CHIESA CATTOLICA E MONACHESIMO
IL RUOLO DI PAPI E VESCOVI NELLE CITTÀ
In un’Europa divisa in tanti
regni e attraversata da una profonda crisi economica e sociale, la Chiesa era
l’unica istituzione dotata di un’organizzazione efficiente e che fosse presente
un po’ ovunque. Inoltre disponeva di grandi ricchezze, poiché molti fedeli
donavano ai vescovi terre che venivano coltivate da servi e contadini. Infine
era l’unica istituzione che provvedeva alla sopravvivenza della cultura, in
quanto i sacerdoti sapevano (quasi tutti) leggere e scrivere, mentre i Germani
erano analfabeti e i discendenti dei Romani lo diventavano sempre più con il
passare del tempo.
Inizialmente la Chiesa era divisa
in tante chiese locali autonome, guidate da un vescovo, che aveva un seguito di
sacerdoti e di servitori. Col tempo il vescovo di Roma, chiamato papa, venne
riconosciuto come il capo della cristianità nell’Europa occidentale, perché
Roma era l’antica capitale dell’impero e perché il primo vescovo della città
era stato Pietro, uno dei principali apostoli di Gesù. Solo nell’Impero
Bizantino questa supremazia del papa non venne riconosciuta.
Nell’Alto Medioevo papi e vescovi
adoperarono le proprie forze e la propria autorevolezza per convertire i capi
germanici al cattolicesimo; per appoggiarli nei loro sforzi di imporsi come re
dei propri popoli; per aiutarli nell’organizzazione di uno stato efficiente;
per diffondere tra i guerrieri germanici regole morali cristiane (in primo
luogo il rifiuto dell’assassinio).
Importante fu il ruolo di
Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), che riuscì a convertire Longobardi,
Visigoti, Svevi e Anglosassoni e che assunse sempre più funzioni politiche e
amministrative (si deve a lui, per esempio, la riuscita a fare del vescovo di
Roma il principale vescovo del mondo cristiano).
Gregorio Magno detta a un discepolo le regole del canto liturgico
cristiano,
che da lui prenderà il nome di “canto gregoriano”
Inoltre, poiché i nobili
germanici e i loro guerrieri preferivano vivere in campagna, i vescovi erano
gli unici che potevano rivestire nelle città un ruolo autorevole e che avessero
cognizioni adeguate per organizzare la difesa e il rifornimento di acqua e cibo
in caso di attacco.
Progressivamente molti capi
germanici si convertirono al Cristianesimo, cosicché l’importanza della Chiesa
cattolica aumentò, finché nell’VIII secolo i Franchi furono protagonisti di un
fatto, che ebbe notevoli conseguenze per la storia della Chiesa.
PIPINO IL BREVE E STEFANO II
Pipino (detto il Breve per la sua
bassa statura) era figlio di Carlo Martello, Maestro di Palazzo (ossia primo
ministro) del re dei Franchi. Carlo Martello aveva acquisito meriti e gloria
per aver sconfitto, nella battaglia di Poitiers del 732, gli Arabi di Spagna
che facevano continue incursioni in Francia e minacciavano di conquistarla.
Uomo ambizioso, Pipino fece
prigioniero il re dei Franchi, Childerico III, e, convocata l’assemblea dei
guerrieri, si fece acclamare re (751). La sua fu una usurpazione, così si
chiama il gesto di togliere il potere a un re legittimo con un atto di violenza
(oggi si usa piuttosto il termine “colpo di stato”).
Consapevole che un’usurpazione
può essere prima o poi contestata, Pipino ebbe l’idea di legittimare il suo
atto, chiedendo al papa di essere “unto” con l’olio santo. L’unzione era la
cerimonia che consacrava vescovi e preti e che soltanto per loro era prevista.
Il papa (Stefano II) accettò,
senza essere del tutto consapevole che la cerimonia dell’unzione trasformava
Pipino in un re-sacerdote, dotato di un potere che derivava direttamente da Dio
(tale era la forza simbolica di quel gesto in quei tempi); in quanto “unto del
Signore”, Pipino (e con lui tutti i suoi discendenti) era divenuto superiore a
tutti gli altri sovrani.
Pipino il Breve come è stato immaginato da Nicolas de Larmessin in una
stampa del 1690
In cambio dell’unzione Stefano II
chiese a Pipino un intervento armato contro i Longobardi, che avevano
conquistato terre appartenenti all’Impero d’Oriente e minacciavano di estendere
i loro domini su Roma stessa. Pipino scese in Italia, sconfisse i Longobardi e
nel 756 donò al papa le chiavi di 22 città, sottratte ai Longobardi tra quelle
che essi avevano conquistato ai Bizantini. Quando la notizia giunse
all’imperatore romano d’Oriente, questi protestò sdegnato, chiedendo al papa di
restituire il frutto del dono di Pipino. La corte pontificia reagì, stendendo
un falso documento, secondo il quale quelle terre erano già state donate alla
Chiesa molto tempo prima dall’imperatore Costantino (questo falso documento,
chiamato Donazione di Costantino, interverrà nella storia anche più avanti). Il
papa, ovviamente, rifiutò di restituire quelle terre a Bisanzio.
