Approfondimenti

mercoledì 28 gennaio 2015

48 La popolazione europea all'inizio dell'Età Moderna


LA POPOLAZIONE EUROPEA ALL’INIZIO DELL’ETÀ MODERNA

L’INCREMENTO DEMOGRAFICO

Nel secolo e mezzo compreso tra il 1450 e il 1600 il numero di abitanti di tutta l’Europa raddoppiò, passando da circa 55-60 milioni a circa 100-105.


Questo incremento demografico fu insieme causa e conseguenza di un aumento di tutti i prezzi dei generi alimentari, in particolare di quelli dei prodotti cerealicoli: il prezzo del grano aumentò di circa due volte e mezzo in Germania e in Austria, di tre volte e mezzo nei Paesi Bassi, di quattro volte in Polonia e in Inghilterra, di sei volte e mezzo in Francia. Inoltre, poiché la maggioranza della popolazione si nutriva soprattutto dei prodotti cerealicoli, non potendo permettersi se non raramente di consumare carne, si registrò non solo un impoverimento, ma anche un decadimento delle condizioni alimentari e di salute di una parte della popolazione, che era costretta a nutrirsi di cibi a prezzi inferiori ma anche meno nutrienti.

Willem van Herp (1614-1677), Coppia in un interno rustico

Anche in America la popolazione europea andò aumentando, però piuttosto lentamente: ancora nel 1627 il numero dei bianchi residenti nel Nuovo Mondo non superava le 125.000 unità e se rari erano gli europei dominatori, rari erano anche i nativi dominati (drasticamente ridotti dai massacri, dalle epidemie, dal lavoro forzato) e i neri africani tradotti in schiavitù.

Agostino Brunias, Mercato nelle Indie Occidentali (1780 circa)

COLTIVAZIONE DI NUOVE TERRE

La crescita demografica, ossia la crescita del numero delle famiglie e del numero dei membri per ogni famiglia, obbligava ad ampliare la produzione dei beni alimentari; ma per far questo era necessario coltivare più terra e con più intensità. Inoltre l’aumento del prezzo dei cereali (assai più forte rispetto a quello dei prodotti dell’allevamento), accompagnato dal fatto che la popolazione – come si è già visto – cercava di soddisfare la necessità più urgente, quella del pane, suggeriva che la direzione in cui bisognava muoversi era quella dell’ampliamento delle terre coltivate a grano. Questo infatti avvenne: è stato calcolato che in Inghilterra, Germania, Francia settentrionale e Paesi Bassi tra il 50 e il 70 % delle campagne fosse destinato alle colture cerealicole, con conseguente limitazione dei pascoli e dei prati permanenti, ma anche dei boschi e persino, in Francia e in Italia, delle vigne.

Pieter Bruegel il Giovane, Estate: i mietitori

In molte regioni europee densamente popolate anche le bonifiche dei terreni paludosi furono numerose, come accadde in un’area molto estesa della Repubblica veneta, il che comportò un considerevole aumento dei cereali che affluivano a Venezia. Il processo di bonifica e di sistemazione idraulica avvenne in gran parte dell’Europa, ma assunse un rilievo particolare nei Paesi Bassi settentrionali, dove tra il 1540 e il 1640 migliaia di ettari furono conquistati alla coltivazione, spesso sottraendo terra al mare con la costruzione di polders.

Un documento del 1607-1612 mostra la zona del Beemster, il primo polder olandese ricavato da un lago; sotto la campagna nel comune di Beemster oggi



Come stiamo vedendo, l’aumento della produzione agricola fu ottenuto nelle campagne europee più con l’ampliamento delle colture che con i miglioramenti nelle tecniche produttive; fu cioè più un fenomeno di agricoltura estensiva che di agricoltura intensiva. Infatti la resa, ossia il rapporto fra la quantità di cereali seminata e quella prodotta, non aumentò rispetto ai secoli precedenti. Unica eccezione furono i Paesi Bassi, i quali potevano facilmente rifornirsi di cereali dalla Polonia e quindi introdussero nelle loro campagne colture foraggere, permettendo sia l’allevamento di animali sia la produzione di concime per rigenerare il terreno.

Lucas van Valckenborch, Mercato della carne e del pesce (1595 circa):
il dipinto descrive bene l’opulenza dei mercati olandesi nel Cinquecento

CONSEGUENZE SULLA PROPRIETÀ TERRIERA

Durante il Cinquecento l’aumento demografico provocò un processo che gli storici chiamano di “polverizzazione” della proprietà terriera: la terra posseduta da una famiglia veniva distribuita fra eredi sempre più numerosi, tanto che le singole parcelle diventavano insufficienti a mantenere un nucleo familiare. A quel punto il proprietario contraeva debiti, o vendeva il suo terreno, magari a un vicino potente che rafforzava così il suo patrimonio fondiario. Il contadino espropriato si trovava a dover lavorare la terra un tempo sua con un salario che nel tempo andò decrescendo o pagando un affitto che andò aumentando. Inoltre in numerose zone dell’Europa si accentuava il prelievo signorile, o quello ecclesiastico, o quello dello Stato, come accadde soprattutto in Francia, dove le tasse si moltiplicarono e si aggravarono.

