La disfatta dell'Invincibile Armata (1588)

LA DISFATTA DELL’INVINCIBILE ARMADA

Nel Cinquecento il Regno di Spagna era lo Stato-chiave dell’Europa: non soltanto, infatti, era la maggiore potenza dell’epoca, ma svolgeva anche il ruolo di controllo sulle mosse degli altri Stati. Nella seconda metà del secolo, la Francia, tradizionale avversaria della Spagna, era dilaniata dalle guerre di religione e si trovò per questo esclusa dal gioco internazionale. I principali avversari della nazione iberica (che nel 1580 si ingrandì con l’acquisto del Portogallo) diventarono allora l’Impero ottomano e l’Inghilterra. Quest’ultima, certamente non paragonabile sotto tanti aspetti alla potenza turca, divenne però particolarmente avversa al re di Spagna Filippo II, che si era fatto campione della causa cattolica in Europa, mentre Elisabetta I si faceva sempre più paladina di quella protestante.

Elisabetta I, regina d’Inghilterra

Dopo il 1550 l’opposizione religiosa divenne sempre più anche politica e militare e non tardò a portare alla guerra tra le due nazioni: la regina inglese, per giunta, favoriva ed appoggiava i calvinisti dei Paesi Bassi settentrionali in rivolta contro il loro sovrano Filippo II.
Il monarca spagnolo aveva cercato ora con la forza, ora con mezzi più pacifici, di sedare la ribellione che era divampata nella ricca regione fiamminga: ma a partire dal 1578 si persuase che la soluzione potesse essere soltanto quella militare. Proprio in quell’anno aveva investito l’esperto generale e diplomatico Alessandro Farnese, duca di Parma, dei poteri civili e militari nei Paesi Bassi e non tardò a constatare che il condottiero italiano era un comandante dalle grandi doti politiche, oltre che guerresche. Il Farnese infatti risollevò progressivamente le sorti dell’autorità spagnola di fronte ai rivoltosi calvinisti e fece addirittura sperare a Filippo II di poter muovere da quel fronte un efficace attacco contro la stessa Inghilterra.

Alessandro Farnese in un ritratto di Sofonisba Anguissola del 1560 circa

Al re spagnolo ciò avrebbe fatto comodo: tanto più che Elisabetta, dopo aver imprigionato la cattolica regina di Scozia Maria Stuarda, aveva permesso di fatto ch’essa venisse processata e messa a morte all’inizio del 1587. Inoltre, per il monarca spagnolo muovere contro l’Inghilterra e riuscire a sconfiggerla avrebbe significato rendere più agevole la sottomissione dei Paesi Bassi.
La spedizione dell’Invincibile Armata va situata in questo complesso contesto internazionale. Secondo le intenzioni di Filippo II non doveva essere una semplice azione dimostrativa, ma neanche soltanto uno scontro navale. Il disegno era quello di sconfiggere il fronte protestante e di colpirlo in pieno, sbarcando in Inghilterra per ristabilirvi la preponderanza del Cattolicesimo. Il re aveva architettato tale progetto almeno fin dal 1585, nel cupo monastero dell’Escorial, dove viveva la vita di un monaco tra pesanti velluti e broccati; per realizzare i suoi progetti, volle darsi tutti i mezzi adeguati, sia sul piano finanziario, sia su quello militare.

Il re Filippo II, dettaglio del ritratto fattogli da Sofonisba Anguissola

Dal punto di vista strategico, il piano da lui concepito comportava l’allestimento di una potente flotta (130 navi) capace di trasportare un corpo di spedizione di 30.000 uomini ed il congiungimento di essa con le forze di Alessandro Farnese, formate da una spedizione di 19.000 uomini, al fine di effettuare con maggiori probabilità di successo l’invasione dell’Inghilterra.
Quest’ultima, ormai al corrente delle intenzioni di Filippo II, non rimase inattiva, anzi, fu la prima ad ingaggiare arditamente le ostilità. Alla testa di 23 vascelli – in parte mercantili armati e in parte unità della marina regia – il 12 aprile 1587 Francis Drake salpò da Plymouth e puntò su Cadice, la base navale nella quale il monarca spagnolo faceva i preparativi per la sua campagna. Il 29 aprile il corsaro inglese penetrò indisturbato nel porto nel quale erano attraccati una sessantina di bastimenti, ne catturò o distrusse 24 impadronendosi di munizioni e di vettovaglie. Drake si spinse fino ad occupare il porto di Sagres, presso il Capo di San Vincenzo, tagliando per oltre un mese le comunicazioni fra l’Andalusia e Lisbona e catturando o affondando tutti i vascelli che vi capitavano.