Se con l’unzione Pipino il Breve
era diventato un re-sacerdote, con questa donazione il papa diventava un
sacerdote-re, poiché si trovava padrone di una vasta area (tra le attuali
Emilia, Marche e Umbria), che andava ad aggiungersi a quella già posseduta dal
pontefice nella zona laziale: quello che poi verrà chiamato Stato della Chiesa
(o Stato pontificio) era ormai una realtà.
Pipino il Breve e papa Stefano II
(illustrazione di Paolo Giudici del 1930)
IL MONACHESIMO DEI PRIMI SECOLI
Facciamo un passo indietro nel
tempo. Ancor prima della fine dell’Impero Romano d’Occidente, soprattutto a
partire dal IV secolo, in Egitto e in altre regioni del Mediterraneo orientale
alcuni cristiani scelsero di vivere isolati dalla società, per lo più in luoghi
solitari, dedicandosi alla preghiera, rinunciando a tutti i piaceri del corpo
(e a volte anche in condizioni di brutalità), alcuni sottoponendosi anche a
particolari penitenze per rendersi degni di Dio; tra questi Simeone, che visse
per 40 anni (nella prima metà del V secolo) in cima ad una colonna alta 15 metri e fu per questo
detto lo stilita (da stylos, che significa appunto colonna).
Simeone lo stilita in questa rappresentazione del VI secolo è
raffigurato tra Cristo che lo benedice
e il demonio (il serpente) che lo tenta
Questi uomini vennero detti
monaci (dal greco monos = solo) anacoreti (dal greco anachoreo = mi tiro in
disparte) ed erano molto venerati dagli altri cristiani, che ne ammiravano la
santità.
Altri monaci, invece,
preferirono, anziché vivere da eremiti, riunirsi in comunità con altri monaci
in luoghi chiamati monasteri; questi (ce n’erano di maschili e di femminili)
divennero numerosi, soprattutto in Egitto: ognuno aveva le proprie regole, che
chi diventava monaco si impegnava a rispettare.
Nel VI secolo molti monasteri si
trasformarono, adottando il regolamento che era stato inventato da un monaco di
nobili origini, di nome Benedetto.
BENEDETTO DA NORCIA
Nato verso il 480 a Norcia (Umbria),
Benedetto visse per molti anni come eremita, coltivando un orticello con cui
sostentarsi, vestendo come i contadini più semplici con un sacco di tela grezza
e conducendo una vita estremamente sobria. La sua fama di uomo semplice ma
devoto si diffuse e attirò attorno a lui un gruppo di seguaci, affascinati
dalla sua fede e dalla sua moderazione.
Quando il gruppo si ingrandì,
Benedetto decise di andare a vivere con loro in luogo che potessi ospitare
tutti i seguaci. Nel 525 fondò un’abbazia (altro termine per indicare un
monastero) in cima al Monte Cassino, al confine tra Lazio e Campania.
San Benedetto riceve l’abbazia di Montecassino dall’abate Desiderio
(miniatura del 1202)
Qui stilò una Regola, ispirata a
una disciplina rigorosa, ma che teneva conto anche delle necessità del corpo,
oltre che di quello dello spirito; questa regola si riassume nella formula Ora
et labora (= prega e lavora), che stabilisce che un monaco deve sì pregare Dio,
ma non rimanendo nell’ozio, anzi, lavorando in modo da sfamare sé stesso e se
possibile anche gli altri.
Benedetto morì nel 543 e fu poi
fatto santo.
San Benedetto con sua sorella Santa Scolastica: anche lei creò un
monastero di monache benedettine
La sua regola, che rappresentava
una grande novità rispetto al monachesimo degli eremiti orientali, fu seguita
da un gran numero di altri monaci e in tutta Europa nacquero dei monasteri
benedettini, che si ingrandirono con terre donate dai fedeli, fino al punto di
diventare dei veri e propri centri economici (come le curtes descritte nella
lezione precedente), in cui si praticavano un’agricoltura e un allevamento in
grado di nutrire non solo i monaci, ma anche un gran numero di bisognosi:
poveri, viandanti e pellegrini trovavano nelle abbazie benedettine vitto,
alloggio e riparo.
Inoltre, poiché i monaci
benedettini erano istruiti, i loro monasteri divennero anche dei centri
culturali; tra i lavori svolti dai monaci vi era quello degli amanuensi, così
detti perché ricopiavano a mano i testi greci e latini, che con gli anni erano
riusciti ad accumulare nelle loro biblioteche. Fu proprio il paziente lavoro di
questi uomini che permise di conservare molte opere antiche, che altrimenti
sarebbero andate perdute. In più questi manoscritti erano spesso ornati da
miniature (cioè illustrazioni a base di minio, un colore rosso che veniva usato
nelle pergamene), che sono una delle poche fonti illustrate che ci sono state
lasciate dall’Alto Medioevo.
Amanuensi al lavoro nello scriptorium (= il luogo in cui si ricopiavano
i testi)
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