Mendicante con due bambini (anonimo della fine del XVII secolo):
tra le conseguenze del peggioramento delle condizioni di vita dei contadini ci fu l’aumento 
del numero dei medicanti dediti a chiedere l’elemosina

LE MIGRAZIONI

La scarsità di terre fu una delle cause principali dell’emigrazione verso l’America o verso l’Africa meridionale, che si registrò soprattutto nel Seicento.
Un’altra causa fu quella delle persecuzioni religiose, che si verificarono in seguito alla Riforma protestante o all’espulsione degli Ebrei e dei moriscos dalla Spagna; queste migrazioni si diressero sia verso gli altri continenti, sia verso alcuni Stati europei.
Le migrazioni verso l’Europa da altri continenti furono invece, all’inizio dell’Età Moderna, del tutto secondarie: la più significativa fu quella degli Zigani (Zingari) di origine indiana, che era cominciata già a partire dal XIV secolo.

David Teniers il Giovane, Paesaggio con Zingari (XVII secolo), Madrid, Museo del Prado

CAMPAGNA E CITTÀ

Nell’Età Moderna la larga maggioranza della popolazione europea (85/90 %) continuava a vivere in campagna: il numero di coloro che vivevano in città cominciò ad aumentare, ma molto lentamente.
In effetti il numero di città in Europa era piuttosto elevato (circa 950 nel 1600), però va tenuto conto che si considerava città un centro che superasse i 5.000 abitanti. Le aree più urbanizzate erano quelle che avevano conosciuto un maggiore sviluppo economico: i Paesi Bassi, l’Italia, parte della Spagna e del Portogallo. L’Europa settentrionale e quella orientale erano meno urbanizzate.
Le grandi città, quelle che superavano i 100.000 abitanti, attorno al 1500 erano davvero poche: Parigi, Napoli, Milano e Venezia. Parigi era la città europea più popolosa nel Settecento, quando raggiunse forse il milione di abitanti.
In Asia le grandi città erano circa una decina.

La Porta di San Bernardo a Parigi nel XVII secolo (illustrazione di Reinier Nooms)

Grande città poteva esserlo innanzitutto una capitale, cioè la sede del re e della corte: come Parigi, o come Londra la cui popolazione passò nel XVI secolo da 50.000 a 200.000 abitanti; o come Madrid, che nel 1500 contava solo 10.000 abitanti e che, scelta come capitale della Spagna nel 1561, aveva nel 1630 circa 175.000 abitanti.

Mappa di Londra nel Seicento

Anche un centro commerciale poteva aspirare a divenire una grande città, come accadde a Liverpool e ad altre città portuali sull’Atlantico. Meno marcato fu l’incremento demografico nei centri produttivi: solo con la rivoluzione industriale del XVIII secolo cominciarono a crescere le città sede di grande produzione.

Francesco del Cossa, particolare del mese di Marzo (affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara del 1470 circa): già nel XIV-XV secolo nelle aree più densamente popolate d’Europa vi era stata una forte crescita della produzione tessile; solo con il Settecento si può parlare però di sviluppo industriale

Nelle città la natalità era assai inferiore a quella delle campagne e la mortalità era piuttosto forte, a causa delle scadenti condizioni igieniche, in particolare dell’insufficienza della rete fognaria. L’aumento della popolazione in città, dunque, fu causato dalle migrazioni di molti europei dalle campagne alle città, che offrivano maggiori possibilità di lavoro in un periodo in cui le terre coltivabili non bastavano per tutti.

Louise Rayner, Veduta della città di Chester (in primo piano a destra il Boot Inn del XVII secolo)

L’ARRESTO DELL’ESPANSIONE DEMOGRAFICA

A partire dalla fine del Cinquecento o dall’inizio del Seicento l’espansione demografica si interruppe: la popolazione europea, che nel 1600 era di circa 100 milioni, all’inizio del Settecento era di 115 milioni.


L’aumento cioè fu molto limitato e questo per diversi fattori:

- una cattiva annata meteorologica, che provochi una carestia, fenomeno più forte dove si coltivavano solo cereali (nelle zone in cui si praticava un’agricoltura più variegata era più remota la possibilità che una cattiva annata colpisse contemporaneamente tutti i tipi di produzione)
- il ripresentarsi di malattie epidemiche e in particolare le pestilenze
il raffreddamento del clima europeo, che durò dalla fine del Cinquecento fin verso la metà dell’Ottocento
- le guerre
- l’innalzamento dell’età del matrimonio, che avvenne in alcune regioni: nell’Europa occidentale le donne cominciarono a sposarsi dopo i 20/25 anni, mentre nell’Europa meridionale e orientale le donne si sposavano quasi sempre prima dei 20 anni. Sposandosi più tardi c’era meno tempo per mettere al mondo dei figli.


