IL COLONIALISMO NEL XIX SECOLO
All'inizio dell'Ottocento, dopo
l'indipendenza dell'America centro-meridionale, solo l'Inghilterra e la Russia
possedevano un vasto impero coloniale. L'Impero Russo comprendeva un esteso
territorio nell'Asia centrale e settentrionale (oltre all'Alaska, in America,
che venne poi venduta agli USA nel 1867), mentre l'Inghilterra aveva colonie in
tutti i continenti.
Le colonie inglesi erano di due tipi:
colonie di popolamento e colonie di sfruttamento.
Nelle colonie di popolamento (Canada,
Australia e Nuova Zelanda) la popolazione di origine europea divenne numerosa,
per l'immigrazione dalle Isole Britanniche, mentre gli indigeni (le popolazioni
originarie) furono in gran parte sterminati e costretti a cedere le loro terre ai
coloni: in Tasmania, un'isola a sud dell'Australia, si ebbe un completo
genocidio, con vere e proprie cacce all'uomo, e l'ultimo indigeno della
Tasmania morì nel 1876. Queste colonie, popolate ormai in maggioranza da
inglesi, ottennero un'ampia autonomia (il Canada nel 1867 – vedi lezione n° 73
– l'Australia nel 1901) e formarono Stati di tipo europeo.
Nelle colonie di sfruttamento la quasi
totalità della popolazione era formata da indigeni e i coloni inglesi erano
solo una minoranza. Queste colonie, tra cui la principale era l'India,
fornivano all'Inghilterra materie prime e un mercato per i prodotti
industriali, ma anche uomini da arruolare nell'esercito, che gli inglesi utilizzarono
per la loro espansione coloniale.
Le altre potenze europee possedevano
territori in altri continenti, ma si trattava di aree non molto estese: solo
dopo il 1880 Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Italia avviarono una
massiccia espansione coloniale, che in trent'anni assicurò il dominio europeo
su tutta l'Africa, sull'Oceania e su gran parte dell'Asia. A questa espansione
parteciparono anche il Giappone (conquista di Formosa, oggi Taiwan, e della
Corea) e gli USA (conquista di territori spagnoli, tra cui le Filippine, e di
isole nel Pacifico). Questa tendenza a conquistare territori e formare un vasto
impero è detta appunto imperialismo.
La conquista di nuovi territori aveva
motivi economici: essi potevano fornire materie prime a basso prezzo,
manodopera costretta a lavorare gratuitamente, mercati per la vendita dei
prodotti industriali.
L'imperialismo dipese anche dal desiderio
di ottenere una posizione di prestigio, per presentarsi come una nazione più
potente delle altre: il nazionalismo, come viene chiamato questo modo di
pensare, era molto forte in Europa.
L'espansione coloniale, come tutte le
guerre, poteva servire anche per distrarre l'opinione pubblica dai problemi
interni: l'attacco francese ad Algeri (1830) fu progettato proprio a questo
scopo, anche se non fu sufficiente a evitare la rivoluzione del 1830.
Gli europei giustificarono il
colonialismo, sostenendo che essi portavano ai popoli selvaggi dell'Africa e
dell'Asia la civiltà, il progresso e tutte le conquiste della scienza: essi
affermavano di aver cioè una missione civilizzatrice da compiere. Gli europei
del XIX secolo si consideravano diversi dagli altri popoli e superiori per
razza, religione e cultura, perciò ritenevano naturale e inevitabile il loro
dominio sul mondo.
Una
vignetta satirica pubblicata dal “Fischietto” (gennaio 1886) raffigura le
potenze europee che portano la civiltà nei Paesi colonizzati
Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia
opposero una tenace resistenza all'invasione europea, perché non volevano
perdere la propria indipendenza.
Anche dopo la conquista ci furono numerose
rivolte, come quella dei sepoys (i reggimenti dell'esercito indiano composti
dalla popolazione locale) in India tra il 1857 e il 1858.
Gli europei erano però economicamente e
militarmente più forti, grazie allo sviluppo industriale e ai progressi
tecnici, che avevano portato alla produzione di armi più distruttive. Fu per
loro facile vincere le guerre e soffocare le rivolte. Le popolazioni africane e
asiatiche riuscirono a conservare la loro libertà solo in rari casi.
