lunedì 20 aprile 2015

53 Le monarchie assolute



LE MONARCHIE ASSOLUTE

Nell’Età Moderna e in particolare nel XVII secolo molti re europei riuscirono a rafforzare il proprio controllo sul territorio di cui erano sovrani, spesso approfittando dei contrasti esistenti tra i diversi poteri locali, per esempio tra i nobili e le comunità contadine. Le decisioni politiche, l’amministrazione della giustizia, l’uso della violenza armata divennero in gran parte dell’Europa monopolio regale: solo il monarca e gli uomini da lui nominati potevano mantenere rapporti con gli altri Stati, giudicare, fare ricorso alle armi.
Questo avvenne con particolare evidenza in Francia, dove il re Luigi XIV (1638-1715), che scelse per sé l’appellativo di «Re Sole», riuscì durante il suo lungo regno a togliere alla nobiltà ogni importanza politica. Al contrario in Inghilterra ogni tentativo del re di imporre la propria volontà su tutti i sudditi riuscì solo per un certo periodo, ma finì tragicamente, come vedremo più avanti.

Luigi XIV ritratto da Hyacinthe Rigaud

Gli Stati in cui i poteri del re si rafforzarono molto vengono chiamati monarchie assolute, in quanto il potere dei sovrani era ab solutus, cioè “sciolto” da ogni costrizione esterna (in pratica, nessuno poteva dire a un re che cosa fare); in realtà i re non furono mai in grado di governare senza il consenso di una parte, anche minima, della popolazione: avevano bisogno, infatti, di tutta una serie di alti funzionari (consiglieri, segretari, ministri, diplomatici), i quali potevano anche ottenere un grande potere personale, ma correvano sempre il rischio di essere privati della loro carica e talvolta anche della libertà e della vita, se il re non era soddisfatto di loro o li sospettava di tradimento.
La necessità di controllare il territorio e di aver bisogno per farlo di persone di fiducia dei monarchi portò a uno sviluppo della pubblica amministrazione: negli Stati europei nacque quella che viene chiamata burocrazia, ossia l’insieme dei dipendenti pubblici, che si occupavano di far funzionare lo Stato applicando le direttive del re. Questo lavoro offriva possibilità di carriera e di arricchimento per i nobili e i ricchi borghesi, perciò le cariche pubbliche erano molto richieste e spesso venivano vendute dallo Stato.

Luigi XIII di Francia con il suo ministro il cardinale Richelieu e altri personaggi

Per controllare meglio i propri regni, i sovrani cercarono anche di unificare norme e regolamenti: i re di Inghilterra, Francia e dei diversi Stati tedeschi adottarono un sistema monetario e doganale nazionale; istituirono un unico sistema di pesi e misure; allestirono un sistema postale nazionale.
Naturalmente per fare tutto questo, per mantenere il controllo del territorio e, ancor più, per le spese straordinarie, bisognava trovare il denaro necessario: il solo mantenimento della corte e il pagamento dei funzionari necessitavano di finanze costanti e sicure. Le entrate dello Stato provenivano dallo sfruttamento delle miniere d’oro e d’argento presenti entro i confini del regno, dalle dogane esistenti ai confini (che comportavano il pagamento di una tassa per tutte le merci che entravano o uscivano da quei confini), dai possedimenti del re (che spesso erano molto estesi) e dalle tasse, ordinarie o straordinarie, che i sudditi dovevano pagare.
Spesso queste entrate non erano sufficienti, ma ogni imposizione di nuove tasse poteva provocare malcontento e rivolte. Perciò succedeva molte volte che i re dovessero ricorrere a prestiti, che non sempre venivano pagati: per esempio tra il 1560 e il 1662 la Spagna sospese o rinviò i pagamenti ben otto volte, provocando il fallimento di una serie di banche e crisi finanziarie internazionali.

Bartholomeus Strobel il Giovane, particolare dal Banchetto di Erode (del 1630 ca):
anche se di argomento religioso antico, il dipinto rende bene l’idea della nobiltà seicentesca 
(in questo caso, quella spagnola)

IL CASO DELLA FRANCIA

La storia della Francia tra Cinquecento e Settecento è particolarmente significativa per comprendere l’attuarsi del concetto di assolutismo, fin qui esposto nelle sue caratteristiche generali.
Fin dai primi anni del Trecento in Francia esisteva un Parlamento, cioè un’assemblea nella quale sedevano i rappresentanti dei vari ordini di sudditi. Il Parlamento francese veniva chiamato Stati Generali, in quanto tutti i sudditi erano stati suddivisi in 3 gruppi, chiamati appunto stati: il clero formava il Primo stato, la nobiltà il Secondo, tutti gli altri (ossia coloro che non erano né ecclesiastici né nobili) il Terzo.

