lunedì 25 aprile 2016

81 Il primo dopoguerra

IL PRIMO DOPOGUERRA

I trattati di pace che misero fine alla Prima guerra mondiale furono numerosi: il nucleo principale venne firmato a Parigi tra il gennaio e il giugno 1919 e registrò un fatto assolutamente nuovo nella politica internazionale, ossia la partecipazione massiccia e fondamentale degli Stati Uniti d'America, rappresentati dal presidente Thomas Woodrow Wilson in persona.

Da sinistra, Lloyd George (primo ministro del Regno Unito), Orlando (presidente del Consiglio italiano), Clemenceau (primo ministro francese) e Wilson (presidente USA) a Parigi il 27 maggio 1919

Già nel gennaio 1918 Wilson aveva presentato al Congresso (Parlamento) statunitense le sue idee in merito ai rapporti tra le nazioni da realizzare al termine del conflitto; le aveva denominate New Diplomacy e comprendevano «quattordici punti», completati in seguito da considerazioni di carattere più astratto. Il punto 1 auspicava una diplomazia aperta, senza più trattati segreti (come quello di Londra stipulato tra Italia e Stati dell'Intesa nel 1915); il punto 2 prevedeva la libertà dei mari; il punto 3 la diminuzione delle tariffe doganali; il punto 4 il disarmo parziale, purché fosse assicurata la sicurezza di un paese; il punto 5 la necessità di prendere in considerazione gli interessi indigeni nelle colonie. I punti successivi affrontavano i problemi territoriali delle Nazioni che avevano guerreggiato: alcuni di questi punti potevano essere lette in maniera ambigua e opposta. Il 14° punto proponeva la creazione della League of Nations (Società delle Nazioni, in italiano), un organismo internazionale che permettesse agli Stati di cooperare al fine di una pacifica convivenza, garantendo il diritto all'autodeterminazione dei popoli, ossia il loro diritto a decidere del proprio futuro.

Vignetta satirica del 1919 su Wilson che, con i suoi 14 punti in mano, giudica le rivendicazioni (claims) di Russia, Polonia, Italia, Francia, Inghilterra e del “nemico”

Wilson venne alla conferenza di Parigi con l'intento di imporre all'Europa i suoi 14 punti; assieme a lui arrivò un numero incredibile di diplomatici, di esperti e di giornalisti e, oltre alle delegazioni dei 27 Paesi alleati nel periodo bellico, giunsero missioni da tutto il mondo (perfino dalla Mongolia), ognuna per cercare di affermare diritti, per presentare rivendicazioni. È logico che i trattati che vennero firmati (compreso quello di Versailles, relativo alla Germania) abbiano dovuto trovare qualche compromesso tra la New Diplomacy statunitense e la diplomazia europea di tipo tradizionale.
Così, alla fine, i trattati del 1919 e 1920 imposero durissime condizioni agli Stati sconfitti: Germania, Austria-Ungheria e Impero Ottomano persero molti territori. La Germania in particolare perse l’Alsazia e la Lorena, la zona di Danzica e tutte le sue colonie e fu costretta a pagare, a titolo di riparazione di guerra, una somma astronomica in oro. Perciò in Austria e soprattutto in Germania e Turchia fu forte il risentimento per l’umiliazione della sconfitta e per le condizioni di pace imposte.

I delegati delle varie nazioni firmano il trattato di pace con la Germania nella sala degli Specchi della reggia di Versailles il 28 giugno 1919

I trattati portarono allo smembramento dei grandi imperi (l’Austria-Ungheria e la Russia, che si era ritirata dalla guerra) e alla nascita di molti nuovi Stati in tutta l’Europa orientale. In maggioranza erano Stati nazionali, cioè che riunivano al loro interno una nazione: solo la Cecoslovacchia e la Iugoslavia erano Stati multinazionali, ma abitati da popoli slavi affini.
In conseguenza della Prima guerra mondiale cambiò profondamente l’ordinamento politico di diversi Stati europei: la rivoluzione scoppiata in Russia (1917) e la sconfitta dell’Austria e dell’Impero Ottomano misero fine alle tre monarchie imperiali. Perciò mentre nel 1914 vi erano in Europa 17 monarchie e 3 repubbliche (Svizzera, Francia e Portogallo), nel 1919 vi erano 13 repubbliche e 13 monarchie. Queste ultime erano la Spagna, l’Italia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda (da cui si staccò la Repubblica d’Irlanda nel 1922), il Belgio, l’Olanda, la Danimarca, la Norvegia, la Svezia, la Iugoslavia, l’Albania, la Grecia, la Romania, la Bulgaria.
Erano repubbliche il Portogallo, la Francia, la Svizzera, l’Austria, la Germania (la cosiddetta Repubblica di Weimar, nata da una rivoluzione nel 1918), la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, la Finlandia, la Russia (dal 1922 URSS).
La Turchia, progettata sui resti dell’Impero Ottomano, fu inizialmente una monarchia, ma divenne una repubblica nel 1923.

