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venerdì 19 settembre 2014

24 La società urbana del Basso Medioevo

LA SOCIETÀ URBANA NEL BASSO MEDIOEVO

Gli abitanti dei centri urbani che rifioriscono nel Basso Medioevo formavano classi sociali assai differenti.
Soprattutto in Italia, alcune famiglie nobili, invece di vivere nei castelli, risiedevano in città. Esse avevano un grande potere e la loro ricchezza derivava dal possesso di molte terre.

Un corteo di nobili (miniatura del XV secolo)

In città viveva la borghesia, ossia la classe sociale dedita alle libere professioni, vale a dire i lavori in proprio, non alle dipendenze di altri: il termine borghesia deriva proprio da “borgo”, cioè il centro urbano fortificato. La borghesia quindi comprendeva artigiani, commercianti, banchieri, ma anche avvocati, giudici, medici, notai. La ricchezza di questa classe era costituita dal denaro, non dal possesso della terra. All’interno della borghesia vi erano un’alta borghesia (o popolo grasso), formata da coloro che controllavano le attività più redditizie, e una media e piccola borghesia (o popolo minuto), costituita da mercanti e artigiani che vivevano in condizioni modeste, poiché erano dediti a commerci limitati o gestivano botteghe artigiane per una clientela ridotta.

Medici impegnati in un’operazione chirurgica per curare una frattura al cranio (miniatura del primo quarto del XIV secolo)

Molto numerosi erano infine i salariati, che lavoravano nelle botteghe artigiane o come personale di servizio nelle case dei nobili e dei borghesi. Essi non avevano proprietà e costituivano quindi un proletariato urbano.
Tra queste classi sociali, che avevano interessi molto diversi, vi erano frequentemente dei contrasti.

La bottega di uno speziale (affresco nel castello di Issogne, databile tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI): l’uomo a destra, intento a pestare nel mortaio, è sicuramente un salariato

Fin dalla nascita ogni persona faceva parte di alcuni gruppi: in primo luogo la sua famiglia, composta dai genitori e dagli altri parenti che vivevano insieme; poi la sua parentela, con cui i legami erano spesso forti; infine la classe sociale (nobiltà, borghesia, popolo nelle città).
Nel Medioevo, però, come già nell’Età antica, vi erano anche altri gruppi, in cui non si nasceva, ma si entrava per libera scelta, di solito pronunciando un giuramento e accettando un insieme di regole. Il legame tra i membri del gruppo era tenuto sempre vivo da momenti di incontro e in particolare da pasti in comune: per tutto il Medioevo, come accadeva anche nell’Età Antica, il mangiare insieme era un momento molto importante nella vita sociale. Data la grande importanza della religione per gli uomini del Medioevo, i pasti in comune erano spesso accompagnati dalla celebrazione di una messa e da una commemorazione dei morti.

Un banchetto medievale (fine del 1300)

I più antichi di questi gruppi furono probabilmente gruppi di aiuto reciproco, che nacquero nell’Alto Medioevo, in una situazione di insicurezza, in cui era importante poter contare su altre persone: i primi documenti parlano di gruppi i cui membri si assistevano in caso di incendio, naufragio o povertà.
Nel Basso Medioevo, in epoche anche molto diverse a seconda dei vari Paesi europei, si formarono dei gruppi professionali, i cui membri svolgevano tutti lo stesso lavoro, sia di tipo artigianale, sia di tipo mercantile. Queste associazioni professionali presero nomi diversi nelle differenti regioni dell’Europa: in Italia di solito Arti, in Francia Métiers, in Germania Zünften, in Spagna Gremios e così via.

Disegno ricostruttivo di alcuni borghesi francesi, ciascuno con l’insegna del proprio métier
(da sinistra: maniscalco, fornaio, sarto, macellaio, mercante, falegname)

In sostanza erano delle corporazioni con statuti (cioè insieme di norme) ben precisi, allo scopo di controllare la produzione e la qualità della merce e di creare un certo equilibrio economico tra i membri della stessa Arte: anche per questo chi non era membro della corporazione non poteva lavorare come artigiano o come mercante. Fu lo sviluppo economico del Basso Medioevo a far sorgere la necessità delle corporazioni e il fatto che alcune grandi città, che erano poli di scambi su lunghe distanze, avevano economie assai complesse: in alcune di queste città si potevano contare anche 150 differenti mestieri, i più numerosi dei quali erano quasi sempre quelli del tessile e dell’abbigliamento, seguiti da quelli dell’alimentazione, del cuoio e delle pelli, delle costruzioni, dei metalli.

