venerdì 12 maggio 2017

91 L'Europa sotto il dominio nazifascista


La Germania non era in grado di competere con le potenze riunite degli Stati Uniti, dell’URSS e dell’Inghilterra, però riuscì a resistere a lungo sfruttando le risorse minerali, alimentari e industriali, che venivano prese nell’Europa occupata e portate in Germania. A ciò va aggiunta la deportazione di manodopera lavorativa: nel 1942 giunsero in Germania 5 milioni di lavoratori stranieri (di cui solo un milione e mezzo costituito da prigionieri di guerra), che salirono a più di 8 milioni nel dicembre 1944, in maggioranza trasferiti a forza dai Paesi occupati.
Nel «nuovo ordine» europeo previsto da Hitler, la Germania non solo era al vertice della gerarchia economica e politica, ma doveva esserlo anche dal punto di vista sociale, con una evidente ideologia razzista. In fondo a questa piramide gerarchica c’erano gli slavi e gli ebrei: per i primi si prospettava il ritorno a una condizione di schiavi da impiegare nelle campagne, nelle miniere e in tutte le fatiche pesanti; per i secondi il loro completo sterminio.

 Operai in una fabbrica tedesca durante la Seconda guerra mondiale


All’occupazione tedesca e ai regimi nazifascisti si oppose una parte della popolazione, dando vita al fenomeno della Resistenza, che fu diversa da Paese a Paese, nelle forme in cui agì, negli obiettivi che si diede, negli aiuti che ricevette dall’estero (in particolare dagli Stati Uniti e dall’URSS).
Ci fu così una resistenza armata, formata da organizzazioni segrete di lotta, che agivano contro gli occupanti tedeschi e italiani (così come contro quelli giapponesi in Asia), con assalti alle truppe di occupazione, uccisione di soldati e di uomini di potere e sabotaggi contro le linee ferroviarie e i mezzi di comunicazione.

 Partigiani francesi in addestramento militare: il movimento di resistenza francese si chiamava maquis


In Germania la resistenza al regime nazista si manifestò già nei primi anni della dittatura hitleriana, soprattutto nelle fabbriche, dove gli operai organizzarono scioperi o svolgevano passivamente il proprio lavoro, finendo così nei campi di prigionia. In seguito ci furono altre forme di resistenza al nazismo, fino al fallito attentato contro Hitler del 20 luglio 1944 organizzato da diverse personalità politiche e militari. I tedeschi condannati a morte per attività contro il regime nazista arrivano secondo alcuni dati a 40.000 circa.

 Hitler mostra a Mussolini i danni provocati dalla bomba che doveva uccidere il führer


Ci fu anche una resistenza non violenta: stampa di volantini, opuscoli e giornali di propaganda antitedesca; organizzazione di manifestazioni e di scioperi; sabotaggio della produzione industriale, soprattutto di armi. Nella diffusione di volantini e giornali, o nel trasporto di materiale e ordini, si impegnarono anche numerose donne. Nella Polonia smembrata dalla Germania a ovest e dall’Unione Sovietica a est, dove gli occupanti abolirono le strutture scolastiche, i polacchi resistenti crearono un insegnamento clandestino che arrivava sino all’università. Anche aiutare gli ebrei a nascondersi, come fecero molti in tutta Europa, fu una forma di resistenza.
La repressione tedesca a qualsiasi forma di resistenza fu durissima: i partigiani (cioè coloro che resistevano contro i tedeschi) erano considerati banditi e se fatti prigionieri venivano condannati a morte: spesso i loro cadaveri venivano esposti pubblicamente per giorni, affinché servissero da monito contro altri resistenti, o anche contro la popolazione che a volte aiutava i partigiani.

I 31 partigiani che vennero impiccati a Bassano del Grappa (Vicenza) il 26 settembre 1944 e rimasero esposti per 20 ore

I Tedeschi stabilirono inoltre che per ogni soldato tedesco ucciso, dovevano essere giustiziati dieci o più cittadini, scelti a caso: nel marzo del 1945, dopo un attentato contro il capo della polizia tedesca in Olanda, furono fucilati 400 olandesi.
Anche l’esercito italiano effettuò feroci rappresaglie (= azioni di vendetta) in Iugoslavia, Albania e Grecia, fucilando ostaggi, saccheggiando e distruggendo paesi.
All’interno di ogni Stato occupato alcuni cittadini scelsero di collaborare con i tedeschi. Il collaborazionismo fu un fenomeno diffuso in tutta Europa: alcuni collaborarono con gli occupanti perché ne condividevano le idee, ad esempio l’anticomunismo; altri lo fecero per raggiungere i propri obiettivi politici, ad esempio per imporre all’interno dello Stato il dominio di una popolazione sulle altre (come avvenne in Iugoslavia, dove durante la guerra esplosero le tensioni tra Serbi e Croati); molti per ricavarne vantaggi personali, raggiungere una posizione di potere o anche solo avere maggiori possibilità di sopravvivere.
Molti, e furono la maggioranza, non si impegnarono nella Resistenza, ma non collaborarono neppure con il nemico, mirando esclusivamente a sopravvivere in attesa che la guerra finisse: questa posizione è detta attendismo.

