LA DISFATTA DELL’INVINCIBILE ARMADA
Nel Cinquecento il Regno di
Spagna era lo Stato-chiave dell’Europa: non soltanto, infatti, era la maggiore
potenza dell’epoca, ma svolgeva anche il ruolo di controllo sulle mosse degli
altri Stati. Nella seconda metà del secolo, la Francia, tradizionale avversaria
della Spagna, era dilaniata dalle guerre di religione e si trovò per questo
esclusa dal gioco internazionale. I principali avversari della nazione iberica
(che nel 1580 si ingrandì con l’acquisto del Portogallo) diventarono allora
l’Impero ottomano e l’Inghilterra. Quest’ultima, certamente non paragonabile
sotto tanti aspetti alla potenza turca, divenne però particolarmente avversa al
re di Spagna Filippo II, che si era fatto campione della causa cattolica in Europa,
mentre Elisabetta I si faceva sempre più paladina di quella protestante.
Elisabetta I, regina d’Inghilterra
Dopo il 1550 l’opposizione
religiosa divenne sempre più anche politica e militare e non tardò a portare
alla guerra tra le due nazioni: la regina inglese, per giunta, favoriva ed
appoggiava i calvinisti dei Paesi Bassi settentrionali in rivolta contro il
loro sovrano Filippo II.
Il monarca spagnolo aveva cercato
ora con la forza, ora con mezzi più pacifici, di sedare la ribellione che era
divampata nella ricca regione fiamminga: ma a partire dal 1578 si persuase che
la soluzione potesse essere soltanto quella militare. Proprio in quell’anno
aveva investito l’esperto generale e diplomatico Alessandro Farnese, duca di
Parma, dei poteri civili e militari nei Paesi Bassi e non tardò a constatare
che il condottiero italiano era un comandante dalle grandi doti politiche,
oltre che guerresche. Il Farnese infatti risollevò progressivamente le sorti
dell’autorità spagnola di fronte ai rivoltosi calvinisti e fece addirittura
sperare a Filippo II di poter muovere da quel fronte un efficace attacco contro
la stessa Inghilterra.
Alessandro Farnese in un ritratto di Sofonisba Anguissola del 1560
circa
Al re spagnolo ciò avrebbe fatto
comodo: tanto più che Elisabetta, dopo aver imprigionato la cattolica regina di
Scozia Maria Stuarda, aveva permesso di fatto ch’essa venisse processata e
messa a morte all’inizio del 1587. Inoltre, per il monarca spagnolo muovere
contro l’Inghilterra e riuscire a sconfiggerla avrebbe significato rendere più
agevole la sottomissione dei Paesi Bassi.
La spedizione dell’Invincibile
Armata va situata in questo complesso contesto internazionale. Secondo le
intenzioni di Filippo II non doveva essere una semplice azione dimostrativa, ma
neanche soltanto uno scontro navale. Il disegno era quello di sconfiggere il
fronte protestante e di colpirlo in pieno, sbarcando in Inghilterra per
ristabilirvi la preponderanza del Cattolicesimo. Il re aveva architettato tale
progetto almeno fin dal 1585, nel cupo monastero dell’Escorial, dove viveva la
vita di un monaco tra pesanti velluti e broccati; per realizzare i suoi
progetti, volle darsi tutti i mezzi adeguati, sia sul piano finanziario, sia su
quello militare.
Il re Filippo II, dettaglio del ritratto fattogli da Sofonisba
Anguissola
Dal punto di vista strategico, il
piano da lui concepito comportava l’allestimento di una potente flotta (130
navi) capace di trasportare un corpo di spedizione di 30.000 uomini ed il
congiungimento di essa con le forze di Alessandro Farnese, formate da una
spedizione di 19.000 uomini, al fine di effettuare con maggiori probabilità di
successo l’invasione dell’Inghilterra.
