giovedì 11 maggio 2017

90 Lo scoppio della Seconda guerra mondiale


Dopo l’annessione dell’Austria al Reich tedesco (marzo 1938) e dopo la conquista della Cecoslovacchia, smembrata in un protettorato di Boemia e Moravia e in una Slovacchia, entrambi sottomessi alla Germania (marzo 1939), nell’estate del 1939 Hitler cominciò a preparare l’invasione della Polonia. La conquista di questo Stato, nato dopo la Prima guerra mondiale, era un obiettivo importante per la Germania: la Polonia, infatti, oltre a comprendere anche regioni un tempo tedesche (Posnania, Pomerania), divideva il territorio tedesco della Prussia orientale dal resto della Germania.
L’aggressività tedesca (e quella italiana, che nell’aprile 1939 s’impadronì dell’Albania) non trovò nell’Inghilterra e nella Francia una valida opposizione (le due nazioni credevano ancora che la spinta tedesca si potesse contenere pacificamente), tanto che Hitler riteneva i due stati, quelli che maggiormente avrebbero potuto contrastare le sue mire, incapaci di qualunque resistenza; lo preoccupava molto di più l’URSS, che, data anche la contiguità alla Polonia, poteva portare un aiuto immediato allo Stato che divideva la Russia dalla Germania. Per questo nell’agosto del 1939 Hitler firmò con Stalin un patto di non aggressione (detto patto Ribbentrop-Molotov, dal nome dei due primi ministri tedesco e sovietico), che prevedeva che le regioni perse dalla Russia nel 1917-1918 sarebbero state in gran parte restituite all’URSS, la quale in compenso non sarebbe intervenuta contro la Germania.

La firma del patto di non aggressione tra Hitler e Stalin del 1939, con i primi ministri Ribbentrop (a sinistra) e Molotov (seduto) alla presenza di Stalin

Hitler attaccò la Polonia il 1 settembre 1939; il 3 settembre Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania; il 5 Usa e Giappone proclamarono la propria neutralità. Ebbe così inizio la Seconda guerra mondiale, il conflitto con il numero maggiore di vittime mai combattuto nella storia dell’umanità.

In una strada di Londra un uomo vende l’edizione straordinaria di un quotidiano con la notizia della dichiarazione di guerra inglese alla Germania (settembre 1939)

I tedeschi effettuavano azioni molto rapide ed efficaci, utilizzando tutte le forze disponibili ed in particolare quelle aeree: i bombardamenti costringevano l’esercito nemico a ritirarsi, rendendo così possibile una rapida avanzata delle truppe e dei mezzi corazzati. Questa tecnica militare, detta guerra-lampo, permise alla Germania di conquistare gran parte dell’Europa senza affrontare una lunga guerra, che non sarebbe stata in grado di sostenere da un punto di vista economico e materiale.
Una guerra di logoramento (il contrario della guerra-lampo) non avrebbe permesso a Hitler di affrontare un nemico che poteva contare sul possesso di molte materie prime necessarie ad alimentare il conflitto: il carbone per la produzione industriale; la benzina per i trasporti; il cotone per gli esplosivi; la lana, il ferro, la gomma, il rame, il nichel, il piombo, la glicerina, la cellulosa, il mercurio, il platino, il manganese, l’acido nitrico, lo zolfo per le armi e le munizioni.
Di qui la necessità per la Germania di fare in fretta: l’esercito tedesco conquistò la Polonia in poche settimane (settembre-ottobre 1939), malgrado la disperata resistenza polacca; poi invase la Danimarca e la Norvegia (aprile 1940).

Soldati tedeschi divelgono le sbarre al confine tedesco-polacco dopo l’invasione della Polonia

Nel frattempo l’URSS, che aveva chiesto alla Finlandia la cessione dell’istmo di Carelia come punto strategico contro la Germania e ne aveva ricevuto un diniego, dichiarò guerra allo stato scandinavo, sconfiggendolo nel marzo 1940.
Ora Hitler poteva occuparsi del fronte occidentale, dove Francia e Inghilterra non erano riuscite a trovare un vero intento offensivo antitedesco: consideravano ancora possibile arrivare ad una “pace” con Hitler, magari a spese dell’URSS, verso la quale il sentimento anticomunista era più forte di quello antinazista. Il 10 maggio 1940 l’esercito tedesco invase il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo, violando, come era successo con la Prima guerra mondiale, la neutralità di questi stati; entro giugno l’esercito francese venne sconfitto, con una guerra-lampo che aveva portato le divisioni della Wehrmacht ad entrare in Francia attraverso le Ardenne e a bloccare il nemico, chiudendolo in una sacca lungo il Canale della Manica.

