Alba del 2 maggio
1945: il soldato russo Alexei Kovalyov issa la bandiera sovietica sul Reichstag
a Berlino. La foto è divenuta il simbolo della fine della Seconda guerra
mondiale
La situazione dell’Europa al
termine della Seconda guerra mondiale, nell’estate del 1945, era tragica: le
battaglie, i bombardamenti, gli stermini nei lager, le carestie, avevano
provocato più di cinquanta milioni di morti. Il prezzo più pesante in termini
di vite umane fu pagato dall’Unione Sovietica, con circa 20 milioni di vittime,
di cui oltre 13 milioni soldati e 7 milioni civili; seguivano la Cina con oltre
10 milioni e la Polonia con 6 milioni (il 22% della popolazione, la percentuale
più alta in assoluto). Germania e Giappone ebbero rispettivamente 5 e 1 milione
e 800.000 morti, la Jugoslavia 1 milione e 700.000, la Francia 400.000, il
Commonwealth britannico oltre 500.000, l’Italia circa 300.000, gli Stati Uniti
poco meno di 300.000 (solo militari).
La popolazione viveva in
condizioni di miseria: milioni di persone non avevano più una casa; moltissime
fabbriche erano state distrutte e mancava il lavoro; le vie di comunicazione
erano interrotte. I sopravvissuti spesso soffrivano la fame: nell’inverno del
1945-1946, e in Germania anche negli anni seguenti, si moriva di fame.
Berlino 1945: rifugiati tra le rovine del settore sovietico (foto di
Robert Capa)
Le condizioni di pace furono
stabilite dalle potenze vincitrici: gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, e, in
misura molto minore, l’Inghilterra e la Francia.
Si ebbero molti cambiamenti di
confine nell’Europa orientale, dove l’Unione Sovietica recuperò quasi tutti i
territori persi al termine della Prima guerra mondiale, comprese le repubbliche
baltiche. La Germania perse tutti i suoi territori orientali, che passarono
alla Polonia.
La Germania e l’Austria, come
pure le loro capitali (Berlino e Vienna), furono divise in zone d’occupazione,
assegnate a Stati Uniti, Unione Sovietica, Inghilterra e più tardi Francia:
solo nel 1955 ebbe termine ogni forma di occupazione.
I cambiamenti di confine furono
accompagnati da grandi spostamenti di popolazione. Molti cittadini tedeschi
dell’Europa orientale fuggirono all’arrivo dell’esercito sovietico, temendo
rappresaglie per le stragi che l’esercito tedesco aveva effettuato in Russia.
Dopo la guerra, i tedeschi presenti in tutte le zone cedute alla Polonia e alla
Russia furono espulsi: in dieci milioni furono costretti a lasciare le loro
case, senza poter portare con sé quasi nulla. Molti morirono durante il viaggio
o al loro arrivo in Germania. I territori lasciati dai tedeschi furono popolati
da russi e polacchi: questi ultimi avevano a loro volta abbandonato i territori
passati all’Unione Sovietica. Al termine di questi spostamenti oltre
venticinque milioni di persone avevano lasciato le loro terre.
Rifugiati tedeschi assalgono un treno che lascia Berlino dopo la Seconda
guerra mondiale
L’Italia, oltre a dover cedere
alla Francia piccole aree di confine, perse vasti territori che vennero ceduti
alla Jugoslavia: tutta l’Istria (compresa la costa, abitata in prevalenza da
italiani), Fiume e Zara, entrambe città italiane, e buona parte della Venezia
Giulia, abitata da sloveni.
In Istria durante la guerra vi
erano state diverse violenze, sia da parte di fascisti e tedeschi, sia dal movimento
di liberazione jugoslavo. Nel settembre del 1943, in seguito alla caduta del
governo fascista, il movimento di liberazione jugoslavo, comunista, prese il
potere in Istria e tra il settembre e l’ottobre diverse centinaia di persone,
forse 500-700, furono uccise. Successivamente i reparti tedeschi riportarono la
regione sotto il loro controllo, con una serie di azioni di rastrellamento e
bombardamenti, che causarono molte migliaia di morti.
Miliziani ustascia, collaborazionisti degli occupanti italiani e
tedeschi, in posa sui cadaveri di partigiani jugoslavi appena uccisi (foto del
1943)
Nel maggio 1945, al termine della
guerra, il movimento di liberazione jugoslavo prese nuovamente il potere nella
Venezia Giulia e vi furono nuove violenze e processi sommari, come nelle altre
regioni dell’Italia settentrionale, da poco liberate. Furono arrestate molte
migliaia di persone, alcune delle quali vennero uccise immediatamente, spesso
senza processo, altre vennero incarcerate o deportate nei campi di
concentramento sloveni, come il campo di Borovnica, dove le condizioni di vita
non erano migliori di quelle dei lager tedeschi. In questo secondo periodo, tra
maggio e giugno del 1945, le vittime furono molto più numerose, probabilmente 4
o 5.000.
Alcune delle vittime, una
minoranza, furono gettate nelle grandi cavità sotterranee presenti in tutta la
regione, le foibe: le foibe sono ancora oggi il simbolo dei massacri compiuti
nella regione al termine della guerra.