Quest’ultima, ormai al corrente
delle intenzioni di Filippo II, non rimase inattiva, anzi, fu la prima ad
ingaggiare arditamente le ostilità. Alla testa di 23 vascelli – in parte
mercantili armati e in parte unità della marina regia – il 12 aprile 1587
Francis Drake salpò da Plymouth e puntò su Cadice, la base navale nella quale il
monarca spagnolo faceva i preparativi per la sua campagna. Il 29 aprile il
corsaro inglese penetrò indisturbato nel porto nel quale erano attraccati una
sessantina di bastimenti, ne catturò o distrusse 24 impadronendosi di munizioni
e di vettovaglie. Drake si spinse fino ad occupare il porto di Sagres, presso
il Capo di San Vincenzo, tagliando per oltre un mese le comunicazioni fra
l’Andalusia e Lisbona e catturando o affondando tutti i vascelli che vi capitavano.
Francisco Zurbaran, Difesa di Cadice (Madrid, Museo del Prado). Il dipinto
del 1633-35 raffigura il governatore di Cadice, Fernando Girón,
che impartisce gli ordini per la difesa della città contro la flotta inglese
che si vede nello sfondo
L’Armata, che avrebbe dovuto
salpare verso il Nord nel 1587, non venne ritardata solo da questa azione, ma
anche dai violenti attacchi di gotta che colpirono Filippo II fra il febbraio
ed il giugno di quell’anno. Inoltre ci fu un rallentamento nei preparativi
necessari della flotta e il 9 febbraio 1588 moriva il comandante in capo della
flotta, il marchese di Santa Cruz, che venne sostituito nelle funzioni di
Capitano generale del mare oceano con il trentottenne Alonso Pérez di Guzman,
duca di Medina Sidonia.
Alonso Pérez de Guzman, duca di Medina Sidonia
Costui aveva ereditato una
situazione caotica, che riuscì in parte a migliorare: la flotta
dell’Invincibile Armata infine comprendeva, oltre alle 130 navi previste, 9
galeoni della Guardia reale portoghese, 10 vascelli di scorta della flotta atlantica
spagnola, quattro galeazze napoletane, armate ciascuna di 52 cannoni, un
galeone del duca di Toscana, comandato dal capitano Niccolò Bartoli, con 50
cannoni di bronzo scintillante. E c’erano ancora navi da battaglia venute da
Napoli, dalla Sicilia, da Genova e da Venezia e un forte contingente
proveniente da Ragusa.
Grandi trasporti, utili per i
mari del Nord, erano stati requisiti nei porti del Baltico ed erano stati
reclutati piloti e marinai con grande esperienza delle acque nordiche. I
capitani spagnoli avevano lavorato assai bene: a tutti gli equipaggi avevano
distribuito istruzioni e mappe di navigazione lungo le coste inglesi.
Per tre mesi i portatori si erano
avvicendati sulle banchine di Lisbona, caricando le navi fino all’inverosimile.
L’Armata aveva sui ponti 2.500 cannoni e interi parchi d’assedio nelle stive.
Erano state caricate polvere e pallottole per un totale di 125.000 colpi.
Sulla flotta aveva preso posto un
esercito di dimensioni senza precedenti: 30.000 tra soldati e marinai, che
costavano all’erario di Filippo II 60.000 ducati al giorno. Per alimentare
tutti questi uomini si erano fatti venire legumi dalla Sicilia, riso dalla
Lombardia, vini dalla Calabria, gallette dalla Castiglia, formaggio dalla
Sardegna, olio dall’Andalusia, pancetta dalla Galizia, pesce salato dalla
Biscaglia.
L’Invincibile Armata e la flotta inglese
L’Armata salpò da Lisbona il 28
maggio 1588: gli uomini della flotta e l’intera popolazione di Spagna, dal re
all’ultimo dei sudditi, erano convinti che la flotta salpasse protetta da Dio.
Immagini sacre apparivano sopra le vele all’uscita delle navi dal porto.
