LA CRISI ECONOMICA DEL TRECENTO
L’epidemia di peste e il crollo
demografico aggravarono la crisi economica in corso, colpendo innanzitutto
l’agricoltura, il settore che dava lavoro a una percentuale variabile tra l’80
e il 90% della popolazione: la produzione agricola diminuì, perché molte terre
rimasero incolte per la morte o per la fuga dei contadini, e diminuì anche il
rendimento delle sementi dei cereali (grano, segala, orzo). Molti terreni
agricoli finirono nel migliore dei casi col diventare pascoli, nel peggiore
boschi di betulle, faggi, carpini, nocciuoli e rovi e sterpaglie, in cui si
diffusero lupi, orsi e cinghiali.
Due
uomini si difendono da un orso (affresco della seconda metà del XV secolo nella
Villa Borromeo di Oreno, in provincia di Monza)
La diminuzione della popolazione portò
anche a una forte riduzione della richiesta di prodotti artigianali, mentre il
commercio all’interno dell’Europa venne ostacolato dalle misure di emergenza
prese per fermare l’epidemia, in particolare la quarantena. Perciò nel Trecento
in Europa si ebbe un vero e proprio tracollo economico, cioè una crisi
particolarmente grave.
La crisi aggravò le tensioni esistenti tra
le diverse classi sociali. Nelle campagne le condizioni di vita dei contadini
peggiorarono per le carestie e l’epidemia, perciò i contadini richiesero una
diminuzione dei tributi da versare, ma i nobili non volevano perdere questi
tributi, in un periodo in cui la crisi economica già riduceva le loro rendite.
Scoppiarono perciò rivolte (in Francia nel 1358 e poi nel 1363-1384; in
Inghilterra nel 1381), in cui i contadini assalivano i nobili isolati e le loro
abitazioni, distruggendo e uccidendo. Queste rivolte scoppiavano d’improvviso,
senza una preparazione e un’organizzazione, perciò furono di solito facilmente
soffocate dai nobili, che sterminarono i contadini ribelli: dopo la rivolta
francese del 1358, i nobili massacrarono circa 20.000 contadini.
La
soppressione della rivolta popolare scoppiata a Parigi nel 1358 e passata alla
storia con il termine di jacquerie, in
quanto Jacques Bonhomme (= Giacomo Buonuomo) era il soprannome dispregiativo dato ai
contadini dai nobili (miniatura del XV secolo)
Anche nelle città, dove molti lavoratori
salariati rimasero senza lavoro e diversi artigiani videro un netto peggioramento
delle loro condizioni, si ebbero rivolte: a Parigi nel 1356 e nel 1382, a Siena
nel 1355, a Perugia nel 1371. Il popolo richiedeva miglioramenti delle proprie
condizioni di lavoro, ma anche la possibilità di partecipare al potere. A
Firenze, ad esempio, i Ciompi (gli artigiani che si occupavano della cardatura,
che è una delle fasi di lavorazione della lana) furono a capo di una rivolta,
che scoppiò nel 1378. Ad essa parteciparono molti salariati e alcuni artigiani
delle Arti minori (fabbri, calzolai, fornai e altri), che di fatto erano
escluse dal potere, strettamente in mano alle Arti maggiori (medici, speziali,
giudici, notai, lanaioli, setaioli, pellicciai, cambiatori). I Ciompi
avanzarono una serie di richieste, come l’eliminazione dei debiti dei
lavoratori giornalieri, un diverso sistema tributario (volevano che le tasse
fossero basate sui beni e non sulle persone), la distribuzione di cibo e la
possibilità di costituire una propria corporazione per difendere i propri
interessi. Le loro richieste furono in parte accolte, ma già nel 1382 il popolo
grasso di Firenze abolì la corporazione dei Ciompi.
Il
lanificio, dipinto di Mirabello Cavalori del XVI secolo al Palazzo Vecchio di
Firenze
A causa della crisi, il numero dei poveri
aumentò moltissimo: contadini fuggiti dalle campagne per le carestie, salariati
rimasti senza lavoro, bambini, anziani o donne i cui parenti erano morti, si
aggiunsero a coloro che già vivevano abitualmente di elemosina, come i ciechi o
i paralitici, che non potevano svolgere alcun lavoro.
Molte città organizzarono distribuzioni
gratuite di cibo nei periodi di carestia. Esse permisero di evitare le rivolte,
che sarebbero potute scoppiare facilmente, se in città ci fossero stati troppi
abitanti senza il necessario per vivere. Queste distribuzioni però spinsero
molti contadini, fuggiti dalle campagne, a rifugiarsi in città, nella speranza
di ricevere assistenza. Così crebbe notevolmente il fenomeno del vagabondaggio,
tant’è vero che a metà del XIV secolo vi fu, in tutta Europa, una grande
fioritura di leggi repressive contro questo fenomeno. Fu facile, poi, per molti
vagabondi, diventare banditi.
La
distribuzione del pane ai poveri, affresco del 1441 di Domenico di Bartolo
nell’ex ospedale di Santa Maria della Scala a Siena
Sorsero anche delle confraternite, cioè
delle associazioni di assistenza per i poveri o i malati, come quelle di San
Martino e di Orsanmichele a Firenze. Esse distribuivano cibo e denaro ai
poveri. Molti nobili e borghesi finanziavano queste confraternite e alcuni
lasciavano loro una parte dei propri beni in eredità: proprio in occasione
della grande peste del 1348 la confraternita di Orsanmichele ottenne il
privilegio di vedere riconosciuti come validi tutti
i testamenti a suo favore, contro il parere contrario di altri aspiranti
all’eredità.
