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mercoledì 17 settembre 2014

17 Gli Arabi e l'Islamismo


GLI ARABI E L’ISLAMISMO

Nel VII secolo nella penisola arabica accadde un fatto destinato a cambiare la storia: la predicazione di Maometto tra gli Arabi.
Gli Arabi erano nomadi (la parola arab significa proprio nomade) e abitavano un territorio, esteso tra Mediterraneo, Mar Rosso e Oceano Indiano, grande dieci volta l’Italia, ma per nove decimi desertico. Solo lungo le coste dell’Oceano Indiano e nelle oasi in mezzo al deserto la presenza di venti umidi come i monsoni o di sorgenti d’acqua permetteva la crescita della vegetazione e quindi garantiva la possibilità di praticare l’agricoltura.



La maggioranza degli Arabi si dedicava alla pastorizia o al commercio, grazie a un animale – il dromedario – capace di resistere per giorni interi senza bere.
I beduini (= uomini del deserto) attraversavano le distese sabbiose trasportando i prodotti orientali dalle coste dell’Oceano a quelle del Mar Mediterraneo e i prodotti siriani e egiziani nel percorso inverso. Ogni carovana di beduini rappresentava un’intera tribù e tutte le tribù erano legate da antiche parentele, o divise da inimicizie segnate da faide senza fine. Per questo l’attività commerciale dei beduini era affiancata spesso dalla rapina e dal saccheggio: attaccare la carovana di una tribù rivale e depredarla di tutto il suo carico, dava
la soddisfazione di sfogare antichi rancori, garantiva un bottino e permetteva di dimostrare il valore guerrieri dei beduini.
Poi, l’arrivo in un’oasi, permetteva il riposo, lo scambio di merci e informazioni, l’ascolto delle storie raccontate dai poeti, l’adorazione delle proprie divinità, che avevano protetto la carovana dai guerrieri nemici, dalle tempeste di sabbia, dalla sete del deserto.
Gli Arabi erano infatti politeisti: nella loro religione erano venerati sia elementi naturali (il cielo, le sorgenti d’acqua, le meteoriti che, cadute dallo spazio, si trovavano nelle sabbie del deserto come se qualche mano divina ve le avesse deposte), sia dèi come nelle altre religioni, dèi locali ma anche presi da altri popoli; per esempio dagli Ebrei gli Arabi avevano conosciuto Jahvè e gli angeli, gli arcangeli, i profeti della Bibbia e del Vangelo, tra cui Gesù.
Una delle principali oasi del deserto arabico era La Mecca: sorgeva all’incrocio delle piste carovaniere dirette ai porti del Mar Rosso ed era divenuta una grande città commerciale, piena di traffico e di mercanzie; anzi, verso la fine del V secolo la potente e ricca tribù dei Quraysh diffuse la voce che la Pietra Nera conservata in città (si trattava di un meteorite venerato da tempo, poiché si diceva che l’avesse portato sulla Terra lo stesso arcangelo Gabriele) avesse effetti miracolosi. La Mecca venne proclamata città santa dell’Arabia e non c’era carovana che non vi facesse tappa, unendo alle necessità commerciali la devozione del pellegrinaggio.

La Kaaba che conserva la Pietra nera alla Mecca

Il movimento di denaro aumentò vertiginosamente e i Quraysh si arricchirono oltre ogni limite. Accanto alle loro dimore lussuose sorgevano però i miserabili quartieri delle altre tribù, molte delle quali ridotte a una vita di stenti. Il contrasto era troppo forte per passare inosservato e ben presto le critiche contro lo stile di vita dei ricchi, la loro arroganza ed avidità, divennero sempre più forti.
A La Mecca visse Muhammad, noto in Europa come Maometto (570-632); in seguito ad una serie di visioni, in cui gli apparve l’arcangelo Gabriele, egli incominciò a predicare un insieme di insegnamenti religiosi e morali, che nel giro di pochi anni diedero vita a una nuova religione, chiamata Islamismo, che vuol dire sottomissione. Infatti Maometto predicava l’esistenza di un unico Dio (Allah in arabo), al quale bisognava sottomettersi completamente: chi credeva in lui veniva detto musulmano, cioè appartenente all’Islamismo, e doveva vivere seguendo la castità, la giustizia, la carità e la penitenza e condannando l’avarizia e l’avidità.
Era un insegnamento che affascinò i poveri e scatenò l’ira dei Quraysh, che cominciarono a ostacolare Maometto in tutti i modi, deridendolo quando predicava, tentando di assassinarlo e infine vietandogli la predicazione.

Abu Bakr, amico di Maometto e primo califfo dell’Islam, difende il Profeta dalle pietre che una folla di infedeli gli lancia contro (miniatura turca del XVI secolo); come spesso accade, Maometto è raffigurato con un velo sopra il viso

Nel 622 Maometto fu costretto a fuggire dalla Mecca e a rifugiarsi a Yathrib, la seconda grande oasi arabica. Da questa fuga (in arabo ègira) i musulmani contano gli anni, come i cristiani li contano dalla nascita di Gesù. In seguito Yathrib cambiò il proprio nome in Medina, che vuol dire “la città” (sottintendendo del profeta). A Medina, in realtà, Maometto non era più solo un semplice profeta che predicava una nuova religione, ma divenne un capo religioso, politico e anche militare. Il successo dell’Islamismo doveva passare per la sconfitta della Mecca e di ciò che rappresentava: le carovane dirette in quella città dovevano essere rapinate per nutrire i seguaci di Allah e questa non poteva che essere considerata una guerra santa (jihad in arabo), perché combattuta dai veri fedeli musulmani contro gli infedeli avidi e politeisti.
Nel 630 i seguaci armati di Maometto conquistarono La Mecca, quindi si lanciarono alla conquista di tutta l’Arabia; solo due anni dopo Maometto morì, ma le tante tribù arabe erano diventate un’unica nazione, che credeva in un unico dio e negli insegnamenti del suo profeta, raccolti nel libro sacro dei musulmani, il Corano (Quran).