Francisco Zurbaran, Difesa di Cadice (Madrid, Museo del Prado). Il dipinto del 1633-35 raffigura il governatore di Cadice, Fernando Girón, che impartisce gli ordini per la difesa della città contro la flotta inglese che si vede nello sfondo

L’Armata, che avrebbe dovuto salpare verso il Nord nel 1587, non venne ritardata solo da questa azione, ma anche dai violenti attacchi di gotta che colpirono Filippo II fra il febbraio ed il giugno di quell’anno. Inoltre ci fu un rallentamento nei preparativi necessari della flotta e il 9 febbraio 1588 moriva il comandante in capo della flotta, il marchese di Santa Cruz, che venne sostituito nelle funzioni di Capitano generale del mare oceano con il trentottenne Alonso Pérez di Guzman, duca di Medina Sidonia.

Alonso Pérez de Guzman, duca di Medina Sidonia

Costui aveva ereditato una situazione caotica, che riuscì in parte a migliorare: la flotta dell’Invincibile Armata infine comprendeva, oltre alle 130 navi previste, 9 galeoni della Guardia reale portoghese, 10 vascelli di scorta della flotta atlantica spagnola, quattro galeazze napoletane, armate ciascuna di 52 cannoni, un galeone del duca di Toscana, comandato dal capitano Niccolò Bartoli, con 50 cannoni di bronzo scintillante. E c’erano ancora navi da battaglia venute da Napoli, dalla Sicilia, da Genova e da Venezia e un forte contingente proveniente da Ragusa.
Grandi trasporti, utili per i mari del Nord, erano stati requisiti nei porti del Baltico ed erano stati reclutati piloti e marinai con grande esperienza delle acque nordiche. I capitani spagnoli avevano lavorato assai bene: a tutti gli equipaggi avevano distribuito istruzioni e mappe di navigazione lungo le coste inglesi.
Per tre mesi i portatori si erano avvicendati sulle banchine di Lisbona, caricando le navi fino all’inverosimile. L’Armata aveva sui ponti 2.500 cannoni e interi parchi d’assedio nelle stive. Erano state caricate polvere e pallottole per un totale di 125.000 colpi.
Sulla flotta aveva preso posto un esercito di dimensioni senza precedenti: 30.000 tra soldati e marinai, che costavano all’erario di Filippo II 60.000 ducati al giorno. Per alimentare tutti questi uomini si erano fatti venire legumi dalla Sicilia, riso dalla Lombardia, vini dalla Calabria, gallette dalla Castiglia, formaggio dalla Sardegna, olio dall’Andalusia, pancetta dalla Galizia, pesce salato dalla Biscaglia.

L’Invincibile Armata e la flotta inglese

L’Armata salpò da Lisbona il 28 maggio 1588: gli uomini della flotta e l’intera popolazione di Spagna, dal re all’ultimo dei sudditi, erano convinti che la flotta salpasse protetta da Dio. Immagini sacre apparivano sopra le vele all’uscita delle navi dal porto. L’ammiraglia sventolava le insegne della tiara papale e delle chiavi di san Pietro. La bandiera dell’Armata venne benedetta solennemente, prima della partenza, dall’arcivescovo di Lisbona: in essa campeggiava il Cristo ferito sullo sfondo delle armi reali di Spagna. Su una delle navi era imbarcato anche il grande poeta spagnolo Lope de Vega, che ribattezzò gli alberi dei galeoni «legni della fede».
Il duca di Medina Sidonia era convinto dell’aura religiosa della missione ed esigeva che sulle navi si mantenesse un clima austero per conservare gli uomini nello stato di grazia. Il re e l’ammiraglio avevano ricevuto segnali occulti avvisanti che un cattivo comportamento dell’Armata le avrebbe tolto il favore di Dio e avrebbe compromesso la spedizione. Alle ciurme era stato proibito di giocare a dadi e di avere rapporti con donne. Di solito a queste grandi flotte, che dovevano restare in mare per settimane, veniva aggiunta una nave-bordello, che portava una ciurma di prostitute il cui compito era di rendere meno dura la traversata agli equipaggi. Ma, data l’alta temperie spirituale della missione dell’Armata, l’ammiraglio proibì la nave-bordello. Né gli uomini potevano bestemmiare o lanciarsi in risse, pena severi castighi. I cappellani di bordo dicevano messa due volte al giorno, per l’edificazione delle ciurme.

