LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Nel Settecento la Francia è una
delle grandi potenze europee e, in quanto tale, partecipa alle guerre che si
combattono sia in Europa, sia in altri continenti: il suo impero coloniale è
assai vasto ed è lo Stato più popoloso d’Europa (circa 28 milioni di abitanti).
Le guerre e le conquiste, però, hanno costi molto alti, che spingono il re a
imporre nuove tasse per sostenere tutte le spese e coprire il fortissimo
deficit statale, ossia la perdita di denaro, dovuta al fatto che le spese sono
superiori ai guadagni.
Poiché il Primo e il Secondo
Stato erano esentati da tutte le tasse (le quali venivano pagate dal Terzo
Stato) e poiché le somme già pagate da questo erano molto alte, la situazione
era piuttosto tesa: da una parte il Terzo Stato chiedeva che anche gli altri
ordini pagassero le tasse, dall’altra nobiltà e clero volevano conservare i
loro privilegi.
Il risveglio del Terzo Stato, incisione anonima del 1789
L’unica possibilità per il re,
Luigi XVI, di imporre nuove tasse veniva dalla convocazione degli Stati
Generali, quell’assemblea formata dai rappresentanti dei tre ordini, che i
sovrani francesi preferivano convocare il meno possibile (l’ultima volta era
stato nel 1614), sia perché abituati a governare in maniera assoluta, sia
perché dagli Stati Generali potevano provenire solo richieste di riforme o
addirittura rivolte, come era successo in Inghilterra con il Parlamento.
Convocata per il 1789, la
riunione degli Stati Generali fu preceduta da tutta una serie di assemblee, che
si tennero in tutta la Francia, per l’elezione dei rappresentanti
dell’assemblea e anche per decidere il numero dei rappresentanti del Terzo
Stato: questo, infatti, chiedeva che fosse raddoppiato rispetto al passato,
quando era la metà di quello di Primo e Secondo Stato messi assieme. Nel
dicembre 1788 il Terzo Stato ottenne il raddoppio richiesto. Dalle elezioni per
la scelta dei rappresentanti del Terzo Stato, però, emerse che erano stati
scelti solo borghesi (in particolare “uomini di legge”, qualche medico e alcuni
negozianti), mentre nessun artigiano e nessun contadino era stato eletto.
La composizione degli Stati Generali riunitisi nel 1789
Gli Stati Generali furono
solennemente aperti dal re a Versailles il 5 maggio 1789, ma da subito si aprì
un lungo dibattito sulle procedure da seguire, in particolare quelle inerenti
al voto: per ordine o per testa?
Il voto per ordine prevedeva che
ciascun Stato esprimesse le sue decisioni con un voto: in questo caso clero e
nobiltà (alleati naturali) avrebbero sempre contato sulla maggioranza (due a
uno) rispetto al Terzo Stato.
Il voto per testa, invece,
prevedeva che ogni rappresentante dell’assemblea avesse un voto a disposizione
e poiché i rappresentanti del Terzo Stato erano numerosi quanto quelli degli altri
due Stati, era possibile che avessero la maggioranza in qualche votazione, dato
che erano favorevoli a questo sistema non solo i borghesi, ma anche alcuni
nobili di idee più liberali e i curati del basso clero; solo in questo modo ci
poteva essere qualche riforma vera nel governo della Francia.
L’apertura degli Stati Generali a Versailles il 5 maggio 1789 in una incisione del
XIX secolo
Il 17 giugno, dichiarando di
rappresentare il 98% della popolazione, Terzo Stato e basso clero decisero di
superare il dibattito sul voto, proclamandosi Assemblea nazionale: si
impegnarono a rappresentare tutti i francesi e a non separarsi mai, fino a
quando non fossero riusciti a dare alla Francia una solida Costituzione, cioè
un insieme di norme politiche di cui il governo avesse dovuto tenere conto
(giuramento della pallacorda del 20 giugno).
Il giuramento della pallacorda, di Jacques Louis David (1791)
Luigi XVI avrebbe voluto
sciogliere questa Assemblea con la forza, ma intanto il popolo era in
agitazione, a Parigi e in tutta la Francia: il cattivo raccolto del grano del
1788 aveva provocato un forte aumento del prezzo del pane, l’alimento più
diffuso, peggiorando le condizioni di vita del popolo e la convocazione degli
Stati Generali aveva diffuso la speranza nella fine di secoli di miseria e
sfruttamento.