Si recuperano cadaveri in fondo a una foiba
Vittime di queste due ondate di
violenza e in particolare della seconda non furono soltanto i fascisti e i
collaboratori del fascismo. I partigiani jugoslavi colpirono soprattutto coloro
che avrebbero potuto opporsi all’instaurazione di uno Stato comunista e all’unione
della Jugoslavia: furono perciò uccisi i membri del CLN di Trieste e Gorizia,
perché per i comunisti sloveni l’intera Resistenza italiana non comunista
costituiva un ostacolo alla realizzazione di uno Stato comunista. Le vittime
furono soprattutto italiani, perché coloro che volevano mantenere la regione
unita all’Italia erano considerati nemici da eliminare, ma anche numerosi
croati e sloveni anticomunisti furono eliminati in quei giorni.
Questi episodi di violenza
spinsero molti italiani a fuggire, per paura di venire uccisi; quelli che rimasero
nei territori passati alla Jugoslavia subirono minacce e intimidazioni di ogni
tipo e ben presto divenne evidente che le loro condizioni di vita sarebbero
state molto difficili, perché il governo jugoslavo voleva cancellare la
presenza italiana, a lungo dominante nell’area sia economicamente, sia
culturalmente. Poiché il trattato di pace prevedeva la possibilità di emigrare
in Italia, moltissimi decisero di andarsene: di fatto l’esodo cancellò quasi completamente
la comunità italiana in Istria, presente da secoli.
Dislocazione delle principali foibe nella regione che costituiva
un’area sotto controllo tedesco, chiamata Litorale Adriatico (i confini sono
quelli del 1945)
La Seconda guerra mondiale portò
a una profonda divisione dell’Europa, stabilita già prima della fine della
guerra, con la conferenza di Jalta, sul Mar Nero (febbraio 1945), tra Stalin,
Churchill e Roosevelt. Si decise che Germania e Austria sarebbero state
sottoposte a zone d’influenza diverse e lo stesso sarebbe stato fatto per
l’intera Europa: infatti, al termine della guerra, l’Europa orientale, liberata
dall’esercito sovietico, passò sotto il controllo dell’URSS; quella
occidentale, liberata dagli eserciti alleati, passò sotto l’influenza degli
USA.
A Jalta si prese una decisione
analoga per la Corea, che venne divisa in due zone sotto il controllo dell’URSS
e degli USA.
I «tre grandi» alla conferenza di Jalta; da sinistra, Churchill,
Rossevelt e Stalin
Se a Jalta, spinti dall’obiettivo
di mettere fine alla guerra, i «tre grandi» riuscirono a concludere importanti
accordi internazionali, finita la guerra e morto Roosevelt, che fungeva da
mediatore delle istanze alleate, emersero rapidamente i contrasti tra USA, URSS
e Gran Bretagna. Nella conferenza di Potsdam (estate 1945) si decise che la
Germania venisse divisa in due Stati diversi: così la Germania occidentale
divenne nel 1949 la Repubblica Federale Tedesca (RFT), legata agli USA; la
Germania orientale divenne la Repubblica Democratica Tedesca (RDT), controllata
dall’URSS. Erano le premesse per l’avvio della guerra fredda.
Cartine con le divisioni a cui fu sottomessa la Germania
Un altro fatto importante che
accadde al termine della guerra fu l’istituzione di un tribunale internazionale
per punire i criminali di guerra tedeschi. La decisione venne presa a Londra
l’8 agosto 1945 e portò ai processi di Norimberga: in questa città, scelta
perché teatro delle grandi adunate nazionalsocialiste e perché qui vennero
emanate le leggi razziali del 1935, fra l’autunno 1945 e l’autunno 1946 si riunì
una corte composta da giudici militari dei Paesi alleati (compresa la Francia),
che giudicò i maggiori esponenti e le organizzazioni del regime nazista.
I giudici e la corte del tribunale internazionale alleato che giudicò i
criminali di guerra nazisti a Norimberga
Fu giudicata di per sé criminale
e punibile l’appartenenza alla direzione del partito, alla Gestapo, al servizio
di sicurezza e alle SS; i capi d’accusa furono la cospirazione e i crimini
contro la pace (ossia «lo scatenamento o il perseguimento di una guerra di
aggressione o in violazione dei trattati»), i crimini di guerra e i crimini
contro l’umanità (ossia «l’uccisione, lo sterminio, la riduzione in schiavitù,
la deportazione o ogni altro atto disumano commesso contro qualsiasi popolazione
civile prima o durante la guerra», comprese le persecuzioni per motivi
razziali, religiosi o politici). I processi di Norimberga portarono alla
condanna per impiccagione di 12 imputati (fra cui Göring che morì suicida prima
di salire sul patibolo), all’ergastolo per altri tre, a pene detentive per
altri ancora e al proscioglimento per altri.
Al più celebre dibattimento
contro i capi nazisti, seguirono altri dodici processi condotti dagli USA
contro alcuni responsabili di crimini nazisti, che si conclusero solo nel 1949.
I processi di Norimberga suscitarono numerose polemiche per le scelte
giuridiche che vi vennero prese. Tant’è che molti dei criminali nazisti in
seguito giudicati in Germania o all’estero vennero poi assolti o i loro reati
caddero in prescrizione (cioè furono considerati non più giudicabili). Con
l’inizio della guerra fredda gli stessi alleati favorirono un certo “oblio”
degli eventi bellici e non vennero più istituiti tribunali internazionali per
giudicare quanto era accaduto durante la Seconda guerra mondiale.
Alcuni imputati ai processi di Norimberga
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