L’ammiraglia sventolava le insegne della tiara papale e delle chiavi di san
Pietro. La bandiera dell’Armata venne benedetta solennemente, prima della
partenza, dall’arcivescovo di Lisbona: in essa campeggiava il Cristo ferito
sullo sfondo delle armi reali di Spagna. Su una delle navi era imbarcato anche
il grande poeta spagnolo Lope de Vega, che ribattezzò gli alberi dei galeoni «legni della fede».
Il duca di Medina Sidonia era convinto dell’aura religiosa
della missione ed esigeva che sulle navi si mantenesse un clima austero per
conservare gli uomini nello stato di grazia. Il re e l’ammiraglio avevano
ricevuto segnali occulti avvisanti che un cattivo comportamento dell’Armata le
avrebbe tolto il favore di Dio e avrebbe compromesso la spedizione. Alle ciurme
era stato proibito di giocare a dadi e di avere rapporti con donne. Di solito a
queste grandi flotte, che dovevano restare in mare per settimane, veniva
aggiunta una nave-bordello, che portava una ciurma di prostitute il cui compito
era di rendere meno dura la traversata agli equipaggi. Ma, data l’alta temperie
spirituale della missione dell’Armata, l’ammiraglio proibì la nave-bordello. Né
gli uomini potevano bestemmiare o lanciarsi in risse, pena severi castighi. I
cappellani di bordo dicevano messa due volte al giorno, per l’edificazione
delle ciurme.
Soldati e
ufficiali dell’Invincibile Armata
I piani strategici della spedizione erano segreti: li
conoscevano solo il re, Medina Sidonia e due consiglieri: il progetto era stato
celato in un scrigno, da aprirsi sulla nave ammiraglia solo in caso di morte
del comandante in capo. Si sapeva però che l’Armata doveva navigare lungo la
Manica ed evitare la battaglia: la sua forza doveva essere preservata intatta
per l’invasione.
Il piano aveva però un difetto: si affidava alla persistenza
del bel tempo. Fin dall’inizio dell’impresa si levarono forti venti contrari e
ciò sconvolse Medina Sidonia, che vedeva nel maltempo l’avversità di Dio. Il 19
giugno, quand’erano ancora in vista della costa portoghese, le 130 navi
dell’Armata furono investite e disperse da una terribile tempesta. I velieri
dovettero raggiungere a fatica il porto galiziano di La Coruña per le
riparazioni, ma qui vi giunsero solo 36 navi.
A Madrid il re era più cupo che mai. Il duca di Medina
Sidonia, in una crisi di prostrazione, gli aveva detto che quella tempesta era
stata il segnale di Dio e che bisognava rinunciare all’invasione. Filippo II si
rifiutò di prendere in considerazione questi timori, sebbene i rapporti dei
capitani gli presentassero la realtà di una flotta vecchia, la cui velocità era
determinata da quella della nave più lenta: l’Armata, infatti, aveva impiegato
tre settimane a coprire la distanza di 250 miglia da Lisbona a La Coruña.
Anche i rifornimenti davano molto da pensare. A causa del
prolungarsi della spedizione, buona parte della carne imbarcata a Lisbona
divenne putrida e dovette essere buttata in mare. A La Coruña non si trovarono
rifornimenti sufficienti per rimpiazzare le scorte finite; perciò a metà luglio
la razione quotidiana assegnata a ogni uomo dell’equipaggio divenne una libbra
di biscotto e poche libre di carne.
I cibi comunemente
in dotazione sulle navi:
1 = biscotti, 2 = zuppa, 3 = vino, 4 = carne, 5 =
sardine, 6 = vari tipi di legumi come olive e cipolle
Nel frattempo le navi danneggiate erano state riparate e
quelle disperse dalla tempesta e portate lontano erano riapparse: il danno si
rivelò trascurabile, dato che solo due delle navi salpate da Lisbona non erano
più in grado di riprendere il mare. Il 20 luglio la flotta fu pronta a
ripartire. Gli uomini ritrovarono l’ottimismo. Una mattina di fine luglio 8.000
soldati fecero la fila alla gran messa all’aperto per ricevere la comunione.
