Il fascismo e le sue canzoni

IL FASCISMO E LE SUE CANZONI

PREMESSA

Uno dei più importanti strumenti che il fascismo ebbe a disposizione per la sua opera di propaganda (già piuttosto efficace anche in altri modi) fu la radio, con la conseguente possibilità di trasmettere notizie e spettacoli controllati dal regime.
Brevemente ricordiamo che fu l’italiano Guglielmo Marconi (Bologna 1874 – Roma 1937) il pioniere delle trasmissioni radio e che la prima trasmissione è datata al 24 dicembre 1906; la nascita della prima stazione radio con trasmissioni dedicate al "pubblico" è del 1919, mentre è del 2 novembre 1920 la trasmissione in diretta del secondo turno delle elezioni presidenziali statunitensi, la quale, sebbene ascoltata dai fruitori di non più di mille apparecchi radiofonici allora già presenti nelle case americane, ebbe una tale risonanza da far scattare la corsa alla costruzione di nuove stazioni e la progettazione e la vendita di nuovi apparati riceventi.


Guglielmo Marconi

Se in America si scatenò la corsa alla radiodiffusione, in Italia si riteneva ancora che il nuovo strumento fosse indicato solo per scopi militari e le leggi varate nei primi anni del XX secolo confermavano questa posizione. Nei primissimi anni del suo governo anche Mussolini fu diffidente sulle potenzialità commerciali e propagandistiche che la radio aveva, ma nel 1924 venne messa in funzione la prima stazione trasmittente da parte dell'URI (Unione Radiofonica Italiana), una società costruita dallo stesso Marconi. Sei anni dopo furono terminate anche le emittenti di Milano e Napoli e a questo punto Mussolini comprese l'importanza del nuovo media e fu costituita una nuova società, la famosa EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, che nel dopoguerra diventerà RAI), che, grazie al progressivo diffondersi degli apparecchi radio nelle case, contribuì non poco a diffondere parole, suoni, canzoni in tutta Italia. Si calcola che nel 1926 gli abbonati all'URI fossero circa 26.000 e nel 1928 erano saliti a 62.000, in realtà non tantissimi ancora, anche perché i prezzi erano piuttosto alti: agli inizi degli anni '30 il prezzo medio di una radio era attorno alle 2.000 lire e il reddito annuo medio era ancora al di sotto delle 3.000 lire. Si capisce allora come la radio in Italia fosse un bene estremamente costoso alla portata della sola alta borghesia.


Manifesti dell’URI e dell’EIAR

Nel 1937 si incominciarono a produrre apparecchi di ottima qualità al di sotto delle 1.000 lire e questo comportò un aumento del numero degli utenti radiofonici.
Nel 1939 l'EIAR decide di organizzare un referendum tra gli abbonati al fine di conoscere più da vicino gusti e preferenze dei radioascoltatori. Tra coloro che risponderanno al questionario, che viene distribuito in novembre e doveva essere restituito compilato entro il 31 gennaio1940, verranno sorteggiati ricchi premi (ben 100.000 lire in Buoni del Tesoro al primo estratto). Il sorteggio ha luogo a Torino il 10 giugno 1940, lo stesso giorno in cui a Roma, Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia. Il referendum ha avuto un imprevisto successo. Ha risposto il 75% degli abbonati. Una volta elaborati i dati raccolti si appura che il pubblico radiofonico accanto al giornale radio e ai commenti ai fatti del giorno preferisce i programmi musicali e, tra i generi musicali, soprattutto la canzone, che va quindi considerata come tipica e rappresentativa espressione del costume del tempo, interprete efficace e forse insostituibile delle gioie, delle ansie, delle malinconie e delle speranze del popolo italiano. Ne tiene conto il Ministero della Cultura Popolare (MINCULPOP), che si impegna nel favorire e controllare la produzione di canzoni propagandistiche dello sforzo bellico. Viene costituito un apposito organo tecnico, presieduto dal Maestro Giordano, insigne compositore lirico e accademico d'Italia. L'EIAR dedica alle canzoni selezionate un’apposita rubrica quotidiana, intitolata ''Canzoni del tempo di guerra''. Il successo è enorme, tanto che lo stesso Mussolini interviene perché non si esageri nel trasmettere le canzoni in radio, dopo aver ricevuto questo appunto da un suo informatore confidenziale: «La gente si dimostra scioccata dalle troppe canzoni patriottiche che sono diffuse dall'EIAR. Dicono che ottengono l'effetto contrario e che il grande pubblico non ha bisogno di questi incitamenti ma piuttosto di una migliore distribuzione di viveri...».
Ciò nonostante, durante la seconda guerra mondiale la radio assunse un enorme potenziale propagandistico sia a uso interno che internazionale e a tale scopo fu creata "Radio Urbe".


Un apparecchio Radio Balilla, un semplice ricevitore venduto a sole 430 lire, per permetterne la diffusione a livello popolare

IL MITO DELLA ROMANITÀ

“Fascismo”, “duce”, “legione”, “impero”, “figli della lupa” e tante altre, sono tutte parole ed espressioni che si incontrano inevitabilmente studiando il fascismo, questo movimento politico che così fortemente ha segnato la nostra storia nel XX secolo; sono tutti termini desunti dal mondo latino, quello che all’inizio dell’era cristiana ha portato lo Stato romano a conquistare e governare uno dei più estesi e famosi imperi della storia dell’umanità.
La cosa non è casuale, ma rientra in uno dei princìpi fondamentali dell’ideologia mussoliniana: l’aspirazione ad una grandiosità per il presente e il futuro dell’Italia, memore della magnificenza latina e in grado di eguagliarla. Verrebbe quasi da pensare che Mussolini avesse in mente di “conquistare il mondo”, se non fosse che la storia ci ha mostrato che qualcun altro ci provò con più convinzione e mezzi del nostro duce, anzi DUCE, come a un certo punto fu obbligatorio scrivere. Sta di fatto che, anche se questa non era l’intenzione, anche se le possibilità erano alquanto remote, ricorrere di continuo, ossessivamente, con studiata cognizione al mito di Roma antica e dei suoi splendori (senza, naturalmente, far mai riferimento alle miserie, alle corruzioni, alle disuguaglianze sociali profondissime che anche l’impero romano conobbe) serviva a infondere negli animi speranze e desideri, tanto più potenti, quanto maggiore era lo stato di miseria economica e sociale in cui l’Italia si trovava, ancor più evidenti dopo i disastri provocati dalla Grande Guerra. Il mito della romanità fu pertanto perseguito dai governanti e accettato dai governati con entusiasmo e con fiducia; forse per questo, quando si vide come stava andando a finire, fu facile staccare dai palazzi pubblici i fasci littori e gli altri simboli del fascismo, cancellare dalle facciate delle case i “motti” celebri del duce condottiero, fare a pezzi i suoi busti e le sue statue. Voltar pagina, insomma.
Ma intanto erano passati vent’anni e come si sia vissuto in quel ventennio, che cosa si pensasse di sé e degli altri, quali conti si dovessero fare nel tentativo di coniugare i sogni con la realtà, è ben documentato dalle canzoni qui presentate.

INNO A ROMA
Scritto nel 1919 da Fausto Salvatori su una melodia di Giacomo Puccini, questo inno venne successivamente fatto proprio dal regime fascista; l’Inno a Roma divenne repertorio imprescindibile di ogni manifestazione ufficiale di regime: erano sempre eseguite la Marcia reale, in onore della monarchia, Giovinezza, inno del fascismo e appunto l’Inno a Roma. Tanto la musica quanto il testo suscitavano veri entusiasmi ed emozioni nel pubblico: la gente, infatti, si sentiva partecipe di un destino grandioso che doveva fare di Roma, per la sua centralità che le derivava non dal Cattolicesimo, ma dall’essere sede del potere del Duce, il caput mundi di una nuova Italia, dell’Italia fascista.

Roma divina, a te sul Campidoglio
dove eterno verdeggia il sacro alloro,
a te nostra fortezza e nostro orgoglio
ascende il coro.
Salve, Dea Roma!
Ti sfavilla in fronte il sol che nasce sulla nuova storia:
fulgida in arme, all’ultimo orizzonte, sta la Vittoria.
Sole, che sorgi libero e giocondo,
sul colle nostro i tuoi cavalli doma,
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma, maggior di Roma.
Per tutto il cielo è un volo di bandiere,
e la pace del mondo oggi è latina.
Il tricolore canta sul cantiere,
su l’officina.
Madre di genti e di lanosi armenti,
opere schiette e di pensose scuole,
tornano alle tue case i reggimenti
e sorge il sole.
Sole, che sorgi libero e giocondo,
sul colle nostro i tuoi cavalli doma,
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma, maggior di Roma.


A sinistra il compositore Giacomo Puccini (1858-1924), uno dei più grandi autori del melodramma italiano; a destra Beniamino Gigli (1890-1957), tenore famosissimo che incise anche l’Inno a Roma

LA MARCIA DELLE LEGIONI (INNO IMPERIALE)
Musica di Giuseppe Blanc, parole di Vittorio Emanuele Bravetta, del 1924.

Roma rivendica l’Impero.
L’ora dell’Aquile sonò.
Squilli di trombe salutano il vol
dal Campidoglio al Quirinal!

Terra ti vogliamo dominar.
Mare ti vogliamo navigar.
Il Littorio ritorna segnal
di forza, di civiltà!