La Chiesa del Redentore a Venezia in un dipinto di Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto:
la Chiesa del Redentore venne fatta costruire dopo la peste del 1575

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lunedì 19 gennaio 2015

47 L'economia europea tra '500 e '600



L’ECONOMIA EUROPEA TRA '500 E '600

I primi due secoli dell’Età Moderna sono caratterizzati da una notevole crescita economica in alcune particolari aree dell’Europa.

IL COMMERCIO

Al periodo della scoperta e della conquista dei nuovi territori americani e dell’esplorazione africana e asiatica, fa seguito un periodo in cui il commercio intercontinentale vede le merci extraeuropee arrivare in gran quantità in Europa e i manufatti europei giungere ugualmente in gran quantità soprattutto in America. Fino alla fine del Cinquecento questo commercio è quasi tutto nelle mani di Spagna e Portogallo, che riescono a mantenere il controllo sui territori extraeuropei, malgrado le ricchezze ivi presenti suscitino l’invidia e la cupidigia di altre nazioni.

Navi in una stampa del 1566

La Spagna, in particolare, controlla l’arrivo dall’America prima dell’oro, poi dell’argento, merci talmente preziose da consentire da sole il mantenimento di regolari collegamenti tra il Nuovo Mondo e l’Europa. Il Portogallo, invece, è più interessato allo zucchero da canna (la cui coltura è diffusa da Madera alle Antille e a Cuba e da qui al Brasile) e al pepe e alle spezie che giungono dall’Asia.

Lavorazione della canna da zucchero in una piantagione brasiliana

Si tratta di merci che forniscono un’immensa ricchezza e che, attraverso il regolare commercio e la intermediazione finanziaria, ma anche attraverso il contrabbando e la pirateria, vengono distribuite in tutta Europa. In questo modo si sviluppa non solo il commercio intercontinentale, ma anche quello interno all’Europa. La crescita della domanda interna (cioè la richiesta di prodotti all’interno di uno Stato) dipende principalmente da due cause:
1- l’aumento della popolazione (se ne parlerà nella prossima lezione)
2- l’abbondanza di ricchezze, le quali permisero a molti nobili e mercanti di acquistare prodotti di lusso, o di diversificare gli acquisti.
Per esempio se per tutto il Cinquecento la spezia più richiesta è sicuramente il pepe, nel corso del secolo i gusti degli europei si affinano e aumenta la richiesta di nuove spezie: noce moscata da Ceylon (l’odierna Sri Lanka), chiodi di garofano dalle Molucche (in Indonesia), macis (con cui si può preparare, tra le altre cose, il curry) dalle isole Banda (anch’esse in Indonesia).

Illustrazione dell’atlante Köhler's Medizinal-Pflanzen del 1887
per la noce moscata (a sinistra) e i chiodi di garofano

Per favorire il commercio, i governi si sforzarono di migliorare i trasporti, sviluppando la rete stradale e facendo costruire canali artificiali nelle pianure europee, dove il terreno pianeggiante lo permettesse; è proprio in questo periodo che l’Europa vede moltiplicarsi quei canali navigabili che ancora oggi la caratterizzano: il più importante di questi canali fu quello francese (Canal du Midi, cioè Canale del Mezzogiorno), costruito tra il 1666 e il 1680.

Un tratto del Canal du Midi

L’ARTIGIANATO

L’aumento della richiesta di prodotti contribuì allo sviluppo delle attività artigianali.
Esse in parte continuarono ad essere realizzate secondo metodi tradizionali: ad esempio la produzione di tessuti e quella di alimenti (due prodotti a larghissimo uso) si svolgevano in gran parte in casa o in laboratori situati all’interno delle case, secondo usanze vecchie di secoli.

Famiglia di contadini in un dipinto del 1661 del pittore olandese Adriaen van Ostade;
in tutte le case contadine durante il periodo invernale uomini e donne provvedevano alla autonoma fabbricazione di ciò che serviva alla vita di tutti i giorni

Altri prodotti, invece, trassero profitto da innovazioni tecnologiche, che avvennero soprattutto nelle zone centro-settentrionali dell’Europa, dove l’aumento della ricchezza si accompagnò a uno spirito imprenditoriale nuovo; così, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento cominciarono a diffondersi alcune macchine meccaniche, azionate dall’uomo, come il telaio per la produzione di calze (brevettato dall’inglese William Lee nel 1598), il telaio per nastri (1604) e il mulino azionato dal vento per segare assi (1596).