Soldati e ufficiali dell’Invincibile Armata

I piani strategici della spedizione erano segreti: li conoscevano solo il re, Medina Sidonia e due consiglieri: il progetto era stato celato in un scrigno, da aprirsi sulla nave ammiraglia solo in caso di morte del comandante in capo. Si sapeva però che l’Armata doveva navigare lungo la Manica ed evitare la battaglia: la sua forza doveva essere preservata intatta per l’invasione.
Il piano aveva però un difetto: si affidava alla persistenza del bel tempo. Fin dall’inizio dell’impresa si levarono forti venti contrari e ciò sconvolse Medina Sidonia, che vedeva nel maltempo l’avversità di Dio. Il 19 giugno, quand’erano ancora in vista della costa portoghese, le 130 navi dell’Armata furono investite e disperse da una terribile tempesta. I velieri dovettero raggiungere a fatica il porto galiziano di La Coruña per le riparazioni, ma qui vi giunsero solo 36 navi.
A Madrid il re era più cupo che mai. Il duca di Medina Sidonia, in una crisi di prostrazione, gli aveva detto che quella tempesta era stata il segnale di Dio e che bisognava rinunciare all’invasione. Filippo II si rifiutò di prendere in considerazione questi timori, sebbene i rapporti dei capitani gli presentassero la realtà di una flotta vecchia, la cui velocità era determinata da quella della nave più lenta: l’Armata, infatti, aveva impiegato tre settimane a coprire la distanza di 250 miglia da Lisbona a La Coruña.
Anche i rifornimenti davano molto da pensare. A causa del prolungarsi della spedizione, buona parte della carne imbarcata a Lisbona divenne putrida e dovette essere buttata in mare. A La Coruña non si trovarono rifornimenti sufficienti per rimpiazzare le scorte finite; perciò a metà luglio la razione quotidiana assegnata a ogni uomo dell’equipaggio divenne una libbra di biscotto e poche libre di carne.

I cibi comunemente in dotazione sulle navi:
1 = biscotti, 2 = zuppa, 3 = vino, 4 = carne, 5 = sardine, 6 = vari tipi di legumi come olive e cipolle

Nel frattempo le navi danneggiate erano state riparate e quelle disperse dalla tempesta e portate lontano erano riapparse: il danno si rivelò trascurabile, dato che solo due delle navi salpate da Lisbona non erano più in grado di riprendere il mare. Il 20 luglio la flotta fu pronta a ripartire. Gli uomini ritrovarono l’ottimismo. Una mattina di fine luglio 8.000 soldati fecero la fila alla gran messa all’aperto per ricevere la comunione.
Un mercantile inglese diretto in Francia s’imbatté all’improvviso al largo di Ushant in una squadra di nove galeoni che sulle vele portavano enormi croci rosse. Il 29 luglio il capitano Thomas Fleming dalla sua Golden Hind vide avvicinarsi una massa di 125 navi: l’intera Armata spagnola. E questa il 30 luglio si presentò minacciosa nelle vicinanze di Plymouth. Qui l’ammiraglio inglese aveva a sua disposizione 105 vascelli, quasi del tutto sprovvisti di soldati, ma con un effettivo di marinai superiore a quello dell’Armata e centinaia di bocche da fuoco. I galeoni inglesi erano di tonnellaggio minore rispetto a quello della maggior parte delle unità iberiche, ma in compenso erano molto più mobili e facili da puntare.

L’Invincibile Armata (a destra) attaccata dalla flotta inglese

La leggenda vuole che il viceammiraglio sir Francis Drake, numero due in comando, fosse avvisato dell’arrivo degli spagnoli mentre stava giocando a bocce. A chi lo aveva chiamato disse di attendere, tirò la boccia, fece il punto e con suprema calma si accinse ad affrontare gli spagnoli.