Un mercantile inglese diretto in
Francia s’imbatté all’improvviso al largo di Ushant in una squadra di nove
galeoni che sulle vele portavano enormi croci rosse. Il 29 luglio il capitano
Thomas Fleming dalla sua Golden Hind vide avvicinarsi una massa di 125 navi:
l’intera Armata spagnola. E questa il 30 luglio si presentò minacciosa nelle
vicinanze di Plymouth. Qui l’ammiraglio inglese aveva a sua disposizione 105
vascelli, quasi del tutto sprovvisti di soldati, ma con un effettivo di marinai
superiore a quello dell’Armata e centinaia di bocche da fuoco. I galeoni
inglesi erano di tonnellaggio minore rispetto a quello della maggior parte
delle unità iberiche, ma in compenso erano molto più mobili e facili da puntare.
L’Invincibile Armata (a destra) attaccata dalla flotta inglese
La leggenda vuole che il
viceammiraglio sir Francis Drake, numero due in comando, fosse avvisato
dell’arrivo degli spagnoli mentre stava giocando a bocce. A chi lo aveva
chiamato disse di attendere, tirò la boccia, fece il punto e con suprema calma
si accinse ad affrontare gli spagnoli.
Nel disegno Francis Drake gioca a bocce, mentre la scritta augura il
Benvenuto al nemico
La flotta spagnola si dispose a
mezzaluna davanti a Wembury Bay, vicino a Plymouth; le navi inglesi riuscirono
a isolare il galeone del viceammiraglio spagnolo, Juan Martinez de Recalde, il San Juan de Portugal, e lo investirono
con un bombardamento durato due ore, però il galeone riuscì a ricongiungersi
alla sua flotta. All’una del 30 luglio la battaglia si spense.
Gli inglesi a questo punto
temevano che l’Armata muovesse alla conquista dell’isola di Wight, per questo
bloccarono la punta est del canale.
Il 31 luglio l’ammiraglia della
squadra andalusa dell’Armata, la Nuestra
Señora del Rosario, venne separata dal resto della
flotta iberica e il comandante, don Pedro de Valdès, volle arrendersi a Drake,
di cui conosceva la fama, consegnandogli la sua spada. Il corsaro gli usò
grande cortesia e lo considerò suo prigioniero personale. L’ispezione che Drake
poté condurre sulla nave catturata gli permise di fare varie scoperte sulle
tattiche da combattimento degli spagnoli: osservò che i ponti del galeone erano
ingombri di grossi cannoni montati su carriaggi a due ruote, difficilissimi da
manovrare. Questo voleva dire che gli spagnoli non erano attrezzati per i
combattimenti a lunga distanza. Avevano invece moschetti, picche, archibugi e
coltellacci con i quali potevano mettere in difficoltà gli inglesi durante gli
arrembaggi. Quindi per gli inglesi era necessario tenere gli spagnoli sempre a
distanza.
Nel disegno un gruppo di marinai usa il cannone contro navi nemiche
Il 2 agosto Medina Sidonia disse
che la formazione dell’Armata era riorganizzata e che ora i capitani dovevano
attenersi rigorosamente alle istruzioni per poter raggiungere l’esercito
d’invasione del duca di Parma, forte di 19.500 uomini.
Medina Sidonia porta la sua
flotta lontano dalla costa inglese e lungo la Manica: non è chiaro se intende
sbarcare nel Kent o raccogliere l’armata di Parma nei Paesi Bassi. Il 5 agosto
l’Armata è in grado di raggiungere Calais in 24 ore, se i venti si mantengono
favorevoli.
La situazione è molto incerta.
Gli inglesi non hanno quasi più munizioni: quelle che hanno rimediato con la
cattura delle navi spagnoli non sono sufficienti. Drake è sempre più il
protagonista del momento: ha conquistato una grossa nave spagnola, El Gran Grifòn, e ha bombardato contro
un’intera formazione della flotta spagnola.
