giovedì 30 aprile 2015

54 L'Italia tra '500 e '600



L’ITALIA TRA ’500 E ’600

Dopo la formazione delle Signorie, che avevano creato in Italia tanti Stati poco estesi e poco popolati, la nostra penisola aveva vissuto la grande stagione del Rinascimento e un periodo di prosperità economica e di pace. Ma già alla fine del Quattrocento qualcosa comincia a cambiare: più volte eserciti prima francesi, poi spagnoli e austriaci invadono l’Italia, occupandola e sfruttandola in vario modo. Segno della debolezza militare e politica degli Stati italiani, ma anche della loro floridezza economica.
Non è un caso che la lotta tra i due personaggi che hanno maggiormente segnato la prima metà del Cinquecento (ossia l’imperatore del Sacro Romano Impero di Germania, Carlo V, e il re di Francia, Francesco I) si combatta in gran parte in Italia e per il controllo dell’Italia. In particolare è al centro della contesa la città di Milano, non solo perché è una base di enorme importanza strategica per il controllo dell’intera penisola, ma anche per le grandi ricchezze che il territorio del Ducato di Milano garantisce.

Carlo V (a sinistra) e Francesco I sono i dominatori dell’Europa nella prima metà del Cinquecento

Nel contrasto tra debolezza militare e politica e vivacità economica e culturale che contraddistingue l’Italia del primo cinquantennio del Cinquecento, si assiste a continui cambiamenti dei “padroni” dei vari Stati italiani: a volte il vincitore è l’Impero, a volte la Francia.
Stretti tra questi due, gli Italiani si distinguono per l’instabilità delle loro amicizie e alleanze, anche nel bel mezzo di una guerra (come accade a Genova nel 1528) e per una certa ambiguità politica, che nasce dal fatto di essere sempre più marginali nell’ambito dell’Europa: è significativo l’atteggiamento di papa Paolo III nei confronti di Carlo V: da una parte sente di doverlo appoggiare perché è un cattolico che combatte i luterani, dall’altra lo teme e lo avversa per la sua forte presenza in Italia.

Il papa Paolo III assieme ai nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (dipinto di Tiziano)

Ugualmente significativo è l’atteggiamento di Venezia, che all’inizio del Cinquecento appare ancora strategica per le vicende italiane ed europee, ma già verso il 1535 comincia a disinteressarsi di ciò che accade nella penisola e nel continente, per concentrarsi solo sui propri interessi. I quali, come avviene anche a Genova, sono compromessi sempre più dall’espansione dei Turchi Ottomani nel Mediterraneo.

Apoteosi di Venezia, di Paolo Veronese (particolare);
la grandezza della città è testimoniata dalle numerose opere d’arte che celebrano i suoi fasti

All’interno di molti Stati italiani, inoltre, la vita politica è controllata da una ristretta oligarchia e da forti corporazioni, che si oppongono a qualsiasi innovazione e impediscono ogni forma di concorrenza. Molte città italiane non si danno da fare per cercare nuovi mercati, nuovi metodi di produzione, nuove rotte marinare (pur non mancando di navigatori come Colombo e Caboto, che però devono cercare in altri Stati i finanziamenti per i loro viaggi); i mercanti italiani si dimostrano poco disponibili a investire in imprese rischiose e vengono per questo tagliati fuori dall’economia europea, che si era enormemente aperta in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo.

Giovanni e Sebastiano Caboto (padre e figlio) viaggiarono per le corone di Spagna e d’Inghilterra

A metà del ‘500 due avvenimenti sono destinati a segnare i decenni successivi in Europa e quindi anche in Italia:
1- nel 1555 Carlo V abdica e divide in due parti il suo immenso impero: al figlio Filippo II vanno la Spagna, i Paesi Bassi, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna, il Ducato di Milano e i possedimenti americani e africani; al fratello Ferdinando vanno l’Austria, la Boemia e l’Ungheria e il titolo di imperatore;
2- nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis mette fine alla guerra tra Francia e Impero, che era ripresa anche dopo l’abdicazione di Carlo V.

L’Italia dopo la pace di Cateau-Cambrésis

Questi due avvenimenti creano in Italia una situazione destinata a durare fino all’inizio del Settecento, vale a dire per un secolo e mezzo: è un lungo periodo che vede gli Stati italiani liberi da guerre distruttive sul proprio territorio, ma che si accompagna anche a un lento ma inesorabile declino economico.
Esso è legato al fatto che gran parte dell’Italia si trova dominata dalla Spagna, un regno anch’esso avviato al tramonto, a causa dei dissesti finanziari provocati dalle guerre, della costante minaccia turca ai suoi possedimenti mediterranei e della mancanza di strutture produttive interne, che si fece notare non appena la quantità di oro e di argento proveniente dall’America cessa di affluire.
Gli Stati che sono rimasti indipendenti si trovano inefficienti in confronto alla potenza spagnola, incapaci di ogni moto di reazione e diventano, per ragioni di convenienza, vassalli più o meno fedeli, più o meno sinceri di Filippo II.