Nel disegno Francis Drake gioca a bocce, mentre la scritta augura il Benvenuto al nemico

La flotta spagnola si dispose a mezzaluna davanti a Wembury Bay, vicino a Plymouth; le navi inglesi riuscirono a isolare il galeone del viceammiraglio spagnolo, Juan Martinez de Recalde, il San Juan de Portugal, e lo investirono con un bombardamento durato due ore, però il galeone riuscì a ricongiungersi alla sua flotta. All’una del 30 luglio la battaglia si spense.
Gli inglesi a questo punto temevano che l’Armata muovesse alla conquista dell’isola di Wight, per questo bloccarono la punta est del canale.
Il 31 luglio l’ammiraglia della squadra andalusa dell’Armata, la Nuestra Señora del Rosario, venne separata dal resto della flotta iberica e il comandante, don Pedro de Valdès, volle arrendersi a Drake, di cui conosceva la fama, consegnandogli la sua spada. Il corsaro gli usò grande cortesia e lo considerò suo prigioniero personale. L’ispezione che Drake poté condurre sulla nave catturata gli permise di fare varie scoperte sulle tattiche da combattimento degli spagnoli: osservò che i ponti del galeone erano ingombri di grossi cannoni montati su carriaggi a due ruote, difficilissimi da manovrare. Questo voleva dire che gli spagnoli non erano attrezzati per i combattimenti a lunga distanza. Avevano invece moschetti, picche, archibugi e coltellacci con i quali potevano mettere in difficoltà gli inglesi durante gli arrembaggi. Quindi per gli inglesi era necessario tenere gli spagnoli sempre a distanza.

Nel disegno un gruppo di marinai usa il cannone contro navi nemiche

Il 2 agosto Medina Sidonia disse che la formazione dell’Armata era riorganizzata e che ora i capitani dovevano attenersi rigorosamente alle istruzioni per poter raggiungere l’esercito d’invasione del duca di Parma, forte di 19.500 uomini.
Medina Sidonia porta la sua flotta lontano dalla costa inglese e lungo la Manica: non è chiaro se intende sbarcare nel Kent o raccogliere l’armata di Parma nei Paesi Bassi. Il 5 agosto l’Armata è in grado di raggiungere Calais in 24 ore, se i venti si mantengono favorevoli.
La situazione è molto incerta. Gli inglesi non hanno quasi più munizioni: quelle che hanno rimediato con la cattura delle navi spagnoli non sono sufficienti. Drake è sempre più il protagonista del momento: ha conquistato una grossa nave spagnola, El Gran Grifòn, e ha bombardato contro un’intera formazione della flotta spagnola.

I vascelli inglesi e l'Invincibile armata (XVI secolo)

Intanto le condizioni dell’Armata si sono fatte difficili: tra gli equipaggi è esplosa la dissenteria e gli uomini si liberano penosamente lungo i ponti. Sale al cielo un fetore intollerabile. Molti uomini sono morti e altri sono stati feriti orribilmente dalle schegge di legno buttate all’aria dai colpi di cannone, più micidiali ancora delle palle di bronzo. L’odore di carne bruciata si mescola al rantolo degli agonizzanti e alle insopportabili urla di dolore.
Il 7 agosto l’Armata ha subito l’offensiva inglese del fuoco: otto chiatte incendiarie, lanciate dagli inglesi di sir Francis Drake e di sir William Wynter, si sono rovesciate addosso ai galeoni spagnoli e, anche se nessuna delle navi spagnole è stata attaccata dalle fiamme, la confusione e il terrore sono stati tali che molte navi sono entrate in collisione e la flotta si è dispersa disordinatamente nella notte. Tutte le navi sono fuggite, tranne una, la San Lorenzo, ammiraglia delle galeazze, che nella rotta ha perso il timone e si è incagliata sulla spiaggia di Calais.

Hendrik C Vroom, L'attacco col fuoco presso Calais

L’8 agosto gli spagnoli raggiungono Calais. Intanto è scattato il piano d’imbarco del duca di Parma: 7.000 uomini dei suoi reggimenti si sono messi in moto. Il duca stesso si muove verso la città sul mare, accompagnato dal suo stato maggiore e dal cardinale inglese Allen, che papa Sisto V ha designato come governatore dell’Inghilterra a conquista avvenuta, per ripristinare nell’isola la fede cattolica.
Il duca è convinto che l’invasione dell’Inghilterra si svolgerà in buon ordine: 64 navi e 166 barconi sbarcheranno in poche ore l’esercito conquistatore. Però egli non può ignorare che nella stretta bocca di porto di Dunkerque le navi devono entrare a una a una e che bastano poche artiglierie a colare a picco i pesanti trasporti spagnoli.

