Approfondimenti

giovedì 12 maggio 2016

83 - La dittatura fascista

LA DITTATURA FASCISTA

Per conquistare il potere assoluto, Mussolini fece approvare una legge secondo la quale il partito che avesse ottenuto alle elezioni almeno il 25% dei voti, avrebbe avuto due terzi dei seggi in parlamento. Le elezioni si svolsero il 6 aprile 1924, ma le squadre fasciste impedirono a molti di votare liberamente e uccisero anche un candidato socialista. La lista formata dai fascisti, con un'ampia partecipazione dei liberali, ottenne così la maggioranza dei seggi. Quando in parlamento il deputato socialista Giacomo Matteotti chiese l'annullamento delle elezioni, denunciando le violenze commesse fai fascisti, essi lo rapirono e lo uccisero (giugno 1924).

A sinistra una foto di Giacomo Matteotti, a destra il ritrovamento del suo cadavere il 16 agosto 1924

Tra il 1924 e il 1927 in Italia si instaurò un regime dittatoriale: i partiti contrari al regime fascista furono sciolti (1926) e la libertà di stampa abolita. Il potere passò in mano al Gran Consiglio del fascismo, diretto da Mussolini, che si fece chiamare duce (dal latino dux, capo militare) del fascismo: egli ricoprì le più alte cariche e si presentò come un capo assoluto, anche se la politica fascista non dipese solo dalle sue scelte, ma da quelle di un ristretto gruppo di uomini alla direzione del partito.

Bambini di una scuola elementare siciliana seduti in modo da formare la scritta DUX nel 1831: cose del genere erano molto comuni nelle scuole italiane

Il principale appoggio al fascismo era venuto dall'alta borghesia e il regime approvò una serie di leggi a favore della borghesia: eliminò le leggi che regolavano le attività industriali e finanziarie; proibì gli scioperi; sciolse tutti i sindacati, ad eccezione di quelli fascisti (1926), e creò poi corporazioni che riunivano i datori di lavoro e i rappresentanti degli operai (1934). Inoltre aumentò le tasse indirette, cioè sui consumi, che colpivano soprattutto le classi sociali inferiori, e non le tasse sul reddito, cioè sui guadagni, che avrebbero colpito le classi sociali superiori.
Tuttavia, per non perdere il consenso popolare, il governo fascista prese una serie di misure a favore dei lavoratori, sul modello di quelle già da tempo presenti in molti Stati europei: furono introdotte o migliorate l'assicurazione contro la disoccupazione, la malattia e la vecchiaia e fu creata l'ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), per l'assistenza alle madri.

L’ONMI di Bra (Piemonte) nel 1936

Per ridurre la disoccupazione e aumentare il prestigio del regime furono anche avviati grandi lavori pubblici: la costruzione di acquedotti, strade, ferrovie, porti ed edifici pubblici. Essi permisero di dare lavoro a parecchi disoccupati, contribuendo a diffondere l'immagine di un regime che mirava a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Nel 1929 il governo fascista stipulò i Patti Lateranensi (o Concordato) con la Chiesa, che misero fine alla “questione romana” e assicurarono al regime l'appoggio di molti cattolici. Il regime fascista introdusse l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole medie, escluse dagli uffici statali coloro che avevano rinunciato al sacerdozio (ex-preti) e riconobbe il matrimonio religioso.

Mussolini a Palazzo Lateranense con degli alti prelati per firma del Concordato nel 1929

Il governo fascista cercò di controllare tutta la popolazione, mettendo sotto controllo i grandi mezzi di comunicazione, utilizzando la propaganda attraverso la radio (dal 1926), il cinema e i giornali e rendendo obbligatorio l'insegnamento della dottrina fascista nelle scuole, dove gli insegnanti dovevano avere la tessera del Partito nazionale fascista.