I nuovi confini dell’Europa dopo le conferenze di pace (1919-1920)

Tutti i nuovi Stati nati al termine della Prima guerra mondiale adottarono costituzioni democratiche e negli Stati sconfitti si ebbero profonde trasformazioni politiche (come, ad esempio, nell’Unione Sovietica). In molti di questi Stati le donne ottennero il diritto di voto, cosa che avvenne anche negli Stati Uniti nel 1920; non fu così in Italia e in Francia.
In seguito all’estensione del suffragio, acquistarono un’importanza sempre maggiore i partiti di massa, che avevano una larga base popolare e non rappresentavano solo le classi superiori: tra questi vi erano i partiti di sinistra (socialisti e poi comunisti) e quelli cattolici.

È dopo la Grande Guerra che si formano dei veri e propri partiti di massa, contro i quali il potere eserciterà la repressione (come nella foto a Berlino nel 1920), o riuscirà a coinvolgerli – spesso passivamente – nelle loro “rivoluzioni” (come in Russia, Italia e Germania)

L’Italia ottenne molti territori:
- il Trentino, Trieste e Zara (in Dalmazia), che erano abitati in netta prevalenza da italiani;
- il Tirolo meridionale (Alto Adige), dove prevalevano i tedeschi;
- un vasto territorio, abitato da sloveni, a est del Friuli (la Venezia Giulia);
- l’Istria, dove vi erano molti italiani (il 36% nel 1910), ma anche molti croati (41%) e alcuni sloveni (14%);
- alcune isole in Dalmazia.
In questo modo l’Italia aveva ottenuto le terre abitate da italiani e altre su cui secondo il principio di nazionalità (per cui ogni nazione doveva costituire un proprio stato) non avrebbe avuto nessun diritto.
Nonostante questo una parte della borghesia nazionalista, che avrebbe voluto fare dell’Italia una potenza imperialista, considerò insufficienti i territori ottenuti e criticò i trattati di pace, dicendo che la vittoria era stata mutilata. Fu il poeta Gabriele D’Annunzio a coniare questa espressione: D’Annunzio, che assunse il ruolo di capo ideale dei nazionalisti italiani, guidò nel 1919 un contingente di militari ed ex-militari all’occupazione della città di Fiume, in Istria, posta allora sotto controllo internazionale. L’occupazione della città era stata progettata come mezzo di pressione sul governo italiano, impegnato nelle trattative di pace, ma si prolungò per molti mesi e si trasformò in una singolare esperienza politica con un governo provvisorio e una serie di rituali collettivi (adunate coreografiche, dialoghi fra il capo e la folla), che sarebbero più tardi stati ripresi e applicati in più larga scala dal fascismo. La “questione fiumana” venne risolta da Giolitti, ritornato al governo nel 1920, con il trattato di Rapallo (12 novembre 1920), che assegnava alla Iugoslavia la Dalmazia (tranne Zara e alcune isole) e faceva di Fiume uno Stato libero indipendente; poiché D’Annunzio e i nazionalisti rifiutarono il trattato, il governo italiano liberò Fiume con la forza.

Gabriele D’Annunzio parla ai suoi “legionari” a Fiume il 18 marzo 1920

La Prima guerra mondiale cambiò gli equilibri politici internazionali. La Germania venne ridimensionata nei suoi confini e privata delle colonie, l’Austria-Ungheria scomparve come grande potenza e per la Russia cominciò un periodo di crisi, legato alla rivoluzione.
Francia e Regno Unito ottennero le colonie tedesche e si divisero i domini dell’Impero Ottomano nel Medio Oriente, facendosi affidare dalla Società delle Nazioni (istituita nel 1920) questi territori come mandato, ossia in amministrazione temporanea di una colonia, in modo da poter controllare la produzione di petrolio: esso infatti stava acquistando un’importanza sempre maggiore come combustibile per i mezzi di trasporto.
La guerra aveva dimostrato che gli USA costituivano ormai un elemento determinante negli equilibri internazionali, ma negli anni successivi alla guerra gli Stati Uniti seguirono una politica isolazionista, intervenendo solo nell’America centro-meridionale. Sarà la Seconda guerra mondiale a spingere nuovamente gli Stati Uniti sulla scena internazionale.

Il 14 luglio 1919 la Festa della Repubblica Francese a Parigi diventa Festa della vittoria: i risarcimenti di guerra pretesi dalla Francia furono così alti, da essere giudicati da molti economisti difficilmente rimborsabili da parte della Germania



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