Sette Colli nel Ciel.
Sette glorie nel Sol.
Dei Cesari il genio e il fato
rivivono nel Duce liberator!

Sotto fasci di allor,
nella luce del dì,
con mille bandiere passa
il Popolo d’Italia trionfator!

Di Roma o sol, mai possa tu
rimirar più fulgida città.
O Sol, o Sol,
possa tu sempre baciar
sulla fronte invitta
i figli dell’Urbe immortal!


Lo spartito della canzone, con la dedica – altisonante e ridicola - “A Benito Mussolini, aquilifero di Roma”

GIOVINEZZA!
Nato come inno goliardico degli studenti universitari nel 1909, questo canto divenne nel 1919 l’inno degli squadristi fascisti (con parole di Marcello Manni che sostituivano quelle originali, mentre la musica era di Giuseppe Blanc) e nel 1924 (o secondo altri nel 1925, con testo di Salvator Gotta, voluto da Mussolini) diventò l’Inno trionfale del Partito Nazionale Fascista e in tutte le manifestazioni pubbliche veniva fatto suonare immediatamente dopo la Marcia Reale. Il Partito Fascista emanò addirittura una nota sul modo in cui si doveva ascoltare questo inno: «Per ordine di Sua Eccellenza il Segretario del P.N.F. [cioè Mussolini] l’inno Giovinezza! dev’essere ascoltato nella posizione di attenti. Alle prime battute si saluta romanamente...».
Di questo canto – così legato al fascismo - esistono anche delle parodie; una delle più note fu sicuramente quella dal titolo Giovinezza pé ‘n tal cü (Giovinezza, scarpate nel culo – di anonimo): «Giovinezza, pé ‘n tal cü, giovinezza, pé ‘n tal cü / Primavera di gaiezza, pé ‘n tal cü / Il fascismo è la schifezza, pé ‘n tal cü / Della nostra libertà, pé ‘n tal cü…»; le mondine nelle risaie, e le operaie in fabbrica, mettendola in burla con diffusa ironia, la cantarono fino al 1935: nel 1963 la registrò anche Fenisia Baldini.

Salve, o popolo d’eroi,
salve, o Patria immortale!
Son rinati i figli tuoi
con la Fe’ nell’Ideale.
Il valor dei tuoi guerrieri,
la virtù dei pionieri,
la vision de l’Alighieri
oggi brilla in tutti i cuor.

Giovinezza, giovinezza,
primavera di bellezza,
della vita nell’asprezza
il tuo canto squilla e va!

Dell’Italia nei confini
son rifatti gli italiani,
li ha rifatti Mussolini
per la guerra di domani.
Per la gioia del lavoro,
per la pace e per l’alloro,
per la gogna di coloro
che la Patria rinnegar.

Giovinezza, giovinezza, …

I poeti e gli artigiani,
i signori e i contadini,
con l’orgoglio d’italiani
giuran fede a Mussolini.
Non v’è povero quartiere
che non mandi le sue schiere,
che non spieghi le Bandiere
del Fascismo redentor.

Giovinezza, giovinezza,


Il nome Giovinezza, sull’onda del successo della canzone, venne dato anche ad un aperitivo, di cui qui sopra vedi una locandina pubblicitaria. A sinistra, invece, la copertina dello spartito della canzone

LO SQUADRISMO FASCISTA

Sin dal sorgere del movimento fascista, vi furono aggregazioni più o meno spontanee fra alcuni dei militanti che, attraverso l'uso della violenza, cercavano di imporre la supremazia della loro fazione politica là dove il dibattito non prevaleva per convincimento. Il fenomeno ebbe rilevanza nazionale, manifestandosi pressoché in tutte le regioni con caratteristiche simili, sebbene fosse relativamente più diffuso in quelle centro-settentrionali. Queste aggregazioni erano composte da squadre d'azione (dette anche "squadracce", da cui il nome di squadrismo) e si ponevano come braccio armato del movimento.
Lo squadrismo, dal quale all’inizio il partito teneva ufficialmente (ma non realmente) le distanze, fu riconosciuto in occasione del famoso discorso di Benito Mussolini alla Camera dei Deputati, a seguito del delitto Matteotti, quando il Duce assunse su di sé la piena responsabilità politica del loro discusso operato, di fatto indicando che lo squadrismo era una delle modalità di azione del partito. Con questo discorso iniziava la fase dittatoriale del fascismo, mentre gli squadristi guadagnavano una sorta di immunità politica, che avrebbe consentito loro di spadroneggiare sulle persone e sui beni degli oppositori.
Nelle due canzoni seguenti, dedicate agli squadristi, sono accennati alcuni slogan tipici di questi personaggi: “A Noi”, “Presente” e “Alalà” (che per completezza era “Eja eja alalà”). Quest’ultimo, in particolare ha una storia interessante. Fu suggerito da Gabriele D’Annunzio il 9 agosto del 1917, nel campo della Comina, in Friuli, in sostituzione del “barbarico” Hip, hip, urrà, con il quale i compagni salutavano il poeta. Quell’Hip non piaceva al poeta, che volle mutarlo con i riferimenti classici alla esclamazione latina eja e all’alalà, col quale Achille aizzava i cavalli: il guerriero greco, infatti, prima di lanciarsi contro Ettore, emise quel grido, come ricorda anche Pascoli nel verso «emise allora un alalà di guerra»; divenne presto d’uso comune tra i soldati e dopo la Prima guerra mondiale fu ripreso dai fascisti.

ALL’ARMI! ALL’ARMI!
Inno ufficiale dei fascisti, scritto nel 1921 da Luigi Landi su musica di anonimo.

All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti.
Noi del Fascismo siamo i componenti,
la causa sosterrem fino alla morte,
e lotteremo sempre forte, forte,
finché terremo il nostro sangue in core.
Sempre inneggiando la Patria nostra,
noi tutti uniti difenderemo,
contro avversari e traditori
che ad uno ad uno sterminerem.
All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti.
Lo scopo tutti noi sappiamo
combatter con certezza di vittoria
e questo non sia mai sol per la gloria,
ma per giusta ragion di libertà.
I bolscevichi che combattiamo
noi saprem bene far dileguar
e al grido nostro quella canaglia
dovrà tremare, dovrà tremar.
All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti.
Vittoria in ogni parte porteremo
perché il coraggio a noi non mancherà
e grideremo sempre forte, forte
e sosterrem la nostra causa santa.
In guardia amici, che in ogni evento
noi sempre pronti tutti saremo,
finché la gloria di noi Fascisti
in tutta Italia trionferà.
Finché la gloria di noi Fascisti
in tutta Italia trionferà.


Lo spartito della canzone

SQUADRISTI: A NOI
Canzone del 1939, parole di C. Bruno e Carletto Concina, musica di Carletto Concina. Malgrado i tentativi fatti da Mussolini di apparire come un buon padre (aveva scritto nel 1926: «Bisogna dire basta alla violenza, perché un conto è muoversi in un ambiente amico e altro muoversi in un ambiente ostile. La battaglia è vinta, possiamo tenere un linguaggio moderato perché siamo sicuri della nostra forza e del nostro avvenire»), la canzone ricorda (lo fa anche nell’immagine dello spartito) che “il manganello è sempre quello”: probabilmente per i fascisti questo era “un linguaggio moderato”.

Me ne frego della galera,
camicia nera noi vogliam portar!

Squadristi: a noi!
Il cuore cambiato non è,
o Duce d’eroi
siam qui tutti fieri per te.
 La fede che in quei giorni c’infiammò
per te nei nostri cuor restò.
Squadristi: a noi!
Presente chi tutto donò!

La Vecchia Guardia è la barriera,
la sentinella che l’Impero sempre veglierà.
Il manganello è sempre quello
che fa tremare e sa domar chi oserà;
siamo passati e passeremo
su quelle strade che furon di Roma,
se ci son dei conti ancor
rivivrem con nuova ebbrezza
la seconda giovinezza:
pronti siam quei conti a regolar!

Viventi nel cuor,
i martiri nostri son qua,
son tutti con noi,
risorti col vecchio alalà!
Son rimboccate ancor le maniche,
frementi gridan anche lor:
Squadrismo è onor,
chi muor per la Patria non muor!

La Vecchia Guardia è la barriera…


Lo spartito della canzone

INNO DELLA VECCHIA GUARDIA

Versi di P.Giordano - Musica di C.Ferri

Del fascismo noi siamo
Gli squadristi e lo gridiamo
Non temian neppur la morte
Per l’Italia bella e forte
Lo giuriamo con fermezza
E cantando “Giovinezza”
Di morire per il duce
Che all’impero dette luce.

Vecchia guardia sempre A NOI
Nostro grido di battaglia
Se il duce grida A NOI
Sfideremo la mitraglia.
Tutti uniti noi saremo
E diritto tireremo,
Scriveremo nella storia
Nuove pagine di gloria.

Me ne frego lo gridiamo
Col pugnale nella mano
Puniremo il traditore
Del fascismo redentore;
pronti siam per il cimento
con le fiamme alzate al vento,
è lo spirito dei morti
che ci guida e ci tien forti.

Vecchia guardia ecc.


Squadristi romani dopo la marcia su Roma

IL DUCE

DUCE, DUCE
Versi di Carlo Zangarini, musica di Giuseppe Pettinato.

