LA DITTATURA FASCISTA
Per conquistare il potere assoluto, Mussolini fece approvare
una legge secondo la quale il partito che avesse ottenuto alle elezioni almeno
il 25% dei voti, avrebbe avuto due terzi dei seggi in parlamento. Le elezioni
si svolsero il 6 aprile 1924, ma le squadre fasciste impedirono a molti di
votare liberamente e uccisero anche un candidato socialista. La lista formata
dai fascisti, con un'ampia partecipazione dei liberali, ottenne così la
maggioranza dei seggi. Quando in parlamento il deputato socialista Giacomo
Matteotti chiese l'annullamento delle elezioni, denunciando le violenze
commesse fai fascisti, essi lo rapirono e lo uccisero (giugno 1924).
A sinistra una
foto di Giacomo Matteotti, a destra il ritrovamento del suo cadavere il 16
agosto 1924
Tra il 1924 e il 1927 in Italia si instaurò un regime
dittatoriale: i partiti contrari al regime fascista furono sciolti (1926) e la
libertà di stampa abolita. Il potere passò in mano al Gran Consiglio del
fascismo, diretto da Mussolini, che si fece chiamare duce (dal latino dux,
capo militare) del fascismo: egli ricoprì le più alte cariche e si presentò
come un capo assoluto, anche se la politica fascista non dipese solo dalle sue
scelte, ma da quelle di un ristretto gruppo di uomini alla direzione del
partito.
Bambini di una
scuola elementare siciliana seduti in modo da formare la scritta DUX nel 1831:
cose del genere erano molto comuni nelle scuole italiane
Il principale appoggio al fascismo era venuto dall'alta
borghesia e il regime approvò una serie di leggi a favore della borghesia:
eliminò le leggi che regolavano le attività industriali e finanziarie; proibì
gli scioperi; sciolse tutti i sindacati, ad eccezione di quelli fascisti
(1926), e creò poi corporazioni che riunivano i datori di lavoro e i
rappresentanti degli operai (1934). Inoltre aumentò le tasse indirette, cioè
sui consumi, che colpivano soprattutto le classi sociali inferiori, e non le
tasse sul reddito, cioè sui guadagni, che avrebbero colpito le classi sociali
superiori.
Tuttavia, per non perdere il consenso popolare, il governo
fascista prese una serie di misure a favore dei lavoratori, sul modello di
quelle già da tempo presenti in molti Stati europei: furono introdotte o
migliorate l'assicurazione contro la disoccupazione, la malattia e la vecchiaia
e fu creata l'ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), per l'assistenza
alle madri.
L’ONMI di Bra
(Piemonte) nel 1936
Per ridurre la disoccupazione e aumentare il prestigio del
regime furono anche avviati grandi lavori pubblici: la costruzione di
acquedotti, strade, ferrovie, porti ed edifici pubblici. Essi permisero di dare
lavoro a parecchi disoccupati, contribuendo a diffondere l'immagine di un
regime che mirava a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Nel 1929 il governo fascista stipulò i Patti Lateranensi (o
Concordato) con la Chiesa, che misero fine alla “questione romana” e
assicurarono al regime l'appoggio di molti cattolici. Il regime fascista
introdusse l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole medie, escluse
dagli uffici statali coloro che avevano rinunciato al sacerdozio (ex-preti) e
riconobbe il matrimonio religioso.
Mussolini a
Palazzo Lateranense con degli alti prelati per firma del Concordato nel 1929
Il governo fascista cercò di controllare tutta la
popolazione, mettendo sotto controllo i grandi mezzi di comunicazione,
utilizzando la propaganda attraverso la radio (dal 1926), il cinema e i
giornali e rendendo obbligatorio l'insegnamento della dottrina fascista nelle
scuole, dove gli insegnanti dovevano avere la tessera del Partito nazionale
fascista.