I vascelli inglesi e l'Invincibile armata (XVI secolo)
Intanto le condizioni dell’Armata
si sono fatte difficili: tra gli equipaggi è esplosa la dissenteria e gli
uomini si liberano penosamente lungo i ponti. Sale al cielo un fetore
intollerabile. Molti uomini sono morti e altri sono stati feriti orribilmente
dalle schegge di legno buttate all’aria dai colpi di cannone, più micidiali
ancora delle palle di bronzo. L’odore di carne bruciata si mescola al rantolo
degli agonizzanti e alle insopportabili urla di dolore.
Il 7 agosto l’Armata ha subito l’offensiva
inglese del fuoco: otto chiatte incendiarie, lanciate dagli inglesi di sir
Francis Drake e di sir William Wynter, si sono rovesciate addosso ai galeoni
spagnoli e, anche se nessuna delle navi spagnole è stata attaccata dalle
fiamme, la confusione e il terrore sono stati tali che molte navi sono entrate
in collisione e la flotta si è dispersa disordinatamente nella notte. Tutte le
navi sono fuggite, tranne una, la San
Lorenzo, ammiraglia delle galeazze, che nella rotta ha perso il timone e si
è incagliata sulla spiaggia di Calais.
Hendrik C Vroom, L'attacco col fuoco presso Calais
L’8 agosto gli spagnoli
raggiungono Calais. Intanto è scattato il piano d’imbarco del duca di Parma:
7.000 uomini dei suoi reggimenti si sono messi in moto. Il duca stesso si muove
verso la città sul mare, accompagnato dal suo stato maggiore e dal cardinale
inglese Allen, che papa Sisto V ha designato come governatore dell’Inghilterra
a conquista avvenuta, per ripristinare nell’isola la fede cattolica.
Il duca è convinto che
l’invasione dell’Inghilterra si svolgerà in buon ordine: 64 navi e 166 barconi
sbarcheranno in poche ore l’esercito conquistatore. Però egli non può ignorare
che nella stretta bocca di porto di Dunkerque le navi devono entrare a una a
una e che bastano poche artiglierie a colare a picco i pesanti trasporti
spagnoli.
L'Invincibile Armata al largo delle coste inglesi (di Cornelis Claesz
van Wieringen 1620-25 circa)
Il 9 agosto le due flotte si
affrontarono per la stretta decisiva. Entrambe navigarono verso Gravelines
avvolte nella nube di fumo delle loro stesse bordate. L’Armata aveva cominciato
la campagna con il vantaggio dei numeri: 125 navi spagnole contro 105 inglesi.
Ma quando le flotte giunsero al largo di Gravelines, gli inglesi si ritrovarono
superiori, con 160 velieri contro 122. Inoltre, i galeoni inglesi, grazie alla
loro superiore maneggevolezza, poterono infiltrarsi fra le navi nemiche, scaricando
più frequenti bordate di artiglieria ed infliggendo loro notevolissimi danni,
senza quasi riportarne a loro volta.
La battaglia durò dall’inizio
della giornata fino alle cinque del pomeriggio, quando sembra che ormai gli
inglesi avessero quasi esaurito le loro munizioni. Gli spagnoli ebbero un
migliaio di morti e all’incirca altrettanti feriti, mentre il vento cominciò ad
allontanarli inesorabilmente verso nord, facendo svanire in modo definitivo sia
il congiungimento con le forze di Alessandro farnese, sia il progetto
d’invasione dell’Inghilterra.