Due nobili francesi del Seicento

Ognuno dei tre stati aveva diritto ad esprimere il proprio parere, quando il Parlamento fosse stato convocato dal re, mediante un voto singolo per ogni stato; poiché il Primo e il Secondo stato erano naturali alleati, avevano sempre la meglio sul Terzo stato, il cui voto era minoritario rispetto ai due di clero e nobiltà. Inoltre va considerato che i re francesi convocavano il Parlamento in rarissime occasioni e questo creò una situazione molto diversa da quella che invece si ebbe in Inghilterra (e che spiegheremo più avanti).
Le guerre di religione che insanguinarono la Francia nella seconda metà del XVI secolo furono anche un modo per la nobiltà di indebolire la monarchia; ne uscì vincitore il duca di Borbone, che salì al trono nel 1589 con il nome di Enrico IV e, abiurando alla sua fede ugonotta, riuscì a pacificare un Paese a maggioranza cattolica. Ma nel 1610 Enrico IV venne ucciso da un cattolico che non credeva alla sincerità della sua conversione; ereditò la corona suo figlio Luigi XIII, che però aveva solo 9 anni.

L’assassinio di Enrico IV in un’incisione di Gaspard Bouttats della seconda metà del Seicento

La madre, Maria de’ Medici, divenne reggente del figlio, accumulando un forte potere che non volle cedere nemmeno quando Luigi divenne maggiorenne. Ne seguirono complotti e intrighi, anche dopo che il re aveva trovato nel cardinale Richelieu un uomo di fiducia con cui dedicarsi al rafforzamento della monarchia.

Philippe de Champaigne, Triplo ritratto di Richelieu (1642 ca)

La Francia di Richelieu entrò nella Guerra dei Trent’anni (tra il 1618 e il 1648), scoppiata per i contrasti religiosi tra i re cattolici d’Austria e di Spagna e i principi protestanti tedeschi, la Danimarca, la Svezia e l’Olanda: il conflitto si trasformò ben presto in una contesa tra Stati avidi di territori.

Rievocazione moderna della battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1620), uno scontro della Guerra dei Trent'anni

In quegli anni in Francia si ebbero rivolte dei contadini affamati dalle tasse imposte per la guerra; ci furono tensioni da parte degli ugonotti, che non avevano fiducia in un governo retto da un cardinale cattolico; ci furono complotti degli aristocratici contro la monarchia. La risposta di Richelieu fu sempre all’insegna della più dura repressione, anche nei confronti degli appartenenti alle più illustri famiglie di Francia, che furono a decine condannati a morte.
La guerra finì nel 1648 con la pace di Westfalia, che decretò la sconfitta degli Asburgo d’Austria, l’indipendenza definitiva dell’Olanda e il rafforzamento della Svezia; la Francia, che poté sedere al tavolo dell’armistizio tra le potenze vincitrici, ottenne il possesso di importanti regioni al confine con la Germania.

La firma del trattato di Münster nel 1648 (dipinto di Gerard Ter Boch):
il trattato di Münster fu uno di quelli che portarono alla pace di Westfalia

Ma sul piano interno la situazione era molto delicata: la Francia infatti aveva vinto nel 1643 una importante battaglia, quella di Rocroi, ma le truppe francesi erano comandate dal principe di Condé, appartenente a una delle famiglie aristocratiche più ostili ai Borbone. La morte di Richelieu nel 1642 e quella di Luigi XIII nel 1643 complicarono le cose: l’erede di Richelieu fu un altro cardinale, Giulio Mazzarino, l’erede del re fu il figlio Luigi XIV che aveva solo 5 anni; la reggente, la regina madre Anna d’Austria, era inesperta contro una nobiltà ridivenuta fortissima e desiderosa di vendicare i morti decretati ai tempi di Richelieu.

Luigi XIV bambino con la madre Anna d'Austria (di anonimo)

Pierre Mignard, Ritratto di Giulio Mazzarino

I primi anni del regno di Luigi XIV furono un incubo. Nel 1648, quando il re aveva dieci anni, i nobili gli scatenarono contro l’agitazione della Fronda (dal nome della fionda, l’arma con cui il popolo parigino rompeva i vetri delle finestre del cardinale Mazzarino): le violenze costrinsero il bambino sovrano e la madre a fuggire per due volte da Parigi, mentre il popolo, sobillato dai principi, moriva sulle barricate massacrato dai soldati del re.