Pergamena con gli emblemi delle Arti e Mestieri di Orvieto (1602)

Naturalmente c’era anche chi, per così dire, “lavorava in nero”, però costui, dato che costituiva un potenziale pericolo per tutti i soci, poiché praticava tariffe più basse e di conseguenza sottraeva clienti agli artigiani che si erano associati, era sottoposto a controlli e a multe. Pene severe erano previste anche per quegli associati che non rispettavano le regole della propria Arte: queste regole riguardavano la qualità dei manufatti prodotti e dei servizi erogati, ma anche le materie prime impiegate, gli strumenti di lavoro e i procedimenti tecnici utilizzati, il numero di dipendenti di una bottega, l’utilizzo di alcuni tipi di salariati (generalmente, infatti, erano escluse dalle corporazioni tre categorie di lavoratori: le donne, gli schiavi e gli ebrei).

Botteghe artigiane in una miniatura francese del XIV secolo

Importante nel sistema delle corporazioni (che nacque nel XII secolo e resistette fino al XVIII) era il controllo sulla formazione dei maestri artigiani, realizzata attraverso l’istituto dell’apprendistato: sulla base di un contratto stipulato tra il titolare della bottega e il padre dell’apprendista, quest’ultimo si trasferiva alle dipendenze del maestro fin da quando era poco più che un bambino e vi rimaneva per un certo numero di anni. Il contratto stabiliva che l’artigiano mantenesse il discepolo e gli insegnasse lealmente i segreti del mestiere, mentre l’apprendista prometteva di imparare in maniera volonterosa, di risiedere regolarmente con il maestro, di obbedirgli eseguendo ogni compito da lui stabilito. Durante il periodo di formazione l’apprendista non percepiva nessun compenso, anzi non era raro il caso che fosse il padre a dover sborsare una somma perché il figlio fosse ammesso nella bottega. Il periodo di apprendistato variò molto nei secoli, ma in genere era più lungo di quanto fosse effettivamente necessario: infatti era interesse dell’artigiano prolungare la permanenza dell’apprendista nella sua bottega, perché, una volta completata la sua formazione, questi era un valido aiutante a basso costo.

Un artigiano della seta con due giovani apprendisti

Ma le corporazioni nacquero anche con un altro scopo, oltre a quello di regolare il lavoro dei vari associati: quello della protezione e dell’assistenza dei propri iscritti, per esempio aiutando la vedova o gli orfani di un artigiano, o concedendo un aiuto economico all’associato che si fosse trovato in una situazione di malattia o di povertà, o ancora assistendo un mercante, il quale dovesse affrontare un processo o perdesse la merce a causa di un incidente o di un furto.
Nel Trecento si diffusero inoltre le confraternite, associazioni giurate che si occupavano di carità e di aiuto ai bisognosi (nel termine c’è la radice della parola “fratello”). Esse avevano cominciato a esistere già nel X secolo e secondo alcuni studiosi sono alla base delle stesse corporazioni degli artigiani e dei mercanti descritte prima. Inizialmente avevano come scopo principale la valorizzazione della penitenza e degli ideali apostolici tra i laici, cioè tra coloro che non appartenevano ad alcuna istituzione religiosa. Più tardi svilupparono gli aspetti caritatevoli della convivenza civile, per cui gli aderenti a una confraternita erano tenuti a partecipare ai funerali dei confratelli deceduti e a pregare per la salvezza della loro anima, ma anche a occuparsi dell’assistenza materiale dei confratelli che avessero dei problemi, con aiuti finanziari in caso di malattia o di miseria, visite nelle case degli infermi, soccorso ai forestieri e ai detenuti, sostegno alle vedove e agli orfani e ai cosiddetti “poveri vergognosi”, ossia alle persone che, pur dedite a un’occupazione, erano cadute temporaneamente in miseria e quindi erano costrette a chiedere la carità.

I capitani della confraternita della Misericordia affidano alle madri i fanciulli abbandonati (frammenti degli affreschi del 1384 circa nella Loggia del Bigallo a Firenze)

Nel Basso Medioevo donne e uomini avevano aspirazioni diverse da quelle oggi più diffuse, ma anche allora, naturalmente, non tutti pensavano allo stesso modo ed esistevano molte differenze da persona a persona.
Molti avevano aspirazioni religiose: poiché la fede era molto forte, tutti desideravano ottenere la salvezza eterna e molti erano disposti a rinunciare a una parte delle loro ricchezze e a sottoporsi a sacrifici di ogni genere per essere sicuri di salvare la propria anima. Proprio il desiderio di salvezza induceva molti a fare donazioni a conventi, chiese o confraternite e a destinare per testamento una parte delle loro proprietà a istituzioni religiose. Come fece Francesco Datini, un commerciante di Prato che, divenuto ricchissimo, lasciò nel suo testamento una cifra enorme a una fondazione per poveri.

