L’EUROPA DI FINE OTTOCENTO
Il secolo XIX è stato definito
dagli storici come “il secolo delle nazionalità”, in quanto, soprattutto dopo
le rivoluzioni del 1848, fu un susseguirsi di rivoluzioni che avevano il fine
di creare degli Stati nazionali moderni. La parola “nazione” comincia a essere
usata nel Basso Medioevo, per indicare gruppi accomunati dalla stessa
provenienza geografica (ad esempio gli studenti delle università); solo nel XIX
secolo viene usata per indicare un tipo specifico di comunità politica, che si
riconosceva unita da tradizioni storiche, lingua e costumi. Il concetto di
“nazione” è, in realtà, molto controverso, perché se da una parte ha raccolto
attorno a uno stesso ideale (ad esempio il Risorgimento in Italia) un gruppo di
persone spinte all’azione per un fine preciso, dall’altra è diventato il
fondamento ideologico del razzismo: semplificando, si può dire che ha spinto
gruppi sociali a riconoscere la propria nazione come la migliore e, in quanto
tale, in diritto di sottomettere le altre nazioni.
Un’immagine della rivoluzione del 1848 a Berlino
Spinti dall’idea di nazione
gruppi di italiani lottarono per la creazione del regno d’Italia. Qualcosa di
analogo accadde nei territori di nazionalità tedesca, dove esisteva una
Confederazione Germanica, che riuniva 39 diversi Stati tedeschi. I nazionalisti
tedeschi chiedevano la formazione di una sola, grande Germania e a guidare
l’unificazione di questo Stato si candidarono sia la Prussia sia l’Austria. Fu
la Prussia, guidata dal primo ministro (o cancelliere) Otto von Bismarck (al
potere dal 1862 al 1890) ad avere la meglio: la Prussia era uno Stato che nel
1859 aveva varato una riforma dell’esercito e che, guidata dal re Guglielmo I,
si era distinta per il forte carattere militarista.
Otto von Bismarck (a sinistra) e Guglielmo I; il primo ministro è,
stranamente, in uniforme militare
Nel 1866 entrò in guerra contro
l’Austria (è quella che per l’Italia fu la Terza guerra d’indipendenza) e la
sconfisse. Venne allora creata una prima Confederazione della Germania del
Nord, guidata proprio dalla Prussia.
Nel 1870 attaccò la Francia di
Napoleone III (guerra franco-prussiana), sconfiggendola e conquistando
l’Alsazia e la Lorena, due regioni di lingua tedesca prossime al confine
francese. Nel 1871 l’unificazione tedesca si concluse e il re di Prussia venne
proclamato imperatore di Germania. L’Austria rimase fuori dal nuovo Stato.
Le tappe dell’unificazione della Germania, con l’indicazione di alcuni
dei 39 Stati tedeschi
La Germania conobbe un rapido
sviluppo delle industrie (diventando la seconda potenza industriale in Europa)
e delle ferrovie: nel 1880 aveva una rete ferroviaria più estesa di quella
inglese. Il nuovo Stato, forte, popoloso e industrializzato, si inserì tra le
maggiori potenze europee dell’epoca: il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda,
la Francia, l’Impero Austro-Ungarico e l’Impero Russo.
La sconfitta dell’Austria nella
guerra del 1866 portò questo Stato a una crisi interna, tanto che divenne una
federazione di due Stati, quello austriaco e quello ungherese, che prese il
nome di Impero Austro-Ungarico. Tale Impero aveva una costituzione comune per
quanto riguarda la politica estera, quella economica e quella militare, ma
l’Ungheria si autogovernava ed era autonoma in molti campi; inoltre il
nazionalismo suscitava spesso forti contrasti fra i diversi gruppi etnici che
vivevano entro i confini dell’Impero.
I territori dell’Impero Austro-Ungarico tenevano assieme ben 11 etnie (allora
si diceva nazioni) diverse
In Francia la sconfitta nella
guerra franco-prussiana provocò la fine dell’impero di Napoleone III e il
ritorno alla repubblica, che fu da allora in poi la forma di governo di questo
Stato. Il governo francese dovette accettare un armistizio che prevedeva anche
l’occupazione di Parigi da parte dell’esercito prussiano. In base agli accordi,
il governo francese cercò di togliere i cannoni alla guardia nazionale, cioè le
formazioni di cittadini armati che provvedevano alla difesa della città.
