L’AFRICA E LA TRATTA DEI NERI
Nel corso del Medioevo una parte
degli abitanti dell’Africa nera (come viene chiamata quella a sud del Sahara)
formava delle tribù, che vivevano in villaggi rurali praticando un’economia di
semisussistenza, integrata da un semplice commercio locale; non conoscevano
forme di governo di tipo monarchico. Ma anche in Africa si formarono,
soprattutto nel Basso Medioevo, alcuni grandi regni, che controllavano
direttamente un vasto territorio e dominavano, mediante la supremazia della
classe militare, su popolazioni diverse, imponendo loro di pagare un tributo
personale o un’imposta sul commercio a lunga distanza.
Figura di cavaliere, terracotta proveniente da Djenné nel Mali,
realizzata in un periodo tra
IX e XV secolo, conservata a Londra alla Entwistle
Gallery
I primi a conoscere la realtà
sub-sahariana furono gli Arabi del Nord Africa: essi vennero a conoscenza di
città commerciali e di regni, certamente fondati da tempo e in alcuni casi
molto prima dello sviluppo musulmano.
I principali furono:
- il regno del Songhai, il più
vasto Stato mai sorto in Africa prima del periodo coloniale
- il regno del Mali, formatosi
nel XIII secolo
- il regno del Congo, lungo la
costa atlantica
- i regni di Luba e di Lunda
nell’interno
- i regni degli Hausa, nel Sudan
centrale, che nel ‘500 erano ricchi e pacifici.
L’Africa prima della colonizzazione europea
L’incontro tra Arabi e Africani
fu pacifico e fonte di scambi culturali. E i primi viaggiatori e navigatori
europei che entrarono in contatto con gli abitanti del continente nero, come si
comportarono? A questa domanda possiamo rispondere con sicurezza, perché sono
numerosi i diari di viaggio, scritti soprattutto da portoghesi, olandesi e
inglesi.
I primi esploratori si
imbatterono in molte usanze e credenze che li lasciarono stupefatti: per
esempio scoprirono che era piuttosto comune la poligamia, o che venivano
innalzati templi agli antenati, riveriti come dèi, o che in alcune occasioni
particolari si praticavano sacrifici umani. Ma quasi mai (tranne rarissime
volte) navigatori e avventurieri trovarono in ciò che videro qualcosa di strano
o di perverso, bensì piuttosto qualcosa di naturale e persino familiare.
Trovarono Stati dediti al commercio quasi come avveniva in Europa; governi e popoli
rispettosi di leggi e fieri della propria indipendenza; re considerati divini –
cioè investiti di un’autorità spirituale, oltre che temporale – né più né meno
dei monarchi europei.
Testa coronata femminile del XII-XV secolo, proveniente da Ife (Nigeria)
conservata al National Museum di Lagos
Fatte salve alcune eccezioni, gli
europei del secolo XVI erano convinti di aver trovato in Africa forme di
civiltà spesso analoghe alle proprie, sebbene con abitudini e costumi vari e
diversi. Solo successivamente – in particolare a partire dal XVIII secolo – si
affermò l’idea che l’Africa fosse popolata da barbari selvaggi, che gli
africani appartenessero a una razza inferiore. Ma questa idea fu il frutto di
ciò che gli europei fecero nei confronti dei neri.
Già durante le esplorazioni sulle
coste atlantiche i Portoghesi avevano iniziato a catturare neri africani per
renderli schiavi; quando in America la manodopera cominciò a scarseggiare, si
pensò che proprio gli schiavi neri africani potessero risolvere il problema. Si
scoprì, tra l’altro, che essi si adattavano più facilmente al clima
dell’America centrale e meridionale, simile a quello africano, e che
resistevano alla fatica meglio degli indios.
Cattura di schiavi sul fiume Senegal
La richiesta di schiavi africani
divenne altissima e provocò lo sviluppo del commercio di schiavi neri, fenomeno
che venne chiamato tratta dei neri: nel Cinquecento esso rimase ancora limitato
(gli storici hanno calcolato 300.000 schiavi portati in America), ma tra il
Seicento e l’Ottocento ebbe grandissimo sviluppo e milioni di schiavi neri (le
cifre più verosimili parlano di circa 10 milioni) attraversarono l’oceano
Atlantico sulle navi dei commercianti di schiavi, detti negrieri. Se
inizialmente questo commercio era soprattutto nelle mani di Portoghesi e
Olandesi, poi passò sotto il controllo dei Francesi e degli Inglesi: Nantes in
Francia e Liverpool in Inghilterra si specializzarono in questo commercio.
Modello di nave negriera
I negrieri si procuravano uomini e
donne da vendere come schiavi in modi diversi. A volte attaccavano dei
villaggi, catturando personalmente coloro che erano in grado di lavorare,
oppure rapivano persone isolate. Più spesso compravano prigionieri da qualche
capotribù o re africano: questi prigionieri potevano essere uomini e donne
ridotti in schiavitù a causa di debiti o di delitti commessi, oppure erano
stati catturati durante incursioni o razzie contro villaggi vicini. Per molte
tribù africane attaccare altre popolazioni per catturare prigionieri da vendere
agli europei divenne un ottimo affare.
Un africano vende degli schiavi a un mercante europeo
Poiché le popolazioni che si
dedicavano al commercio degli schiavi ricevevano dagli europei anche armi da
fuoco (le altre merci di scambio erano solitamente perline, stoffe, nastri),
esse erano in grado di affrontare e sconfiggere facilmente le tribù che non
avevano armi: era perciò molto difficile opporsi alla tratta, anche se alcuni
sovrani africani cercarono in tutti i modi di ostacolare la vendita di schiavi
agli europei.