Speronamento e abbordaggio durante una battaglia navale
Il 18 agosto a Tilbury, al
quartier generale dell’esercito inglese pronto a respingere l’invasione, arrivò
la sovrana. Si fece precedere da una flottiglia di barconi variegati di colori,
che brillavano nella lieve foschia dell’estate. L’imbarcazione di Elisabetta I
avanzò in mezzo al risuonare di trombe e a un tremendo hurrà lanciato sulla
spiaggia da 10.000 inglesi. Si fece avanti il comandante in capo conte di
Leicester, il favorito della regina, sgargiante nell’armatura, con l’elmo
piumato sotto il braccio, la barba rossa e l’Ordine della Giarrettiera sul
petto. Elisabetta indossava una corazza d’argento cesellata in oro sopra un
abito di velluto bianco. Portava un bastone d’oro e argento e nei capelli un
diadema di perle e diamanti. Un paggio reggeva su un cuscino il suo elmo e la
spada di stato, simboli del potere. Lasciò la sua guardia del corpo al margine
del campo, mostrando di avere totale fiducia nei suoi soldati e cavalcò di
fronte ad essi. Le acclamazioni si levarono al cielo. Elisabetta gridò
commossa: «Che i tiranni
abbiano paura! Io sono determinata a vivere e a morire tra voi tutti nel calore
della battaglia e a deporre per il mio Dio e per il mio regno e per il mio
popolo il mio onore e il mio sangue nella polvere. So di avere il corpo di una
fragile donna, ma ho il cuore e lo stomaco di un re, per di più del re
d’Inghilterra, e trovo folle che Parma o Spagna, o qualsiasi principe d’Europa
tenti d’invadere i confini del mio regno».
Illustrazione ottocentesca
raffigurante Elisabetta I a Tilbury
Il 20 agosto Medina Sidonia capì che non sarebbe mai
riuscito a congiungersi con il duca di Parma e diede l’ordine che le navi
dell’Armata tornassero in Spagna al più presto, seguendo la via del nord,
quindi doppiando la Scozia settentrionale, inoltrandosi nell’Atlantico e
cercando di evitare l’Irlanda, le cui coste erano pericolose per le forti
tempeste.
La vita a bordo era diventata penosa. Il vino si era
trasformato in aceto, frutta e vegetali erano andati a male, i biscotti erano
rancidi. Cavalli e muli erano morti e le loro carogne puzzavano sulla tolda
prima di essere gettate in mare. Le razioni erano ridotte a mezza libbra di
biscotto al giorno, una pinta d’acqua e mezza di vino. Il morale era a terra.
Medina Sidonia aveva fatto impiccare all’albero maestro della sua nave il
capitano don Cristobal de Avila, perché aveva disubbidito ai suoi ordini.
In rotta verso la Spagna, Medina aveva le navi gravemente
danneggiate, con i ponti devastati più dal rinculo dei cannoni spagnoli che dal
bombardamento inglese. All’ammiraglio erano rimaste 112 navi in condizioni
passabili.
L’Invincibile
Armata al largo di Dover; la legenda in alto dice «L’armata navale di Spagna,
soprannominata Invincibile, che fu vinta dagli inglesi il 22 luglio», in realtà
la battaglia decisiva avvenne il 9 agosto
Dopo un mese di questa navigazione disastrosa le navi
dell’Armata furono avvistate lungo le coste dell’Irlanda. Il governatore di
Connaught, sir Richard Bingham, lanciò l’allarme, ma non era in grado di dire
se si trattava dell’Armata in fuga, o se stava arrivando una nuova flotta
d’invasione. Era propenso per quest’ultima ipotesi.
Ma il 21 settembre 1588 si levò la più gran tempesta mai
vista nella storia delle isole britanniche. Fu la dannazione, portata dall’ira
di Dio. Cavalloni immani si levarono per un giorno e una notte lungo la costa
occidentale dell’Irlanda, fischiarono venti devastatori e infine 15 navi
dell’alto oceano e il meglio della flotta di Filippo II si accasciarono in
fondo al mare.
Il governatore Bingham stimò che i velieri, inabissandosi,
avevano trascinato nel fondo 7.000 spagnoli: era la fine della terribile Armata.