Duce, Duce, nome benedetto,
che di gioia accendi il nostro petto,
ti saluta la giovinezza,
che al tuo cuore più vicina sta.
Alla fiamma del tuo santo ardore
si prepara qui d'Italia il fiore:
la palestra di sua grandezza
nel tuo nome qui la stirpe avrà!

Duce, Duce, pace noi vogliam!
Duce, Duce, guerra non temiam!
Scudo il nostro cuore (A Noi! A Noi!)
sempre a te sarà (A noi! A noi!)
Du-ce! Du-ce! Du-ce! Du-ce!
Roma ancora il mondo guiderà!

Duce nostro, vibra il pugno forte!
Dio ti manda a vincere ogni sorte!
Madre Italia, la tua parola
questa vecchia Europa salverà.
Nel tuo nome, Duce, è l'avvenire;
nel tuo nome vincere o morire;
del Fascismo l'eroica scuola
sia la legge della nuova età!

Duce, Duce, pace noi vogliam!
Duce, Duce, guerra non temiam!
Scudo il nostro cuore (A Noi! A Noi!)
sempre a tè sarà (A noi! A noi!)
Du-ce! Du-ce! Du-ce! Du-ce!
Roma ancora il mondo guiderà!


Benito Mussolini in una foto del 1923

SALUTO AL DUCE

Esponente di spicco del Partito Fascista (anche se soggetto a numerose critiche e ironie), Achille Starace (1889-1945) fu “l’inventore” di numerose forme attraverso le quali il fascismo voleva caratterizzare la vita pubblica degli italiani. Una di queste (accanto al saluto romano, al posto della stretta di mano considerata una “mollezza anglosassone; oppure l’uso del “voi”, considerato più virile rispetto al “lei”) fu appunto il “saluto al duce”, che lo stesso Mussolini definì «una litania cui manca solo di rispondere amen».
La canzone fu scritta nel 1937 da Vittorio Emanuele Bravetta e musicata da Ezio Carabella e divenne l’inno ufficiale dell’Opera Nazionale Balilla (O.N.B.); nel mito fascista della romanità il 21 aprile fa riferimento alla data mitologica della fondazione di Roma.

Benedetto dal sole, dalla terra, dal pane
Dalle mani materne, dal sorriso infantile
Dalle zappe lucenti, dalle navi lontane
Benedetto da Roma al 21 aprile.

Dio ti manda all’Italia come manda la luce
Duce duce duce!

Prendi il sangue ventenne che ci brucia le vene
Fa del sangue la fiamma che difende l’impero
Detta cenni di gloria, spezza ceppi e catene
Operaio, pastore, costruttore, guerriero.

Dio ti manda all’Italia come manda la luce
Duce duce duce!


Il duce mentre fa il saluto romano

GIOVENTÙ FASCISTA

L’Opera Nazionale Balilla fu un'istituzione fascista a carattere parascolastico, fondata nel 1926 e sciolta nel 1937, quando per ordine di Mussolini essa confluì nella Gioventù italiana del littorio (GIL), alle dirette dipendenze del Partito Fascista. L'Opera prese il nome da Giovan Battista Perasso detto Balilla, il giovane genovese che secondo la tradizione avrebbe dato inizio alla rivolta contro gli occupanti austriaci nel 1746: un'immagine di monello rivoluzionario cara al regime fascista. L'ONB era suddivisa in:
Balilla (ragazzi dagli 8 ai 14 anni)
Piccole italiane (ragazze dagli 8 ai 14)
Avanguardisti (ragazzi dagli 14 ai 18)
Giovani Italiane (ragazze dai 14 ai 18).
Più tardi furono aggiunti anche i Figli della Lupa (dai 6 agli 8 anni).
Tra i 18 e i 22 anni i giovani entravano poi nei Fasci Giovanili di Combattimento e nelle Giovani fasciste (gruppi esterni all'ONB). Studenti universitari e delle scuole superiori erano invece tenuti ad aderire ai GUF, Gruppi Universitari Fascisti (anch'essi esterni all'ONB).

BALILLA! (INNO DEI FANCIULLI FASCISTI)
Musica di Giuseppe Blanc, parole di Vittorio Emanuele Bravetta, del 1925

Fischia il sasso, il nome squilla
del ragazzo di Portoria
e l'intrepido Balilla
sta gigante nella storia.
Era il mozzo del mortaio
che nel fango sprofondò
ma il ragazzo fu d'acciaio
e la madre liberò.
Fiero l'occhio, svelto il passo
chiaro il grido del valore.
Ai nemici in fronte il sasso
agli amici tutto il cuor.
Fiero l'occhio, svelto il passo
chiaro il grido del valore.
Ai nemici in fronte il sasso
agli amici tutto il cuor.

Sono baldi aquilotti
come sardi tamburini
come siculi picciotti
o gli eroi garibaldini.
Vibra l'anima nel petto
sitibondo di virtù
Dell'Italia il gagliardetto
e nei fremiti sei tu.
Fiero l'occhio, svelto il passo
chiaro il grido del valore.
Ai nemici in fronte il sasso
agli amici tutto il cuor.
Fiero l'occhio, svelto il passo
chiaro il grido del valore.
Ai nemici in fronte il sasso
agli amici tutto il cuor.


Lo spartito della canzone

INNO DEI BALILLA MOSCHETTIERI
Musica di Giuseppe Pettinato, parole di Carlo Zangarini, del 1935. La guerra d’Africa in corso e quella che sarebbe scoppiata nel 1939 (ancora sconosciuta, ma già presentita a coronamento delle grandezze dell’Italia fascista) hanno ispirato brani come questo, in cui ai bambini si insegnava che avrebbero fatto grande l’Italia solo con il loro “maschio ardore”!

Nell’Italia dei Fascisti
anche i bimbi son guerrieri:
siam Balilla Moschettieri,
del Regime il baldo fior!

La medaglia che portiamo,
con il Duce qui sul petto
fa da scudo al nostro affetto
e d’orgoglio accende i cor!

L’occhio del Duce brilla,
fiso nei suoi Balilla!
Siam la scintilla d’amor che un dì
dal suo gran cuore uscì!
Sì! Sì!

Duce, dei tuoi Balilla
alta la fede squilla!
Più dolce nome
del tuo non c’è!
Duce! Duce! Per te!

Noi abbiamo un bel moschetto
e l’Italia ce lo diede:
Moschettieri, l’arma al piede,
il destino a preparar!

Se Balilla aveva il sasso,
noi scagliamo il nostro cuore:
dei piccini il maschio ardore
può la grande Italia far!

L’occhio del Duce brilla,
fiso nei suoi Balilla!
Siam la scintilla d’amor che un dì
dal suo gran cuore uscì!
Sì! Sì!

Duce, dei tuoi Balilla
alta la fede squilla!
Più dolce nome
del tuo non c’è!
Duce! Duce! Per te!


Lo spartito della canzone e una foto di balilla moschettieri, cioè armati di moschetto

INNO DEI FIGLI DELLA LUPA
Di M. P. Moneta e G. Pettinato, del 1938.

Siamo i figli della Lupa
dell’Italia il primo fiore
e donato abbiamo il cuore
al suo grande Condottier.
Noi di Roma siam Balilla
e del Duce il primo affetto.
Il Suo nome abbiamo in petto
e l’Italia nel pensier.
 
Suonate campane, suonate festose
a schiere di bimbi che passan gioiose 
marciamo inquadrati da veri soldati.
L’Italia e il suo Duce vogliamo seguir.
Suonate campane, suonate festose
a schiere di bimbi che passan gioiose 
marciamo inquadrati da veri soldati.
L’Italia e il suo Duce vogliamo servir.
 
La divisa che portiamo
sempre avrà la nostra Fede.
Mussolini ce la diede
le faremo sempre onor.
Duce, i figli della Lupa
voglion stare a te vicini.
Roma scaldi i suoi piccini
alla fiamma del tuo cuor.
 
Suonate campane, suonate festose
a schiere di bimbi che passan gioiose
cantiamo inquadrati da veri soldati.
L’Italia e il suo Duce vogliamo servir.
Suonate campane, suonate festose
a schiere di bimbi che passan gioiose 
marciamo inquadrati da veri soldati.
L’Italia e il suo Duce vogliamo servir.


Lo spartito della canzone e una foto con bambini in divisa di “figli della lupa”

GIOVANI FASCISTI
Musica di Giuseppe Blanc, parole di Vittorio Emanuele Bravetta, del 1932.

Fuoco di Vesta che fuor del tempio irrompe,
con ali e fiamme la giovinezza va.
Fiaccole ardenti sull’are e sulle tombe,
noi siamo le speranze della nuova età.

Duce, Duce, chi non saprà morir?
Il giuramento chi mai rinnegherà?
Snuda la spada! Quando tu lo vuoi,
gagliardetti al vento, tutti verremo a te!
Armi e bandiere degli antichi eroi,
per l’Italia, o Duce, fa balenare al sol!

Va, la vita va, con sé ci porta,
ci promette l’avvenir.
Una maschia gioventù
con romana volontà combatterà.

Verrà, quel dì verrà
che la Gran Madre degli eroi ci chiamerà.
Per il Duce, o Patria, per il Re! A noi!
Ti darem gloria e Impero in oltremar!


