mercoledì 12 agosto 2015

62 La prima rivoluzione industriale: conseguenze



LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: CONSEGUENZE

La Prima rivoluzione industriale trasformò l’economia e la società; cominciamo osservando le trasformazioni nell’economia.
A causa del grande sviluppo industriale, si ridusse l’importanza dell’agricoltura: mentre nel 1750 essa forniva circa la metà del prodotto nazionale lordo (cioè dell’insieme della ricchezza prodotta nel Paese), un secolo dopo forniva appena il 20%, mentre l’industria e il commercio fornivano ormai una parte molto maggiore. L’Inghilterra fu il primo Stato che passò da un’economia sostanzialmente agricola (com’era sempre stato dall’inizio della storia umana) a un’economia industriale.

Il complesso industriale di New Lanark, in Scozia, dove grazie a Robert Owen le condizioni di vita e di lavoro degli operai erano molto migliori che nel resto del Paese

Anche l’artigianato si ridusse e molte lavorazioni, come quella del cotone e poi delle altre fibre tessili, scomparvero, perché i prodotti industriali, che costavano molto di meno, sostituirono completamente quelli artigianali.
Il commercio, in particolare quello internazionale, ebbe invece un grande sviluppo, perché aumentò la quantità di merci in circolazione: le materie prime che servivano alle industrie, i prodotti industriali, il cibo per una popolazione in crescita.
Le attività finanziarie conobbero anch’esse una crescita molto forte, perché impiantare un’industria o avviare un’attività commerciale richiedeva grandi capitali e gli imprenditori si rivolgevano alle banche.
Per le industrie era importante vendere i prodotti il più in fretta possibile, in modo da non avere inutili scorte di merce e continuare a produrre e a guadagnare; per questo gli industriali favorirono l’ampliamento delle vie di comunicazione. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento vennero costruiti numerosi canali, come quello tra Liverpool e Manchester inaugurato nel 1778, perché allora il trasporto dei prodotti industriali si svolgeva in larga maggioranza per via d’acqua. 

La città di Bristol nel secolo XVIII, con il suo canale artificiale essenziale per lo smercio industriale

Vennero comunque costruite anche nuove strade e ci furono alcune invenzioni riguardanti i trasporti terrestri: ad esempio nel 1804 l’invenzione di molle d’acciaio per le carrozze permise di rendere i viaggi su strada più comodi. Nel 1814 l’invenzione della locomotiva cambiò notevolmente i trasporti e il paesaggio.

Uno dei primi modelli di locomotiva

Vediamo ora le trasformazioni della società.
Innanzitutto si ebbe un aumento della popolazione, che in un secolo quasi triplicò; fu allora una crescita demografica eccezionale, la prima di una lunga serie che non è più terminata.
Se fino al 1750 la popolazione inglese viveva in larghissima maggioranza in campagna, come accadeva in tutta Europa, e le grandi città erano poco numerose, un secolo dopo la percentuale di popolazione urbana era fortemente cresciuta e numerose erano le città importanti. Vi fu infatti un massiccio spostamento della popolazione dalla campagna alle aree industriali e minerarie, dove erano maggiori le occasioni di trovare lavoro e dove nacquero nuove città, mentre quelle esistenti si ingrandirono.

La città di Wolverhampton, nel centro dell’Inghilterra, con le sue decine di ciminiere

Una parte del Terzo stato subì una importante trasformazione. La borghesia, che fino ad allora era stata formata da mercanti e artigiani, vide la nascita di una nuova figura sociale, quella del padrone di fabbrica, o industriale, o anche capitalista, perché possedeva il capitale necessario a costruire una fabbrica, a rifornirsi delle materie prime che gli servivano per la sua produzione, ad acquistare i macchinari che svolgevano il lavoro. Dalle proprie fabbriche gli industriali ottennero grandi guadagni e spesso enormi fortune.

Illustrazione di John Leech per il Canto di Natale di Dickens (1843):
il personaggio di Ebenezer Scrooge, un ricco ed avaro finanziere londinese, riflette l’astio che molti avevano nei confronti dei capitalisti, ricchi sulla pelle degli operai

Gli artigiani videro un fortissimo peggioramento delle loro condizioni di vita e persero il lavoro, perché i loro prodotti non erano concorrenziali a quelli industriali e non venivano più acquistati. Molte furono le proteste e le sommosse, organizzate da artigiani che assalivano le fabbriche e distruggevano le macchine, ma il governo represse queste rivolte con la forza, condannando a morte i capi o deportandoli in Australia, che in quel periodo era per l’Inghilterra una colonia penale, cioè un luogo dove recludere prigionieri indesiderati, spesso condannandoli ai lavori forzati.