I famosi mulini a vento di Kinderdijk;
in Olanda i mulini a vento sono stati utilizzati per secoli per i lavori più vari

LA FINANZA

Grande sviluppo ebbero anche le attività finanziarie, però, come era già avvenuto nel medioevo, molte banche private fallirono per il rifiuto dei re di Francia, Spagna e Portogallo, di pagare i propri debiti. Così, per garantire una maggiore sicurezza a chi depositava denaro e avere una maggiore disponibilità di fondi, diversi Stati crearono delle banche pubbliche: dapprima in Italia (Banco di San Giorgio a Genova, nel 1586; di Rialto a Venezia, nel 1587; di Sant’Ambrogio a Milano, nel 1593), poi in altri Paesi europei (Banca dei cambi di Amsterdam, 1609; banca di Amburgo, 1619).

La sede del Banco di San Giorgio di Genova

CENTRO E PERIFIERIA DELL’ECONOMIA EUROPEA

Se nel Cinquecento Spagna e Portogallo dominavano il commercio intercontinentale e le città italiane (in particolare Venezia, Milano e Genova) assieme ad Anversa quello interno all’Europa e le attività finanziarie, nel Seicento le cose cambiarono.
Per quanto riguarda il commercio extraeuropeo stime effettuate nel 1690 dicono che i prodotti americani inviati in Europa sono di proprietà olandese per il 30%, francese per il 25%, inglese e tedesca per il 18% e spagnola per il 5%. Segno della evidente perdita del primato da parte delle nazioni iberiche.
Per quanto riguarda l’Europa si assiste al declino dell’Italia centro-settentrionale e al forte sviluppo prima delle Province Unite (ossia l’Olanda) con i centri di Rotterdam e di Amsterdam (nel XVII secolo), poi di Londra e dell’Inghilterra (nel XVIII secolo).

Piazza Dam a Amsterdam, in un dipinto del tardo secolo XVII di Gerrit Adriaenszoon Berckheyde

I motivi di questi cambiamenti sono molteplici e complessi, però per capirli almeno in parte può essere significativo quanto accadde al commercio del grano: da lungo tempo l’Europa occidentale importava grano attraverso il mar Baltico dai Paesi dell’Europa orientale. Le navi che percorrevano il Baltico si limitavano generalmente a percorsi brevi e a carichi ridotti e consentivano di conseguenza dei guadagni limitati. La ricerca di nuove fonti di rifornimento e l’intraprendenza dei mercanti, unite al desiderio di maggiori guadagni, spinsero armatori e marinai olandesi a effettuare una serie di fondamentali innovazioni nella costruzione delle navi, causa prima del successo dei Fiamminghi. È stato calcolato che gli Olandesi realizzarono annualmente dei guadagni con il trasporto del grano paragonabili alla produzione annua delle miniere d’argento del Potosì, controllate dalla Spagna.

Fluyt (navi mercantili) olandesi in una stampa del 1677; in queste navi lo spazio per l’armamento venne ridotto al minimo, aumentando così la capacità di carico

Ma altrettanto importanti furono anche le novità nella gestione dei traffici: il 20 marzo 1602 è la data ufficiale della costituzione della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, una compagnia commerciale che, dotata di un’ampia copertura finanziaria, di ampi poteri nella gestione economica e di forti legami tra mercanti e detentori del potere politico, procurò enormi successi ai suoi membri. Tra le sue caratteristiche ce n’è una sulla quale vale la pena soffermarsi: la Compagnia volle in alcune zone controllare direttamente la produzione agricola nei territori asiatici da cui importava le merci, impostandola sulle esigenze dei mercati europei. Così vennero regolate le superfici coltivate, venne represso duramente il contrabbando, vennero massacrate o deportate le popolazioni che tentavano di sottrarsi a queste regole; in alcune aree soggette agli Olandesi si ebbe una specializzazione colturale, che durò a lungo: caffè e pepe a Giava, noce moscata nelle isole Banda, chiodi di garofano nelle Molucche, e così via.

Allegorica illustrazione del 1646 della Compagnia Olandese delle Indie Orientali

I cambiamenti che avvennero nel passaggio dal ‘500 al ‘600 portarono alla divisione tra un’Europa economicamente centrale, capace di controllare le ricchezze dell’artigianato e del commercio e di investirle in attività produttive fonti di ulteriore ricchezza, e un’Europa periferica e destinata al declino, in cui agricoltura, allevamento e attività estrattive costituivano il motore dell’economia. Il ruolo marginale spettò a tutta l’Europa dell’Est, ma anche ai Paesi mediterranei, in particolare alla Spagna: qui l’enorme quantità di oro e di argento che arrivava dall’America venne spesa per acquistare prodotti forniti da altri stati o per la guerra e non fu investita in attività produttive, perché i nobili spagnoli le consideravano indegne di loro. Proprio da questa situazione nacque la figura letteraria dell’hidalgo spagnolo, che di solito è un nobile che ha quasi completamente perso la ricchezza ereditata dalla famiglia, ma ha conservato i privilegi e gli onori concessi alla nobiltà (prototipo dell’hidalgo è il famoso Don Chiosciotte di Miguel de Cervantes).

