giovedì 10 marzo 2016

76 Il colonialismo nel XIX secolo

IL COLONIALISMO NEL XIX SECOLO

All'inizio dell'Ottocento, dopo l'indipendenza dell'America centro-meridionale, solo l'Inghilterra e la Russia possedevano un vasto impero coloniale. L'Impero Russo comprendeva un esteso territorio nell'Asia centrale e settentrionale (oltre all'Alaska, in America, che venne poi venduta agli USA nel 1867), mentre l'Inghilterra aveva colonie in tutti i continenti.
Le colonie inglesi erano di due tipi: colonie di popolamento e colonie di sfruttamento.
Nelle colonie di popolamento (Canada, Australia e Nuova Zelanda) la popolazione di origine europea divenne numerosa, per l'immigrazione dalle Isole Britanniche, mentre gli indigeni (le popolazioni originarie) furono in gran parte sterminati e costretti a cedere le loro terre ai coloni: in Tasmania, un'isola a sud dell'Australia, si ebbe un completo genocidio, con vere e proprie cacce all'uomo, e l'ultimo indigeno della Tasmania morì nel 1876. Queste colonie, popolate ormai in maggioranza da inglesi, ottennero un'ampia autonomia (il Canada nel 1867 – vedi lezione n° 73 – l'Australia nel 1901) e formarono Stati di tipo europeo.

Un mural a Melbourne (Australia) in ricordo dello sterminio degli aborigeni

Nelle colonie di sfruttamento la quasi totalità della popolazione era formata da indigeni e i coloni inglesi erano solo una minoranza. Queste colonie, tra cui la principale era l'India, fornivano all'Inghilterra materie prime e un mercato per i prodotti industriali, ma anche uomini da arruolare nell'esercito, che gli inglesi utilizzarono per la loro espansione coloniale.

Una nave a vapore inglese a Calcutta all’inizio del Novecento

Le altre potenze europee possedevano territori in altri continenti, ma si trattava di aree non molto estese: solo dopo il 1880 Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Italia avviarono una massiccia espansione coloniale, che in trent'anni assicurò il dominio europeo su tutta l'Africa, sull'Oceania e su gran parte dell'Asia. A questa espansione parteciparono anche il Giappone (conquista di Formosa, oggi Taiwan, e della Corea) e gli USA (conquista di territori spagnoli, tra cui le Filippine, e di isole nel Pacifico). Questa tendenza a conquistare territori e formare un vasto impero è detta appunto imperialismo.

I possedimenti coloniali europei all’inizio del ‘900

La conquista di nuovi territori aveva motivi economici: essi potevano fornire materie prime a basso prezzo, manodopera costretta a lavorare gratuitamente, mercati per la vendita dei prodotti industriali.
L'imperialismo dipese anche dal desiderio di ottenere una posizione di prestigio, per presentarsi come una nazione più potente delle altre: il nazionalismo, come viene chiamato questo modo di pensare, era molto forte in Europa.

La raccolta dell’avorio in Africa in un’incisione del XIX secolo

L'espansione coloniale, come tutte le guerre, poteva servire anche per distrarre l'opinione pubblica dai problemi interni: l'attacco francese ad Algeri (1830) fu progettato proprio a questo scopo, anche se non fu sufficiente a evitare la rivoluzione del 1830.
Gli europei giustificarono il colonialismo, sostenendo che essi portavano ai popoli selvaggi dell'Africa e dell'Asia la civiltà, il progresso e tutte le conquiste della scienza: essi affermavano di aver cioè una missione civilizzatrice da compiere. Gli europei del XIX secolo si consideravano diversi dagli altri popoli e superiori per razza, religione e cultura, perciò ritenevano naturale e inevitabile il loro dominio sul mondo.

Una vignetta satirica pubblicata dal “Fischietto” (gennaio 1886) raffigura le potenze europee che portano la civiltà nei Paesi colonizzati

Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia opposero una tenace resistenza all'invasione europea, perché non volevano perdere la propria indipendenza.
Anche dopo la conquista ci furono numerose rivolte, come quella dei sepoys (i reggimenti dell'esercito indiano composti dalla popolazione locale) in India tra il 1857 e il 1858.
Gli europei erano però economicamente e militarmente più forti, grazie allo sviluppo industriale e ai progressi tecnici, che avevano portato alla produzione di armi più distruttive. Fu per loro facile vincere le guerre e soffocare le rivolte. Le popolazioni africane e asiatiche riuscirono a conservare la loro libertà solo in rari casi.