La spartizione coloniale dell'Asia e
soprattutto dell'Africa avvenne senza tener conto in alcun modo dei popoli che
venivano sottomessi: i confini decisi dai colonizzatori in qualche caso
divisero uno stesso popolo in possedimenti coloniali diversi, o unirono in un
medesimo territorio popolazioni nemiche.
La maggior parte dei territori conquistati
furono organizzati in colonie di sfruttamento, nelle quali le popolazioni
indigene furono costrette a lavorare per gli europei. Le compagnie europee
sfruttarono le miniere, installarono piantagioni sulle terre più fertili,
disboscarono le foreste per procurarsi legname. Per sfruttare i territori
vennero costruite strade e ferrovie, che permettevano di raggiungere
rapidamente i porti, da dove le materie prime venivano imbarcate per l’Europa e
i manufatti europei partivano per i villaggi dell’interno. Le attività
artigianali locali furono ostacolate o anche eliminate, per assicurare la
vendita dei prodotti europei.
In Africa vi furono anche colonie di
popolamento, soprattutto nell’Africa settentrionale, dove nel 1914 c’erano
oltre due milioni di europei residenti: francesi, italiani, spagnoli, greci.
Tra gli Stati europei nascevano spesso
contrasti per il controllo dei territori coloniali e il diffuso nazionalismo
rendeva molto forti le tensioni tra gli Stati. Perciò le potenze europee
arrivarono più volte sull’orlo di una guerra.
Una
carovana francese attaccata da ribelli marocchini in un’illustrazione del
“Petit Journal” del 1903: l’occupazione francese del Marocco creò una grave
frizione con la Germania
Per non trovarsi isolati in una possibile
guerra, gli Stati europei che avevano interessi comuni si unirono in alleanze
politico-militari: la Triplice Alleanza, che riuniva Germania, Austria-Ungheria
e Italia (1882), e la Triplice Intesa, che legava Francia, Inghilterra e Russia
(1904 e 1907).
L’alleanza tra Francia, Inghilterra e
Russia portò a un accerchiamento della Germania, i cui territori confinavano a
est con la Russia e a ovest con la Francia; così pure le colonie tedesche erano
attorniate dai domini coloniali inglesi e francesi. Il governo tedesco vide in
questo accerchiamento una minaccia per la Germania e tra il 1904 e il 1914 le
tensioni esistenti in Europa aumentarono fino a provocare lo scoppio della
Prima guerra mondiale.
Il colonialismo europeo modificò
enormemente la situazione politica extra-europea: l’America, che fino al 1776
era interamente sotto controllo europeo, alla fine del XIX secolo era
costituita da Stati quasi tutti indipendenti; l’Africa e l’Asia, dove fino a
metà Settecento i domini europei erano limitati, erano passate in gran parte
sotto controllo europeo.
A controllare l’Africa (a eccezione
dell’Etiopia), gran parte dell’Asia e l’Oceania erano poche potenze europee:
Inghilterra e Francia in primo luogo, poi Russia, Germania, Belgio e Paesi
Bassi, e, in misura ancora minore, Italia, Spagna e Portogallo.
L’altra grande potenza mondiale, Gli Stati
Uniti d’America, possedeva solo alcuni territori (tra cui le isole Filippine in
Asia e Puerto Rico in America, tolte alla Spagna nel 1898).
Illustrazione
del 1885, contemporanea all’avvenimento rappresentato: la presa di Lang Son
(nell’attuale Vietnam) da parte dell’esercito francese
In Asia rimanevano ancora alcuni Stati
indipendenti, tra cui tre (Cina, Giappone e Impero Ottomano) avevano una certa
importanza economica e politica a livello internazionale.
