mercoledì 14 ottobre 2015

68 Europa e Nord America nella prima metà dell'Ottocento



EUROPA E NORD AMERICA NELLA PRIMA METÀ DELL’OTTOCENTO

Nel periodo della Restaurazione i governanti dei vari Stati europei cercano di far rivivere le condizioni esistenti prima della rivoluzione francese e di Napoleone, ricorrendo spesso alla repressione attuata dalle proprie forze di polizia; però la loro azione è destinata al fallimento, non solo per l’opposizione netta della borghesia, ma anche perché sia in Europa sia nel Nord America diverse e profonde trasformazioni stanno avvenendo in campo economico e sociale.
Le industrie tessili, che erano comparse in Inghilterra nel Settecento, incominciarono a diffondersi negli U.S.A. e negli Stati europei più ricchi: qui infatti c’erano maggiori capitali, che potevano essere investiti nella costruzione di fabbriche e nell’acquisto delle macchine necessarie per la produzione. Di conseguenza Stati Uniti, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svizzera divennero anch’essi Stati industrializzati, anche se a livelli ancora molto inferiori a quelli inglesi.
Soltanto nella seconda metà dell’Ottocento l’industrializzazione di questi Paesi fu così ampia, da far parlare gli storici di una “seconda rivoluzione industriale”.

La città borgognone di Le Creusot nel 1847; la Francia fu, dopo l’Inghilterra, il primo Stato europeo a conoscere una forte industrializzazione

Nel primo Ottocento vi fu un’innovazione destinata a trasformare profondamente la società in Europa e negli U.S.A.: l’invenzione della locomotiva, nel modello di Stephenson del 1814. Con la locomotiva nacque il treno, dapprima utilizzato per il trasporto delle merci e poi (1825) per quello dei passeggeri. Nel 1830 fu completato il primo collegamento ferroviario tra le città inglesi di Liverpool e Manchester.

La prima ferrovia inglese tra Liverpool e Manchester: in alto un convoglio di prima classe, 
in basso uno di seconda classe

Gli Stati fecero grandi investimenti per realizzare una rete ferroviaria, che permetteva trasporti più rapidi a costi inferiori e non si preoccuparono minimamente delle grandi trasformazioni del paesaggio (spesso negative) che derivavano dalla costruzione di chilometri di binari. Negli Stati Uniti le ferrovie, che vennero costruite nella seconda metà del XIX secolo, attraversavano spesso i territori dei nativi americani, i quali non vedevano di buon occhio quei treni che attraversavano le praterie sbuffando fumo dalle locomotive e spaventando le mandrie di bisonti che erano fondamentali per il loro sostentamento.

L’apertura della ferrovia da Darlington a Stockton nel 1825 (stampa di J.R. Brown del 1888)

Intanto l’applicazione della macchina a vapore stava trasformando la navigazione: i battelli a vapore, in grado dal 1819 di attraversare anche l’oceano, affiancarono i velieri, per poi sostituirli del tutto prima della fine del secolo.
Il treno e i battelli a vapore portarono a un grande sviluppo del commercio nazionale e internazionale, perché mentre prima trasportare un prodotto in una località lontana richiedeva grandi spese, ora i costi di trasporto si ridussero. Perciò i prezzi divennero più simili, sia all’interno di ogni Stato, sia anche all’interno dell’Europa, perché se un prodotto costava molto di più in una regione, esso veniva fatto arrivare dalle regioni in cui costava di meno.