Un medico della Wehrmacht (le forze armate tedesche) soccorre un ferito in Francia nel giugno 1940

Il 22 giugno la Francia dovette firmare l’armistizio, che prevedeva il passaggio sotto il controllo tedesco dei tre quinti del territorio francese, con le spese dell’occupazione interamente a carico degli sconfitti; inoltre, un milione e mezzo di prigionieri di guerra vennero trattenuti come pegno nei campi di lavoro in Germania. La Francia centromeridionale, con capitale Vicky e un governo guidato dal maresciallo Pétain, rimaneva “indipendente”, ma collaborazionista: in pratica, alleata della Germania.

Carta della Francia durante la seconda guerra mondiale

Il successo tedesco fu tanto rapido che la guerra sembrò sul punto di finire. L’Italia si trovava in condizioni di inferiorità rispetto all’alleato tedesco: non aveva scorte militari sufficienti, le armi leggere e le mitragliatrici in dotazione all’esercito erano ancora quelle del Primo conflitto, i carri pesanti e gli aerei erano pochi e tecnologicamente superati; solo la marina era decentemente efficiente, però pativa la mancanza di un coordinamento con l’aviazione. Mussolini, che inizialmente aveva dichiarato di non poter permettersi una guerra prima del 1943, si sentì obbligato a intervenire, se non voleva rimanere escluso da qualsiasi conquista territoriale: il 10 giugno 1940 dichiarò guerra alla Francia e la prima operazione bellica avvenne tra il 21 e il 24 giugno, con quella ingloriosa «guerra dei tre giorni», che portò le truppe italiane ad attaccare senza esiti brillanti un esercito francese già sconfitto dai tedeschi: un’esigua striscia di territorio francese (fino a Mentone) passò all’Italia, che perse in quei tre giorni 59 ufficiali e 572 soldati, mentre altri 4.600 soldati rimasero feriti o congelati.

Soldati italiani

Nell’estate 1940 scoppiava la guerra in Africa e l’Italia, che vi partecipò con un’assoluta impreparazione militare, venne sconfitta dagli Inglesi, perdendo 140.000 uomini. In ottobre Mussolini lanciò un attacco contro la Grecia muovendo dall’Albania, ma anche qui senza ottenere risultati positivi e dimostrando che per l’Italia la guerra-lampo era impraticabile. La Germania intervenne occupando la Iugoslavia e la Grecia (aprile 1941): l’Italia ottenne l’annessione della Slovenia e un protettorato sul Montenegro, venne creato un Regno di Croazia affidato al ramo cadetto dei Savoia, gli Aosta, e la Grecia fu sottoposta a un regime congiunto, italo-tedesco, di occupazione militare.

La bandiera nazista viene issata sull’Acropoli di Atene nel 1941

Mentre l’esercito tedesco dilagava in Europa, solo l’Inghilterra resisteva. La guerra aerea tra l’Inghilterra e la Germania (i previsti piani di sbarco tedesco nell’isola non diventarono mai operativi, poiché la marina inglese non perse mai il dominio del mare) si ampliò nel luglio con i bombardamenti sulle città inglesi, Londra compresa, fino alla distruzione in novembre di Coventry e di Birmingham (dal massiccio bombardamento che rase al suolo Coventry, è derivato il termine “coventrizzare”, col significato appunto di distruggere totalmente mediante bombardamento aereo).