Illustrazione raffigurante la rivolta dei sepoys (o ammutinamento indiano) contro la Gran Bretagna

La spartizione coloniale dell'Asia e soprattutto dell'Africa avvenne senza tener conto in alcun modo dei popoli che venivano sottomessi: i confini decisi dai colonizzatori in qualche caso divisero uno stesso popolo in possedimenti coloniali diversi, o unirono in un medesimo territorio popolazioni nemiche.
La maggior parte dei territori conquistati furono organizzati in colonie di sfruttamento, nelle quali le popolazioni indigene furono costrette a lavorare per gli europei. Le compagnie europee sfruttarono le miniere, installarono piantagioni sulle terre più fertili, disboscarono le foreste per procurarsi legname. Per sfruttare i territori vennero costruite strade e ferrovie, che permettevano di raggiungere rapidamente i porti, da dove le materie prime venivano imbarcate per l’Europa e i manufatti europei partivano per i villaggi dell’interno. Le attività artigianali locali furono ostacolate o anche eliminate, per assicurare la vendita dei prodotti europei.
In Africa vi furono anche colonie di popolamento, soprattutto nell’Africa settentrionale, dove nel 1914 c’erano oltre due milioni di europei residenti: francesi, italiani, spagnoli, greci.
Tra gli Stati europei nascevano spesso contrasti per il controllo dei territori coloniali e il diffuso nazionalismo rendeva molto forti le tensioni tra gli Stati. Perciò le potenze europee arrivarono più volte sull’orlo di una guerra.

Una carovana francese attaccata da ribelli marocchini in un’illustrazione del “Petit Journal” del 1903: l’occupazione francese del Marocco creò una grave frizione con la Germania

Per non trovarsi isolati in una possibile guerra, gli Stati europei che avevano interessi comuni si unirono in alleanze politico-militari: la Triplice Alleanza, che riuniva Germania, Austria-Ungheria e Italia (1882), e la Triplice Intesa, che legava Francia, Inghilterra e Russia (1904 e 1907).
L’alleanza tra Francia, Inghilterra e Russia portò a un accerchiamento della Germania, i cui territori confinavano a est con la Russia e a ovest con la Francia; così pure le colonie tedesche erano attorniate dai domini coloniali inglesi e francesi. Il governo tedesco vide in questo accerchiamento una minaccia per la Germania e tra il 1904 e il 1914 le tensioni esistenti in Europa aumentarono fino a provocare lo scoppio della Prima guerra mondiale.


Il colonialismo europeo modificò enormemente la situazione politica extra-europea: l’America, che fino al 1776 era interamente sotto controllo europeo, alla fine del XIX secolo era costituita da Stati quasi tutti indipendenti; l’Africa e l’Asia, dove fino a metà Settecento i domini europei erano limitati, erano passate in gran parte sotto controllo europeo.
A controllare l’Africa (a eccezione dell’Etiopia), gran parte dell’Asia e l’Oceania erano poche potenze europee: Inghilterra e Francia in primo luogo, poi Russia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, e, in misura ancora minore, Italia, Spagna e Portogallo.
L’altra grande potenza mondiale, Gli Stati Uniti d’America, possedeva solo alcuni territori (tra cui le isole Filippine in Asia e Puerto Rico in America, tolte alla Spagna nel 1898).

