Approfondimenti

lunedì 6 ottobre 2014

39 Lo sviluppo scientifico e tecnologico nel Tardo Medioevo

LO SVILUPPO TECNOLOGICO E SCIENTIFICO NEL TARDO MEDIOEVO

Gli studiosi umanisti avevano ripreso dall’antichità e dal Medioevo la divisione del sapere in sette Arti liberali, suddivise nelle discipline del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (astronomia, musica, geometria e aritmetica). Se, quindi, per l’educazione di un uomo erano importanti queste discipline, e ad esse gli Umanisti avevano aggiunto almeno la letteratura, la storia e la filosofia, anche altre materie di studio divennero nel corso del Rinascimento fondamentali: le “scienze della natura”, la medicina, la botanica, la farmacologia, la geografia, la meccanica.

In questo affresco di Andrea Bonaiuti del 1365-1367 (Firenze, Santa Maria Novella) sono raffigurate le sette Arti liberali, in sette forme allegoriche, cui sono accostati i massimi rappresentanti dell’antichità nelle singole arti: da sinistra, l’Aritmetica (Pitagora), la Geometria (Euclide), l’Astronomia (Tolomeo), la Musica (Tubalcano), la Logica (Aristotele), la Retorica (Cicerone) e la Grammatica (Prisciano)

Quando nel XV secolo gli Umanisti diedero vita alle cosiddette accademie (cioè a delle associazioni che riunivano gruppi di intellettuali che amavano discutere con altri dotti e scambiarsi informazioni l’un l’altro), esse interessarono prima gli studi filosofici e letterari, poi quelli di arte e di musica e più tardi ancora quelli di scienza. Nacquero infatti varie accademie a Napoli, a Firenze, a Roma, a Venezia ed esse si diffusero anche fuori dell’Italia, diventando delle istituzioni dotate di regolamenti (statuti) ben precisi. Una di esse, l’Accademia della Crusca, sorta a Firenze nel 1583, si occupava di stabilire la purezza della lingua italiana: essa esiste ancora oggi e si interessa, tra le altre cose, della pubblicazione di un vocabolario della lingua italiana. Accanto alle accademie principali ne sorsero altre più piccole e spesso dai nomi ironici e burleschi (accademia degli Agiati, dei Concordi, degli Inquieti, degli Intronati, degli Umidi e così via).

Villa medicea di Castello (Firenze), sede dell’Accademia della Crusca

La nascita delle accademie che si occupavano di scienza, testimonia dell’interesse che si sviluppò nel Rinascimento nei confronti di una materia, la ricerca scientifica appunto, rimasta per secoli retaggio quasi esclusivo degli uomini di Chiesa: costoro avevano cercato una spiegazione dei fenomeni naturali nei testi del passato, in particolare nella Bibbia e nelle opere del filosofo greco Aristotele. Gli umanisti, invece, pur studiando i testi antichi, preferivano conoscere la realtà attraverso l’osservazione diretta della natura: questo permise un progresso nella scienza, che è alla base della rivoluzione scientifica che si avrà soprattutto nel Seicento.
È vero che molti umanisti si interessarono anche di astrologia e di alchimia (la credenza di poter tramutare i metalli di poco conto in oro) e di altre pratiche non propriamente scientifiche, che sfociavano nella magia, ma è anche vero che molti altri si dimostrarono più attenti all’analisi concreta e verificabile della natura.
Nel Quattrocento lo sviluppo nelle scienze si accompagnò allo sviluppo nella tecnica: spesso infatti gli scienziati progettavano anche macchinari, come fece ad esempio uno dei massimi geni del Rinascimento, cioè Leonardo da Vinci, il quale si occupò non solo di pittura, di disegno, di poesia e di musica, ma anche di fisica, di ottica, di formazione delle rocce, di movimento delle acque, del volo degli uccelli, di anatomia.

Disegni anatomici di Leonardo da Vinci sulle ossa del piede e i muscoli del collo (1510 circa)

I progressi tecnici furono anche favoriti dalle leggi, approvate a partire dalla fine del Quattrocento, che proteggevano gli interessi degli inventori: ad esempio nel 1474 una legge veneziana stabiliva che solo l’inventore poteva utilizzare e sfruttare economicamente una sua invenzione (è quello che noi chiamiamo un brevetto).
Il sistema tecnico rimase, fino al XVIII secolo, quello medievale: esso sfruttava come fonti di energia il lavoro animale, il movimento dell’acqua e il vento (mediante i mulini) e si serviva di macchinari in legno, con alcune parti in metallo. Furono però introdotti alcuni miglioramenti, ad esempio nell’albero a camme, che permetteva di trasformare un movimento circolare in movimento rettilineo, il che significò che i mulini potevano essere usati per diversi lavori.

