mercoledì 20 agosto 2014

15 Chiesa cattolica e monachesimo



CHIESA CATTOLICA E MONACHESIMO

IL RUOLO DI PAPI E VESCOVI NELLE CITTÀ

In un’Europa divisa in tanti regni e attraversata da una profonda crisi economica e sociale, la Chiesa era l’unica istituzione dotata di un’organizzazione efficiente e che fosse presente un po’ ovunque. Inoltre disponeva di grandi ricchezze, poiché molti fedeli donavano ai vescovi terre che venivano coltivate da servi e contadini. Infine era l’unica istituzione che provvedeva alla sopravvivenza della cultura, in quanto i sacerdoti sapevano (quasi tutti) leggere e scrivere, mentre i Germani erano analfabeti e i discendenti dei Romani lo diventavano sempre più con il passare del tempo.
Inizialmente la Chiesa era divisa in tante chiese locali autonome, guidate da un vescovo, che aveva un seguito di sacerdoti e di servitori. Col tempo il vescovo di Roma, chiamato papa, venne riconosciuto come il capo della cristianità nell’Europa occidentale, perché Roma era l’antica capitale dell’impero e perché il primo vescovo della città era stato Pietro, uno dei principali apostoli di Gesù. Solo nell’Impero Bizantino questa supremazia del papa non venne riconosciuta.
Nell’Alto Medioevo papi e vescovi adoperarono le proprie forze e la propria autorevolezza per convertire i capi germanici al cattolicesimo; per appoggiarli nei loro sforzi di imporsi come re dei propri popoli; per aiutarli nell’organizzazione di uno stato efficiente; per diffondere tra i guerrieri germanici regole morali cristiane (in primo luogo il rifiuto dell’assassinio).
Importante fu il ruolo di Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), che riuscì a convertire Longobardi, Visigoti, Svevi e Anglosassoni e che assunse sempre più funzioni politiche e amministrative (si deve a lui, per esempio, la riuscita a fare del vescovo di Roma il principale vescovo del mondo cristiano).

Gregorio Magno detta a un discepolo le regole del canto liturgico cristiano, 
che da lui prenderà il nome di “canto gregoriano”

Inoltre, poiché i nobili germanici e i loro guerrieri preferivano vivere in campagna, i vescovi erano gli unici che potevano rivestire nelle città un ruolo autorevole e che avessero cognizioni adeguate per organizzare la difesa e il rifornimento di acqua e cibo in caso di attacco.
Progressivamente molti capi germanici si convertirono al Cristianesimo, cosicché l’importanza della Chiesa cattolica aumentò, finché nell’VIII secolo i Franchi furono protagonisti di un fatto, che ebbe notevoli conseguenze per la storia della Chiesa.

PIPINO IL BREVE E STEFANO II

Pipino (detto il Breve per la sua bassa statura) era figlio di Carlo Martello, Maestro di Palazzo (ossia primo ministro) del re dei Franchi. Carlo Martello aveva acquisito meriti e gloria per aver sconfitto, nella battaglia di Poitiers del 732, gli Arabi di Spagna che facevano continue incursioni in Francia e minacciavano di conquistarla.
Uomo ambizioso, Pipino fece prigioniero il re dei Franchi, Childerico III, e, convocata l’assemblea dei guerrieri, si fece acclamare re (751). La sua fu una usurpazione, così si chiama il gesto di togliere il potere a un re legittimo con un atto di violenza (oggi si usa piuttosto il termine “colpo di stato”).
Consapevole che un’usurpazione può essere prima o poi contestata, Pipino ebbe l’idea di legittimare il suo atto, chiedendo al papa di essere “unto” con l’olio santo. L’unzione era la cerimonia che consacrava vescovi e preti e che soltanto per loro era prevista.
Il papa (Stefano II) accettò, senza essere del tutto consapevole che la cerimonia dell’unzione trasformava Pipino in un re-sacerdote, dotato di un potere che derivava direttamente da Dio (tale era la forza simbolica di quel gesto in quei tempi); in quanto “unto del Signore”, Pipino (e con lui tutti i suoi discendenti) era divenuto superiore a tutti gli altri sovrani.

Pipino il Breve come è stato immaginato da Nicolas de Larmessin in una stampa del 1690

In cambio dell’unzione Stefano II chiese a Pipino un intervento armato contro i Longobardi, che avevano conquistato terre appartenenti all’Impero d’Oriente e minacciavano di estendere i loro domini su Roma stessa. Pipino scese in Italia, sconfisse i Longobardi e nel 756 donò al papa le chiavi di 22 città, sottratte ai Longobardi tra quelle che essi avevano conquistato ai Bizantini. Quando la notizia giunse all’imperatore romano d’Oriente, questi protestò sdegnato, chiedendo al papa di restituire il frutto del dono di Pipino. La corte pontificia reagì, stendendo un falso documento, secondo il quale quelle terre erano già state donate alla Chiesa molto tempo prima dall’imperatore Costantino (questo falso documento, chiamato Donazione di Costantino, interverrà nella storia anche più avanti). Il papa, ovviamente, rifiutò di restituire quelle terre a Bisanzio.
Se con l’unzione Pipino il Breve era diventato un re-sacerdote, con questa donazione il papa diventava un sacerdote-re, poiché si trovava padrone di una vasta area (tra le attuali Emilia, Marche e Umbria), che andava ad aggiungersi a quella già posseduta dal pontefice nella zona laziale: quello che poi verrà chiamato Stato della Chiesa (o Stato pontificio) era ormai una realtà.