Alcuni francesi che aderirono alla “Legione volontaria contro il bolscevismo” istituita dai tedeschi nel 1941, poco dopo l’inizio dell’operazione Barbarossa contro l’URSS

In Europa la guerra provocò molti più morti e danni di tutte le guerre precedenti, soprattutto tra la popolazione civile. Non si trattò solo della repressione tedesca e del razionamento nella vendita dei generi alimentari, che provocò ovunque fame e miseria: il maggior numero di morti fu dovuto ai bombardamenti aerei e allo sterminio nei lager.
I bombardamenti sia tedeschi sia degli alleati, venivano effettuati preferibilmente di notte, quando i bombardieri correvano meno rischi di essere abbattuti dalla contraerea. Essi non colpivano solo obiettivi militari, perché, a causa dell’oscurità, era difficile raggiungere e colpire un obiettivo preciso.
Si preferì perciò adottare il bombardamento a tappeto sulle città, grandi obiettivi facilmente raggiungibili anche quando veniva imposto l’oscuramento, ossia l’eliminazione nelle ore serali e notturne di ogni fonte di luce (illuminazione pubblica o casalinga, fari delle automobili, luci nei cimiteri, eccetera) che doveva servire appunto a proteggere la città dagli attacchi aerei.

Un avviso del 1940 di oscuramento totale italiano

All’arrivo dei bombardieri (segnalato da lugubri sirene) la popolazione correva nei rifugi antiaerei, costruiti in diverse città. Coloro che potevano, sfollarono nelle campagne, meno esposte ai bombardamenti: il numero degli sfollati, cioè di coloro che si erano allontanati dai luoghi molto popolosi o a forte rischio di attacco nemico (ad esempio, in Italia, le città industriali di Torino, Milano, Genova) fu assai alto.
Malgrado queste misure, i bombardieri fecero moltissime vittime: un solo bombardamento statunitense su Tokyo (9 marzo 1945) provocò oltre 80.000 morti. Migliaia furono i morti dovuti ai bombardamenti alleati su città tedesche come Lubecca, Dresda, Colonia, Amburgo, Berlino: il numero dei morti non è mai stato conteggiato esattamente, poiché molti furono disintegrati dalle esplosioni e i resti umani rinvenuti sono stati parziali. Inoltre le cifre rese note all’epoca erano generalmente gonfiate a scopi propagandistici.

La città di Colonia com’era nel 1945 dopo una serie di bombardamenti

Nei primi anni della guerra le truppe italiane controllavano alcune regioni della penisola Balcanica e anche qui si sviluppò una forte resistenza contro l’occupazione, alla quale anche gli italiani, come i tedeschi, risposero con feroci rappresaglie contro la popolazione civile, che spesso appoggiava i partigiani.
La repressione da parte dell’esercito italiano fu particolarmente feroce in Slovenia: circa 35.000 sloveni furono deportati e rinchiusi in campi di concentramento, in cui le condizioni di vita non erano molto diverse da quelle dei lager tedeschi: nel solo campo dell’isola di Arbe (Rab) morirono circa 4.500 persone, di cui molte per denutrizione, e complessivamente dei 35.000 deportati almeno 7.000 non sopravvissero alla prigionia.

Un uomo nel campo di concentramento italiano di Arbe

Prima della guerra i tedeschi avevano scacciato dalla Germania molti degli ebrei che vi abitavano, ma la fulminea espansione tedesca portò sotto dominio tedesco milioni di ebrei presenti in tutta Europa. In tutti i territori occupati gli ebrei furono costretti a portare una stella di Davide (a sei punte) gialla cucita sugli abiti, che li rendeva immediatamente riconoscibili e i loro diritti vennero fortemente limitati.

Una coppia di ebrei con la stella di Davide a Budapest nel 1945

I tedeschi progettarono per ciò la “soluzione finale” della questione ebraica: lo sterminio completo degli ebrei. Durante l’invasione dell’URSS gli ebrei vennero spesso massacrati non appena le truppe tedesche occupavano una nuova regione (tra 800.000 e un milione di ebrei sovietici assassinati tra il giugno 1941 e il gennaio 1942); altri invece vennero utilizzati nella costruzione di grandi opere pubbliche (ad esempio strade), in condizioni talmente dure che molti morivano, mentre i sopravvissuti venivano eliminati al termine dei lavori.
In Polonia, dove era maggiore il numero di ebrei, tutti gli ebrei furono progressivamente rinchiusi in ghetti, in particolare nelle due città che già avevano una consistente popolazione giudaica, Varsavia e Łódź: in questi due ghetti, del tutto isolati dal mondo esterno, vennero portati anche gli ebrei di altre regioni. Qui essi vennero utilizzati in lavori forzati per l’industria tedesca. Le razioni di cibo vennero ridotte fino oltre il limite di sopravvivenza, per cui moltissimi morirono di fame, oltre che per le malattie dovute alle condizioni igieniche spaventose e al sovraffollamento: a Łódź i morti furono oltre 45.000.

Il ghetto di Łódź nel 1940-41, con un soldato tedesco e un uomo ebreo che dirigono la folla nel transitare da una parte all’altra del ghetto; il cartello dice “Area residenziale giudaica. Vietato entrare”

Progressivamente però i ghetti vennero chiusi e i loro abitanti deportati nei campo di concentramento, dove trovarono la morte. Quando i nazisti decisero di chiudere il ghetto di Varsavia e di deportarne la popolazione, scoppiò una rivolta, che i nazisti repressero distruggendo l’intero ghetto (19 aprile – 16 maggio 1943) e provocando la morte di altri 56.000 ebrei.

Una celebre foto del 1943 scattata nel ghetto di Varsavia

APPROFONDIMENTO:
Canti dell'antifascismo e della Resistenza

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