F. Dupré, Le barricate durante la fronda del 27 agosto 1648

Alla fine la Fronda fu sconfitta, ma Luigi XIV aveva ormai capito che i nemici della sua monarchia erano i nobili e il Parlamento. Nel 1661 morì il Mazzarino e lo stesso giorno il re (che aveva 23 anni) convocò il Consiglio della Corona e comunicò agli esterrefatti ministri che da quel momento in poi egli avrebbe governato da solo.
Mantenne, si può dire, la parola: infatti licenziò l’intero Consiglio e scelse tre nuovi collaboratori, i quali, sotto la direzione del re, riorganizzarono l’intera Francia, con una serie di atti apparentemente rispondenti a effettive esigenze di miglioramento (sociale, economico, militare), in realtà miranti a togliere alla nobiltà ogni potere.

Charles Le Brun, Il re governa da se stesso (dipinto della reggia di Versailles)

In compenso Luigi XIV diede all’aristocrazia ciò che essa soprattutto cercava: il denaro con cui conservare il lusso in cui viveva. Il sovrano chiamò decine di nobili a corte, creando cariche magnifiche e prestigiose (come quella di sovrintendente alla Tavola reale, che voleva dire curare il menu delle feste organizzate a corte), che erano del tutto prive di potere, ma erano pagate con lauti stipendi. In più, per mantenere questi nobili in un ambiente che fosse il più splendido d’Europa, fece costruire a pochi chilometri da Parigi la reggia di Versailles: i nobili avevano l’obbligo di risiedervi e per avere onorificenze e premi bisognava che entrassero nelle grazie del re e dei suoi favoriti.

Versailles nel Seicento

Contemporaneamente il ministro delle finanze, Colbert, riuscì a trasformare la Francia in una nazione moderna, in cui il controllo dello Stato nell’amministrazione e nell’economia era capillare; venne favorito lo sviluppo delle manifatture francesi, sia quelle per i prodotti di lusso, sia quelle di vitale utilità, come le vetrerie, i cantieri navali, le officine metallurgiche, le manifatture per la lavorazione del sapone, dei tabacchi, dello zucchero.

Visita all’Arsenale di Marsiglia (dipinto del 1677 circa conservato nella reggia di Versailles)

Il programma di Colbert ebbe però effetti limitati, sia perché non seppe intervenire nell’agricoltura, che era ancora la base della ricchezza delle nazioni, sia a causa delle enormi spese che Luigi XIV fu costretto a sostenere, in quanto coinvolto nella guerra di successione spagnola che si combatté tra il 1702 e il 1713.

Claude Lefébvre, Ritratto di Jean-Baptiste Colbert

A corte vennero invitati scrittori e artisti: i grandi commediografi Racine e Molière, l’architetto Gian Lorenzo Bernini (che progettò l’ampliamento del Louvre), il musicista Giambattista Lulli. Anche nei confronti dell’arte il controllo statale era rigido: la censura si abbatteva su tutta la produzione intellettuale che non fosse in linea con il volere del Re Sole.

Charles Le Brun, Ritratto di Molière

IL CASO DELL’INGHILTERRA

Pur molto diverso da quello francese, il caso dell’Inghilterra aiuta a capire un aspetto dell’assolutismo monarchico che caratterizzò il Seicento.
L’Inghilterra era stata la nazione che per prima si era dotata di un Parlamento: probabilmente ricorderai che nel 1215 la promulgazione della Magna charta libertatum fu il primo esempio di assemblea rappresentativa di un gruppo sociale ammesso a prendere delle decisioni politiche assieme al monarca (PARLAMENTO significa appunto che si aveva il diritto di PARLARE di fronte al re).
Nel Cinquecento il Parlamento inglese era composta da due Camere, cioè due assemblee rappresentative:
- la Camera Alta o Camera dei Lords, in cui sedevano i rappresentanti dell’aristocrazia, poco più di un centinaio di famiglie di grandi proprietari terrieri
- la Camera Bassa o Camera dei Comuni, formata dai rappresentanti delle città e delle campagne.

La Camera dei Lords nel XVII secolo

Il Parlamento dipendeva dal re, perché solo il re aveva il diritto di convocarlo; ma anche il re dipendeva dal Parlamento, perché esso aveva il diritto di bocciare le sue proposte.
Naturalmente non sempre il re sottoponeva all’approvazione delle due Camere i suoi atti di governo, anzi, in certi periodi i sovrani avevano usato ogni tipo di sistema per non convocarle; però il Parlamento aveva continuato ad esistere e con Elisabetta I era stato accresciuto nel numero dei suoi membri ed era stato regolarmente convocato.
Elisabetta I morì nel 1603 senza eredi: con lei si estinse la dinastia dei Tudor. Al trono salì dopo di lei Giacomo I Stuart, cugino scozzese di Elisabetta, imparentato per via di matrimoni con gli Asburgo, cattolico e convinto che un re è tale per diritto divino e che il suo potere non va spartito con nessuno.