La compagnia
religiosa di sant’Eligio, attiva nell’assistenza ai poveri, in un dipinto
italiano del XV secolo
Dopo la fine della grande epidemia di
peste, l’agricoltura riprese a svilupparsi, ma furono abbandonate le terre
marginali, perché la popolazione era diminuita e quindi era calata la richiesta
di prodotti alimentari. Così, ad esempio, l’uomo non intervenne per impedire
che il Mare del Nord occupasse circa 2.000 km² di terreno dalla Germania
all’Olanda, a causa delle tempeste che sfondarono le dighe costruite nei secoli
precedenti.
Un’inondazione sulle coste del Mare del Nord (illustrazione del 1634)
Dato che non era più necessario coltivare
tutte le terre a grano, e anche perché si capì che la produzione cerealicola
non era più molto redditizia, molti terreni furono destinati ad altri usi.
Alcuni furono utilizzati per seminare prodotti non alimentari, che servivano
per le attività artigianali, come il lino, da cui si ricava una fibra tessile,
o il guado e la robbia, due vegetali che servivano per tingere le stoffe
rispettivamente di azzurro e di rosso. Alcune regioni si specializzarono
nell’allevamento di ovini, soprattutto in Inghilterra e in Spagna, dove tra il
XIV e il XV secolo il numero di pecore triplicò. L’allevamento di pecore
forniva la lana necessaria per l’artigianato tessile, assai sviluppato in
Inghilterra. Un altro settore artigianale che si sviluppò fu quello della
produzione di stoffe di cotone e di fustagni (una stoffa particolarmente
resistente a base di cotone), come avvenne in Germania e in Svizzera, che
venivano rifornite di materia prima importata dal Nord Africa e dal Medio
Oriente dai mercanti veneziani.
La
bottega di un sarto in un affresco del XV secolo
A causa della peste e delle carestie vi
era mancanza di manodopera (le persone in grado di svolgere un lavoro), sia
nelle campagne, sia nelle città. Per questo motivo i grandi proprietari di
terre (soprattutto signori feudali, o anche ricchi borghesi, particolarmente in
Italia) non potevano trovare così facilmente contadini per le loro terre e
furono costretti a darle in affitto a prezzi più ridotti (anche meno della
metà), oppure a farle lavorare da salariati, concedendo loro un salario
maggiore di quello che normalmente veniva dato prima della crisi. Infatti
contadini e salariati, se non erano soddisfatti delle loro condizioni di
lavoro, potevano facilmente trovare da un’altra parte terra e lavoro, dato che la
manodopera era molto richiesta.
La disponibilità di terre favorì infatti
le migrazioni: ad esempio a partire dal XV secolo in Italia si stabilirono
contadini croati (in Molise) e albanesi (in tutta l’Italia meridionale), in
fuga dall’avanzata dei Turchi nella penisola Balcanica.
Spesso i nobili cercarono di costringere i
contadini a lavorare con gli stessi salari del periodo precedente, ma di solito
non ci riuscirono e tra il XIV e il XV secolo, nella maggior parte dell’Europa
occidentale, si ebbe un indebolimento del sistema feudale.
Una miniatura francese del XV secolo con la scena del pagamento degli affitti; i ceti più umili ebbero molte difficoltà a pagarsi un alloggio in città nel XIV secolo
Solo nel Quattrocento si ebbe nuovamente
un incremento demografico, dapprima lento, poi (soprattutto nel Cinquecento)
più rapido; si ricostruirono villaggi, se ne fondarono di nuovi e le terre
marginali ripresero ad essere coltivate.
Nel corso del Quattrocento si ebbe anche
una ripresa economica, che si verificò in tutta Europa. In Italia fu spesso
favorita anche da interventi dello Stato: a Genova, ad esempio, fu creata nel
1408 la Casa di San Giorgio, una banca di Stato, e molte città presero
provvedimenti che miravano a sostenete lo sviluppo delle attività artigianali e
commerciali. Le grandi città, come Milano e Firenze, si specializzarono nella
produzione di lusso, tra cui in particolare la lavorazione della seta e, a Venezia,
la produzione di vetri, mosaici, arazzi e oggetti in oro.
La ripresa in Italia fu però assai meno
forte di quella in atto in altre regioni europee. In molte città il grande
potere delle corporazioni e di ristretti gruppi di mercanti e banchieri impedì
che ci fosse un rinnovamento nella produzione e nel commercio. Benché le grandi
città italiane nel Cinquecento fossero ancora tra i maggiori centri economici
europei, l’Italia non aveva più quella posizione di primissimo piano che aveva
avuto fino all’inizio del Trecento e la sua economia presentava molti segni di
debolezza: alla fine del Cinquecento per l’Italia ebbe inizio un lunghissimo
periodo di declino. L’Inghilterra e le Fiandre ebbero invece un forte sviluppo
economico e divennero i nuovi centri dell’economia europea.
Un
moderno tappeto, copiato su un arazzo fiammingo del XV secolo, quando per il
Belgio cominciò la sua epoca d’oro