giovedì 14 aprile 2016

80 La rivoluzione russa

LA RIVOLUZIONE RUSSA

Per comprendere la storia moderna della Russia c’è un dato fondamentale da tener presente: la sua vastità, che ne fa lo Stato più grande nel mondo. Pur così grande, l’Impero russo aveva una necessità particolare, quella di raggiungere il mare ad una latitudine conveniente, poiché le zone costiere sul Mar Glaciale Artico non permettevano certo grandi possibilità di sviluppo.
Ciò spiega le conquiste che gli zar operarono dai tempi di Pietro il Grande (fine ‘600 – inizio ‘700) in poi: in particolare con Pietro il Grande alcuni territori sul Baltico e la penisola di Kamčatka; con Caterina II (seconda metà del ‘700) l’area che va dalla Lettonia al Caucaso e comprendente una parte dell’Ucraina; nella prima metà dell’Ottocento la Finlandia, la Polonia, la Georgia e il Turkestan (Asia centrale); nella seconda metà dell’Ottocento la regione a oriente del Mar Caspio e quella dell’Amur (a nord della Corea).



Un territorio così vasto ha bisogno, per essere governato, di un potere fortemente centralizzato; gli zar, inoltre, inglobando nel loro impero una grande quantità di popoli diversi, dovevano riuscire a russificarli, cioè ad estendere a questi popoli la cultura, le tradizioni, il senso di appartenenza etnica tipici della Russia. Operazione più facile a oriente, dove si trovavano o spazi relativamente vuoti, oppure popoli in parte nomadi e sprovvisti di una marcata identità nazionale; più difficile a occidente, con i Polacchi che erano cattolici (mentre i Russi erano ortodossi), o con i popoli baltici, diversi per etnia e religione e che subivano una forte influenza tedesca.
Un caso a parte era costituito dagli Ebrei, che in Russia erano circa 5 milioni: nei loro confronti vi erano un forte e antico odio razziale e l’accusa di sfruttamento economico. Lo stato zarista incoraggiò, con successo, l’antisemitismo, con numerosi pogrom, ossia con esplosioni di violenza popolare contro gli Ebrei, già soggetti a diverse restrizioni e impediti nei loro sforzi di assimilarsi agli altri russi.

Raffigurazione di un gruppo di Ebrei a Kiev nel 1881

Dal punto di vista economico l’Impero Russo era sicuramente arretrato rispetto all’Europa occidentale. Solo nel 1861 lo zar Alessandro II aveva abolito la servitù della gleba e ai contadini vennero affidate alcune terre, che però rimanevano di proprietà di comunità di villaggio (dette mir), le quali le distribuivano alle singole famiglie; ma la Russia era uno stato prevalentemente agricolo, con problemi nel modo di produrre e nella proprietà terriera, in grandissima maggioranza nelle mani dei nobili.

Scena contadina in un dipinto di Sergej V. Ivanov del 1908

La costruzione di ferrovie a partire dal 1870, la nascita di un’industria pesante alla fine del secolo, lo sviluppo dell’industria tessile che a sua volta alimentò il commercio, la scoperta di petrolio nel Caucaso fanno pensare che la Russia avrebbe potuto intraprendere la strada già percorsa dagli Stati europei più avanzati; in realtà nel 1914 lo sviluppo industriale nell’Impero Russo era appena agli inizi.

Operai di un’industria russa all’inizio del Novecento

Infine, dal punto di vista politico la Russia era uno stato autocratico (cioè dispotico e assolutistico), in particolare con la salita al trono di Alessandro III nel 1881; proprio per questo gli zar dovettero fare i conti con numerosi attentati terroristici e con un diffuso malcontento popolare, che portò alla creazione di movimenti o partiti rivoluzionari di vario tipo. Tra questi il Partito socialdemocratico, fondato nel 1898, che introdusse in Russia le idee marxiste e che, diviso in correnti diverse, vide nel 1903 in un congresso tenuto a Londra la maggioranza andare al gruppo più estremo guidato da Lenin (pseudonimo con cui è noto Vladimir Ilič Uljanov): questo gruppo viene comunemente detto dei bolscevichi, termine russo che significa semplicemente “maggioranza”, di contro al gruppo dei menscevichi, ossia “minoranza”.