Il Giappone rifiutò a lungo ogni contatto
con l’Europa, mantenendo i porti chiusi alle navi europee, ma tra il 1853 e il
1854 una flotta statunitense impose al Giappone l’apertura di relazioni
commerciali con gli stati Uniti, a cui seguirono trattati commerciali anche con
Gran Bretagna e Francia (1858). L’ingresso del Giappone nel circuito dell’economia
mondiale cambiò profondamente la sua società e la sua economia: il Giappone
esportava tè, cotone e soprattutto seta greggia, e importava prevalentemente
tessuti di lana e di cotone.
In seguito all’apertura al commercio con
gli europei e gli statunitensi, cambiò anche la politica del Paese asiatico che
conobbe un profondo rinnovamento. L’imperatore riprese il potere (1867), che
per secoli era rimasto in mano a funzionari chiamati shogun: gli storici
parlano perciò di restaurazione Meiji, cioè ripresa del potere da parte
dell’imperatore Mutsuhito, che prese il nome di Meiji, l’illuminato. Vennero allora chiamati esperti europei per avviare
lo sviluppo industriale, costruire ferrovie e rinnovare la marina militare. Nel
1889 venne promulgata una costituzione, che trasformava l’Impero in una
monarchia parlamentare, ma lasciava un grande potere all’imperatore.
L’imperatore
Mutsuhito nel 1888; fu imperatore dal 1867 al 1912; in Giappone viene chiamato
solo con il suo nome postumo, Meiji Tennō
Per il Giappone incominciò un periodo di
crescita economica e politica, che lo portò ad avviare un’espansione in Asia
(annessione di Taiwan, 1895; della Corea, 1910). In questa espansione il
Giappone si scontrò con le principali potenze della regione, la Cina (1895) e
la Russia (1905), e le sconfisse entrambe, dimostrando di essere ormai una
grande potenza.
La presa del Forte di Chinchow (1894) di Kobayashi Kiyochika: la creazione di un
esercito moderno con armamento occidentale era uno dei primi obiettivi della
restaurazione Meiji
L’apertura del Giappone all’Europa segnò
anche, sul piano culturale, il diffondersi nel nostro continente del
“giapponismo”, ossia della passione per l’arte giapponese, in particolare delle
stampe e soprattutto di quelle del tipo ukiyo-e, che influenzò moltissimi
artisti europei.
La grande onda di Kanagawa (1830 circa) di Katsushika Hokusai, forse la stampa giapponese più conosciuta in
Occidente
La Cina aveva raggiunto nel Settecento,
sotto la dinastia manciù dei Qing, la sua massima estensione. Nell’Ottocento
ebbe però inizio un periodo di crisi e di rivolte interne, mentre gli europei
riuscivano a ottenere con la guerra prima l’apertura dei porti e alcune basi
commerciali, poi il controllo di diversi territori.
La sconfitta subita nella guerra contro il
Giappone (1894-1895) e la presenza delle grandi potenze europee e degli USA
provocarono un forte malcontento popolare, che esplose in rivolte (rivolta dei
Boxer, 1899-1900) e poi, nel 1911, portò a una rivoluzione. Il giovane
imperatore fu deposto, fu proclamata la repubblica e si aprì un periodo di
scontri tra diverse fazioni che miravano a conquistare il potere.
Anche l’Impero Ottomano era in crisi, per
le sconfitte subite nelle guerre in Europa e per l’occupazione dell’Egitto da
parte dell’Inghilterra nel 1882. La crisi favorì la disgregazione dell’Impero
in Europa e in Africa: l’Italia conquistò la Libia (1911-1912), ultimo dominio
turco in Africa; alcuni Stati della penisola Balcanica (Serbia, Grecia,
Montenegro e Bulgaria) sconfissero l’Impero (1912-1913) e gli tolsero tutti i
possedimenti europei, a eccezione della Tracia (la regione di Istanbul e degli
stretti).
La crisi favorì un certo rinnovamento
all’interno dell’Impero, anche per l’azione del gruppo politico dei Giovani
Turchi: la loro rivolta (1908) costrinse il sultano a concedere una
costituzione.
Il nazionalismo dei Giovani Turchi portò a
una feroce repressione delle minoranze esistenti all’interno dei domini turchi,
culminata nello sterminio degli Armeni: oltre un milione e mezzo di armeni
vennero massacrati tra il 1894 e il 1918.
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