Anthonis van Dyck, Carlo I a caccia (1635)

Con Giacomo I e poi con il successore Carlo I i contrasti con il Parlamento furono inevitabili. Per molti anni Carlo I riuscì a governare senza convocare le due Camere: fu costretto a farlo nel 1640, in seguito alla rivolta prima della Scozia e poi dell’Irlanda, scoppiate per motivi religiosi. Per fronteggiare le rivolte, Carlo I voleva imporre forti tasse con cui armare l’esercito, ma prima dovette chiedere l’appoggio del Parlamento. Questo accettò la proposta del re, ma solo a patto che il comando dell’esercito fosse affidato al Parlamento stesso. Poiché Carlo I rifiutò, fu guerra civile.
A guidare i fautori del Parlamento fu un gentiluomo di campagna, Oliver Cromwell, dotato di notevoli capacità militari e politiche.

Samuel Cooper, Oliver Cromwell (1656)

L’esercito da lui comandato sbaragliò le truppe fedeli al re, che venne fatto prigioniero. Poiché Carlo I non si dimostrò minimamente disposto a rispettare le Camere, anzi, dalla prigione in cui era rinchiuso tramò per riaccendere la guerra civile, nel 1649 fu accusato di crimini contro lo Stato, processato dal Parlamento e condannato alla decapitazione.

La decapitazione di Carlo I

Dopo la morte del re l’Inghilterra divenne una repubblica, in cui però l’attività del Parlamento era sospesa e a governare era il solo Cromwell, sostenuto dal suo esercito: si trattava in sostanza di una dittatura personale.
Quando Cromwell morì nel 1658, gli Inglesi restaurarono la monarchia e restituirono il trono agli Stuart; questi però dimostrarono di non aver imparato niente dai fatti successi e tornarono a calpestare il Parlamento. Nel 1688 gli Inglesi decisero di liberarsi per sempre di una casa regnante inadatta al paese: un gruppo di Lords offrì segretamente il trono a un principe olandese, Guglielmo d’Orange, che sbarcò a Londra, mentre l’ultimo degli Stuart si rifugiava in Francia.

Ritratto di Guglielmo III d’Inghilterra (il nome assunto da Guglielmo d’Orange)

L’anno seguente (1689) il Parlamento votò il Bill of Rights, cioè la Dichiarazione dei Diritti, con la quale attribuiva a se stesso tutte le decisioni politiche fondamentali, rendeva i ministri del re responsabili delle loro azioni di fronte alle Camere e affermava l’indipendenza dei giudici dalla monarchia. Gli eventi del 1689 furono chiamati Gloriosa Rivoluzione: essi segnarono il trionfo finale del Parlamento e il tramonto in Inghilterra della monarchia assoluta.

Il Bill of Rights originale del 1689


LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE

Il Seicento (secolo XVII) è il secolo dell’assolutismo, cioè di una forma di governo in cui un monarca cerca di assumere in sé ogni potere politico (quello legislativo, quello esecutivo, quello giudiziario) e di controllare appieno la vita economica e le decisioni militari del proprio paese.
Ciò avviene in particolare in Francia, con i re Luigi XIII e soprattutto Luigi XIV, che regna per 5 decenni e riesce a imporsi su tutti i suoi sudditi (nobili compresi), limitando al minimo le proteste e le ribellioni, domate con la repressione, e concedendo a nobili e ecclesiastici una serie di privilegi (ad esempio quello di non pagare le tasse), che li rendono docili al suo volere. Pur prendendo personalmente (o con pochi stretti collaboratori) le decisioni politiche fondamentali, il re ha bisogno di un gran numero di funzionari che eseguono i suoi ordini (formando quella che si chiama burocrazia) e che possono perdere il loro ruolo, se solo non sono più graditi al sovrano.
Anche in Inghilterra i monarchi della dinastia Stuart (succeduta a quella Tudor alla morte di Elisabetta I che non ha eredi) cercano di raggiungere gli stessi scopi, ma non ci riescono; in Inghilterra, infatti, il Parlamento (cioè i rappresentanti dei sudditi inglesi) si oppone a questi tentativi assolutistici e prima (1649) fa decapitare il re Carlo I e instaura una repubblica (con Oliver Cromwell, che però si trasforma in un dittatore), poi (1688) affidando il trono a Guglielmo d’Orange, un principe olandese, che nel 1689 promulga il Bill of Rights, un documento in cui i ruoli del re, del Parlamento e dei giudici vengono stabiliti con cura: l’Inghilterra diventa così la prima nazione al mondo che si dà una Costituzione.







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