Pipino il Breve e papa Stefano II (illustrazione di Paolo Giudici del 1930)

IL MONACHESIMO DEI PRIMI SECOLI

Facciamo un passo indietro nel tempo. Ancor prima della fine dell’Impero Romano d’Occidente, soprattutto a partire dal IV secolo, in Egitto e in altre regioni del Mediterraneo orientale alcuni cristiani scelsero di vivere isolati dalla società, per lo più in luoghi solitari, dedicandosi alla preghiera, rinunciando a tutti i piaceri del corpo (e a volte anche in condizioni di brutalità), alcuni sottoponendosi anche a particolari penitenze per rendersi degni di Dio; tra questi Simeone, che visse per 40 anni (nella prima metà del V secolo) in cima ad una colonna alta 15 metri e fu per questo detto lo stilita (da stylos, che significa appunto colonna).

Simeone lo stilita in questa rappresentazione del VI secolo è raffigurato tra Cristo che lo benedice 
e il demonio (il serpente) che lo tenta

Questi uomini vennero detti monaci (dal greco monos = solo) anacoreti (dal greco anachoreo = mi tiro in disparte) ed erano molto venerati dagli altri cristiani, che ne ammiravano la santità.
Altri monaci, invece, preferirono, anziché vivere da eremiti, riunirsi in comunità con altri monaci in luoghi chiamati monasteri; questi (ce n’erano di maschili e di femminili) divennero numerosi, soprattutto in Egitto: ognuno aveva le proprie regole, che chi diventava monaco si impegnava a rispettare.
Nel VI secolo molti monasteri si trasformarono, adottando il regolamento che era stato inventato da un monaco di nobili origini, di nome Benedetto.

BENEDETTO DA NORCIA

Nato verso il 480 a Norcia (Umbria), Benedetto visse per molti anni come eremita, coltivando un orticello con cui sostentarsi, vestendo come i contadini più semplici con un sacco di tela grezza e conducendo una vita estremamente sobria. La sua fama di uomo semplice ma devoto si diffuse e attirò attorno a lui un gruppo di seguaci, affascinati dalla sua fede e dalla sua moderazione.
Quando il gruppo si ingrandì, Benedetto decise di andare a vivere con loro in luogo che potessi ospitare tutti i seguaci. Nel 525 fondò un’abbazia (altro termine per indicare un monastero) in cima al Monte Cassino, al confine tra Lazio e Campania.

San Benedetto riceve l’abbazia di Montecassino dall’abate Desiderio (miniatura del 1202)

Qui stilò una Regola, ispirata a una disciplina rigorosa, ma che teneva conto anche delle necessità del corpo, oltre che di quello dello spirito; questa regola si riassume nella formula Ora et labora (= prega e lavora), che stabilisce che un monaco deve sì pregare Dio, ma non rimanendo nell’ozio, anzi, lavorando in modo da sfamare sé stesso e se possibile anche gli altri.
Benedetto morì nel 543 e fu poi fatto santo.

San Benedetto con sua sorella Santa Scolastica: anche lei creò un monastero di monache benedettine

La sua regola, che rappresentava una grande novità rispetto al monachesimo degli eremiti orientali, fu seguita da un gran numero di altri monaci e in tutta Europa nacquero dei monasteri benedettini, che si ingrandirono con terre donate dai fedeli, fino al punto di diventare dei veri e propri centri economici (come le curtes descritte nella lezione precedente), in cui si praticavano un’agricoltura e un allevamento in grado di nutrire non solo i monaci, ma anche un gran numero di bisognosi: poveri, viandanti e pellegrini trovavano nelle abbazie benedettine vitto, alloggio e riparo.
Inoltre, poiché i monaci benedettini erano istruiti, i loro monasteri divennero anche dei centri culturali; tra i lavori svolti dai monaci vi era quello degli amanuensi, così detti perché ricopiavano a mano i testi greci e latini, che con gli anni erano riusciti ad accumulare nelle loro biblioteche. Fu proprio il paziente lavoro di questi uomini che permise di conservare molte opere antiche, che altrimenti sarebbero andate perdute. In più questi manoscritti erano spesso ornati da miniature (cioè illustrazioni a base di minio, un colore rosso che veniva usato nelle pergamene), che sono una delle poche fonti illustrate che ci sono state lasciate dall’Alto Medioevo.

Amanuensi al lavoro nello scriptorium (= il luogo in cui si ricopiavano i testi) 
dell’abbazia di Echternach (Lussemburgo)

MAPPA CONCETTUALE:


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Chiesa cattolica e monachesimo

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