Lo spartito della canzone, dedicato al duce, come tutto ciò che veniva fatto allora: il fascismo si alimentò (come tutte le dittature) anche del culto della personalità del capo

INNO DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI FASCISTI
I G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti) nascono ufficialmente nel 1920 e raccolgono tutti gli studenti universitari che si riconoscono nei programmi dei Fasci Italiani di Combattimento prima e nel Partito Nazionale Fascista poi.
I primi studenti universitari aderirono al fascismo già nel 1919 e in molte città si formarono Squadre d’Azione interamente formate da goliardi.
Con la presa del potere il regime si dedicherà con attenzione all’organizzazione e all’istruzione di questa gioventù, che, a detta dello stesso Mussolini, dovrà rappresentare la futura classe dirigente dell’Italia. In altre parole, il regime pensa bene di indottrinare attentamente i giovani universitari. Basta leggere, ad esempio, cosa dice l’articolo 1 del regolamento dei G.U.F.: «i gruppi dei fascisti universitari, posti alla diretta dipendenza del Segretario del P.N.F., inquadrano la gioventù studiosa, per educarla secondo la dottrina del Fascismo».
Naturalmente, con l’abitudine quasi maniacale che il fascismo aveva di mettere in divisa gli italiani, anche gli universitari avevano i loro distintivi particolari, obbligatori sulle divise da gare sportive.
La canzone è del 1927: musica di Giuseppe Blanc, parole di Vittorio Emanuele Bravetta.

Siamo fiaccole di vita,
siamo l'eterna gioventù
che conquista l'avvenir
di ferro armata e di pensier.
 
Per le vie del nuovo Impero
che si dilungano nel mar,
marceremo come il duce vuole,
dove Roma già passò.
 
Bocche di porpora ridenti,
date amor, date amor,
e noi domani a tutti i venti
daremo il tricolor.
 
O nude stanze,
fredde, squallide nell'ora di studiar,
dove speranze,
sogni, canti pur ci vengono a trovar,
 
a noi veglianti
sui volumi d'ogni scienza e d'ogni età,
il dovere gridi: "Per l'Italia e per il Duce
eja, eja, eja, alalà!"


Lo spartito della canzone, con la dedica “A Benito Mussolini principe degli studiosi”

INNO DEI GIOVANI FASCISTI
Di Vittorio Emanuele Bravetta e Giuseppe Blanc, del 1932

Fuoco di Vesta che fuor del Tempio irrompe,
con ali e fiamme la Giovinezza va.
Fiaccole ardenti sull'are e sulle tombe,
noi siamo le speranze della nuova età.
Duce, Duce, chi non saprà morir?
Il giuramento chi mai rinnegherà?
Snuda la spada! Quando Tu lo vuoi,
gagliardetti al vento, tutti verremo a Te!
Armi e bandiere degli antichi eroi,
per l'Italia, o Duce, fa balenare al sol!
Va, la vita va,
con sé ci porta, ci promette l'avvenir.
Una maschia gioventù
con romana volontà combatterà.
Verrà, quel dì verrà
che la Gran Madre degli Eroi ci chiamerà.
Per il Duce, o Patria, per il Re!
A Noi! Ti darem
Gloria e Impero in oltremar!!!

I MOTTI MUSSOLINIANI

Mussolini amava esprimersi con frasi brevi ed efficaci, che i cortigiani del regime si affrettavano a trasformare in detti di una profondità incommensurabile. Come direttore dell’Avanti! prima e del Popolo d’Italia poi, il duce aveva imparato che si imprimeva meglio nella testa delle persone uno slogan, piuttosto che un ragionamento, magari elaborato, come si poteva trovare nei comizi degli altri partiti.
Ecco alcuni di questi motti, che ti fanno capire la “grandezza” del personaggio e il messaggio, più o meno esplicito, che veniva trasmesso:

- Meglio vivere un giorno da leone, che cento anni da pecora.
- Chi si ferma è perduto.
- Meglio morire in piedi, che vivere una vita in ginocchio.
- Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi.
- Fedeltà è più forte del fuoco.
- Pronti, ieri, oggi, domani al combattimento per l'onore d'Italia.
- Libro e moschetto, fascista perfetto
- Boia chi molla
- Molti nemici, molto onore.
- Fino alla vittoria.
- Le radici profonde non gelano mai.
- O con noi o contro di noi.
- Dovete sopravvivere e mantenere nel cuore la fede.
- Non siamo gli ultimi di ieri ma i primi del domani.
- Nessun fenomeno al mondo può impedire al sole di risorgere.
- Meglio lottare insieme che morire da soli.
- Non basta essere bravi, bisogna essere i migliori.
- Anche se tutti, noi no!
- Ardisco ad ogni impresa.
- Beffo la morte e ghigno.
- Chi osa, vince!
- Fermarsi significa retrocedere.
- La cinematografia è l’arma migliore.
- Io mi vanto soprattutto di essere un rurale.
- L’architettura è la sintesi di tutte le arti.
- La disciplina deve incominciare dall’alto, se si vuole che sia rispettata in basso.
- Lavoratore, ricorda che anche tu sei soldato, che il tuo lavoro è la tua trincea.
- Gli italiani debbono farsi una mentalità autarchica.
- Marciare, non marcire!
- Nessuno ha potuto fermarci… nessuno ci fermerà!
- Noi siamo sempre domani.
- Senza sforzo, senza sacrificio e senza sangue nulla si conquista nella storia.
- Ringrazia ogni giorno devotamente Dio perché ti ha fatto italiano.
- Quella che chiamano la mia “dittatura” è basato su molto entusiasmo popolare.
- Sposi della vita, amanti della morte.
- Con le nostre macchine, come, soprattutto, col nostro popolo e la nostra fede, andremo sicuramente verso la vittoria.
- Siamo quelli che siamo.
- Bisogna dare la massima fecondità ad ogni zolla di terra.
- Noi tireremo dritto.
- Fummo e saremo sempre cavalieri della sovranità.
- Oggi non ci sono più italiani di ponente o di levante, del continente o delle isole: ci sono soltanto degli italiani.
- Il contadino deve rimanere fedele alla terra, deve essere orgoglioso di essere contadino, fiero di lavorare il suo campo.
- Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà - contro chiunque e con le sue armi.
- Vincere, e vinceremo!

ME NE FREGO
Il titolo di questa canzone ripeteva uno dei “motti” più celebri del duce. La canzone è del 1936. Musica di R. Prisco, parole di E.A. Mario.

Il motto pregiudicato e schietto
Fu detto da un baldo giovinotto
Fu trovato molto bello, se ne fece un ritornello
E il ritornello allegro fa così:
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me.

Albione (1) la dea della sterlina
S'ostina vuol sempre lei ragione
Ma Benito Mussolini
Se l'italici destini sono in gioco può ripetere così:
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me.

Franchezza di marca italiana
Non vana baldanza che disprezza
Chi sa bene quel che vuole
Non può dir tante parole
Per sbrigarsi gli conviene dir così:
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me.

L'Italia che chiede un posto al sole (2)
Non vuole non può star sempre a balia
Il linguaggio suo rivela che la è uscita di tutela
E a chi si scandalizza può ben dir:
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me.

È strano c'è un ascaro (3) che è allegro
È negro ma parla in italiano
Per provar che parla bene
Proprio come si conviene
Ripete a perdifiato tutto il dì:
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me
Me ne frego non so se ben mi spiego
Me ne frego fo quel che piace a me.

(1) la Gran Bretagna
(2) modo per indicare il desiderio di conquista coloniale dell’Italia fascista nei confronti dell’Africa
(3) soldato indigeno delle truppe coloniali europee, specialmente di quelle italiane in Eritrea e Somalia


Contrassegno degli squadristi con il motto “Me ne frego”

LA GUERRA D’ETIOPIA

Nel 1935 il governo fascista decise di conquistare l’Etiopia, l’unico stato africano che era riuscito a conservare la propria indipendenza sconfiggendo le truppe italiane ad Adua nel 1896. La guerra di Etiopia (detta anche guerra d’Africa - 1935-1936) fu condotta con tutti i mezzi disponibili e nel totale disprezzo delle convenzioni internazionali: vennero massacrati i civili ed usati i gas velenosi. Dopo la vittoria vennero assassinati gli intellettuali, i capi religiosi e militari e tutti coloro che avrebbero potuto guidare una rivolta: il dominio coloniale fu imposto con il terrore.
L’attacco all’Etiopia fu condannato dalla Società delle Nazioni (l’antenato dell’ONU attuale), che impose una serie di “sanzioni economiche” al nostro Paese, in seguito alle quali l’Italia non avrebbe potuto più importare materie prime e prodotti industriali dagli altri Stati; in realtà le annunciate sanzioni rimasero pura teoria, anche se Mussolini si aggrappò ad esse (chiamandole “inique sanzioni”) per esaltare la forza del fascismo, che non si lasciava piegare da ben cinquantadue nazioni né dalle potenze plutocratiche, decise ad impedire all'Italia di avere il suo "posto al sole". Contemporaneamente il duce proclamava l’autarchia, cioè una politica economica che rinunciava agli scambi con gli altri Stati, tanto avremmo potuto farcela da soli. Politicamente, comunque, il governo fascista si trovò isolato in Europa: solo la Germania di Hitler appoggiò l’Italia.
Le prime due canzoni che trovi di seguito, sono state scritte per preparare gli italiani alla guerra.