Filippo II di Spagna ritratto dal Tiziano nel 1551

Per approfondire questo quadro, vediamo ora la situazione nei principali Stati italiani nei due secoli qui considerati.

L’ITALIA SPAGNOLA

Dopo la pace di Cateau-Cambrésis la Spagna domina direttamente il Ducato di Milano, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna e lo Stato dei Presidi, formato da alcuni porti fortificati in Toscana.
Nei tre regni governano altrettanti viceré, a Milano un governatore: tutti sono veri rappresentanti dell’autorità regia spagnola e tendono a circondarsi di funzionari iberici, escludendo gli italiani e soffocando ogni loro volontà politica.

Pianta di Milano e di altre città vicine (secolo XVIII)

Contemporaneamente, però, gli spagnoli guardano alla nobiltà locale come alla propria naturale alleata: perciò riservano ad essa esenzioni e privilegi fiscali, mentre non si curano affatto del ceto medio e disprezzano totalmente il popolo minuto, ridotto alla miseria più spaventosa, ma utilizzato talvolta, ove necessario, come massa bellicosa da contrapporre alla nobiltà.
L’aspetto più catastrofico del governo spagnolo in Italia è proprio la pressione fiscale, che favorisce le classi privilegiate e grava pesantemente su quelle meno abbienti; nel 1647-1648 l’imposizione di nuove tasse fa scoppiare rivolte a Napoli e Palermo. Si tratta di rivolte provocate dalla fame e non da precise rivendicazioni politiche, per cui la Spagna ha facile gioco nel reprimerle: qualche impiccagione dei capi ribelli, alcune opportune distribuzioni di grano e qualche modesta concessione permettono a Madrid di tornare allo sfruttamento del Mezzogiorno d’Italia. Per tutta la seconda metà del Seicento la pressione fiscale è insopportabile: nel vicereame di Napoli  una moltitudine di mendicanti sopravvive chiedendo l’elemosina e alla fine del secolo, per non gettare il Napoletano nel baratro, gli stessi viceré sono costretti a respingere le continue richieste di denaro che giungono da Madrid e che hanno contribuito non poco al declino economico dell’Italia meridionale.

Dipinto di Giuseppe Mazza del 1857 raffigurante il celebre capo dei ribelli napoletani Masaniello

IL DUCATO DEL PIEMONTE

Le qualità di condottiero di Emanuele Filiberto di Savoia, che combatte nel 1557 per Carlo V vincendo contro i Francesi, permettono ai Savoia di ritornare in possesso del Ducato, su cui i Francesi avanzavano delle pretese. Il Ducato sabaudo (diviso in due parti, una al di qua delle Alpi, il Piemonte, una al di là, la Savoia) è nel 1559 devastato e immiserito dalle guerre.

La battaglia di San Quintino, nella quale Emanuele Filiberto si impose
come grande condottiero al servizio di Carlo V

Il giovane duca Emanuele Filiberto riesce in vent’anni di governo (morì nel 1580 a 52 anni) a trasformarlo e rinvigorirlo notevolmente: crea un’amministrazione di tipo assolutistico, eliminando le assemblee di origine feudale e introducendone altre di tipo parlamentare prese a modello dalla Francia. Crea un esercito agguerrito, rinunciando quasi del tutto alle truppe mercenarie e introducendo la leva obbligatoria per tutti gli uomini validi fra i 18 e i 50 anni. Appronta un sistema di tassazioni dirette e indirette, pesantissime per la popolazione, ma tali da far salire vertiginosamente le entrate fiscali e permettere al duca di provvedere alle molte pubbliche necessità. Rafforza l’economia dello Stato con investimenti e accorgimenti illuminati: lavori di bonifica e di irrigazione, miglioramento delle vie di comunicazione, aiuti alle manifatture, sfruttamento delle ricchezze minerarie in Valle d’Aosta.

Un dipinto del XVI secolo che ritrae Emanuele Filiberto in armatura da parata

Alla sua morte il figlio Carlo Emanuele I eredita uno stato trasformato e rinnovato: il nuovo duca ha solo 18 anni e non è accorto come il padre. Durante il suo lunghissimo governo (dal 1580 al 1630), dominato dallo spirito d’avventura e da sogni di gloria impossibili, intraprende una serie di iniziative che non sempre giungono a buon fine: si lega alla Spagna sposando la figlia di Filippo II, rende più unito il suo ducato al di qua delle Alpi e lo amplia, perde qualche territorio in Francia e poi anche in Italia (Pinerolo e Casale Monferrato, in Piemonte), facendo in modo che la presenza francese in Italia diventi un pericolo per la Spagna. Tanto più che Luigi XIV non perde occasione di intervenire nelle faccende italiane, approfittando di ogni occasione per fiaccare l’eterno rivale spagnolo e estendere i suoi possedimenti. Solo verso la fine del Seicento la partecipazione a una coalizione antifrancese permette al duca Vittorio Amedeo II di togliere alla Francia quei possedimenti di Pinerolo e Casale che rappresentavano una spina nel fianco per i Savoia.