Perciò, quando si diffuse la
notizia che un esercito si stava ammassando alle porte di Parigi per
intervenire contro l’Assemblea nazionale, scoppiò la rivolta. Il popolo assalì
la Bastiglia, che era insieme arsenale (cioè deposito di armi) e prigione di
Stato ed era divenuta il simbolo dello strapotere del re. La presa della
Bastiglia (14 luglio 1789), che provocò un centinaio di morti, è considerata
l’inizio della rivoluzione francese e anche di una nuova epoca storica (l’Età
Contemporanea), che portò alla diffusione dei principi di libertà e di
uguaglianza dei cittadini, oggi ritenuti naturali da (quasi) tutti.
La presa della Bastiglia in un dipinto di Jean-Pierre Houël
Da Parigi la rivoluzione si
estese a tutta la Francia: nelle città e soprattutto nelle campagne il popolo
si ribellò e incominciò a chiedere l’eliminazione immediata dei privilegi
feudali della nobiltà e l’abolizione delle decime da pagare al clero o allo
Stato. Nella seconda metà di luglio si scatenò la «grande paura», causata dai
contadini che assaltano i castelli, bruciano le carte dei diritti signorili e a
volte le stesse dimore dei nobili. La violenza della rivolta contadina (la più
violenta sommossa popolare che la Francia avesse mai conosciuto da centinaia
d’anni) spinse l’Assemblea nazionale ad abolire i privilegi feudali e a
proclamare la libertà e l’uguaglianza di diritti di tutti gli uomini.
Il 26 agosto, infatti, viene
pubblicata una Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino che mette fine all’Ancien Régime: i tre ordini
vengono aboliti, come pure la servitù feudale, e a tutti i cittadini maschi
viene riconosciuta la possibilità di ottenere un incarico pubblico, civile o
militare. L’importanza e l’assoluta novità della Dichiarazione consistono nel fatto che essa ha un carattere
universalista, cioè esprime dei valori che possono essere applicati in
qualsiasi Paese e in qualsiasi tempo. Non vi è in essa né un nome di nazione,
né l’indicazione d’un regime: vale tanto per una monarchia quanto per una
repubblica.
Nel settembre 1791 i principi
della Dichiarazione trovano esplicito
riconoscimento in una Costituzione, che abolisce il sistema feudale e
garantisce il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che pagano una certa
somma di denaro come tributi. Non ottengono il diritto di voto le donne,
sebbene poco prima fosse stata pubblicata anche una Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine.
La “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” in una stampa
acquerellata
di Jean-Jacques François Le Barbier
La rivoluzione francese e le sue
idee erano sostenute dalla borghesia e da molti uomini e donne del popolo, che
i nobili chiamavano con un certo disprezzo sanculotti, in quanto si vestivano
con i pantaloni lunghi e non con quelli corti (chiamati culottes), che richiedevano l’uso anche di calze di seta ed erano
l’abbigliamento tipico degli aristocratici.
Un “sans-culotte” parigino
La maggioranza dei contadini era
favorevole al governo rivoluzionario, però in alcune regioni la tradizionale
fedeltà alla nobiltà e l’influenza del clero spinsero la popolazione rurale ad
appoggiare i nobili e a ribellarsi al nuovo governo.
Anche tra il basso clero la
rivoluzione trovò alcuni sostenitori, ma il Primo Stato, in particolare l’alto
clero, fu avverso al governo, tanto più che fin dal 1789 i beni della Chiesa
vennero considerati proprietà dello Stato.
Vignetta satirica sul clero, rappresentato mentre celebra il funerale
dei benefici perduti con la rivoluzione
Quasi tutti i nobili, che si
videro privati dei loro privilegi, erano ostili alla rivoluzione e perciò il
popolo diffidava di loro. Molti, temendo di essere accusati di tradimento e di
attività controrivoluzionaria, preferirono emigrare, convinti che la rivoluzione
sarebbe presto finita e le innovazioni cancellate. Nel 1791 i beni nobiliari
vennero confiscati, cioè fatti propri dallo Stato.