DIVINA PATRIA                                                         
Di Angella e Vitale

Un giorno il tambur
lontano rullerà
e le trombe squillino,
trillino, chiamino.
Se poi come un tuon
echeggerà il cannon
ci troverà ben pronti per marciar.
 
Patria nostra tu, divina Patria
sei più preziosa della nostra vita.
Noi darem per te
con un sorriso sulle labbra
come un dono il nostro ben.
Patria nostra tu, divina Patria
se chiami all'armi correremo uniti.
Premio non vogliam
con un sorriso "A NOI" premio sarà.
 
E' bello morir
la Patria per salvar;
la bandiera libera
palpiti, sventoli;
sui monti e sui mar,
è bello guerreggiar
con dei fucili contro il nemico vil.
 
Patria nostra tu, divina Patria
sei più preziosa della nostra vita….

ITALIA IN PIEDI
 Canzone del 1935, parole del capitano Alfredo De Biasio, musica di Dino Olivieri

O Italia chiusa fra le Alpi e il mare
Terra d’artisti, martiri e d’eroi
D’Europa i vili tentan soffocare
La tua possanza ed affamare noi
Devoti figli poiché l’Anglia vuole
Toglierci il posto che ci spetta al sole.

Italia in piedi, bandiere al vento
Comanda il Duce con ferreo accento
Tutti i tuoi figli son stretti a te
In un sol fato e in una fe’.

Italia è Roma e noi romanamente
Figli d’Italia pugnerem; nessuno
Pensi piegarci senza e duramente
Aver prima molto combattuto
Resisteremo noi per la tua gloria
O madre Italia fino alla vittoria.

Italia in piedi, bandiere al vento
Comanda il Duce con ferreo accento
Tutti i tuoi figli son stretti a te
In un sol fato e in una fe’.

Se occorre il ferro noi daremo i letti,
Se occorre l’oro noi darem le fedi,
Se occorre il sangue offriremo i petti
Tutto daremo per te, Italia in piedi
E vinceremo poiché oggi, o Albione,
Tutta l’Italia è decima legione.

Italia in piedi, ancor non doma
È la vittoria figlia di Roma
Tutti i tuoi figli son stretti a te
Pronti a morire pel nostro re.

Italia in piedi, bandiere al vento
Comanda il Duce con ferreo accento
Tutti i tuoi figli son stretti a te
In un sol fato e in una fe’.

TI SALUTO, VADO IN ABISSINIA
Di Pinki, Oldrati, Rossi, scritta al tempo della guerra d’Africa

Si formano le schiere e i battaglion
che van marciando verso la stazion.
Hanno lasciato il loro paesello
cantando al vento un gaio ritornello.
Il treno parte e ad ogni finestrin
ripete allegramente il soldatin:
 
Io ti saluto e vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
Appena giunto nell'accampamento
dal reggimento ti scriverò.
Ti manderò dall'Africa un bel fior
che nasce sotto il ciel dell'equator.
Io ti saluto, vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
 
Quel giovane soldato tutto ardor
c'è chi sul petto ha i segni del valor,
ma vanno insieme pieni di gaiezza
cantando gli inni della giovinezza.
Il vecchio fante che non può partir
rimpiange in cuore di non poter dir:
 
Io ti saluto e vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.
Appena giunto nell'accampamento
dal reggimento ti scriverò.
Ti manderò dall'Africa un bel fior
che nasce sotto il ciel dell'equator.
Io ti saluto, vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.

Dall’Alpi al mare fino all’equator
innalzeremo ovunque il tricolor.
Io ti saluto, vado in Abissinia
cara Virginia, ma tornerò.


Lo spartito della canzone

IN AFRICA SI VA
Di Frati, Raimondo

La tromba del quartiere è già suonata
È l’adunata del battaglion
Un rigo in fretta per l’innamorata
Poi la sfilata lungo i bastion
E per le strade ancora tormentate
Risuona dei soldati la canzon.

Si va per Mussolini nell’Africa oriental
Abbiam con gli abissini molti conti da saldar.
Per chiudere la partita portiam nella giberna
L’elisir di lunga vita per il Negus Selassiè (1).
Si va per Mussolini per l’Italia e per il re.

Tremante d’emozione una vecchietta
Si reca in fretta alla stazion
Per dire al figlio suo con amore:
“Va’, fatti onore, io pregherò”
“Ritornerò col segno del valore”
Le grida il figlio mentre il treno va.

Si va per Mussolini nell’Africa oriental
Abbiam con gli abissini molti conti da saldar.
Per chiudere la partita portiam nella giberna
L’elisir di lunga vita per il Negus Selassiè.
Si va per Mussolini per l’Italia e per il re.
E un giorno non lontano laggiù sull’altipiano
Vedremo sventolare più superbo il tricolor.
Si va per Mussolini per l’Italia e per il re.

(1) Negus è un titolo nobiliare etiope corrispondente a quello di re; nell'accezione negus neghesti ("re dei re") corrisponde al titolo di imperatore; molto spesso il termine negus si trova impiegato in questo senso. Hailé Selassié I (1892 – 1975) è stato prima reggente e poi Imperatore d'Etiopia dal 1930 al 1936 e dal 1941 al 1974.


Il negus d’Etiopia Hailé Selassié

STORNELLI NERI
Di Nino Casiroli (musica) e Armando Gill (parole). Questa canzone del 1935, come altre sulla guerra in Etiopia, è connotata da uno spiccato razzismo: il negus è incapace di far fruttare le sue terre, probabilmente in quanto “nero”. In più c’è il tipico atteggiamento fascista di relazionarsi con gli altri con la forza (il manganello), anziché con la discussione e il dialogo.

Se prenderemo il Negus
gliene farem di belle
Se prenderemo il Negus
gliene farem di belle
Se lui farà il testardo
noi gli farem la pelle!
Dai dai dai
l'abissino vincerai!

Ha molte terre incolte
che non sa far fruttare
ha molte terre incolte
che non sa far fruttare!
E noi sarem capaci
di andarle a conquistare
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

Se l'Abissino è nero
gli cambierem colore
se l'Abissino è nero
gli cambierem colore!
A colpi di legnate
poi gli verrà il pallore
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

La flemma a quel paese
si è alquanto un po’ cambiata
la flemma a quel paese
si è alquanto un po’ cambiata!
Se prende le difese
la mandiamo in ritirata
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

Il general De Bono (1)
ci ha detto in confidenza
Il general De Bono
ci ha detto in confidenza
Se prenderemo il Negus
ci manderà in licenza
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

Ho fatto una promessa
stasera al mio tenente
ho fatto una promessa
stasera al mio tenente
Di fare il valoroso
se vado giù in Oriente
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

Se il Negus non risponde
e all'armi fa l'appello
se il Negus non risponde
e all'armi fa l'appello
Noi gli farem gustare
l'antico manganello
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

C'è una nazione grande
che ha molti quattrini
c'è una nazione grande
che ha molti quattrini
Noi in compenso a Roma
abbiamo Mussolini
Dai dai dai
l'Abissino vincerai!

(1) Emilio De Bono (Cassano d'Adda, 19 marzo 1866 - Verona, 11 gennaio 1944) è stato un militare ed un uomo politico italiano. Studiò all'accademia militare e nel 1912 prese parte con successo alla Guerra Italo-Turca. Promosso colonnello dei Bersaglieri, fu pluridecorato nella Prima guerra mondiale: tale esperienza bellica gli ispirò la celebre canzone "Monte Grappa, tu sei la mia patria" che nel 1918 venne musicata da Antonio Meneghetti. Al termine della Grande Guerra aderì al fascismo, e, anche se non volle prendere parte in prima persona allo squadrismo, guidò, essendo il quadrumviro più anziano, la marcia su Roma delle camicie nere e poco dopo la nascita del governo Mussolini assunse le cariche di direttore generale della Pubblica Sicurezza e di primo comandante della Milizia. Ritenuto in qualche modo responsabile della morte del deputato socialista Giacomo Matteotti, fu processato (e quindi costretto a rinunciare a tutti i suoi incarichi) ma clamorosamente assolto.
Governatore della Tripolitania dal 1925 al 1928, nel 1929 Benito Mussolini lo nominò Ministro delle Colonie, mantenendolo però all'oscuro dei suoi intrighi politici. Comandante delle truppe italiane durante le prime fasi della Seconda guerra Italo-Abissina, assunse una tattica prudente e fu per questo sostituito dal duce con Pietro Badoglio. Prima della sostituzione aveva conquistato Massaua ed era arrivato alle porte di Adua.
Ispettore delle truppe d'oltremare nel 1939 e poi comandante delle Armate Sud, si oppose all'ingresso italiano nella Seconda guerra mondiale. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio 1943 votò in favore della sfiducia a Mussolini. Catturato dalle truppe della neonata Repubblica Sociale Italiana, fu condannato a morte per alto tradimento e giustiziato dopo il processo di Verona l'11 gennaio del 1944.