Quando il gran vento cadde, solo undici navi spagnole erano ancora intere. E
quando la piccola flotta superstite guidata dall’ammiraglio si affacciò al
porto di Santander, gli abitanti fissarono il fantasma dell’Armata e,
impietriti, contarono soltanto otto vele maestre.
Un deluso e disfatto Medina Sidonia arrivò a Santander sulla
sua nave ammiraglia San Martin, la
cui tolda, sconquassata, era tenuta insieme dai cavi. Lo scortavano sette
galeoni. Quel funebre ritorno significava la fine del miraggio dell’invasione
dell’Inghilterra e più ancora l’inizio del declino dell’impero spagnolo.
A Santander, il 30 ottobre, si fecero i conti finali della
spedizione: risultò che delle 130 navi dell’Armata 46 erano finite a Santander,
11 a San Sebastian, 7 a La Coruña, una a Lisbona: 65 superstiti in tutto. Tra
le ultime navi ad arrivare a La Coruña fu la San Juan de Portugal, che batteva
bandiera del viceammiraglio spagnolo Juan Martinez de Recalde e che questi
pilotò personalmente in porto, anche se gravemente malato. Fu portato in un
monastero e morì pochi giorni dopo.
La Spagna espresse in quei giorni d’autunno un lutto senza
pari: dame e gentiluomini indossarono abiti di lutto, il re e i ministri si
sottrassero alla vista del pubblico.
Dipinto
raffigurante l’Invincibile Armata durante una battaglia
Gli spagnoli subirono una delusione cocente, in quanto nei
giorni precedenti erano corse voci che la flotta inglese fosse stata distrutta
e che Drake fosse prigioniero. Invece arrivò l’annuncio della catastrofe
d’Irlanda che paralizzò il paese. Quando il popolo seppe che metà della bella
flotta era stata distrutta e che 15.000 dei 30.000 uomini partiti con l’Armata
non sarebbero mai più tornati, una cappa di costernazione calò sulla Spagna. Si
diffuse persino il timore che un’Armata, stavolta inglese, si presentasse sulle
coste spagnole e tentasse la conquista della penisola.
Francis Drake, con 80 vascelli, più altri 60 olandesi, puntò
effettivamente su Lisbona con l’intento di espugnarla e di sottrarre almeno il
Portogallo a Filippo II. Vista però l’inutilità dell’assedio di quella città,
si diresse verso le Azzorre, con l’obiettivo di intercettare il convoglio che
riportava a Siviglia gli ingenti tesori provenienti dall’America. Ma questa
volta i venti soffiarono contro la flotta anglo-olandese, che venne gravemente
danneggiata. Un gran numero di uomini vi trovò la morte o si ammalò; Francis
Drake cadde addirittura in disgrazia e nessun comando navale gli fu affidato
per qualche anno.
Lisbona nel 1598
Dal canto suo Filippo II rifiutò di scoraggiarsi e decise
invece di continuare la guerra. Fece mettere in cantiere 12 galeoni del tipo di
quelli che avevano sconfitto le sue navi. Non si sa quanto egli fosse comunque
cosciente di aver perduto una grande occasione: lo sbarco che le sue forze
avevano tentato e tragicamente fallito non si sarebbe mai più ripetuto sulle
coste inglesi.
5 francobolli britannici del 1988 creati da Graham Evernden, per i 400
anni della disfatta dell’Armata spagnola
Cartina con i luoghi indicati nel testo
non male
RispondiEliminaPiù che "non male" io giudico questa descrizione ben fatta tant'è vero che ho letto tutto con molta attenzione. Quindi in qualità di giovane nuovo allievo di ritorno (84 anni) ringrazio vivamente l'autore
RispondiEliminaBellissima esposizione storica, scritta in modo dettagliato e scorrevole ! Complimenti all'autore !
RispondiEliminaBellissimo articolo! Dettagliato e scorrevole! Grazie
RispondiEliminaParticolarmente ben scritta e illustrata e sopratutto coinvolgente
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