L'Invincibile Armata al largo delle coste inglesi (di Cornelis Claesz van Wieringen 1620-25 circa)

Il 9 agosto le due flotte si affrontarono per la stretta decisiva. Entrambe navigarono verso Gravelines avvolte nella nube di fumo delle loro stesse bordate. L’Armata aveva cominciato la campagna con il vantaggio dei numeri: 125 navi spagnole contro 105 inglesi. Ma quando le flotte giunsero al largo di Gravelines, gli inglesi si ritrovarono superiori, con 160 velieri contro 122. Inoltre, i galeoni inglesi, grazie alla loro superiore maneggevolezza, poterono infiltrarsi fra le navi nemiche, scaricando più frequenti bordate di artiglieria ed infliggendo loro notevolissimi danni, senza quasi riportarne a loro volta.
La battaglia durò dall’inizio della giornata fino alle cinque del pomeriggio, quando sembra che ormai gli inglesi avessero quasi esaurito le loro munizioni. Gli spagnoli ebbero un migliaio di morti e all’incirca altrettanti feriti, mentre il vento cominciò ad allontanarli inesorabilmente verso nord, facendo svanire in modo definitivo sia il congiungimento con le forze di Alessandro farnese, sia il progetto d’invasione dell’Inghilterra.

Speronamento e abbordaggio durante una battaglia navale

Il 18 agosto a Tilbury, al quartier generale dell’esercito inglese pronto a respingere l’invasione, arrivò la sovrana. Si fece precedere da una flottiglia di barconi variegati di colori, che brillavano nella lieve foschia dell’estate. L’imbarcazione di Elisabetta I avanzò in mezzo al risuonare di trombe e a un tremendo hurrà lanciato sulla spiaggia da 10.000 inglesi. Si fece avanti il comandante in capo conte di Leicester, il favorito della regina, sgargiante nell’armatura, con l’elmo piumato sotto il braccio, la barba rossa e l’Ordine della Giarrettiera sul petto. Elisabetta indossava una corazza d’argento cesellata in oro sopra un abito di velluto bianco. Portava un bastone d’oro e argento e nei capelli un diadema di perle e diamanti. Un paggio reggeva su un cuscino il suo elmo e la spada di stato, simboli del potere. Lasciò la sua guardia del corpo al margine del campo, mostrando di avere totale fiducia nei suoi soldati e cavalcò di fronte ad essi. Le acclamazioni si levarono al cielo. Elisabetta gridò commossa: «Che i tiranni abbiano paura! Io sono determinata a vivere e a morire tra voi tutti nel calore della battaglia e a deporre per il mio Dio e per il mio regno e per il mio popolo il mio onore e il mio sangue nella polvere. So di avere il corpo di una fragile donna, ma ho il cuore e lo stomaco di un re, per di più del re d’Inghilterra, e trovo folle che Parma o Spagna, o qualsiasi principe d’Europa tenti d’invadere i confini del mio regno».

Illustrazione ottocentesca raffigurante Elisabetta I a Tilbury

Il 20 agosto Medina Sidonia capì che non sarebbe mai riuscito a congiungersi con il duca di Parma e diede l’ordine che le navi dell’Armata tornassero in Spagna al più presto, seguendo la via del nord, quindi doppiando la Scozia settentrionale, inoltrandosi nell’Atlantico e cercando di evitare l’Irlanda, le cui coste erano pericolose per le forti tempeste.
La vita a bordo era diventata penosa. Il vino si era trasformato in aceto, frutta e vegetali erano andati a male, i biscotti erano rancidi. Cavalli e muli erano morti e le loro carogne puzzavano sulla tolda prima di essere gettate in mare. Le razioni erano ridotte a mezza libbra di biscotto al giorno, una pinta d’acqua e mezza di vino. Il morale era a terra. Medina Sidonia aveva fatto impiccare all’albero maestro della sua nave il capitano don Cristobal de Avila, perché aveva disubbidito ai suoi ordini.
In rotta verso la Spagna, Medina aveva le navi gravemente danneggiate, con i ponti devastati più dal rinculo dei cannoni spagnoli che dal bombardamento inglese. All’ammiraglio erano rimaste 112 navi in condizioni passabili.