Il primo ministro inglese Winston Churchill tra le rovine della cattedrale di Coventry nel 1941

Gli inglesi, isolati e costretti alla difensiva, non erano in grado di fermare l’avanzata tedesca in Europa: dopo una serie di accordi diplomatici che Hitler firmò con la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria (che divennero suoi «Stati satelliti»), nell’estate del 1941 la Germania controllava quasi tutta l’Europa e poteva perciò dare il via al «piano Barbarossa» contro l’URSS.
L’accordo con l’Unione Sovietica, che era servito alla Germania nazista per poter invadere la Polonia senza il rischio di un intervento sovietico, non poteva durare: i progetti di espansione di Hitler non potevano essere realizzati senza sconfiggere l’URSS. Da una parte il governo sovietico non poteva accettare un’ulteriore espansione della Germania ad oriente, dall’altra per Hitler quelle terre erano uno spazio vitale, necessario alla popolazione tedesca in crescita: i popoli slavi, considerati inferiori, sarebbero stati ridotti in schiavitù, trasferiti altrove o sterminati.
Perciò nel giugno 1941 la Germania invase l’Unione Sovietica, contando di vincere rapidamente. Tre milioni di uomini attaccarono l’URSS lungo tre direttrici: in Ucraina, sul Baltico e direttamente verso Mosca. In un primo tempo l’avanzata fu rapida, tanto che i Tedeschi riuscirono a strappare ai Russi il 36% dei loro territori coltivati, il 33% della produzione agricola, il 55% del carbone, il 60% del ferro e dell’acciaio. Ma quando arrivò l’inverno, che rendeva difficili i collegamenti e le operazioni militari, i tedeschi dovettero fermarsi e nel dicembre l’esercito russo contrattaccò. La guerra-lampo si trasformò in una guerra di logoramento.

Soldati tedeschi sul confine russo nel giugno 1941

Il governo fascista mandò un corpo di alpini in appoggio alle truppe tedesche in URSS: essi si trovarono a combattere nelle grande pianura russa, un ambiente del tutto diverso dalle montagne in cui erano stati addestrati a muoversi. La sorte di queste truppe fu drammatica: circa metà dei 220.000 uomini inviati da Mussolini non fece ritorno a casa.

Soldati italiani in ritirata nel gelo dell’inverno russo (1943)

Nel dicembre del 1941 si verificò anche un altro avvenimento decisivo: l’ingresso in guerra del Giappone, a cui seguì quello degli Stati Uniti. Il Giappone aveva iniziato da tempo la sua espansione in Asia, sostenuta sia dai governi ancorati al culto nipponico per il passato e a una politica antioccidentale (espressa dallo slogan «l’Asia agli asiatici»), sia da gruppi industriali e finanziari aggressivi, potenti e moderni. Nel 1937 c’era stata l’aggressione alla Cina; nel 1940 l’occupazione dell’Indocina francese; nel luglio 1941 quella dell’Indonesia meridionale. Il primo dicembre 1941 il governo giapponese decise di attaccare gli Stati Uniti, cosa che avvenne il 7 dicembre, quando l’aviazione nipponica attaccò di sorpresa la flotta statunitense all’ancora nel porto di Pearl Harbor (nelle Hawaii): tutte le 88 navi statunitensi vennero colpite, 230 aerei distrutti, più di 4.000 uomini uccisi. Immediato fu l’ingresso in guerra degli Stati Uniti contro il Giappone e poi la Germania.

Navi della marina statunitense colpite dai Giapponesi a Pearl Harbor

Dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti la guerra continuò ancora per quasi quattro anni: ci volle infatti molto tempo prima che gli Stati Uniti si armassero, e inizialmente gli aerei e i sottomarini tedeschi riuscirono a ostacolare le comunicazioni tra Stati Uniti e Inghilterra, rallentando l’arrivo degli aiuti statunitensi. Perciò per alcuni anni gran parte dell’Europa rimase sotto occupazione tedesca, come pure parte dell’Africa settentrionale (1941-1942).
In Asia il Giappone colse altri spettacolari successi: conquistò, in seguito a bombardamenti aerei e a invasioni terrestri, Hong Kong e la Tailandia, poi Manila nelle Filippine, Singapore, la Malesia, la Birmania, Giava, Sumatra. Dalla Birmania i Giapponesi premevano verso l’India e dalla Nuova Guinea minacciavano l’Australia.
La guerra iniziata nel 1939 era divenuta nuovamente, come 25 anni prima, una guerra mondiale.

Un bombardiere americano sorvola una postazione giapponese nel 1943



Nessun commento:

Posta un commento