Illustrazione del 1885, contemporanea all’avvenimento rappresentato: la presa di Lang Son (nell’attuale Vietnam) da parte dell’esercito francese

In Asia rimanevano ancora alcuni Stati indipendenti, tra cui tre (Cina, Giappone e Impero Ottomano) avevano una certa importanza economica e politica a livello internazionale.
Il Giappone rifiutò a lungo ogni contatto con l’Europa, mantenendo i porti chiusi alle navi europee, ma tra il 1853 e il 1854 una flotta statunitense impose al Giappone l’apertura di relazioni commerciali con gli stati Uniti, a cui seguirono trattati commerciali anche con Gran Bretagna e Francia (1858). L’ingresso del Giappone nel circuito dell’economia mondiale cambiò profondamente la sua società e la sua economia: il Giappone esportava tè, cotone e soprattutto seta greggia, e importava prevalentemente tessuti di lana e di cotone.
In seguito all’apertura al commercio con gli europei e gli statunitensi, cambiò anche la politica del Paese asiatico che conobbe un profondo rinnovamento. L’imperatore riprese il potere (1867), che per secoli era rimasto in mano a funzionari chiamati shogun: gli storici parlano perciò di restaurazione Meiji, cioè ripresa del potere da parte dell’imperatore Mutsuhito, che prese il nome di Meiji, l’illuminato. Vennero allora chiamati esperti europei per avviare lo sviluppo industriale, costruire ferrovie e rinnovare la marina militare. Nel 1889 venne promulgata una costituzione, che trasformava l’Impero in una monarchia parlamentare, ma lasciava un grande potere all’imperatore.

L’imperatore Mutsuhito nel 1888; fu imperatore dal 1867 al 1912; in Giappone viene chiamato solo con il suo nome postumo, Meiji Tennō

Per il Giappone incominciò un periodo di crescita economica e politica, che lo portò ad avviare un’espansione in Asia (annessione di Taiwan, 1895; della Corea, 1910). In questa espansione il Giappone si scontrò con le principali potenze della regione, la Cina (1895) e la Russia (1905), e le sconfisse entrambe, dimostrando di essere ormai una grande potenza.

La presa del Forte di Chinchow (1894) di Kobayashi Kiyochika: la creazione di un esercito moderno con armamento occidentale era uno dei primi obiettivi della restaurazione Meiji

L’apertura del Giappone all’Europa segnò anche, sul piano culturale, il diffondersi nel nostro continente del “giapponismo”, ossia della passione per l’arte giapponese, in particolare delle stampe e soprattutto di quelle del tipo ukiyo-e, che influenzò moltissimi artisti europei.

La grande onda di Kanagawa (1830 circa) di Katsushika Hokusai, forse la stampa giapponese più conosciuta in Occidente

La Cina aveva raggiunto nel Settecento, sotto la dinastia manciù dei Qing, la sua massima estensione. Nell’Ottocento ebbe però inizio un periodo di crisi e di rivolte interne, mentre gli europei riuscivano a ottenere con la guerra prima l’apertura dei porti e alcune basi commerciali, poi il controllo di diversi territori.
La sconfitta subita nella guerra contro il Giappone (1894-1895) e la presenza delle grandi potenze europee e degli USA provocarono un forte malcontento popolare, che esplose in rivolte (rivolta dei Boxer, 1899-1900) e poi, nel 1911, portò a una rivoluzione. Il giovane imperatore fu deposto, fu proclamata la repubblica e si aprì un periodo di scontri tra diverse fazioni che miravano a conquistare il potere.

Anche l’Impero Ottomano era in crisi, per le sconfitte subite nelle guerre in Europa e per l’occupazione dell’Egitto da parte dell’Inghilterra nel 1882. La crisi favorì la disgregazione dell’Impero in Europa e in Africa: l’Italia conquistò la Libia (1911-1912), ultimo dominio turco in Africa; alcuni Stati della penisola Balcanica (Serbia, Grecia, Montenegro e Bulgaria) sconfissero l’Impero (1912-1913) e gli tolsero tutti i possedimenti europei, a eccezione della Tracia (la regione di Istanbul e degli stretti).
La crisi favorì un certo rinnovamento all’interno dell’Impero, anche per l’azione del gruppo politico dei Giovani Turchi: la loro rivolta (1908) costrinse il sultano a concedere una costituzione.

Il nazionalismo dei Giovani Turchi portò a una feroce repressione delle minoranze esistenti all’interno dei domini turchi, culminata nello sterminio degli Armeni: oltre un milione e mezzo di armeni vennero massacrati tra il 1894 e il 1918.

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