Un hidalgo nelle colonie spagnole (illustrazione del XVI secolo)

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mercoledì 14 gennaio 2015

46 Pirati, corsari, bucanieri e filibustieri



PIRATI, CORSARI, BUCANIERI E FILIBUSTIERI

Chiunque oggi pensi alla pirateria, ha in mente – complici letteratura e cinematografia, soprattutto – uomini rozzi e violenti che bazzicano osterie malfamate ai Caraibi e percorrono l’oceano Atlantico in cerca d’avventure, velieri nemici e bottini. Il fenomeno, però, fu più esteso, sia nel tempo, sia nello spazio.

I protagonisti della famosa saga cinematografica “Pirati dei Caraibi”

Tralasciando qui la pirateria praticata nel Mediterraneo al tempo dei Romani e quella attuale, e concentrandosi sul periodo tra la fine del Medioevo e l’Età Moderna, va detto che il fenomeno della pirateria diventa una realtà veramente drammatica a partire dal tardo Quattrocento, sia per tutte le popolazioni che vivono sulle coste del mar Mediterraneo, sia per coloro che in esso praticano la navigazione mercantile; lo testimoniano le tante torri d’avvistamento e le fortezze costruite lungo le coste del Tirreno, dell’Adriatico, dell’Egeo, dello Ionio.

Torre delle Mandre (in provincia di Palermo), una delle tante torri d’avvistamento 
contro le incursioni dei pirati musulmani

Verso la fine del Quattrocento al termine pirata finisce per sostituirsi quello di corsaro, un appellativo originariamente legato solo a chi si dedicava alla cosiddetta “guerra di corsa”, che si può considerare una sorta di pirateria legittimata. Infatti in un trattato anglo-francese del 1495 era stata valutata la possibilità di permettere azioni di disturbo contro la parte avversa, concedendo anche a navi private, cioè non militari, di «correre contro navi non amiche». La “guerra di corsa” autorizzava, pertanto, le azioni criminali intraprese sul mare e sulle coste e le presentava, con giustificazioni di carattere politico e religioso (spesso infatti si trattava di cristiani contro musulmani, ma più tardi anche di cattolici contro protestanti), come atti di supporto alla guerra vera e propria. Essa finì ben presto con il costituire per molti avventurieri un vero lavoro e una sicura fonte di reddito.
Con il passare del tempo la “guerra di corsa” nel Mediterraneo divenne sempre più praticata e con essa si intensificarono anche gli atti di pirateria spicciola.

Attacco di pirati greci a una nave inglese

E quando l’oceano Atlantico cominciò ad essere attraversato da navi spagnole, provenienti dall’America cariche di oro e argento, ma anche dall’Africa cariche di schiavi, francesi, inglesi e olandesi ricevettero dai loro re l’autorizzazione ad impadronirsi dei prodotti che esse trasportavano. I corsari, ossia gli uomini che praticavano la “guerra di corsa”, si prefiggevano lo scopo di danneggiare un Paese nemico, contro cui fosse in atto una guerra, impedendone il commercio, e di arricchirsi con il bottino ottenuto. Una parte del bottino, infatti, andava al comandante e all’equipaggio della nave corsara, ma un’altra quota andava a coloro che avevano finanziato la spedizione e al re che l’aveva autorizzata o anche finanziata personalmente: ad esempio la regina Elisabetta I d’Inghilterra (che fu sovrana dal 1558 al 1603) aveva diritto a una quota dei guadagni realizzati dal celebre corsaro Francis Drake.

Elisabetta I nomina sir il corsaro Francis Drake

A differenza dei corsari, alcuni attaccavano le navi di ogni nazione anche in tempo di pace e senza alcuna autorizzazione di un monarca, tenendosi interamente il bottino: è a costoro che si dovrebbe dare correttamente il nome di pirati, ma anche – come fu in uso più tardi – quello di bucanieri o di filibustieri.

Il pirata Barbanera all’attacco di una nave in un dipinto di Jean Leon Gerome Ferris (1920)

I bucanieri erano coloni bianchi, inizialmente cacciatori e pastori, che si dedicarono al contrabbando e alla pirateria dopo la distruzione dei loro insediamenti da parte degli Spagnoli. Il loro nome deriva dall’uso di mangiare carne affumicata su una speciale grata, il boucan, in uso presso gli indigeni delle Antille.
I filibustieri, invece, devono il loro nome al termine olandese vrijbuiter, che significava «cacciatore di bottino»; erano avventurieri di varie nazionalità, che praticavano la pirateria nella regione caraibica ai danni delle navi spagnole e delle città costiere.

