giovedì 28 aprile 2016

82 Il primo dopoguerra in Italia: dal biennio rosso alla marcia su Roma

IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA: DAL BIENNIO ROSSO ALLA MARCIA SU ROMA

Dopo la guerra i salari erano diminuiti e le condizioni di vita della popolazione erano pessime. Gli operai scioperavano per ottenere salari più alti e i contadini cominciarono a richiedere terre da coltivare. Gli anni 1919-1920 furono perciò un periodo di lotte sociali, chiamato il “biennio rosso”, perché le proteste vennero in prevalenza guidate dai socialisti e il rosso è il colore della sinistra. Nel giugno-luglio 1919 la protesta scoppiò a La Spezia e si estese rapidamente dal nord al centro-sud; divenne ancora più forte dove la forza pubblica rispose aprendo il fuoco sui dimostranti: migliaia di uomini e soprattutto di donne si riversarono spontaneamente nelle strade, saccheggiando i negozi e imponendo prezzi dimezzati.


Manifestanti durante il “biennio rosso”

Nel giugno 1920 i bersaglieri in partenza per l’Albania si ammutinarono e si impossessarono per due giorni della città di Ancona; in tutto l’anno gli scioperi furono oltre duemila e gli scioperanti oltre due milioni.
Nel settembre 1920 gli operai occuparono diverse fabbriche; in particolare a Torino, dove la FIAT licenziò tre operai che, per protestare contro l’introduzione dell’ora legale, avevano spostato di un’ora le lancette dell’orologio della fabbrica. Poi altre proteste si ebbero a Milano e di nuovo a Torino, dove gli operai si impossessarono delle fabbriche e cominciarono a produrre per conto proprio: la tensione presso le classi lavoratrici sembrava annunciare la rivoluzione.

Torino 1920: “guardie rosse” (cioè operai armati) durante l’occupazione delle fabbriche

Il governo, in cui era primo ministro Giovanni Giolitti, riuscì a porre fine all'occupazione, promettendo nuove leggi, secondo le quali anche gli operai sarebbero stati consultati per le decisioni che riguardavano la fabbrica. Gli industriali criticarono questa scelta, considerandola un cedimento nei confronti del socialismo; anche le frange più estreme del movimento operaio (quelle organizzate attorno al periodico “Ordine Nuovo” di Antonio Gramsci) furono in disaccordo - per tutt’altre ragioni - con la fine dell’occupazione delle fabbriche e provocarono nel gennaio 1921 la scissione del Partito Socialista, dando vita al Partito Comunista d’Italia.

L’esterno del teatro Goldoni di Livorno dove si svolse il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano, che portò alla nascita del Partito Comunista Italiano

Nelle prime elezioni del dopoguerra (1919), a suffragio universale maschile, ci fu un grande successo dei nuovi partiti di massa: il Partito socialista, attivo fin dalla fine dell'Ottocento, che ottenne il 34% dei voti, e il Partito popolare, il primo partito italiano di ispirazione cattolica, fondato dal sacerdote Luigi Sturzo, che ottenne il 20% dei voti.

Da sinistra: Antonio Gramsci, don Luigi Sturzo, Benito Mussolini, tre protagonisti del primo dopoguerra italiano

Il biennio rosso e la forza dei partiti di massa spaventarono la borghesia. A sentirsi minacciata era soprattutto l'alta borghesia dei grandi proprietari: gli industriali e gli agrari (proprietari terrieri). Anche la piccola borghesia era però in crisi, perché le sue condizioni di vita stavano rapidamente peggiorando: i prezzi aumentavano e questa inflazione (ossia l'aumento dei prezzi, accompagnato alla perdita di valore della moneta) riduceva rapidamente il livello di vita, perché i guadagni (derivanti da rendite o da stipendi) degli impiegati statali e di una parte della piccola borghesia non aumentavano alla stessa velocità dei prezzi. Inoltre nella borghesia molti temevano che anche in Italia si creasse uno Stato comunista, come era avvenuto in Russia, e che tutte le proprietà, sia grandi, sia piccole, passassero sotto il controllo dello Stato.
Di questa situazione approfittarono i fascisti, cioè i seguaci di un gruppo politico (chiamato Fasci di combattimento) che era stato fondato a Milano nel 1919 da Benito Mussolini.