Carlo Emanuele I di Savoia

DUCATO E GRANDUCATO DI TOSCANA

Dopo un breve periodo repubblicano (1527-1530) i Medici rientrano a Firenze, per merito delle truppe di Carlo V. Nel 1532 Alessandro de’ Medici riceve dall’imperatore il titolo di duca con diritto ereditario e nel 1536 accentua la sua dipendenza dall’impero sposando Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V.

Alessandro de’ Medici ritratto da Jacopo Pontorno

La sua vita dissoluta e i suoi comportamenti da tiranno armano la mano di un lontano parente, Lorenzino de’ Medici, che lo uccide nel 1537. Nel caos che ne consegue Firenze chiama al governo della città Cosimo de’ Medici, figlio del condottiero Giovanni dalle Bande Nere.
Cosimo I opera per concentrare nelle proprie mani tutto il potere e per rendere più omogeneo il territorio si cui governa, eliminando le disparità esistenti tra Firenze e le città soggette. Inoltre allarga i propri domini, annettendosi alcune fortezze presidiate dagli imperiali e la città di Siena; infine riesce ad ottenere (prima dal papa, poi dall’imperatore) il titolo di Granduca di Toscana, che gli dà una preminenza di fronte agli altri principi italiani.

Cosimo de Medici ritratto da Agnolo Bronzino

Dopo l’abdicazione di Carlo V la Toscana si trova legata alla Spagna di Filippo II e i successori di Cosimo I cercano variamente di svincolarsi dal vassallaggio nei suoi confronti e di accostarsi alla Francia: Ferdinando I de’ Medici, per esempio, dà in sposa al re francese Enrico IV la propria nipote Maria de’ Medici. Però lo Stato mediceo è destinato a lento ma inesorabile declino durante tutto il Seicento, finché nel 1737 si spegne la dinastia dei Medici.

Maria de’ Medici in un ritratto di Pietro Facchetti del 1595

LO STATO PONTIFICIO

Lo Stato pontificio è nel Cinquecento tra i più vasti d’Italia: alla fine del secolo si allarga ulteriormente, inglobando il Ducato di Ferrara, allorché Alfonso II d’Este muore senza lasciare eredi diretti (un membro collaterale della famiglia d’Este cerca di rivendicare Ferrara, ma è costretto ad accontentarsi di Modena e Reggio Emilia).
Roma, la capitale dello Stato della Chiesa, conosce nel Cinquecento uno sviluppo straordinario: interi quartieri vengono demoliti per far posto alla costruzione di nuovi edifici, all’apertura di nuove strade, all’erezione di grandiosi monumenti; la città assume proprio in questo periodo la fisionomia che poi conserverà nei secoli successivi.

Roma nel 1549


Incisione del XVI secolo che ritrae papa Sisto V mentre discute con gli architetti 
l’erezione della Biblioteca Vaticana

L’impegno finanziario sostenuto dai papi è altissimo: i pontefici ricorrono a prestiti di banchieri stranieri e ancor più a una politica fiscale oppressiva, che spinge un gran numero di sudditi (si parla di 25.000 persone) a diventare briganti. Il fenomeno coinvolge non solo i poveri, ma persino alcuni nobili, insofferenti degli eccessivi carichi fiscali papali.
Il banditismo nel Lazio è legato anche alle frequenti carestie che scoppiano nello Stato della Chiesa e che hanno la loro causa nell’abbandono di numerose terre agricole trasformate in pascoli.

Briganti in un’incisione ottocentesca di Bartolomeo Pinelli

Nello stesso periodo i papi sono impegnati a contenere la Riforma protestante e a sopprimere ogni posizione considerata eretica, tramite il Sant’Uffizio, che ricorre spesso alla pena di morte.
La decadenza dello Stato pontificio, che ha perso gran parte del proprio prestigio internazionale, si accentua nel Seicento, quando tutta la penisola è colpita da una grave crisi economica.

LA REPUBBLICA DI GENOVA

La Repubblica di Genova si lega all’Impero nel 1528, allorché Andrea Doria, comandante della flotta genovese al servizio della Francia, passa inaspettatamente dalla parte di Carlo V; in cambio ne ottiene la protezione e la garanzia del mantenimento del regime repubblicano in città.
Da allora Genova (che era un piccolo stato, abitato in tutto il suo territorio solo da 300.000 persone) resta legata a lungo alle sorti del regno di Spagna: un legame utile ad entrambe le parti. Infatti Genova offre agli Spagnoli sia il suo porto sicuro (utile in particolare quando scoppierà la guerra contro i Paesi Bassi), sia la sua potenza finanziaria, fondamentale per le dissestate finanze spagnole. D’altra parte la Spagna offre a Genova una solida protezione politica e un poderoso appoggio militare.