Apparato
scenografico per l’inaugurazione nel 1937 degli Studi cinematografici di
Cinecittà
L’indottrinamento delle idee fasciste fu perseguito
scrupolosamente: nel 1926 venne fondata l’Opera Nazionale Balilla (ONB), che
era complementare all’istruzione scolastica e aveva lo scopo dichiarato di
provvedere all’educazione fisica e morale della gioventù; tale educazione
prevedeva un’istruzione ginnico-sportiva, professionale e tecnica, ma anche
esercitazioni pre-militari, che dovevano preparare i giovani ad affrontare le
prove della vita in difesa del fascismo. Questa istruzione veniva impartita
durante esercitazioni nel doposcuola, nelle manifestazioni dette “sabato
fascista” e in adunate e campi-scuola di vario tipo; presidi e insegnanti erano
tenuti a permettere lo svolgimento delle iniziative dell’ONB nelle scuole
italiane e a invitare gli alunni di tutte le età ad aderirvi. Nell’ONB vennero
inquadrati tutti i giovani dai 6 ai 18 anni, identificati con nomi così
distinti: balilla (da 6 a 10 anni) e avanguardisti (da 11 a 18) per i maschi,
figlie della lupa (da 6 a 8 anni), piccole italiane (da 9 a 13) e giovani
italiane (da 14 a 18) per le femmine.
Mussolini premia
un balilla per essersi distinto in qualche attività dell’ONB
Vi fu però una forte opposizione interna, in particolare
socialista e comunista, ma anche liberale. Se tra i cattolici molti
appoggiarono il fascismo, soprattutto in seguito ai Patti Lateranensi, altri
invece vi si opposero.
Il governo fascista prese diverse misure per reprimere ogni
opposizione: reintrodusse la pena di morte; aumentò i poteri della polizia,
creando anche una polizia segreta, l'OVRA (Opera Vigilanza Repressione
Antifascista); istituì un Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, contro
gli oppositori (1927). Tra il 1927 e il 1943 il tribunale speciale processò più
di 5.000 persone, che vennero in maggioranza condannate a parecchi anni di
carcere, più di rado a morte o all'ergastolo. Coloro che erano sospettati di
essere antifascisti potevano anche essere inviati al confino, in un luogo
isolato e molto lontano da casa, in cui non avrebbero potuto avere contatto con
gli altri. Di frequente gli oppositori venivano percossi dalle squadre
fasciste: Piero Gobetti morì in Francia per i postumi delle botte ricevute dai
fascisti (1925), i fratelli Carlo e Nello Rosselli furono assassinati in
Francia (1937).
Anche trovare lavoro divenne per gli oppositori quasi
impossibile: ben 46.000 ferrovieri furono licenziati per “scarso rendimento”,
in realtà perché il sindacato dei ferrovieri era uno dei più forti e
combattivi. Molti antifascisti furono perciò costretti a emigrare in altri
Paesi.
Cartolina degli
anni Venti che inneggia all’uso dell’olio di ricino, un potente lassativo che, fatto
bere agli oppositori del fascismo, provocava intensi dolori intestinali; anche
con questi mezzi intimidatori il fascismo instaurò un clima di paura in Italia
La politica estera di Mussolini fu di tipo nazionalistico,
tesa ad affermare la superiorità dell'Italia in campo internazionale, mentre
nella realtà l'Italia non aveva i mezzi, militari ed economici, per sostenere
questa politica di potenza. Le grandi ambizioni fasciste dovettero perciò
limitarsi a pochi obiettivi: la Libia; l'Albania, su cui fu imposto un dominio
quasi coloniale (1939); l'Etiopia.
La Libia era stata conquistata nel 1911-1912, ma, in seguito
a una grande rivolta della popolazione araba, l'esercito italiano aveva perso
il controllo delle regioni interne. Il governo fascista lanciò una spietata
campagna di riconquista, operando una serie di massacri e di misure contro la
popolazione civile: circa 100.000 libici, la metà della popolazione della
Cirenaica (l'attuale Libia occidentale), vennero deportati e rinchiusi in campi
di concentramento, lontano dalle loro terre. Le uccisioni, il trasferimento
forzato e le durissime condizioni di vita nei campi, provocarono una vera
strage: dei circa 200.000 abitanti della Cirenaica nel 1911 circa 40.000
morirono e altri 20.000 fuggirono in Egitto. Nel 1931 la colonia italiana aveva
solo 142.000 abitanti circa.