Emilio De Bono in una fotografia autografata del 1936 – XIV (ossia 14° anno dell’era fascista, come si usava dire allora, contando gli anni dal 1922, l’anno della marcia su Roma)

FACCETTA NERA
Scritta nell'aprile del 1935 da Giuseppe Micheli (storico della canzone romana) e dal maestro Mario Ruccione, e lanciata per la prima volta da Carlo Buti al Teatro Capranica la sera del 24 giugno a Roma, Faccetta nera ebbe un grande successo, specialmente nella versione cantata da Carlo Buti, con la sua voce vellutata, dolce ma allo stesso tempo forte. Il disco venne venduto tantissimo sia in Italia sia in America, tanto che l'autore ne scrisse un secondo testo, poco noto, aggiornato alla già avvenuta conquista e fondazione dell'impero.
Non tutti sanno che la censura fascista si abbatté su questa canzone, infatti la sua prima stesura non era piaciuta al regime per due motivi: innanzitutto era in romanesco, cosa non troppo gradita per il particolarismo dell'idioma locale; poi conteneva troppi accenti di ammirazione per la "bella abissina", suonando quasi come un incoraggiamento alla commistione delle razze. Un anno più tardi l'autore dovette porvi mano pesantemente. A questo motivetto che aveva ormai conquistato gli italiani, si tentò tuttavia di contrapporre una "Faccetta bianca", canzone mediocre di Grio e Macedonio, che non lascerà traccia. In seguito, facendo buon viso a cattivo gioco e travolti loro stessi dal successo popolare del brano, i gerarchi furono costretti ad adottare la versione rimaneggiata di "Faccetta nera" come uno degli inni del regime.

Se tu dall'altopiano guardi il mare,
moretta che sei schiava tra le schiave,
vedrai come in un sogno tante nave
e un tricolore sventolar per te.
 
Faccetta nera, bell'abissina
aspetta e spera che già l'ora s'avvicina,
quando saremo vicino a te
noi ti daremo un'altra legge e un altro Re.
 
La legge nostra è schiavitù d'amore
ma è libertà di vita e di pensiere
vendicheremo noi camicie nere
gli eroi caduti liberando te.

Faccetta nera, bell'abissina
aspetta e spera che già l'ora s'avvicina,
quando saremo vicino a te
noi ti daremo un'altra legge e un altro Re.

Faccetta nera, piccola abissina,
ti porteremo a Roma liberata
dal sole nostro tu sarai baciata
sarai in camicia nera pure te.
 
Faccetta nera sarai romana,
e per bandiera tu c’avrai quella italiana,
noi marceremo insieme a te
e sfileremo avanti al Duce, avanti al Re.


La canzone divenne così celebre, che se ne fece perfino… un estratto di pomodoro!

L'HA DETTO MUSSOLINI
Di Garofalo e Contropassi, vinse il primo premio al Concorso nazionale O.N.D. di Napoli nel 1936.

«Non ti comprar più sciabole e fucili»
m'ha detto il mio balilla moschettiere
«ma il mio danaro mandalo alla Patria
ed i fucili alle camicie nere»
Non sai la canzonetta, non la sai,
te la voglio raccontare, è bella assai:
Non appena spunta il sole
e canta il gallo, e canta il gallo
zaino in spalla, zaino in spalla
ogni colonna innanzi va!
L'italiano è risoluto allegro e forte,
se ne ride della vita e della morte!
Perché tutto il segreto è questo qua:
l'ha detto Mussolini e si farà!

Bella divisa nostra coloniale
mi fai venire l'acquolina in bocca!
Già la sposina mia mi guarda male
mi fa: «Imboscato, a te quando ti tocca?
Gelosa no, non son di quelle more,
tenente in coloniale del mio cuore»
Non appena spunta il sole
e canta il gallo, e canta il gallo
zaino in spalla, zaino in spalla
ogni colonna innanzi va!
L'italiano è risoluto allegro e forte,
se ne ride della vita e della morte!
Perché tutto il segreto è questo qua:
l'ha detto Mussolini e si farà!

E se mi tocca parto e là ti aspetto
e dopo la vittoria anch'io mi piglio
la casa, l'orticello e un bel moretto
non come schiavo, come un altro figlio!
E sulla nostra casa, come un fiore,
sboccerà dell'Italia il tricolore.

Non appena spunta il sole
e canta il gallo, e canta il gallo
zaino in spalla, zaino in spalla
ogni colonna innanzi va!
L'italiano è risoluto allegro e forte,
se ne ride della vita e della morte!
Perché tutto il segreto è questo qua:
l'ha detto Mussolini e si farà!


Illustrazione di Enrico De Seta sull’Etiopia

ADUA
Scritta dal compositore Dino Olivieri su testo di Nino Rastelli, la canzone venne cantata il giorno stesso della liberazione della città avvenuta alle ore 10 del 6 ottobre 1935, cioè 4 giorni dopo l’invasione dell’Eritrea. Il fatto non poteva non far pensare al 1 marzo del 1896, quando 4.000 italiani erano morti combattendo contro le armate di Menelik nel vallone dell’Amba Alagi. Molti storici affermano che quel 6 ottobre del ’35 (molto più del successivo 9 maggio 1936, quando venne proclamato l’impero) segnò l’apogeo della dittatura mussoliniana e del consenso al fascismo: anche i dubbiosi, i diffidenti, coloro che non si erano mai interessati di politica, entrarono spontaneamente quel giorno a far parte della folla acclamante nelle piazze.

Passa la vittoria
sfavillante in un baglior
nel cielo d'or
mille artigli adunchi
si protendono a ghermir
non può sfuggir
ecco gli italiani già
che hanno preso la città
belli nel maschio viso
in un sorriso
voglion cantar:
 
Adua è liberata
è ritornata a noi,
Adua è conquistata
risorgono gli eroi.
Va, vittoria va,
tutto il mondo sa.
Adua è vendicata,
gridiamo alalà.

Rullano i tamburi
cessa il suono del cannon.
Quanta emozion!
S'alza tra le lacrime
di gioia e di passion
una vision:
sono i martiri che un dì
questa terra ricoprì,
ombre color di sangue
nel sol che langue
cantan così:
 
Adua è liberata
è ritornata a noi,
Adua è conquistata
risorgono gli eroi.
Va, vittoria va,
tutto il mondo sa.
Adua è vendicata,
gridiamo alalà.


Lo spartito della canzone

CAROVANE DEL TIGRAI
Il Tigrai è un altopiano roccioso, non particolarmente ospitale e per nulla fertile, in territorio etiope. Nel 1935, grazie anche all’utilizzo dei gas (contro le norme di diritto bellico), il fatidico altipiano (quello dal quale la “bella abissina” Faccetta Nera guardava il mare) fu superato, e Vittorio Emanuele III riuscì a diventare Imperatore d’Etiopia.
La cosa ebbe conseguenze anche sul piano musicale: la conquista ispirò canzoni che irridevano il popolo sottomesso e il suo sovrano (“Povero Selassiè”, “C’era una volta il Negus”), ridevano della condanna della Società delle Nazioni (“Sanzionami questo”, “C’è una bella società”) ed enfatizzavano la misteriosa bellezza delle zone conquistate, come in questo brano scritto nel 1935 da Giuseppe Mendes (parole) ed Eldo Di Lazzaro (musica).
Come accade in “Faccetta nera”, il brano descrive gli italiani non come invasori, ma come benemeriti soccorritori di “chi giammai conobbe libertà”. Se anche l’esercito tricolore fa echeggiare “il rombo del cannon”, ogni schiavo “ascolta col cuore pieno di emozion”. Le sue preghiere sono state ascoltate: la non meglio precisata “schiavitù” avrà termine e finalmente il popolo africano potrà “andare incontro alla civiltà”.

Mentre in ciel lassù nella notte blu
Tremano le stelle tutte d’or
Sale da lontan lieve un canto stran
Pieno di nostalgico dolor
E cantando va nell’oscurità
Chi giammai conobbe libertà
Vanno le carovane del Tigrai
Verso una stella che oramai brillerà
E più splenderà d’amor
Mentre nell’ombra triste della sera
S’innalza un’umile preghiera
Che dà un brivido in ogni cuor
Signore tu che vedi tutto di lassù
Fa che doman finisca questa schiavitù
Vanno le carovane del Tigrai
Verso una stella che oramai brillerà
E più splenderà d’amor
Quando giunse il dì che lontan si udì
Echeggiar il rombo del cannon
Ogni schiavo allor ascoltò il calor
Con il cuore pieno d’emozion
Ora incontro va alla civiltà
E le sue catene spezzerà
Vanno le carovane del Tigrai
Verso una stella che oramai brillerà
E più splenderà d’amor.


Lo spartito della canzone

AFRICA NOSTRA
Del 1935 o 1936. Musica di Pietro Paperini, testo di sconosciuto.

Son raccolte da cento contrade
Le più belle legioni del mondo
Riprendendo di Roma le strade
Oltrepassano il mare profondo!
Esse avanzano in terra africana
Sfavillanti di gioia pugnace
Per donare alla patria lontana
Un diadema di terre e di mar!
Siamo le Camicie Nere
Siamo fanti, siamo alpini
Siamo mille ardite schiere nere
Siam gli eroi di Mussolini!
Artiglieri e bersaglieri
Noi farem la nostra storia
Coi cannoni e con gli avieri
Con le bombe e coi pugnal!

Annientato sarà dalla scure
Che brandisce la mano littoria
Chi si oppone alle mete sicure
Che il Fascismo ha segnato alla gloria!
Nel fiorire d’acciaio e di carni
Splenderà la radiosa vittoria
Nella luce fulgente dell’armi
L’Abissinia redenta sarà!
Siamo le Camicie Nere
Siamo fanti, siamo alpini
Siamo mille ardite schiere nere
Siam gli eroi di Mussolini!
Artiglieri e bersaglieri
Noi farem la nostra storia
Coi cannoni e con gli avieri
Con le bombe e coi pugnal!