Artigiani contro le macchine industriali

Per svolgere il lavoro gli industriali avevano bisogno di molti lavoratori, che furono reclutati soprattutto tra le masse di contadini in aumento e senza lavoro; essi formarono la nuova classe degli operai. Essi venivano pagati con un salario molto basso, anche perché la manodopera a disposizione era assai numerosa ed era facile trovare qualcuno disposto a lavorare per meno soldi. Gli operai vivevano quindi piuttosto miseramente e in condizioni di insicurezza, perché in caso di crisi economica rischiavano facilmente di essere licenziati. Nell’Ottocento si incominciò a chiamarli proletari, in quanto, a differenza degli industriali che possedevano la fabbrica e tutto il necessario per la produzione, loro non possedevano nulla che servisse al loro lavoro; essi possedevano solo la prole, cioè i figli, che spesso erano anche numerosi.

Operai al lavoro

Operai e industriali avevano interessi opposti: infatti gli operai aspiravano a salari maggiori e orari di lavoro meno pesanti, mentre gli industriali miravano a ridurre i costi e quindi a far lavorare gli operai il più possibile con salari minimi. Questi opposti interessi sfociarono nell’Ottocento in quella che sarà definita “lotta di classe” (ne parleremo in una prossima lezione), ma per il momento gli operai non seppero far altro che accettare le condizioni di vita che la nuova realtà industriale offriva loro: condizioni di vita quasi disumane.
Nelle fabbriche, infatti, l’ambiente era spesso malsano, perché l’aria era piena di fumi prodotti dalle diverse lavorazioni industriali, e il rischio di incidenti era molto alto: non vi erano misure di sicurezza e non era raro che un operaio perdesse una mano, rimasta incastrata in uno dei macchinari.

In una fabbrica come questa c’era, tra gli altri problemi, anche quello dell’inquinamento acustico

Gli operai potevano essere sia adulti, sia bambini: molti bambini venivano assunti perché erano in grado di svolgere lavori semplici e venivano pagati di meno degli adulti. Era frequente che bambini di età addirittura inferiore ai 7 anni lavorassero nelle miniere e anche per loro l’orario era molto pesante e prevedeva turni di notte. Oltre ai bambini, anche le donne venivano spesso assunte in fabbrica, per gli stessi motivi: prive di qualifica professionale, venivano pagate meno degli uomini.

I bambini venivano impiegati nelle fabbriche e nelle miniere anche per svolgere mansioni che solo una persona di corporatura minuta può fare, come si vede nell’illustrazione

Il lavoro in miniera era per molti aspetti ancora peggiore di quello in fabbrica. L’ambiente era sempre buio e l’aria era irrespirabile, anche nel caso in cui vi fossero pozzi per l’aerazione, cioè per il rifornimento d’aria. Inoltre il lavoro era molto pericoloso: vi era il rischio, anche mortale, di crolli, o di allagamenti, o di esplosioni provocate dal grisou, un miscuglio di gas metano e aria, che si sviluppa nelle miniere di carbone fossile.

Lavoratori in una miniera

Il salario era tanto basso che di solito non bastava nemmeno per soddisfare i bisogni fondamentali: il cibo e la casa. I proprietari delle industrie e delle miniere tenevano i salari molto bassi non solo per aumentare i propri guadagni, ma anche per impedire ai lavoratori di risparmiare denaro: infatti se essi non fossero stati costretti a lavorare sempre e a qualsiasi condizione per non morire di fame, avrebbero potuto chiedere condizioni di lavoro migliori e un aumento salariale.
Sia in fabbrica, sia in miniera, gli orari di lavoro erano molto pesanti: di solito da dodici a sedici ore. Per questo motivo operai e minatori dovevano stabilirsi molto vicino al luogo di lavoro, perché non avrebbero avuto il tempo per lunghi spostamenti. Così nei pressi delle fabbriche e delle miniere sorsero i quartieri per gli operai e i minatori; furono spesso gli stessi proprietari di industrie e miniere a costruire alloggi, che affittavano ai loro lavoratori. In questi quartieri, privi di spazi verdi, si accumulavano le scorie prodotte dalle lavorazioni industriali e minerarie, l’aria era molto inquinata a causa dell’uso del carbone da parte delle industrie e i corsi d’acqua erano avvelenati dagli scarichi industriali.

Città industriale

Le case in cui vivevano operai e minatori, costruite in mattoni e con i tetti in ardesia, presentavano condizioni igieniche migliori delle abitazioni contadine, che erano ancora di legno e con il tetto di paglia, ma nei quartieri operai il grande affollamento e la mancanza di una rete fognaria favorivano la diffusione di epidemie: la gravità della situazione divenne evidente nell’Ottocento, quando, tra il 1830 e il 1860, si verificarono violente epidemie di colera.
Poiché molti bambini nelle famiglie di operai e minatori incominciavano a lavorare molto presto, essi non frequentavano più quei corsi scolastici che da poco erano stati istituiti per il popolo. Questo portò a una netta diminuzione dell’istruzione: mentre nel 1750 un uomo su due era in grado di scrivere il proprio nome, nel 1840 nemmeno un uomo su tre sapeva farlo.

Una via della Londra operaia in un’incisione ottocentesca di Gustave Dorè


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