Incisione raffigurante una ruota idraulica che fa girare un albero a camme in un mulino

Vi furono anche diverse invenzioni importanti. Venne introdotto l’altoforno, un forno di origine cinese, che permetteva di fondere il ferro e non soltanto di trasformarlo in una massa incandescente da martellare per dargli la forma voluta: esso permise la fabbricazione di cannoni e proiettili in ghisa (una lega di ferro contenente carbonio e altri elementi), oltre a oggetti di uso quotidiano come le pentole. Gli orologi meccanici a pesi (in uso già dal 1320 circa) e poi altri orologi più maneggevoli (fino ad arrivare all’orologio portatile nel Cinquecento) permisero di misurare il tempo con grande precisione. La produzione di lenti in grado di correggere i diversi difetti visivi (lenti per presbiti e miopi erano in uso già dalla fine del Duecento, mentre occhiali a lenti divergenti entrarono nella vita quotidiana verso il 1400) rese possibile continuare a svolgere le proprie attività anche a chi aveva qualche difetto visivo. Della polvere da sparo e della nascita delle armi da fuoco ci siamo già occupati nella lezione n° 36.

A sinistra una miniatura sugli studi di orologeria di Giovanni Dondi dell’Orologio; a destra particolare da un affresco di Tommaso da Modena (Treviso, Sala del Capitolo) del 1352, che è la prima rappresentazione pittorica di un paio di occhiali

L’invenzione più importante di questo periodo fu quella della stampa a caratteri mobili, ad opera del tedesco Johann Gutenberg. Non conosciamo molti particolari della vita di Gutenberg: sappiamo che nacque a Magonza, nell’impero Germanico, verso il 1400, in una famiglia nobile che, però, a causa dei contrasti tra nobili, dovette allontanarsi più volte dalla città. Tra il 1434 e il 1444 Gutenberg visse a Strasburgo, dove fece i primi tentativi di stampa.

Ritratto (immaginario) di Johann Gutenberg in un’incisione di André Thevet del 1584

In quegli anni si usava già stampare incisioni (ad esempio giochi di carte e figure di santi), partendo da una lastra metallica (di solito rame) o da un blocco di legno, i quali, una volta che su di essi veniva tracciato il disegno, venivano inchiostrati e poi pressati su fogli di carta: il disegno tracciato sulla tavola di legno o sulla lastra di rame veniva così riportato su ogni foglio. Gutenberg mise a punto un sistema in cui non si utilizzavano blocchi di legno per stampare l’intero foglio (come alcuni stavano incominciando a fare in quegli anni), bensì lettere metalliche, ognuna delle quali veniva accostata alle altre in modo da formare le parole necessarie. Ogni lettera veniva realizzata mediante uno stampo, in cui veniva versato metallo fuso.

Una pagina pronta per essere stampata, con i caratteri mobili a formare le parole, in una stamperia scozzese dell’Ottocento (la Robert Smail's Printing Works) ancora funzionante

Nel 1448, ritornato a Magonza, Gutenberg creò la prima stamperia. Per affrontare la spesa ricorse a un prestito di 1600 fiorini. Tra il 1452 e il 1455 stampò un’edizione della Bibbia in latino in 180 esemplari: una trentina su pergamena, 150 su carta. Ci voleva ancora molto tempo per stampare questi volumi, poiché bisognava scegliere manualmente tutte le lettere che formavano le diverse righe, pagina per pagina, del libro: la Bibbia di Gutenberg di pagine ne aveva 1282, inoltre comprendeva delle decorazioni e dei titoli colorati, che venivano eseguiti a mano.

Una pagine della Bibbia detta «delle 42 linee» di Gutenberg, considerata il primo libro stampato utilizzando il sistema dei caratteri mobili

Nel 1455 Johannes Fust, che aveva prestato a Gutenberg il denaro necessario per l’impresa, richiese la restituzione del prestito. Gutenberg non aveva il denaro e fu costretto a cedere a Fust la sua stamperia: Fust poté così appropriarsi dell’invenzione di Gutenberg e proseguirne l’opera. Fortunatamente nel 1465 l’arcivescovo di Magonza assicurò a Gutenberg una rendita, che permise all’inventore una certa sicurezza economica, anche se per poco tempo: infatti Gutenberg morì nel 1468.
L’invenzione di Gutenberg permise di ottenere molte copie di uno stesso testo senza doverle scrivere tutte a mano, perciò ridusse moltissimo il costo dei libri e ne favorì la circolazione in una cerchia più ampia di persone. Anche il fatto che questi libri fossero corredati di incisioni in serie, anziché di miniature fatte a mano (come accadeva con i codici scritti dagli amanuensi), garantiva la rapidità di fabbricazione e il minor costo. L’invenzione di Gutenberg si diffuse molto in fretta in tutta l’Europa, perché rispondeva alle esigenze degli studiosi e anche della Chiesa: non a caso il primo libro stampato fu proprio la Bibbia, che venne pubblicata prima in latino, poi in diverse lingue nazionali (in italiano nel 1471, in francese tra il 1473 e il 1474, in olandese nel 1477 e così via).
In tutte le grandi città sorsero tipografie, in cui si stampavano libri: la prima stamperia italiana fu creata a Subiaco (nel Lazio) nel 1464. Venezia divenne uno dei maggiori centri di produzione libraria d’Europa: qui operò Aldo Manuzio, a cui si deve la prima edizione delle opere di Aristotele in greco (cinque volumi apparsi nel 1495).

Miniatura francese del XVI secolo raffigurante l’interno di una stamperia cinquecentesca con le fasi di lavorazione di un libro


Nessun commento:

Posta un commento