Attacco piratesco

In generale molti diventavano pirati per la possibilità di arricchirsi, grazie al bottino delle navi catturate e ai saccheggi delle città, ma altri sceglievano questa vita per il gusto dell’avventura, oppure erano disertori, o ancora vittime di persecuzione religiosa, o anche criminali costretti a fuggire e a vivere al di fuori della legge, perché in patria sarebbero stati incarcerati o giustiziati. Solo i corsari non avevano questo destino, anzi, potevano anche essere premiati dai re che se ne servivano. Poco noto è il fatto che ci furono anche delle piratesse.

Le piratesse Anne Bonny e Mary Read

Il fenomeno della pirateria, compresa quella autorizzata, si diffuse assai in America: per circa due secoli pirati e corsari razziarono, depredarono, torturarono e massacrarono popolazioni intere (ma il massacro fu prerogativa soprattutto dei pirati). Le loro gesta fecero la reputazione di personaggi come Jean David (o François) Nau, detto l’Olonese, che nel 1655 attaccò la città di Maracaibo lasciandola lastricata di cadaveri; o come Henry Morgan, che nel 1670 saccheggiò Panama alla testa di 2.500 uomini; o il guascone Montbars soprannominato “lo Sterminatore” per le sue stragi di Spagnoli; o Edward Teach, detto Barbanera, che depredò per diversi anni le coste della Carolina.

Puerto Principe (l’attuale Camagüey, Cuba) attaccata dal pirata Henry Morgan nel 1668

Secondo alcuni storici i pirati furono una specie di avanguardia della colonizzazione non iberica del Nuovo Mondo, cioè prima che arrivassero i coloni inglesi, francesi e olandesi, arrivarono i pirati dall’Inghilterra, dalla Francia, dall’Olanda. Solo quando divennero un ostacolo alla nuova colonizzazione europea, non più violenta bensì pacifica, i pirati furono cacciati e liquidati in breve tempo dagli stessi che prima li avevano sostenuti.

La testa del pirata Barbanera appesa al bompresso del vascello del tenente Robert Maynard

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sabato 10 gennaio 2015

45 L'Asia e l'Europa tra Medioevo e Età Moderna



L’ASIA E L’EUROPA TRA MEDIOEVO E ETÀ MODERNA

LA SITUAZIONE POLITICA ASIATICA

Ancor più che in Africa (di cui si è parlato in una lezione precedente), in Asia esistevano all’inizio dell’Età Moderna numerosi Stati molto potenti.


Ma le conoscenze che gli europei avevano dell’Asia erano nel Medioevo minori di quelle che avevano i Greci e i Romani: erano andate perdute, infatti, molte delle notizie da essi raccolte, sostituite da ogni sorta di leggende. Si narrava che l’Asia era popolata da grifoni, amazzoni, uomini senza testa o con testa di cane o con la testa sul ventre, o dotati di un unico piede; naturalmente vi erano anche i cannibali e così via.

Maître de la Mazarine, illustrazione per un’edizione del libro di Marco Polo del 1410-1412 circa

Maître de la Mazarine, un’altra illustrazione per un’edizione del libro di Marco Polo 
del 1410-1412 circa


Scena di antropofagia in un manoscritto conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi

Le cose cominciarono a cambiare con il viaggio di Marco Polo, a cui seguirono le spedizioni di altri mercanti e monaci: penetrazione commerciale europea e diffusione del Cristianesimo si affiancarono a lungo in Asia.
Qui, nella regione sud-occidentale, si estendeva l’Impero dei Turchi Ottomani, che tra il XIV e il XVI secolo, oltre a conquistare in Europa la penisola balcanica fino all’Ungheria, occuparono in Africa l’Egitto e gran parte delle terre mediterranee, nonché la Mesopotamia e parte della penisola arabica. Tra il XVI e il XVII secolo l’Impero Ottomano fu il principale regno musulmano e uno degli Stati più popolosi e potenti del mondo: il periodo del suo massimo splendore si ebbe sotto il regno di Solimano, che in Europa venne detto “il Magnifico” per la sua splendida corte, mentre all’interno del suo impero era chiamato “il Legislatore”, per il suo lavoro di organizzazione e di codificazione della società e del governo imperiale.

Solimano il Magnifico in una miniatura ottomana del secolo XVI

Nella regione della Persia (l’Iran attuale) si formò l’impero dei Safawidi, che, pur essendo di stirpe turca, erano visti con ostilità dagli Ottomani, in quanto i Safawidi erano sunniti, mentre gli Ottomani erano sunniti. Temendo la ribellione degli sciiti che vivevano nell’impero Ottomano e che erano numerosi, il sultano turco Selim I fece massacrare, con l’accusa di essere spie dei Safawidi, 40.000 sciiti che vivevano nel suo territorio, guadagnandosi per sempre il soprannome de “il Terribile”. Con i Safawidi la regione divenne completamente sciita e ancora oggi l’Iran si distingue per questo aspetto dagli altri Stati musulmani, che sono tutti, almeno in percentuale maggioritaria, sunniti.