La popolazione parigina reagì e
il 18 marzo 1871 scoppiò una rivolta, con una larga partecipazione di operai e
di piccoli borghesi. Non si trattò di una rivoluzione preparata dai partiti e
dai movimenti socialisti, ma di un’insurrezione spontanea. A Parigi, assediata
dai prussiani e dall’esercito regolare francese, si formò un governo
rivoluzionario, che è passato alla storia con il nome di la Commune (la Comune) di Parigi. Nelle elezioni che vennero
indette a suffragio universale maschile (26 marzo), molti lavoratori entrarono
a far parte del governo. Esse prese dei provvedimenti ispirati alle idee
socialiste: i membri e tutti i dipendenti del governo ricevettero salari da
operai, in modo da non creare differenze economiche; i giudici vennero eletti
dal popolo; fu istituita un’istruzione laica, non controllata dalla Chiesa, e
gratuita; le proprietà delle chiese e dei monasteri passarono allo Stato; gli
affitti furono ridotti.
Illustrazione con la proclamazione della Comune di Parigi, apparsa su
una rivista francese
l’8 aprile 1871
Tutto ciò durò poco più di due
mesi: tra il 21 e il 28 maggio (la “settimana di sangue”) l’esercito regolare
francese riconquistò Parigi con una battaglia strada per strada, che provocò
20.000 morti. Molti comunardi furono giustiziati senza processo. Altre 47.000
persone furono processate subito dopo: alcune furono condannate a morte, altre
(7.500) ai lavori forzati in Nuova Caledonia, una colonia francese in Oceania,
o al carcere; altre ancora si salvarono solo fuggendo all’estero.
Cadaveri di membri della guardia nazionale uccisi durante la settimana
di sangue
L’Inghilterra, prima potenza
industriale, navale e commerciale del mondo, conobbe un periodo di grande
sviluppo sotto il lungo regno della regina Vittoria (1837-1901). Nell’Età
Vittoriana, come spesso viene chiamato questo periodo, l’Inghilterra partecipò
poco alle vicende politiche europee, mentre rafforzò ed estese il suo già vasto
dominio coloniale in Africa, in Oceania e soprattutto in Asia (l’India divenne
proprio in questi anni completamente soggetta all’Inghilterra). La monarchia
parlamentare inglese divenne sempre più democratica con la concessione nel 1884
del diritto di voto a tutti i cittadini maschi nelle elezioni politiche (lo
stesso non avvenne per le donne, che però ottennero il diritto di voto nelle
elezioni amministrative, riguardanti le comunità locali).
La regina Vittoria in una foto del 1860
La Russia rimase un paese
profondamente arretrato, anche se vi furono alcuni progressi grazie alle
riforme dello zar Alessandro II Romanov (regnante dal 1855 al 1881), che
eliminò la servitù della gleba (1861) e riorganizzò l’esercito, l’istruzione e
la giustizia. Lo sviluppo industriale, invece, rimase molto limitato.
Lo zar Alessandro II in un ritratto di Nikolay Lavrov del 1873
L’Impero Ottomano, nell’Europa
sud-orientale, era in piena crisi, tanto che venne definito “il grande malato”
d’Europa.
Nella penisola Balcanica i popoli
aspiravano a liberarsi dal dominio turco: sia la Russia, sia l’Austria-Ungheria
cercavano però di portare la regione sotto il loro controllo. Le mire
espansionistiche (ossia il desiderio di ampliare il proprio dominio) di questi
due paesi e il nazionalismo dei popoli balcanici provocarono forti tensioni,
tanto che la regione venne definita “la polveriera balcanica”.
In seguito alla guerra tra Russia
e Impero Ottomano (1877-1878) le potenze europee imposero all’Impero Ottomano
l’indipendenza di Serbia, Montenegro e Romania e l’autonomia della Bulgaria
(congresso di Berlino del 1878).
I partecipanti al Congresso di Berlino del 1878 (Bismarck, che ne fu il
promotore, è quello in piedi al centro) in una stampa dell’epoca
Anche all’interno degli Stati
avvennero profondi cambiamenti. Molti Stati, come la Francia, la Prussia o i
Paesi Bassi, avevano già una costituzione e altri l’ottennero nella seconda
metà del secolo. Perciò gli Stati europei, ad eccezione della Russia e pochi
altri, divennero monarchie costituzionali.
I re furono quindi affiancati da
parlamenti, che avevano alcuni poteri. Nelle costituzioni nate in seguito a
rivolte popolari, come in quella francese del 1848, i poteri del parlamento
erano molto vasti, mentre nelle costituzioni concesse dai re i poteri
parlamentari erano limitati. Spesso i parlamenti rappresentavano solo le classi
sociali superiori, perché il suffragio non era quasi mai universale (cioè di
tutti gli uomini). Con il tempo però esso andò ampliandosi. In tutti i paesi
europei le donne rimasero comunque escluse dal voto.
Le costituzioni garantivano
alcuni diritti fondamentali dei cittadini, tra cui quelli di riunione e di
associazione.
L’Europa nel 1878
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