Il re era del tutto contrario
agli ideali rivoluzionari, ma la sua posizione divenne sempre più difficile: i
suoi tentativi di usare la forza contro l’Assemblea provocarono una rivolta e
Luigi XVI fu costretto a trasferirsi dalla corte di Versailles a Parigi, di
fatto prigioniero del governo rivoluzionario (ottobre 1790). Un tentativo di
fuga all’estero (giugno 1791) aumento l’ostilità nei suoi confronti e anche in
quelli della regina Maria Antonietta, invisa al popolo ma anche alla nobiltà,
sia per la sua origine austriaca, sia per il suo comportamento frivolo.
Disegno di Jacques Louis David raffigurante il Trionfo del popolo
francese sulla monarchia
Il governo rivoluzionario non
aveva nemici solo all’interno della Francia: esso costituiva una minaccia per i
re e la nobiltà di tutta Europa, perché la diffusione dei principi di libertà e
uguaglianza avrebbe potuto provocare rivoluzioni in altri Stati. Il governo
francese temeva un attacco da parte degli altri Stati europei, ma nello stesso
tempo pensava di poter utilizzare un’eventuale guerra per diffondere le idee
rivoluzionarie in tutto il continente e procurarsi così degli alleati.
Anche il re non era contrario
alla guerra, perché sperava che una sconfitta della Francia ad opera degli
altri re avrebbe messo fine al governo rivoluzionario e gli avrebbe restituito
i suoi poteri.
Accadde, quindi, che nell’aprile
1792 la Francia dichiarò guerra all’Austria, che trovò l’alleanza della
Prussia. Inizialmente l’esercito rivoluzionario, del tutto impreparato, venne
sconfitto e questo provocò una forte reazione popolare, che spinse l’Assemblea
a proclamare la repubblica (settembre 1792) e a imprigionare Luigi XVI,
accusato, non a torto, di accordi segreti con il nemico.
Questo dipinto di Jean-Jacques Bertaux rappresenta La presa delle
Tuileries, un episodio della rivoluzione
(del 10 agosto 1792) che segnò la caduta della monarchia
Questo susseguirsi di fatti
drammatici portò alle elezioni per una nuova Assemblea, chiamata, come quella
degli Stati Uniti, Convenzione e incaricata di dotare la Francia di un nuovo
regime. I deputati di questo primo parlamento eletto a suffragio universale
maschile (cioè in cui tutti i maschi hanno diritto di voto) avevano posizioni
molto diverse sui provvedimenti da prendere. Coloro che erano a favore
dell’uguaglianza tra i cittadini e volevano perciò grandi riforme sociali, si
sedevano nella parte sinistra dell’aula: tra di essi si distinse il gruppo dei
giacobini, i cui rappresentanti principali erano Danton, Marat e Robespierre.
Da sinistra: Georges Jacques Danton, Jean-Paul Marat e Maximilien de
Robespierre, 3 protagonisti della rivoluzione francese; il primo e il terzo
morirono sulla ghigliottina rispettivamente a 34 e 36 anni, il secondo fu
assassinato a 50 anni dalla girondina Carlotta Corday mentre era in vasca da
bagno
Coloro che invece erano contrari
a profonde riforme, perché erano legati agli interessi della borghesia più
ricca, si sedevano a destra. Da allora abitualmente nei parlamenti i
conservatori, cioè coloro che non mirano a cambiare profondamente la situazione
esistente, siedono a destra, mentre i progressisti, che vogliono trasformare la
società, siedono a sinistra. Negli ultimi due secoli destra e sinistra hanno
assunto questo preciso significato politico (destra = conservatori, sinistra =
progressisti), di volta in volta con alcune modifiche legate al periodo
storico, ma sostanzialmente riconducibile a quanto accadde con la Convenzione
francese del 1792.
La Convenzione processò Luigi
XVI, che venne ritenuto colpevole di intesa con il nemico e con 387 voti
favorevoli, di fronte a 334 contrari, fu condannato a morte e ghigliottinato
(gennaio 1793).