Velieri e battelli di metà del XIX secolo

In ogni regione perciò vennero abbandonate le produzioni (agricole e industriali) che non erano competitive (cioè che non reggevano la concorrenza) e ci fu una specializzazione produttiva: in ogni regione si investiva soprattutto nella produzione di quei prodotti agricoli e industriali che era possibile produrre a bassi costi e poi vendere anche in altre regioni e in altri Stati.
Lo sviluppo delle industrie e della rete ferroviaria in alcuni Stati ne favorì la crescita economica, mentre gli Stati che non avevano industrie e ferrovie rimasero fortemente arretrati. Si creò perciò una differenza sempre più forte tra le regioni e gli Stati industrializzati, che accumularono grandi ricchezze, e quelli più poveri, in cui non vi era sviluppo e in cui potevano verificarsi ancora annate di scarso raccolto, che portavano alla miseria e alla morte per fame intere popolazioni, come accadde in Irlanda, con la grande carestia del 1845-1847, che causò oltre 700.000 morti.

Un’illustrazione del 1900 di autore sconosciuto sulla grande carestia irlandese

Nei Paesi industrializzati l’asse della produzione di spostò dalla campagna alla città, determinando un progressivo incremento della popolazione urbana e un calo della popolazione rurale.
Anche la società degli Stati industrializzati si modificò profondamente. Si formò una borghesia di proprietari di industrie, banche, miniere e imprese commerciali, che controllava l’economia e accumulava grandi ricchezze. Divennero  numerosi anche gli impiegati, che lavoravano sia nelle imprese commerciali e nelle banche, sia nell’amministrazione pubblica, mentre diminuì sensibilmente il numero dei contadini e degli artigiani e la nobiltà perse definitivamente il proprio potere economico.
Nelle città vi fu un grande aumento del numero di operai che lavoravano nelle fabbriche e di minatori nelle miniere. Essi formavano un proletariato urbano sempre più numeroso, ma poiché vivevano in condizioni di grande povertà (dato che allora la borghesia non aveva limiti nello sfruttamento del lavoro operaio), era più che naturale che essi cercassero di organizzarsi per migliorare la propria condizione.

Operai in una fonderia inglese del XIX secolo

La “questione sociale” (come venne chiamato il problema delle condizioni di vita dei proletari) fu al centro di molte polemiche e portò alla nascita di movimenti e partiti, che cercavano di trovare una soluzione alla povertà di grandi masse di popolazioni. Proprio perché si occupavano della “questione sociale” questi movimenti e partiti vennero chiamati complessivamente socialisti e due di essi in particolare furono importanti nella prima metà dell’Ottocento.
Il primo fu quello dei cartisti, che prese le mosse nel 1836 da un gruppo di operai inglesi che fondarono la società operaia di Londra. Nel 1837 alcuni di essi, capeggiati da William Lowett, un operaio tessile, formularono per la prima volta un chiaro manifesto con le rivendicazioni della classe operaia: salari più elevati, diritto di sciopero, assistenza ai malati, agli invalidi, ai disoccupati, ai vecchi. Essi inoltre volevano dar vita a un partito politico della classe operaia, che (grazie al diritto di voto esteso anche ai proletari) potesse eleggere i propri rappresentanti in Parlamento. I cartisti (così chiamati perché THE PEOPLE’S CHARTER era il nome del documento con cui avanzavano le loro richieste) furono i fondatori di quello che viene chiamato socialismo riformista, che voleva battersi per le proprie conquiste rimanendo all’interno delle libertà parlamentari.

La Carta del Popolo (The People’s Charter) del 1838

Il secondo movimento nacque più o meno negli stessi anni in Francia e portò a quello che viene chiamato socialismo rivoluzionario; ebbe origine dall’azione di Louis-Auguste Blanqui, che organizzò una serie di gruppi, il cui scopo doveva essere il rifiuto radicale della società borghese e il rovesciamento di essa mediante la rivoluzione, cioè mediante il ricorso ad azioni violente.
Più tardi, nel 1848, nacque anche il cosiddetto socialismo scientifico, o anche comunismo, poiché basato su un libretto scritto da due filosofi ed economisti tedeschi, Karl Marx e Friedrich Engels, intitolato “Manifesto del Partito Comunista” (se ne parlerà in una prossima lezione).

Louis-Auguste Blanqui (a sinistra) e Karl Marx


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