Lenin in una foto del 1917

La Russia nel 1904 si trovò in guerra contro il Giappone per il controllo delle terre dell’estremo Oriente: con sorpresa dello stesso piccolo Giappone, il colosso russo perse la guerra per terra e per mare e anche alcuni territori. La sconfitta, inoltre, fece scoppiare una rivoluzione (1905), che costrinse lo zar Nicola II (al trono dal 1894) a concedere una costituzione e a creare un Parlamento (Duma); poiché, però, il potere rimaneva comunque nelle mani dello zar, il malcontento del popolo continuava. In particolare quello dei socialdemocratici, che diedero vita a un’organizzazione nuova, i soviet (= consigli), formata da operai che si diedero il compito sia di organizzare scioperi, sia di cercare la strada più opportuna per prendere il potere. Di fronte alla repressione dell’esercito e della polizia, con migliaia di oppositori incarcerati e giustiziati, la spinta rivoluzionaria si esaurì entro la fine del 1906.

Lo zar Nicola II

Era in queste condizioni che la Russia entrò nella Prima guerra mondiale nel 1914 a fianco della Francia, con cui era alleata dal 1892.
Ma la condotta disastrosa delle operazioni belliche (già nel 1915 la Russia aveva perso Polonia, Lituania, parte dell’Ucraina, della Bielorussia e della Lettonia), la paurosa inefficienza e corruzione dell’amministrazione statale, l’arroganza e gli intrighi della corte zarista, la penuria di generi alimentari scavarono un baratro tra gli ambienti governativi e la popolazione.
A Pietrogrado (il nome assunto nel 1914 da San Pietroburgo, la capitale dell’Impero Russo) il 23 febbraio 1917 (l’8 marzo secondo il calendario gregoriano in uso in occidente, sfasato di qualche giorno rispetto a quello ortodosso russo) si svolse una manifestazione pacifica di donne, alle quali si unirono operai licenziati e migliaia di lavoratori in sciopero. Nei giorni successivi gli scioperanti crebbero di numero e si scontrarono con le forze di polizia a cavallo; l’esercito, chiamato a intervenire per far cessare i disordini, si ribellò all’ordine di sparare sui dimostranti e numerosi reparti di soldati fraternizzarono con gli operai. Si formò un nuovo soviet, formato non solo da operai, ma anche da militari.

Soldati armati a Pietrogrado nel 1917

La rivoluzione del febbraio (o marzo) 1917 si estese da Pietrogrado a Mosca e ad altre città russe: Nicola II dovette abdicare, lasciando il potere a un governo provvisorio, il quale si venne a trovare in contrasto con i diversi soviet che erano sorti nelle diverse città e che erano controllati dai bolscevichi.
Nei mesi successivi contrasti su come agire e lotte tra i diversi gruppi si susseguirono un po’ dappertutto: grazie al prestigio di cui godeva, Lenin riuscì a far accettare il suo programma, che comprendeva quattro punti principali:
- il ritiro della Russia dalla guerra
- la distribuzione delle terre ai contadini
- il controllo delle fabbriche assegnato agli operai
- la libertà di scelta per tutte le minoranze nazionali presenti all’interno della Russia.
Nel luglio 1917 si formò un nuovo governo, guidato da Aleksandr Kerenskij, un moderato, che manifestò la volontà di continuare ad ogni costo la guerra contro i tedeschi, sebbene al fronte la situazione peggiorasse irrimediabilmente: sempre più numerosi erano gli ammutinamenti, le diserzioni, le violenze contro gli ufficiali, gli episodi di fraternizzazione con i soldati nemici.