Un principe safawide con la sua corte in una miniatura persiana del secolo XVII

Anche l’India fu in parte sotto il controllo di re musulmani, sebbene l’Islamismo rimanesse meno praticato dell’Induismo. Nell’India settentrionale regnarono diverse dinastie musulmane e si formò l’Impero Moghul, la massima potenza in quella regione. La denominazione moghul (cioè mongolo secondo la lingua persiana) intendeva sottolineare la discendenza del fondatore della dinastia, Bābur Zahīr ad-Dīn Muhammad, da Gengis Khān; in realtà Bābur era discendente per parte paterna da Tamerlano, quindi era turco-mongolo.

Una miniatura indiana di scuola moghul del XVI secolo raffigurante il sultano Bābur

Bābur nel 1526 conquistò il sultanato di Delhi e ne divenne re, estendendo poi il suo potere su tutta l’India settentrionale. Tra i suoi successori si ricordano in particolare i seguenti: Akbar (imperatore dal 1556 al 1605), uno dei più grandi di questa dinastia, che consolidò il suo potere; il figlio Jahāngīr (1605-1628) che estese l’impero al Bengala e fu patrono delle arti e della cultura; Aurangzeb (1658-1707) che conquistò quasi tutta l’India. Dopo la sua morte l’impero Moghul cominciò a decadere, fino a quando nel 1858 l’ultimo sovrano, Bahādūr II fu deposto ed esiliato e il governo dell’India fu assunto dalla corona britannica.

Un europeo alla corte dell’imperatore Jahangir 
(miniatura del XVII secolo, Washington, Freer Gallery of Art)

Nell’Estremo Oriente c’era innanzitutto la Cina, dove, nel XIV secolo, una grande rivolta cacciò la dinastia di origine mongola dei Yuan e venne fondata una nuova dinastia, quella dei Ming, che regnò dal 1368 al 1644. Il ricordo della lunga dominazione mongola portò i sovrani della dinastia Ming a chiudersi su posizioni xenofobe e nazionalistiche, ma il commercio con gli stranieri, pur diminuito, rimase consistente. Proprio per controllare la frontiera settentrionale con i Mongoli, la prima capitale dei Ming, ossia l’attuale Nanchino, venne declassata nel 1421 a favore di Shuntianfu, che da questo momento si chiamerà anche Bejing (cioè capitale del nord), che noi chiamiamo Pechino.

L’imperatore Hongwu, fondatore della dinastia Ming, in un ritratto ufficiale di anonimo 
della seconda metà del XIV secolo (Taipei, Museo Nazionale di Palazzo)

Durante il periodo Ming vennero introdotte in Cina nuove colture alimentari, come il sorgo (venuto dall’Etiopia) e il mais, la patata e l’arachide (venuti dal Nuovo Mondo attraverso le Filippine). Le attività agricole in Cina divennero predominanti, anche se la tecnica conobbe un’evoluzione piuttosto lenta: lo sforzo del governo di diversificare le colture tradizionali, incoraggiando la coltivazione del grano e dell’orzo a sud e del riso a nord, stimolò ad aumentare le superfici coltivate e a risolvere in parte il problema alimentare. Altre nuove colture, invece, vennero praticate per il commercio sul mercato internazionale: tabacco, tè, cotone, canna da zucchero e arachidi consentirono ai coltivatori cinesi profitti superiori a quelli ottenuti con le coltivazioni tradizionali.

Vaso cloisonné provvisto di largo coperchio e decorato con draghi su fondo di nuvole, 
della dinastia Ming della prima metà del XV secolo (Londra, British Museum)

Tra il XIV e il XV secolo la Cina dei Ming conobbe un periodo di grande espansione e fu uno dei maggiori centri economici e culturali del mondo, con la maggiore percentuale di popolazione urbana del pianeta.

La Città Proibita, sede del potere imperiale della dinastia Ming e di quella successiva Qing

Nell’Estremo Oriente c’era anche l’impero del Giappone, che però attraversò un lungo periodo in cui le grandi famiglie nobili controllavano il territorio mediante un sistema di governo di tipo militare, guidato dallo shōgun, che risiedeva a Kamakura, in contrapposizione a Kyoto, dove risiedeva l’imperatore; questi di fatto non era in grado di imporre il proprio potere, perciò si parla di un periodo feudale nella storia del Giappone, che terminò solo alla fine del Cinquecento.

Fujiwara Takanobu, Ritratto dello shōgun Minamoto Yoritomo, XII secolo (Kyoto, Tempio Jingōji)

Il secolo XVI, infatti, fu per il Giappone un periodo di grandi mutamenti: si sviluppò il commercio privato, nacquero molte città libere, arrivarono gli occidentali (commercianti e missionari), le armi da fuoco furono introdotte nel Paese e venne conosciuto il Cristianesimo.