La Madonna del Ceppo, dipinto del 1453 di Filippo Lippi: in basso Francesco Datini presenta alla madonna i quattro Buonomini del Ceppo, un’organizzazione assistenziale che raccoglieva elemosine per i bisognosi

Alcuni volevano raggiungere la santità e per questo si sottoponevano a dure penitenze, non di rado incontrando l’opposizione della famiglia, come successe a Caterina da Siena (1347-1380), santificata nel 1461.
Altri erano più interessati al potere. Gli obiettivi politici erano diversi a seconda della realtà in cui le persone si trovavano a vivere: i feudatari e i cavalieri senza feudo miravano ad essere a capo di un feudo (o di un regno), a ingrandirlo e a imporre sugli altri il proprio dominio; per i nobili e i ricchi borghesi l’obiettivo politico più importante era partecipare al governo della città e porsi alla sua guida. Il desiderio di dominio personale mosse Ezzelino da Romano (1194-1259), l’ultimo esponente di una famiglia feudale veneta che dominava sui territori di Treviso e Vicenza e che riuscì, giocando abilmente sui contrasti allora esistenti tra città e papa e imperatore, a conquistare Verona, Padova e Trento.

Cristofano dell’Altissimo, ritratto di Ezzelino da Romano, dipinto del 1533

Per molti era importante ottenere un riconoscimento sociale, cioè la stima e il rispetto degli altri: il prestigio si poteva ottenere attraverso una carica pubblica o una particolare competenza, ad esempio nel proprio lavoro o nella produzione artistica. Oppure chiamando a lavorare per sé il maggiore artista dell’epoca, come fece il padovano Enrico Scrovegni che fece affrescare da Giotto una sua chiesa (oggi Cappella degli Scrovegni).

Negli affreschi realizzati per la Cappella degli Scrovegni, Giotto ha dipinto Enrico Scrovegni mentre dona alla Vergine la chiesa stessa

Anche la ricchezza era, allora come oggi, un obiettivo importante, soprattutto per i mercanti e gli artigiani. Alcune famiglie della nobiltà urbana e dell’alta borghesia tendevano perciò a esibire la loro ricchezza, in modo da essere stimate e invidiate da tutti. Si verificò di conseguenza un rapido aumento delle spese per beni di lusso: tessuti, gioielli, sostanze coloranti di alta qualità, spezie, aromi. Questi beni erano ricercati in quanto permettevano esattamente di dimostrare la propria posizione sociale (oggi si direbbe perché erano degli status symbol, come ai giorni nostri il fuoristrada, l’ultimo smartphone, la vacanza esotica e così via). Poiché le famiglie spendevano somme ingenti per acquistarli, in molte città gli amministratori emanarono leggi suntuarie, le quali cioè, come nell’antica Roma, limitavano l’esibizione di lusso e le spese che potevano essere sostenute: le leggi prevedevano un massimo per ogni spesa di questo tipo, ad esempio per l’acquisto degli abiti femminili o per i riti funebri.

Alcuni nobili raccolgono fiori vestiti con abiti eleganti e lussuosi (1440 circa)

Le aspirazioni erano molto diverse a seconda delle condizioni sociali. Tutti potevano cercare di ottenere la salvezza eterna, seguendo le regole religiose, e per molti ottenere una maggiore ricchezza era un obiettivo possibile, anche se a livelli diversi: per un contadino poteva significare anche solo riuscire ad acquistare alcuni terreni, per un mercante allargare il suo giro d’affari, cioè la quantità di prodotti venduti. Il prestigio e il potere, invece, di solito erano raggiungibili solo dagli uomini di classe sociale superiore e dipendevano quindi dalla nascita.
Anche la differenza di genere, cioè tra uomini e donne, era fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi. Le leggi ponevano le donne in una posizione di secondo piano, in famiglia, nel lavoro, nella società, nella Chiesa e nella vita politica. Per molte donne perciò era difficile ottenere con il lavoro una maggiore ricchezza, anche se esistevano donne che lavoravano in proprio e corporazioni femminili (ad esempio a Colonia, in Germania). Poiché le donne non potevano ottenere alcuna carica politica, a parte in quei regni in cui la legge non le escludeva dal trono, esse non avevano quasi mai una posizione di potere, anche se a volte l’ottenevano influenzando il comportamento del marito o di un figlio; nella Chiesa una donna non poteva diventare vescovo o papa, al massimo badessa di un monastero. Per una donna, ricchezza, prestigio e potere venivano di solito dalla condizione della famiglia di provenienza o da quella in cui la donna entrava con il matrimonio, non erano quindi frutto dell’attività della donna stessa.

Una sarta (XV secolo)



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