L’esecuzione di Luigi XVI in una stampa popolare d’epoca
La diffusione delle idee
rivoluzionarie francesi tra la borghesia di diversi altri Stati e le sommosse
che avvennero in Belgio (1789-1790) e in Svizzera (1790-1791) avevano creato
grandi preoccupazioni tra i sovrani europei. L’esecuzione di Luigi XVI e alcune
vittorie francesi spinsero l’Inghilterra, la Spagna, il Portogallo e diversi
Stati italiani e tedeschi a dichiarare guerra alla Francia (1793), schierandosi
con l’Austria e la Prussia e formando così una grande coalizione (alleanza)
antifrancese. L’esercito francese subì nuove sconfitte.
In alcune province, inoltre, ci
furono delle rivolte contro il governo repubblicano: la più violenta scoppiò nel
1793 in
Vandea, una regione della Francia centrale affacciata sulle coste dell’oceano
Atlantico, e fu soffocata con una repressione durissima, che provocò più di
100.000 morti.
La battaglia di Le Mans (un episodio della rivolta della Vandea) in un
dipinto del 1852 di Jean Sorieul
Le sconfitte e le rivolte
aumentarono le tensioni interne, aggravando i contrasti all’interno della
Convenzione, in particolare tra i Montagnardi (il partito più radicale) e i
Girondini (i rivoluzionari più conservatori). Nel giugno 1793 i giacobini, appoggiati
dal popolo di Parigi, si impadronirono del potere e imposero l’arresto dei
deputati girondini.
Messi fuori gioco gli avversari,
i giacobini portarono subito a termine la stesura di una nuova Costituzione,
assai più democratica di quella del 1791: essa instaurava il suffragio
universale maschile e il referendum, proclamava la libertà dei popoli di
disporre di sé medesimi e la fraternità tra i popoli liberi, riconosceva che lo
Stato deve assistere i bisognosi e garantire a tutti l’istruzione. La nuova costituzione
non trovò, in realtà, una effettiva e completa applicazione; più certa fu la
riorganizzazione del governo rivoluzionario. Robespierre venne messo a capo di
un Comitato di Salute Pubblica, come venne chiamato il nuovo governo, che, fino
al raggiungimento della pace, dichiarava di non poter essere altro che
“rivoluzionario”, tale cioè da poter prendere misure eccezionali data la
gravità del momento.
Numerose furono infatti le
riforme attuate (da quella del calendario all’abolizione della schiavitù nelle
colonie francesi), accompagnate però anche da una durissima repressione: circa
500.000 oppositori e sospetti (per lo più nobili, ma anche operai e contadini)
vennero imprigionati; almeno 17.000 vennero ghigliottinati (tra essi,
nell’ottobre 1793, l’ex regina Maria Antonietta); circa altrettanti furono
uccisi in carcere durante sommosse popolari o vi morirono per stenti e violenze.
Perciò questo periodo (che durò fino al luglio 1794) venne chiamato il Terrore.
Luigi XVI e Maria Antonietta; quando vennero ghigliottinati avevano
rispettivamente 38 e 37 anni
Vi fece seguito il cosiddetto
Terrore bianco, che rovesciò il Comitato di Salute Pubblica, ne giustiziò i
componenti (compreso Robespierre) e iniziò la persecuzione dei montagnardi,
molti dei quali vennero condannati o uccisi senza processo.
La nuova Convenzione abrogò
(annullò) la costituzione del 1793 e ne adottò un’altra (1795), assai meno
democratica, che limitava il diritto di voto. Nell’ottobre 1795 la Convenzione
si sciolse e affidò il potere a un organismo detto il Direttorio: esso era
costituito da cinque membri, designati da due assemblee (il Consiglio dei
cinquecento e il Consiglio degli anziani) elette solo dai cittadini più ricchi.
Il Direttorio era perciò sotto il controllo della borghesia.
Esso durò fino al 1799, quando
venne sciolto da Napoleone Bonaparte con un colpo di stato.
I simboli della rivoluzione
francese: il motto della rivoluzione (Libertà, uguaglianza, fratellanza); la
bandiera francese; la coccarda tricolore; il berretto frigio; la Marsigliese
(l’inno nazionale francese); la ghigliottina.
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