L’ammiraglio Andrea Doria in un ritratto di Sebastiano del Piombo (XVI secolo)

LA REPUBBLICA DI VENEZIA

All’inizio del Cinquecento Venezia guarda allarmata alle nuove rotte per l’oriente aperte dai portoghesi e al pericolo rappresentato dai Turchi, che erano riusciti a togliere già da alcuni decenni alla città lagunare una parte dei suoi traffici commerciali.
Nel corso del ‘500, però, Venezia riesce a conservare il suo ruolo di città ricca e prestigiosa, sebbene non quanto lo fosse in precedenza.
Dopo la pace di Cateau-Cambrésis i suoi territori si estendono dall’Adda all’Isonzo, a buona parte dell’Istria e della Dalmazia, delle isole Ionie, di alcune piazzeforti dell’Epiro e del Peloponneso e delle isole di Candia (vale a dire Creta) e Cipro.
La costituzione veneziana, incentrata sul doge (il simbolo della nazione), sul Maggior Consiglio (il titolare della effettiva sovranità) e su una serie di magistrature create mano a mano che nascono nuovi problemi, suscita ammirazione in tutta Europa.

Seduta del Maggior Consiglio a Venezia in un dipinto di Joseph Heintz il giovane del 1678

Le ricchezze della classe dominante sono indubbiamente dovute alle attività commerciali (per quanto intaccate dalla crisi), ma anche allo sviluppo delle attività manifatturiere, che fanno di Venezia uno dei centri “industriali” più operosi in Italia. Le manifatture più sviluppate sono quelle tessili, delle costruzioni navali, del sapone e quella tipografica.

Particolare di un dipinto del XVI secolo raffigurante i falegnami dell’Arsenale di Venezia 
che costruiscono i remi per le galere

Inoltre è nel Cinquecento che cresce l’importanza della terraferma per la città lagunare. Di fronte alle sempre maggiori difficoltà del commercio, molti veneziani decidono di ritirarsi dagli affari e di investire cospicui capitali nell’acquisto di terre e nella costruzione di palazzi e ville; inoltre nelle campagne vengono introdotte e diffuse nuove colture e vengono avviate numerose opere di bonifica.
Malgrado questi elementi di forza, Venezia conosce sul finire del secolo – come il resto dell’Italia – l’inizio della decadenza economica, che si manifesta in modo particolare nel 1570 con la perdita di Cipro e nel 1669 con quella di Creta, entrambe conquistate dai Turchi.

Veduta di Venezia di Joseph Heintz il giovane (secolo XVII)


LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE

Nel ‘500 l’Italia è ancora un modello economico e culturale per il resto dell’Europa, ma poi, con l’abdicazione di Carlo V e la pace di Cateau-Cambrésis (1559), incomincia per la penisola un periodo di decadenza economica inarrestabile.
La Spagna domina su numerose regioni italiane (il Ducato di Milano a nord e i Regni di Napoli, Sicilia, Sardegna a sud) e il declino spagnolo si riversa inevitabilmente su questi domini italiani, in cui la popolazione vive in condizioni di miseria e, se anche spesso si ribella, viene facilmente domata dalla politica repressiva spagnola.
Gli altri Stati presenti nel territorio della penisola sono troppo piccoli per contare veramente a livello europeo, pur avendo alcuni di essi ancora alcuni elementi di forza; si distinguono in particolare
- il Ducato del Piemonte retto dalla dinastia dei Savoia in maniera assolutistica e che conosce uno sviluppo economico che fa di questo Stato la parte più moderna dell’Italia;
- la Toscana dei Medici, che ottiene il rango di Granducato, ma poi viene a trovarsi sempre più legata alla Spagna e conosce un lento declino;
- lo Stato della Chiesa, che opprime la popolazione con un carico fiscale enorme (alimentando il fenomeno del banditismo) e che deve occuparsi di limitare l’estensione della Riforma protestante; solo la città di Roma conosce una straordinaria fioritura urbanistica;
- la Repubblica di Genova, legata alla Spagna, da cui ricava protezione e ricchezza, poiché i banchieri genovesi diventano i finanziatori delle imprese della monarchia spagnola;
- la Repubblica di Venezia, che si estende sulla terraferma nel nord-est dell’Italia e conserva a lungo la sua potenza economica, ma che, nello scontro con i Turchi che la privano di possedimenti e di possibilità commerciali, è destinata a decadere.





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