolo ha la coda,
cosa è bene e mal cos’è;
dée saper le maliziette
che innamorano gli amanti:
finger riso, finger pianti,
inventar i bei perché;
dée in un momento
dar retta a cento;
colle pupille
parlar con mille;
dar speme a tutti,
sien belli o brutti;
saper nascondersi
senza confondersi;
senza arrossire
saper mentire;
e, qual regina
dall’alto soglio,
col «posso e voglio»
farsi ubbidir.
(Par ch’abbian gusto
di tal dottrina.
Viva Despina
che sa servir!)

Alla fine tutto si aggiusta, perché sono stati seguiti gli insegnamenti di don Alfonso, così riassunti nell’ultima scena dell’opera:

Fortunato l’uom che prende
ogni cosa per buon verso,
e tra i casi e le vicende
da ragion guidar si fa.
Quel che suole altrui far piangere
fia per lui cagion di riso;
e del mondo in mezzo ai turbini
bella calma troverà.

Wolfgang Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte

Se vuoi vedere/ascoltare la lezione, clicca sul video:

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