Il campo di
concentramento costruito dagli italiani a el Abiar (Libia), dove vennero
deportati numerosi libici
L'Etiopia, l'unico Stato africano che aveva conservato la
propria indipendenza, venne attaccata perché per i nazionalisti era necessario
cancellare la vergogna della sconfitta subita ad Adua. La conquista dell'Etiopia
(1935-1936) avvenne rapidamente grazie alla schiacciante superiorità dei mezzi
a disposizione dell'esercito italiano, tra cui carri armati e aerei. Essa fu
ottenuta facendo uso su larga scala anche dei gas tossici, proibiti dalla
convenzione di Ginevra, che l'Italia aveva sottoscritto. Tutta la conquista fu
accompagnata da stragi, che continuarono anche dopo l'occupazione della
capitale, Adis Abeba.
Vincitori e vinti
della guerra d’Etiopia (1935-1936)
Quando due eritrei compirono un attentato contro il generale
Graziani (1937), ci fu un sistematico massacro della popolazione della
capitale: moltissime case furono incendiate e i loro abitanti trucidati; i
morti furono alcune migliaia. Per una presunta complicità nell'attentato di
alcuni monaci cristiani del convento di Debrà Libanòs, uno dei principali
centri religiosi dell'Etiopia, venne fucilata l'intera popolazione del
monastero, almeno 1500-2000 tra sacerdoti e monaci. Nei mesi successivi furono
giustiziati, spesso in base a semplici sospetti, molte altre migliaia di
etiopi: intellettuali, capi militari, tutti coloro che avrebbero potuto in
qualche modo organizzare una resistenza. Molte persone sospettate di essere
ostili al dominio italiano furono rinchiuse in campi di concentramento, che
furono spesso campi di sterminio: dei 6.500 etiopi rinchiusi tra il 1936 e il
1941 a Danane, in Somalia, circa 3.200 vi morirono. Nella colonia fu instaurato
un regime di terrore e lo sfruttamento delle popolazioni locali fu durissimo:
ad esempio in Somalia almeno 7.000 somali furono costretti a lavorare come
schiavi al servizio dei coloni italiani, che si erano impossessati delle poche
terre fertili della regione. Intanto in Italia si esaltava la conquista
dell'Etiopia, che trasformava il Regno in Impero, e si ascoltavano con piacere
alcune allegre canzonette dedicate all'impresa, come la famosa “Facetta nera”.
Quattro “cartoline
ricordo” dall’Etiopia e un manifesto propagandistico sulla fondazione
dell’Impero italiano: nelle cartoline è evidente il razzismo italiano nei
confronti degli etiopi
L'attacco all'Etiopia provocò una condanna internazionale e
molti Stati decisero di sospendere i rapporti commerciali con l'Italia.
L'isolamento internazionale dell'Italia spinse il governo fascista a rafforzare
i rapporti con la Germania, dove si era formato il regime dittatoriale nazista.
All'interno dell'Italia il fascismo condusse una politica di
eliminazione culturale delle minoranze nazionali: slovena nella Venezia Giulia,
croata in Istria e tedesca nel Tirolo meridionale. In quest'ultima regione
furono imposti il divieto di insegnamento, persino privato, della lingua
tedesca e la sostituzione dei nomi tedeschi (di luoghi e di persone) con nomi
italiani. Negli uffici pubblici fu assunto personale proveniente da altre
regioni: in questo modo la popolazione si trovò costretta a parlare a scuola e
negli uffici sempre e soltanto la lingua italiana. La politica fascista creò
forti tensioni in queste regioni, in particolare là dove fu incoraggiata
l'immigrazione massiccia di italiani: nel Tirolo meridionale questi passarono
da 27.000 nel 1921 a oltre 100.000 nel 1943.
L'esaltazione della nazione italiana portò anche
all'emanazione di leggi razziali (1938), che discriminavano gli ebrei: essi
vennero esclusi da tutti gli impieghi pubblici, dalle forze armate e
dall'insegnamento, e furono proibiti i matrimoni tra ebrei e cristiani. Le
leggi razziali vennero pubblicate sulla rivista “La difesa della razza”: vi si
diceva tra l'altro che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana” e che
“è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti”.
Approfondimenti:
Il fascismo e le sue canzoni
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