Cartolina di E. Zigrano dall’Etiopia: così gli eroi di Mussolini si comportarono in Africa

AFRICANINA
Del 1936, musica di C. Rampoldi, parole di Enea Malinverno.

Tre conti son già stati regolati,
con Adua, Macallè ed Amba Alagi.
Tra poco chiuderemo la partita
vincendo la gloriosa impresa ardita.

Pupetta, amor, africanina,
tu della libertà sarai regina,
col legionario liberatore
imparerai ad amare il tricolore.

Due ottobre ricordatelo a memoria,
nell'Africa Orientale avrà una storia;
Romana civiltà, questa è missione,
e là fiorì innocente una canzone.

Pupetta, amor, africanina,
saprai baciare alla garibaldina,
col bel saluto alla romana
sarai così una giovane Italiana.

Avanti, Italia nuova, che sia gloria!
All'armi tu e volontà littoria!
Vittoria contro i barbari abissini,
e contro i sanzionisti ginevrini!

Pupetta, amor, africanina,
piccolo fiore di orientalina,
labbra carnose, dolce pupilla
tutti i tuoi figli si chiameran Balilla!

Labbra carnose, dolce pupilla,
tutti i tuoi figli si chiameran Balilla!


Un’altra cartolina di E. Zigrano dall’Etiopia

O MORETTINA
Del 1936, musica di Dino Olivieri, parole di Nino Rastelli.

Ho trovato sul lago di Tana
una bella moretta che Dede si chiama,
che m'ama e m'adora:
la porto in Italia, la porto in Italia.
Ora è povera e nuda
ma quando sarà al mio paese
la voglio vestire da bella signora,
la porto in Italia, la porto con me!

O morettina, o morettina,
ti voglio vestire con una pelliccia di barba di ras (1)!
O morettina, o morettina,
ti voglio vestire con una pelliccia di barba di ras!

Morettina va’ nella capanna,
va’ dire alla mamma
se vuole lasciarti venire in Italia,
ti porto in Italia, ti porto in Italia.

La mia mamma mi ha dato una chicca per te
perché è tanto contenta che tu mi conduca in Italia,
io vengo in Italia, io vengo con te!

O morettina, o morettina,
potrai assaggiare le pizze, le vongole ed il panetton!
O morettina, o morettina
Potrai assaggiare le pizze, le vongole ed il panetton!

Addio Signor Negus, in Italia me ne vo,
non mi far la faccia scura, tanto non tornerò,
non mi far la faccia scura, tanto non tornerò!

Ma perché morettina vuoi lasciarmi, ma perché, ma perché?
Ma perché morettina vuoi lasciarmi, ma perché, ma perché?

Io vado laggiù a civilizzarmi! Ciao, ciao Selassiè!
Io vado laggiù a civilizzarmi! Ciao, ciao Selassiè!

O macchinista fuoco al vapore,
tra poche ora potrò sbarcar.
Porto in Italia l'ombrello del Negus,
e cinque barbe, e cinque barbe!
Porto in Italia l'ombrello del Negus,
e cinque barbe….tagliate ai ras!

(1) ras = nell’Impero Etiopico, titolo che originariamente veniva conferito ai capi feudali delle maggiori province e, successivamente, al più alto dignitario dopo il negus.


Illustrazione di Enrico De Seta sugli italiani in Etiopia: le “morette”, ovviamente, sono tutte innamorate degli italiani

NOI TIREREMO DRITTO
Parole e musica di E. A. Mario.

Noi tireremo dritto
faremo quel che il Duce ebbe scritto,
serenamente ridere in battaglia,
figli di questa Italia proletaria,
serena e forte contro tutte le viltà.

Già che la Lega delle nazioni vuol regalarci le sanzioni,
già che la Lega contro noi s’ostina,
sopporteremo con disciplina
cantando allegramente una canzon:

Noi tireremo dritto
l’amor di patria non fu mai delitto,
se il fante in guerra va senza paura
chi resta a casa stringa la cintura,
anche il digiuno in questo caso per salutar.

Durissima vigilia dei ghiottoni
saranno certo le sanzioni,
le pance tonde più non le vedremo,
ma noi frugali non moriremo
per questa dieta di frugalità.

Noi tireremo dritto
se mai vi mostreremo ciò già scritto,
la carne manca poco ci rincresce,
abbiam tre mari, abbiamo tanto pesce,
che a chi ne vuole lo possiamo regalar.

Sono applicate ormai le sanzioni,
stoffe e belletti, non più a vagoni,
ci mostreremo in tutto nazionali,
saremo in tutto più naturali,
ci mostreremo insomma quel che siam.

Noi tireremo dritto
faremo quel che il Duce ebbe scritto,
serenamente ridere in battaglia,
figli di questa Italia proletaria,
serena e forte contro tutte le viltà.

Serenamente ridere in battaglia,
figli di questa Italia proletaria,
serena e forte contro tutte le viltà.


Un manifesto contro le sanzioni e una vignetta in cui Francia e Gran Bretagna protestano contro Mussolini e l’occupazione dell’Abissinia

CANTATE DI LEGIONARI
Musica di Francesco Pellegrino, parole di Auro D’Alba, del 1936.

Ce ne fregammo un dì della galera
Ce ne fregammo della triste sorte
Per preparare questa gente forte
Che se ne frega adesso di morir.
Il mondo sa che la camicia nera
S’indossa per combattere e morir.
Duce!
Per il Duce e per l’Impero
Eja eja alalà! Alalà! Alalà!

I morti che lasciammo a passo Uarieu
Sono i pilastri del romano Impero.
Gronda di sangue il gagliardetto nero
Che contro l’Amba il barbaro inchiodò.
Sui morti che lasciammo a passo Uarieu
La croce di Giuliani sfolgorò.
Duce!
Per il Duce e per l’Impero
Eja eja alalà! Alalà! Alalà!

“Ma la mitragliatrice non la lascio”
Gridò ferito il legionario al passo.
Colava sangue sul conteso sasso
Il costato che a Cristo somigliò.
“Ma la mitragliatrice non la lascio”
E l’arma bella a un tratto lo lasciò.
Duce!
Per il Duce e per l’Impero
Eja eja alalà! Alalà! Alalà!

O Duce hai dato al popolo l’impero,
Noi col lavoro lo feconderemo;
Col vecchio mondo diventato scemo
Ci sono sempre conti da saldar.
O Duce hai dato al popolo l’impero,
Siamo pronti per te a ricominciar.
Duce!
Per il Duce e per l’Impero
Eja eja alalà! Alalà! Alalà!


Lo spartito della canzone

LA CANZONE DELLA VITTORIA
Musica di Francesco Pellegrino, parole di Danilo Forina, del 1937.

Partì cantando il fante il legionario
Allor che il Duce l’ordine lanciò,
e nei suoi occhi un raggio d’infinito
s’accese e pien d’audacia balenò.
La fede in cuore e il riso sulla bocca,
come nel tempo in cui si vinse al Piave:
egli esclamò: Rivendico l’Impero
che di Roma un tempo già fu.

Marcia la giovinezza
Incontro all’avvenire
Per vincere o morire.
Marcia col cuor sincero
Mentre, radioso, il sole lassù
Illumina l’Italia vegliata ancor di più
Dal Duce fondatore dell’Impero.

E riportò nel segno del Littorio
Il giusto premio che il destin segnò
Aveva scritto pagine di storia
Col tricolor al vento egli avanzò
E la vittoria emerse luminosa
Da quel valore italico grandioso
Che sempre fu l’onore della stirpe
Destinata sul mondo a imperar.

Marcia la giovinezza
Incontro all’avvenire
Per vincere o morire.
Marcia col cuor sincero
Mentre, radioso, il sole lassù
Illumina l’Italia vegliata ancor di più
Dal Duce fondatore dell’Impero.


Manifesto mussoliniano per l’impero

CANTO DEL VOLONTARIO              

Quando la bella mia m'ha salutato
coi tre colori della mia bandiera
un grande fazzoletto ha ricamato
da metter sulla mia camicia nera.
Speranza, fede, amore,
mi stanno sopra il petto,
accanto al mio moschetto
che strada mi farà.

Bel morettin,
se il Tricolor ti piace,
la libertà e la pace
l'Italia bella ti donerà.
Bel morettin,
solleva la tua mano,
saluta da Romano:
noi ti portiamo la civiltà!

Quando la bella mia m'ha salutato
ha colto tante rose nel giardino,
ne ha fatto un grande fascio profumato
perché lo porti in dono a un abissino.
Le rose io te le porto
e te le voglio offrire,
ma se vorrai le spine,
le spine ti darò!
 
Bel morettin,
se il Tricolor ti piace,
la libertà e la pace
l'Italia bella ti donerà.
Bel morettin,
solleva la tua mano,
saluta da Romano:
noi ti portiamo la civiltà!