Apparato scenografico per l’inaugurazione nel 1937 degli Studi cinematografici di Cinecittà

L’indottrinamento delle idee fasciste fu perseguito scrupolosamente: nel 1926 venne fondata l’Opera Nazionale Balilla (ONB), che era complementare all’istruzione scolastica e aveva lo scopo dichiarato di provvedere all’educazione fisica e morale della gioventù; tale educazione prevedeva un’istruzione ginnico-sportiva, professionale e tecnica, ma anche esercitazioni pre-militari, che dovevano preparare i giovani ad affrontare le prove della vita in difesa del fascismo. Questa istruzione veniva impartita durante esercitazioni nel doposcuola, nelle manifestazioni dette “sabato fascista” e in adunate e campi-scuola di vario tipo; presidi e insegnanti erano tenuti a permettere lo svolgimento delle iniziative dell’ONB nelle scuole italiane e a invitare gli alunni di tutte le età ad aderirvi. Nell’ONB vennero inquadrati tutti i giovani dai 6 ai 18 anni, identificati con nomi così distinti: balilla (da 6 a 10 anni) e avanguardisti (da 11 a 18) per i maschi, figlie della lupa (da 6 a 8 anni), piccole italiane (da 9 a 13) e giovani italiane (da 14 a 18) per le femmine.

Mussolini premia un balilla per essersi distinto in qualche attività dell’ONB

Vi fu però una forte opposizione interna, in particolare socialista e comunista, ma anche liberale. Se tra i cattolici molti appoggiarono il fascismo, soprattutto in seguito ai Patti Lateranensi, altri invece vi si opposero.
Il governo fascista prese diverse misure per reprimere ogni opposizione: reintrodusse la pena di morte; aumentò i poteri della polizia, creando anche una polizia segreta, l'OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascista); istituì un Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, contro gli oppositori (1927). Tra il 1927 e il 1943 il tribunale speciale processò più di 5.000 persone, che vennero in maggioranza condannate a parecchi anni di carcere, più di rado a morte o all'ergastolo. Coloro che erano sospettati di essere antifascisti potevano anche essere inviati al confino, in un luogo isolato e molto lontano da casa, in cui non avrebbero potuto avere contatto con gli altri. Di frequente gli oppositori venivano percossi dalle squadre fasciste: Piero Gobetti morì in Francia per i postumi delle botte ricevute dai fascisti (1925), i fratelli Carlo e Nello Rosselli furono assassinati in Francia (1937).
Anche trovare lavoro divenne per gli oppositori quasi impossibile: ben 46.000 ferrovieri furono licenziati per “scarso rendimento”, in realtà perché il sindacato dei ferrovieri era uno dei più forti e combattivi. Molti antifascisti furono perciò costretti a emigrare in altri Paesi.

Cartolina degli anni Venti che inneggia all’uso dell’olio di ricino, un potente lassativo che, fatto bere agli oppositori del fascismo, provocava intensi dolori intestinali; anche con questi mezzi intimidatori il fascismo instaurò un clima di paura in Italia

La politica estera di Mussolini fu di tipo nazionalistico, tesa ad affermare la superiorità dell'Italia in campo internazionale, mentre nella realtà l'Italia non aveva i mezzi, militari ed economici, per sostenere questa politica di potenza. Le grandi ambizioni fasciste dovettero perciò limitarsi a pochi obiettivi: la Libia; l'Albania, su cui fu imposto un dominio quasi coloniale (1939); l'Etiopia.
La Libia era stata conquistata nel 1911-1912, ma, in seguito a una grande rivolta della popolazione araba, l'esercito italiano aveva perso il controllo delle regioni interne. Il governo fascista lanciò una spietata campagna di riconquista, operando una serie di massacri e di misure contro la popolazione civile: circa 100.000 libici, la metà della popolazione della Cirenaica (l'attuale Libia occidentale), vennero deportati e rinchiusi in campi di concentramento, lontano dalle loro terre. Le uccisioni, il trasferimento forzato e le durissime condizioni di vita nei campi, provocarono una vera strage: dei circa 200.000 abitanti della Cirenaica nel 1911 circa 40.000 morirono e altri 20.000 fuggirono in Egitto. Nel 1931 la colonia italiana aveva solo 142.000 abitanti circa.