Mercanti di schiavi europei e africani (1856)
La tratta dei neri portò a una
forte riduzione della popolazione africana in tutte le regioni in cui veniva
praticato questo commercio. Oltre alle donne e agli uomini che venivano
catturati e portati in America, molti altri morirono durante gli attacchi ai
villaggi, o durante la traversata dell’oceano: le condizioni in cui essa
avveniva erano disumane, anche perché i negrieri tendevano a stipare le navi il
più possibile di schiavi e a spendere per il loro mantenimento il meno
possibile.
Nella stiva di una nave negriera
La perdita della libertà,
l’allontanamento dalla propria terra senza sapere il motivo e la destinazione,
il distacco dai parenti se non erano stati catturati anch’essi, spingevano gli
africani al suicidio o alla ribellione, alla quale i negrieri opponevano una
violenza tale da provocare, anche contro i loro interessi, la morte di molti
schiavi.
Rivolta in una nave negriera (1787)
Più tardi, quando nel XIX secolo
la tratta dei neri venne proibita e navi da guerra inglesi davano la caccia ai
negrieri, questi, per non essere sorpresi con il loro carico, gettavano in mare
gli schiavi, facendoli morire nelle acque dell’oceano.
Negrieri gettano in mare degli schiavi, dopo che la loro nave è stata
avvistata dagli inglesi
La popolazione africana diminuì
anche perché i negrieri catturavano soprattutto gli adulti, che potevano
vendere più facilmente; rimasti in Africa da soli molti bambini, privi dei
genitori, e molti anziani, privati dell’aiuto dei figli, morivano di fame e di
stenti.
Un gruppo di bambini salvati dalla schiavitù dalla nave inglese “Daphne”
al largo di Zanzibar (1869): l’episodio dimostra che in realtà si facevano
schiavi anche i bambini
Sbarcati in America, gli schiavi
venivano venduti e impiegati soprattutto nelle piantagioni: ad essi erano
affidate le occupazioni più pesanti, come la raccolta e la lavorazione della
canna per ottenere zucchero e rhum. I lavori a cui erano costretti erano spesso
massacranti e le condizioni di vita molto dure. Solo gli schiavi domestici, che
vivevano nelle case del proprietario e si dedicavano alla cura della sua
persona, alla pulizia della casa o alla cucina, vivevano in condizioni
migliori.
Schiavi africani sbarcano in America
Al lavoro in una piantagione di canna da zucchero
Tutti gli schiavi erano soggetti
a punizioni, spesso molto pesanti, per qualunque motivo: per non aver lavorato
abbastanza, per essersi allontanati senza permesso durante la notte, magari per
andare a trovare altri schiavi in una piantagione vicina; per aver tentato la
fuga.
I tentativi di fuga, in effetti,
erano frequenti, ma per lo più inutili, perché non c’erano posti dove
nascondersi e la caccia allo schiavo fuggiasco avveniva con cani addestrati
allo scopo e con meticolosa ferocia: era un cattivo esempio per gli altri
permettere a uno schiavo di scappare.
Schiavo fuggiasco braccato dai cani
Perciò quasi sempre gli schiavi
venivano ripresi e duramente puniti, marchiandoli, frustandoli, mutilandoli o
anche uccidendoli, per scoraggiare chiunque volesse fuggire. Nell’America
meridionale però molti schiavi riuscirono a nascondersi nelle grandi foreste e
a vivervi liberi, mentre nell’America settentrionale la fuga divenne possibile
solo nell’Ottocento, quando gli schiavi che riuscivano a fuggire raggiungevano
le zone in cui la schiavitù era stata abolita.
Marchiatura degli schiavi
Punizione di uno schiavo
Le condizioni di vita inumane
provocarono a volte anche alcuni tentativi di rivolta, come successe già nel
1526 nella Carolina del Sud (una delle colonie inglesi dell’America
settentrionale).
Rivolta di schiavi in Giamaica (1759)
Lavoro massacrante,
maltrattamenti, punizioni provocarono un’alta mortalità tra i neri, per cui la
richiesta di nuovi schiavi rimase sempre molto forte, anche perché gli schiavi
avevano pochi figli. Spesso i coloni europei avevano figli mulatti dalle
schiave nere.
Spagnolo con moglie nera e figlio mulatto
Intanto gli europei imparavano a
conoscere meglio l’Africa, fondando alcune basi commerciali lungo le coste;
queste basi servivano sia per il commercio degli schiavi, sia come punti di
rifornimento lungo la rotta per le Indie. Gli europei però non si spinsero mai,
prima dell’Ottocento, nell’interno del continente, che era poco accessibile,
per la mancanza di grandi vie di comunicazione: infatti non vi erano strade;
molti dei grandi fiumi non erano navigabili; montagne, deserti e fitte foreste
costituivano altrettanti ostacoli che scoraggiavano le esplorazioni. Inoltre la
prospettiva di venire alle prese con regni bellicosi e potenti faceva
accantonare ogni progetto di conquista. Infine in Africa erano presenti
malattie (malaria, febbre gialla), contro le quali gli europei non avevano
anticorpi: ancora a metà dell’Ottocento circa la metà degli europei sbarcati in
Africa occidentale morivano entro il primo anno di permanenza.
Un villaggio africano in un’illustrazione del 1799
Solo nel 1652 gli Olandesi
fondarono una base stabile al Capo di Buona Speranza (la punta meridionale del
continente), dove le condizioni climatiche erano abbastanza simili a quelle
europee: i boeri (cioè i coloni olandesi che vi si stabilirono) diedero vita
alla colonia africana con la più consistente popolazione europea.
Boeri di ritorno dalla caccia in un dipinto del 1804 di Samuel Daniell
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L'Africa e la tratta dei neri