Illustrazione di Enrico De Seta di inaccettabile sapore razzista: allora il tono razzista probabilmente non era nemmeno avvertito (né, del resto, tutti l'avvertono oggi)

C’ERA UNA VOLTA IL NEGUS

C’era una volta il negus
e adesso non c’è più
Se ci porgete orecchio
Diremo come fu
Come fu veramente non so
Ma laggiù questo è certo però
C’era una volta il negus
E adesso non c’è più
Un bel giorno un allegro frescone
Che credevasi il gran Salomone
Dopo avere servito il caffè
Fece batter d’urgenza il chitèt (1)
Noi vogliamo uno sbocco sul mare
Per poterci ogni tanto lavare
Detto questo si armò dell’ombrel
Ed in sella montò all’asinel
O negus, o negus
che tegola è pronta per te
C’era una volta il negus
e adesso non c’è più
Se mi porgete orecchio
Vi dico come fu
Come fu veramente non so
Ma laggiù questo è certo però
C’era una volta il negus
E adesso non c’è più
Le sue truppe sebbene agguerrite
Son battute, disperse, inseguite
I soldati venuti dal mar
Dal suo ghebbi (2) lo fanno sloggiar
Per timor di una nera vendetta
Si fa radere baffi e barbetta
Ma seppure riesce a scappar
Mai sul trono potrà ritornar
O negus, o negus
È meglio che cambi mestier
C’era una volta il negus
e adesso non c’è più
Se mi porgete orecchio
Vi dico come fu
Come fu veramente non so
Ma laggiù questo è certo però
C’era una volta il negus
E adesso non c’è più

Agli amici diremo così
La commedia, messeri, finì
C’era una volta il negus
adesso non c’è più

(1) chitèt = tamburo etiopico per chiamare a raccolta
(2) ghebbi (o ghebì) = residenza signorile etiopica, delimitata da un recinto


Un carrarmato in Etiopia usato nella guerra d’Africa

POVERO SELASSIÈ
Parole di Simonetti e Maggi, musica di Nino Casiroli, del 1936.

Ahilè, povero Selassiè
Al porto di Livorno una fontana vale
Ma certo avrà più pregio coi mori al naturale
Ahi lè, povero Selassiè

In Abissinia è d’uso fuggire ogni persona
Così che ogni guerriero è campion di maratona
Ahilè, povero Selassiè

Ci negan la benzina e di benzol l’essenza
Perché occorre al negus a smacchiare la coscienza
Ahilè, povero Selassiè

Per conservar la pelle e per salvare il tetto
Con croci rosse il negus dipinto ha pure il letto
Ahilè, povero Selassiè

La terra d’Abissinia ci dà le frutta sane
Ma al negus e seguaci lasciamo le banane
Ahi è, povero Selassiè

Per essere fuggito un ras fu frustato
Oggi ogni ras trema si vede già impiccato
Ahilè, povero Selassiè
Oggi ogni ras trema si vede già impiccato
Ahilè, povero Selassiè


Illustrazione di Enrico De Seta sugli armamenti “più opportuni” con cui combattere in Africa

RITORNA IL LEGIONARIO        
Celebrata la proclamazione dell’impero, l’Italia si dispose a festeggiare i reduci, non solo organizzando accoglienze trionfali, ma anche celebrandoli con questa canzone scritta nel 1936 da Francesco Pellegrino su versi di Nino Ciavarro.

Mamma, ritorno ancor nella casetta
sulla montagna che mi fu natale.
Son pien di gloria, amata mia vecchietta!
Ho combattuto in Africa Orientale.
Asciuga il dolce pianto,
ripeti al mondo intero
che il figlio tuo sincero
ha vinto e canta ancor:

Italia, va' con la tua giovinezza!
Per la maggior grandezza
il Duce sempre a vegliar sarà.
Veglierà il Re,
gloriosa Patria bella,
or sei la viva stella
che luce al mondo ridonerà.

Caro balilla, t'ho portato un fiore,
te lo raccolsi in mezzo alla battaglia.
Il suo profumo aspira con amore
se crepitasse a nuovo la mitraglia:
bagnato è tutto intorno
nel sangue d'un guerriero
che per crear l'Impero
si spegneva al sol.

Italia, va' con la tua giovinezza!
Per la maggior grandezza
il Duce sempre a vegliar sarà.
Veglierà il Re,
gloriosa Patria bella,
or sei la viva stella
che luce al mondo ridonerà.


Lo spartito della canzone

INNO ALL’IMPERO
Di Giuseppe Blanc

Salve o Re Imperator!
Nuova fede il Duce diè
Al mondo e a Roma il nuovo Imper.
Fecondato dal lavor,
legionario orgoglio avrai del tuo Imper.
Popolo fedel col sangue lo creò.
Credere, obbedir, combattere saprà.
Vittoriose spiegherà
Fulgide le insegne della Patria al sol.
Popolo fedel col sangue lo creò.
Credere, obbedir, combattere saprà.
Vittoriose leverà
Fulgide le insegne della Patria al sol.



Chi ha fatto l’impero? Il re, il duce, i generali Badoglio e Graziani

 in completamento


3 commenti:

  1. TEMPI MIGLIORI MOLTO MIGLIORI DEGLI ATTUALI. ALLORA AVEVAMO UN IMPERO CON LE COLONIE, ADESSO SIAMO UNA COLONIA AMERICANA ED EUROPEA.

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  2. LA FUTURA PUTTANONA #MIRTASALVINI MIRTA SALVINI SI VERGOGNERA' DEL BASTARDO, SATANISTA, NAZISTA, SATA卐NAZISTA, RAZZISTA, KUKLUKLANISTA, LADRO, TRUFFATORE, ALCOLIZZATO, COCAINOMANE, PUTTANIERE ASSASSINO PADRE #MATTEOSALVINI MATTEO SALVINI. E DI LUI SI VERGOGNERA' PURE LA MADRE DI MIRTA SALVINI, LA NAZIS卐TROIACCIA #GIULIAMARTINELLI GIULIA MARTINELLI (CHE DAVA FIGA E CULO A CENTINAIA DI NAZI卐RAZZISTI LEGHISTI, ASSASSINI, BASTARDI, INCLUSO IL MANIACO DEPRAVATO MATTEO SALVINI SOLO PER POTER SCROCCARE STIPENDI PUBBLICI DA TUTTE LE PARTI https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/10/regione-lombardia-la-compagna-di-salvini-assunta-per-chiamata-diretta/1055906/ )! IL PEZZO DI MERDA HITLERIANO, NDRANGHETISTA, KU KLUK KLANISTA, KILLER, SEGAIOLO COMPULSIVO, COCAINOMANE MATTEO SALVINI
    (I CUI SCHIFOSAMENTE NAZISTI FIGLI MIRTA SALVINI E FEDERICO SALVINI, FIGLI PURE DI NOTE "NAZISTROIE" GIULIA MARTINELLI E FABRIZIA IELUZZI, DI LUI, UN GIORNO, SI STRA VERGOGNERANNO) FA LA PUBBLICITA' ALLA MERDOSA #NUTELLA NUTELLA, IN QUANTO I CRIMINALI #FERRERO FERRERO, SON MASSONI ANZI MASSO卐NAZISTI, SATANISTI, RAZZISTI E KUKLUKKLANISTI COME LUI ( PROPRIO COSI', SON PURE VERMINOSI OMICIDA SEGUACI DEL KU KLUK KLAN, COME QUESTO OTTIMO ARTICOLO DE IL FATTO QUOTIDIANO STRA DIMOSTRA https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/16/ovetti-kinder-accusati-di-razzismo-la-sorpresa-ha-il-simbolo-del-ku-klux-klan-e-il-ciuffo-di-donald-trump-manda-messaggi-subliminali/4901191/ ).

    AND NEVER FORGET, PLEASE: IL MARITO, FIGLIO E CAMERATA DI PUTTANE MATTEO SALVINI STA CREANDO LISTE DI PROSCRIZIONE KILLER, SI KILLER ( BASTA CHE GUARDATE QUESTI SCIOCCANTISSIMI ARTICOLI E VIDEOS, A PROPOSITO
    https://globalist.it/media/2018/12/15/un-cartello-con-scritto-ama-il-prossimo-tuo-picchiato-e-portato-via-a-forza-dal-comizio-di-salvini-2034955.html
    https://www.giornalettismo.com/ama-il-prossimo-tuo-lega-roma/
    https://it.blastingnews.com/cronaca/2018/11/roma-casalinga-60enne-da-del-buffone-a-salvini-fermata-e-denunciata-002771157.html
    https://www.youtube.com/watch?v=3ENKQI5f5tA).
    PER NON PARLARE DI COME ABBIA FATTO CREPARE 5000 PERSONE IN MARE, STO TOPO DI FOGNA GENOCIDA DI MATTEO SALVINI, DA DENTRO E FUORI SUO HITLERIANISSIMO VIMINALE https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/28/migranti-romano-salvini-spieghi-in-parlamento-morte-120-persone-scontro-con-borgonovo-che-lascia-la-trasmissione/4458573/ )!
    IO, LA FUTURA BALDRACCA #MIRTASALVINI NON LA OFFENDO, DICO SOLO CHE ESSENDO FIGLIA DI UNA PUTTANONA SCOPATA IN FIGA E CULO DA MIGLIAIA DI NAZI卐LEGHISTI E BERLUSCONICCHI DI MERDA (ALIAS ZOCCOLA HITLERIANA GIULIA MARTINELLI #GIULIAMARTINELLI) ED ESSENDO FIGLIA DI UN PEZZO DI MERDA, NAZI卐RAZZIST卐ASSASSINO COME #MATTEOSALVINI MATTEO SALVINI, PIÚ CHE UNA SCROFA FASCIORAZZISTA, #MIRTASALVINI MIRTA SALVINI, NON POTRÁ DIVENIRE!

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