Toyoharu Utagawa, Imbarcazioni sul fiume mentre vengono caricate e scaricate
(Newark, The Newark Museum) secolo XVIII

Tutti mutamenti che contribuirono alla unificazione sotto una dittatura militare del Giappone; l’iniziatore di questa unificazione fu Oda Nobunaga, a cui si unirono Tokugawa Ieyasu e Toyotomi Hideyoshi. Quest’ultimo viene da alcuni considerato la maggior figura politica e militare della storia giapponese: abile stratega, si servì del Cristianesimo per lottare contro i monaci buddisti ribelli e per trarre benefici dal commercio che i Portoghesi avevano con la Cina. Quindi intraprese la conquista della Corea e anche della Cina, ma i Cinesi riuscirono a respingerla. Alla morte di Hideyoshi (1598) venne proclamato shōgun Ieyasu, il quale trasferì la capitale politica a Yedo (l’odierna Tokyo), mentre a Kyoto rimasero l’imperatore e la corte.

Templi a Kyoto, raffigurati in un paravento del 1600 circa,
conservato al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas, USA)

Infine c’era anche il regno di Corea. Essa si era unificata nel 668 e da quella data aveva goduto per secoli di un periodo di sviluppo, secondo solo a quello cinese. Nel secolo XII si erano fatte forti le minacce dei popoli nomadi a nord: nel 1250 i Mongoli conquistano la Corea e solo verso la fine del secolo XIV emerge la dinastia Yi, capace di controllare il Paese. Ma sul finire del secolo XVI la Corea viene invasa prima dal Giappone di Hideyoshi, quindi dai Cinesi; il vassallaggio nei confronti della Cina spinse la Corea a chiudersi in un isolamento totale, durato fino alla metà del secolo XIX.

Ambasciatori coreani verso il Giappone, 1655 (Londra, British Museum)

SCAMBI TRA EUROPA E ASIA

Quando gli europei raggiunsero l’Asia, essi cercarono di ottenere il controllo del commercio nell’oceano Indiano, forzando le popolazioni dell’Asia meridionale a commerciare solo con loro. Se la superiorità dell’artiglieria navale e delle grandi navi europee in mare aperto permise al Portogallo e poi all’Olanda di controllare la navigazione in alto mare, lungo la costa le navi asiatiche, molto rapide e più numerose, potevano mettere in difficoltà gli europei, che furono talvolta sconfitti. Sulla terraferma i grandi eserciti dei regni asiatici erano in grado di respingere ogni attacco, perciò fino alla fine del Seicento il dominio europeo rimase sempre limitato ad alcune basi commerciali fortificate lungo le coste, come le portoghesi Goa (1510) e Bombay (1534, dal 1661 inglese) in India.

Uomo e donna portoghesi a Goa, in un’incisione del 1806 di Grasse de St. Sauveur,
che li ritrae nei loro costumi a metà strada tra l’Europa e l’India

Solo a metà del ‘700 ebbe inizio un periodo di vera e propria colonizzazione in Asia: l’Inghilterra inviò un esercito per difendere gli interessi commerciali inglesi in India e si impossessò di alcune regioni che facevano parte dell’impero Moghul (1757), mentre l’Olanda estese i suoi domini sulle isole della Sonda (attuale Indonesia).
I contatti tra europei e asiatici furono soprattutto scambi commerciali: gli europei in Asia meridionale cercavano le spezie, che furono a lungo il principale prodotto fornito da queste regioni; in seguito ebbe un grande sviluppo il commercio dei tessuti (in particolare del cotone indiano) e poi del caffè e del tè. Oltre a questi prodotti, gli europei cominciarono a importare dall’Asia orientale anche seta e porcellana cinesi e il salnitro.

 La raccolta del pepe, miniatura dal Livres des merveilles di Marco Polo (sec. XV):
il pepe era una delle spezie più ricercate dagli europei

I rapporti culturali tra europei e asiatici non furono facili: gli europei che si recavano in Asia erano di solito avventurieri, commercianti e soldati, poco istruiti e privi di scrupoli, pronti alla violenza e alla rapina, e senza nessuna conoscenza del modo di vivere dei popoli con cui venivano a contatto. Perciò agli asiatici gli europei apparvero spesso barbari e ignoranti.
I missionari invece erano istruiti e più attenti agli usi locali (come padre Matteo Ricci, che divenne esperto della civiltà cinese), ma nonostante questo la diffusione del Cristianesimo rimase molto limitata.

Anonimo giapponese, Martirio di Gesuiti europei e giapponesi a Nagasaki nel 1622
(Roma, Chiesa del Gesù)

Dettaglio dal Martirio di Gesuiti europei e giapponesi a Nagasaki nel 1622
(Roma, Chiesa del Gesù)