Una tessera di appartenenza ai “fasci di combattimento” fondati il 23 marzo 1919

Costui aveva iniziato la sua attività politica nel Partito Socialista, con posizioni fortemente antimilitariste e anticlericali (cioè di opposizione al potere della Chiesa). Dopo una giovinezza trascorsa tra la Svizzera e Trento (ancora sotto dominio austriaco) nel 1912 divenne direttore del quotidiano l'Avanti!, giornale del Partito Socialista.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale prima si schierò per la neutralità, ma poi cambiò la propria posizione politica, dichiarandosi a favore dell'intervento in guerra dell'Italia, e venne perciò espulso dal Partito Socialista. Con l'appoggio di industriali e finanzieri fondò un proprio quotidiano, Il Popolo d'Italia (1914), che condusse una campagna a favore dell'intervento.

Due prime pagine (dell’Avanti! e del Popolo d’Italia) del 1915

Dopo la guerra, a cui aveva partecipato come volontario, ma senza trovarsi mai nelle battaglie in prima linea (fu anche ferito, ma durante un’esercitazione), Mussolini fondò, appunto, i Fasci di combattimento, che riunivano soprattutto ex-combattenti e nazionalisti. Si presentò alle elezioni del 1919, ma non fu eletto. Dopo alcune incertezze, diede ai Fasci un programma nazionalista e in forte opposizione al socialismo, il che gli procurò l'appoggio degli industriali, degli agrari, di molti ex-combattenti. A partire dal 1920 organizzò squadre d'azione (spesso indicate come “squadracce”), in cui i militanti del movimento, dette “camicie nere” perché si vestivano proprio con questo capo d'abbigliamento, compivano spedizioni violente contro le organizzazioni socialiste: le squadracce attaccavano le sedi del Partito Socialista, dei sindacati, delle organizzazioni contadine e dei giornali di sinistra, incendiando gli edifici, picchiando e uccidendo i simpatizzanti di sinistra, terrorizzando i loro familiari. In tutta l'Italia centro-settentrionale in meno di 5 mesi (gennaio-maggio 1921) le incursioni fasciste provocarono oltre duecento morti.

Squadristi di Enna

I fascisti (che dal 1921 erano organizzati nel Partito fascista) non avevano l'appoggio solo dell'alta borghesia, ma anche quello di una parte della piccola borghesia, che temeva i cambiamenti sociali ed era insoddisfatta delle proprie condizioni. Il governo, la polizia e l'esercito non intervenivano per fermare le squadre d'azione e spesso aiutavano i fascisti: furono rarissimi gli episodi di scontri tra squadristi e forze dell’ordine. Anche la magistratura era indulgente nei confronti delle squadracce e delle loro violenze. In generale molti uomini politici erano convinti di poter usare il fascismo contro i socialisti, contando di riuscire poi a disfarsene.

Un gruppo di squadristi brucia libri e documenti sottratti a una sede socialista (1922)

Alle lezioni del 1921 i fascisti ottennero 35 seggi (su oltre 500): pur poco numerosi, i deputati del Partito fascista erano uniti e decisi ad agire. Al contrario, i deputati liberali che erano al governo erano divisi e credevano di poter governare con l'appoggio dei fascisti: benché tra i deputati socialisti e popolari molti fossero disponibili a formare un governo antifascista, i liberali rifiutarono questa soluzione.
Nel 1922, in una situazione di crisi economica (con un'inflazione che raggiungeva il 450%) e politica (per la debolezza e i frequenti mutamenti dei governi), Mussolini richiese di essere nominato primo ministro. Per costringere il governo a cedere, i fascisti minacciarono una marcia su Roma (24 ottobre) al termine della quale circa 26.000 uomini avrebbero occupato con la forza la città e preso il potere. Il re rifiutò di proclamare lo stato d'emergenza, cioè di mobilitare l'esercito per la difesa della capitale, e il 28 ottobre 1922 affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo.

Mussolini e i suoi sostenitori durante la marcia su Roma




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