Soldati russi fraternizzano con i tedeschi sul fronte orientale

Intanto i bolscevichi riscuotevano consensi sempre più ampi tra le masse popolari, su cui era sempre più forte lo spettro della fame e della disoccupazione. In ottobre Lenin maturò l’idea che fosse possibile attuare una nuova insurrezione armata, stavolta contro il governo Kerenskij: venne scelta la data del 25 ottobre (il 7 novembre secondo il calendario gregoriano).
Nella notte dal 24 al 25 ottobre le guardie rosse bolsceviche occuparono le stazioni ferroviarie e i principali edifici pubblici di Pietrogrado: Kerenskij fuggì con l’intenzione di tornare nella capitale alla testa di truppe fedeli. Per completare la presa del potere mancava solo la conquista del Palazzo d’Inverno, l’ex residenza degli zar, divenuta la sede del governo provvisorio. La presa del Palazzo e l’arresto dei ministri da parte dei rivoltosi sancì la vittoria dell’insurrezione, attuata con estrema decisione e rapidità e senza eccessivo spargimento di sangue: si tratta di quella che viene comunemente chiamata rivoluzione d’ottobre.

L’assalto al Palazzo d’Inverno in un francobollo russo emanato nel 1987 per il 70° anniversario della Rivoluzione d’ottobre, con un dipinto di V. A. Serov

Il nuovo governo (di tipo socialista) stabilì un armistizio con gli imperi centrali. La situazione di inferiorità in campo militare, una nuova avanzata tedesca e i gravi problemi che comportava la gestione del potere (osteggiata da varie forze interne) costrinsero il governo rivoluzionario russo ad accettare una pace durissima, che comportò la perdita di tutti i territori occidentali dello Stato (pace di Brest-Litovsk, marzo 1918).

La firma della pace di Brest-Litovsk

Dopo la rivoluzione d’ottobre i bolscevichi cominciarono ad attuare il loro programma di riforme. Le fabbriche passarono sotto il controllo dei consigli operai e le terre dello Stato, dei nobili e dei monasteri furono distribuite a tutti coloro che ne facevano richiesta, in modo che ognuno potesse vivere del proprio lavoro di contadino. La distribuzione della terra migliorò le condizioni di vita nelle campagne, ma non poté risolvere i problemi che nascevano dall’arretratezza delle tecniche di coltivazione.

Un soviet a Pietrogrado nel luglio 1920

Le potenze europee erano ostili al governo sovietico (cioè dei soviet), perché temevano che la rivoluzione potesse diffondersi negli altri Paesi. Esse perciò attuarono un blocco economico, eliminando ogni forma di commercio con la Russia. Inoltre favorirono la formazione di eserciti controrivoluzionari, chiamati armate bianche, in opposizione all’armata rossa, ossia l’esercito rivoluzionario. Grazie anche ai finanziamenti europei, la Russia fu agitata da una guerra civile che tra il 1918 e il 1920 tolse al controllo del governo bolscevico vaste regioni, bloccò i trasporti, impedì i rifornimenti di combustibile, grano e materie prime e provocò grandi distruzioni. Nel luglio 1918 il soviet della città di Ekaterinburg, temendo l’avanzata di un’armata bianca, decise l’uccisione dello zar Nicola II e di tutta la sua famiglia: la moglie e i cinque figli.

Lo zar Nicola II con la sua famiglia

In Russia la situazione divenne sempre più grave: nelle città mancava completamente il cibo, le epidemie facevano strage tra la popolazione affamata, il legname veniva utilizzato come combustibile nelle industrie, perciò mancava il riscaldamento nelle case. Il governo sovietico cercò di risolvere il problema con provvedimenti d’emergenza, che finirono per peggiorare la situazione, tanto che nel 1921 il cattivo raccolto provocò almeno cinque milioni di morti per fame.

Bambini fotografati durante la carestia seguita alla guerra civile del 1919-1921

Nel 1922 l’Impero Russo divenne l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), una federazione in cui il territorio di ogni popolo formava una repubblica autonoma.
Il partito bolscevico russo, che nel 1918 prese il nome di Partito comunista, organizzò a Mosca una conferenza internazionale comunista (1919): da questa conferenza nacque la Terza Internazionale o Internazionale Comunista (Comintern) che riuniva i partiti socialisti rivoluzionari.
Questi partiti, nella maggior parte nati dalla scissione dei partiti socialisti esistenti (Germania, 1917; Francia, 1920; Italia, 1921), si chiamarono comunisti per distinguersi dai partiti socialisti riformisti, che miravano a trasformare la società attraverso riforme e non attraverso la lotta rivoluzionaria.

Lenin alla conferenza internazionale comunista del 1919


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