Il campo di concentramento costruito dagli italiani a el Abiar (Libia), dove vennero deportati numerosi libici

L'Etiopia, l'unico Stato africano che aveva conservato la propria indipendenza, venne attaccata perché per i nazionalisti era necessario cancellare la vergogna della sconfitta subita ad Adua. La conquista dell'Etiopia (1935-1936) avvenne rapidamente grazie alla schiacciante superiorità dei mezzi a disposizione dell'esercito italiano, tra cui carri armati e aerei. Essa fu ottenuta facendo uso su larga scala anche dei gas tossici, proibiti dalla convenzione di Ginevra, che l'Italia aveva sottoscritto. Tutta la conquista fu accompagnata da stragi, che continuarono anche dopo l'occupazione della capitale, Adis Abeba.

Vincitori e vinti della guerra d’Etiopia (1935-1936)

Quando due eritrei compirono un attentato contro il generale Graziani (1937), ci fu un sistematico massacro della popolazione della capitale: moltissime case furono incendiate e i loro abitanti trucidati; i morti furono alcune migliaia. Per una presunta complicità nell'attentato di alcuni monaci cristiani del convento di Debrà Libanòs, uno dei principali centri religiosi dell'Etiopia, venne fucilata l'intera popolazione del monastero, almeno 1500-2000 tra sacerdoti e monaci. Nei mesi successivi furono giustiziati, spesso in base a semplici sospetti, molte altre migliaia di etiopi: intellettuali, capi militari, tutti coloro che avrebbero potuto in qualche modo organizzare una resistenza. Molte persone sospettate di essere ostili al dominio italiano furono rinchiuse in campi di concentramento, che furono spesso campi di sterminio: dei 6.500 etiopi rinchiusi tra il 1936 e il 1941 a Danane, in Somalia, circa 3.200 vi morirono. Nella colonia fu instaurato un regime di terrore e lo sfruttamento delle popolazioni locali fu durissimo: ad esempio in Somalia almeno 7.000 somali furono costretti a lavorare come schiavi al servizio dei coloni italiani, che si erano impossessati delle poche terre fertili della regione. Intanto in Italia si esaltava la conquista dell'Etiopia, che trasformava il Regno in Impero, e si ascoltavano con piacere alcune allegre canzonette dedicate all'impresa, come la famosa “Facetta nera”.

Quattro “cartoline ricordo” dall’Etiopia e un manifesto propagandistico sulla fondazione dell’Impero italiano: nelle cartoline è evidente il razzismo italiano nei confronti degli etiopi

L'attacco all'Etiopia provocò una condanna internazionale e molti Stati decisero di sospendere i rapporti commerciali con l'Italia. L'isolamento internazionale dell'Italia spinse il governo fascista a rafforzare i rapporti con la Germania, dove si era formato il regime dittatoriale nazista.
All'interno dell'Italia il fascismo condusse una politica di eliminazione culturale delle minoranze nazionali: slovena nella Venezia Giulia, croata in Istria e tedesca nel Tirolo meridionale. In quest'ultima regione furono imposti il divieto di insegnamento, persino privato, della lingua tedesca e la sostituzione dei nomi tedeschi (di luoghi e di persone) con nomi italiani. Negli uffici pubblici fu assunto personale proveniente da altre regioni: in questo modo la popolazione si trovò costretta a parlare a scuola e negli uffici sempre e soltanto la lingua italiana. La politica fascista creò forti tensioni in queste regioni, in particolare là dove fu incoraggiata l'immigrazione massiccia di italiani: nel Tirolo meridionale questi passarono da 27.000 nel 1921 a oltre 100.000 nel 1943.
L'esaltazione della nazione italiana portò anche all'emanazione di leggi razziali (1938), che discriminavano gli ebrei: essi vennero esclusi da tutti gli impieghi pubblici, dalle forze armate e dall'insegnamento, e furono proibiti i matrimoni tra ebrei e cristiani. Le leggi razziali vennero pubblicate sulla rivista “La difesa della razza”: vi si diceva tra l'altro che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana” e che “è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti”.

Gli effetti delle leggi razziali contro gli ebrei (due pagine tratte da “La Difesa della Razza”)

Approfondimenti:
Il fascismo e le sue canzoni




Nessun commento:

Posta un commento