L’Invincibile Armata al largo di Dover; la legenda in alto dice «L’armata navale di Spagna, soprannominata Invincibile, che fu vinta dagli inglesi il 22 luglio», in realtà la battaglia decisiva avvenne il 9 agosto

Dopo un mese di questa navigazione disastrosa le navi dell’Armata furono avvistate lungo le coste dell’Irlanda. Il governatore di Connaught, sir Richard Bingham, lanciò l’allarme, ma non era in grado di dire se si trattava dell’Armata in fuga, o se stava arrivando una nuova flotta d’invasione. Era propenso per quest’ultima ipotesi.
Ma il 21 settembre 1588 si levò la più gran tempesta mai vista nella storia delle isole britanniche. Fu la dannazione, portata dall’ira di Dio. Cavalloni immani si levarono per un giorno e una notte lungo la costa occidentale dell’Irlanda, fischiarono venti devastatori e infine 15 navi dell’alto oceano e il meglio della flotta di Filippo II si accasciarono in fondo al mare.
Il governatore Bingham stimò che i velieri, inabissandosi, avevano trascinato nel fondo 7.000 spagnoli: era la fine della terribile Armata. Quando il gran vento cadde, solo undici navi spagnole erano ancora intere. E quando la piccola flotta superstite guidata dall’ammiraglio si affacciò al porto di Santander, gli abitanti fissarono il fantasma dell’Armata e, impietriti, contarono soltanto otto vele maestre.

A sinistra sir Richard Bingham, a destra lord Howard of Effingham, il capo della flotta inglese


Un deluso e disfatto Medina Sidonia arrivò a Santander sulla sua nave ammiraglia San Martin, la cui tolda, sconquassata, era tenuta insieme dai cavi. Lo scortavano sette galeoni. Quel funebre ritorno significava la fine del miraggio dell’invasione dell’Inghilterra e più ancora l’inizio del declino dell’impero spagnolo.
A Santander, il 30 ottobre, si fecero i conti finali della spedizione: risultò che delle 130 navi dell’Armata 46 erano finite a Santander, 11 a San Sebastian, 7 a La Coruña, una a Lisbona: 65 superstiti in tutto. Tra le ultime navi ad arrivare a La Coruña fu la San Juan de Portugal, che batteva bandiera del viceammiraglio spagnolo Juan Martinez de Recalde e che questi pilotò personalmente in porto, anche se gravemente malato. Fu portato in un monastero e morì pochi giorni dopo.
La Spagna espresse in quei giorni d’autunno un lutto senza pari: dame e gentiluomini indossarono abiti di lutto, il re e i ministri si sottrassero alla vista del pubblico.

Dipinto raffigurante l’Invincibile Armata durante una battaglia

Gli spagnoli subirono una delusione cocente, in quanto nei giorni precedenti erano corse voci che la flotta inglese fosse stata distrutta e che Drake fosse prigioniero. Invece arrivò l’annuncio della catastrofe d’Irlanda che paralizzò il paese. Quando il popolo seppe che metà della bella flotta era stata distrutta e che 15.000 dei 30.000 uomini partiti con l’Armata non sarebbero mai più tornati, una cappa di costernazione calò sulla Spagna. Si diffuse persino il timore che un’Armata, stavolta inglese, si presentasse sulle coste spagnole e tentasse la conquista della penisola.
Francis Drake, con 80 vascelli, più altri 60 olandesi, puntò effettivamente su Lisbona con l’intento di espugnarla e di sottrarre almeno il Portogallo a Filippo II. Vista però l’inutilità dell’assedio di quella città, si diresse verso le Azzorre, con l’obiettivo di intercettare il convoglio che riportava a Siviglia gli ingenti tesori provenienti dall’America. Ma questa volta i venti soffiarono contro la flotta anglo-olandese, che venne gravemente danneggiata. Un gran numero di uomini vi trovò la morte o si ammalò; Francis Drake cadde addirittura in disgrazia e nessun comando navale gli fu affidato per qualche anno.

Lisbona nel 1598

Dal canto suo Filippo II rifiutò di scoraggiarsi e decise invece di continuare la guerra. Fece mettere in cantiere 12 galeoni del tipo di quelli che avevano sconfitto le sue navi. Non si sa quanto egli fosse comunque cosciente di aver perduto una grande occasione: lo sbarco che le sue forze avevano tentato e tragicamente fallito non si sarebbe mai più ripetuto sulle coste inglesi.

5 francobolli britannici del 1988 creati da Graham Evernden, per i 400 anni della disfatta dell’Armata spagnola

Cartina con i luoghi indicati nel testo



5 commenti:

  1. Più che "non male" io giudico questa descrizione ben fatta tant'è vero che ho letto tutto con molta attenzione. Quindi in qualità di giovane nuovo allievo di ritorno (84 anni) ringrazio vivamente l'autore

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  2. Bellissima esposizione storica, scritta in modo dettagliato e scorrevole ! Complimenti all'autore !

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  3. Bellissimo articolo! Dettagliato e scorrevole! Grazie

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  4. Particolarmente ben scritta e illustrata e sopratutto coinvolgente

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