L’esercito di Maometto, in una miniatura persiana conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi

Con l’Islamismo era nata una terza religione monoteista, dopo l’Ebraismo e il Cristianesimo; tra le 3 religioni ci sono in effetti almeno 3 aspetti importanti in comune:
- il monoteismo, innanzitutto
- la credenza in un aldilà, che comprende un paradiso per chi ha seguito le norme religiose e un inferno per chi non le ha rispettate
- la netta separazione tra gli infedeli e i credenti, che costituiscono una comunità (umma per i musulmani).

Miniatura turca del XVI secolo in cui è rappresentato il volto di Maometto con una fiamma che gli arde attorno

Il Corano impone a tutti i fedeli cinque obblighi, chiamati i cinque pilastri dell’Islam:
- credere in Dio e dichiarare la propria fede con la formula «Non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta»;
- pregare cinque volte al giorno, con il viso rivolto alla Mecca, città sacra agli Arabi ancor prima della predicazione di Maometto;
- fare l’elemosina ai poveri;
- digiunare dall’alba al tramonto durante il mese del ramadan (il nono mese del calendario lunare musulmano):
- recarsi, almeno una volta nella vita, in pellegrinaggio alla Mecca.
Dopo la morte di Maometto, il potere passò a dei capi politici e spirituali chiamati califfi, ma la cosa non fu facile, poiché provocò una spaccatura tra i musulmani, che esiste ancor oggi. Alcuni ritenevano che a capo della comunità potesse essere eletto qualunque musulmano di buona moralità e sufficienti capacità intellettive, sostenendo che questo è detto nella sunna, l’insieme dei racconti che per tradizione spiegano qual è stato il comportamento tenuto da Maometto, dai suoi familiari e dai primi credenti nel corso della loro vita. I musulmani che accettano interamente la sunna sono chiamati Sunniti e costituiscono oggi la larga maggioranza dei seguaci dell’Islam nel mondo (circa il 90%). Altri musulmani, invece, ritenevano che l’unico califfo legittimo fosse Alì, cugino e genero del profeta: costoro sono detti Sciiti (da shi’a, che vuol dire fazione e sottintende “di Alì e dei suoi discendenti) e sono oggi la maggioranza solo in Iran.
Ad ogni modo, dopo pochi anni dalla morte di Maometto la carica di califfo divenne ereditaria, prima nella famiglia degli Omayyadi (661-749), poi nella famiglia degli Abbasidi (749-1256).
In meno di un secolo, dal 633 al 712, gli Arabi conquistarono gran parte dell’Asia occidentale e centrale, l’Africa settentrionale e la penisola iberica. La rapidità di questa espansione dipese da tre fattori fondamentali:
- l’Impero Bizantino e l’Impero Persiano erano indeboliti dalle guerre tra di loro, da forti contrasti interni e dal malcontento popolare verso le tasse, e non seppero opporre un’efficace resistenza;
- l’esercito arabo, costituito da nomadi, era capace di muoversi rapidamente, spingendosi anche molto lontano dalle proprie basi;
- i guerrieri musulmani affrontavano le battaglie con grande coraggio: mossi dalla propria fede, erano certi – secondo l’insegnamento di Maometto – che se fossero morti combattendo sarebbero andati in paradiso.

L’impero arabo-islamico nel secolo VIII

Solo nella prima metà dell’VIII secolo i Franchi nell’Europa occidentale, l’Impero Bizantino in Anatolia e l’Impero Cinese a est fermarono l’espansione araba; ulteriori conquiste si ebbero solamente il IX secolo e riguardarono Creta e la Sicilia.
Ma l’Impero Islamico era ormai una realtà, destinata a restare per secoli. Era uno Stato forte e ben organizzato, secondo modelli diversi da quelli degli altri impero dello stesso periodo.
Innanzitutto era uno Stato di forte impronta religiosa: il Corano non conteneva solo i precetti religiosi, ma anche le norme a cui le leggi politiche dovevano ispirarsi, eterne e immutabili. Gli stessi giudici erano contemporaneamente anche imàm, cioè guide spirituali della loro comunità: il loro ruolo politico non era prescindibile dall’insegnamento religioso.
L’Impero Islamico era anche uno Stato piuttosto tollerante nei confronti dei popoli conquistati: essi erano gli unici a pagare le tasse, ma per il resto erano liberi di esercitare un mestiere, di essere giudicati dai loro tribunali sulla base delle loro tradizioni, di professare la loro fede. Molti si convertirono all’Islamismo e quando ciò avveniva, non dovevano più pagare le tasse e ottenevano gli stessi diritti degli altri musulmani, potendo migliorare la loro condizione sociale. Infatti nella società araba non c’era una netta divisione tra nobili e popolo, come avveniva invece nell’Europa occidentale.
Nello Stato Islamico esisteva la schiavitù, ma per gli Arabi lo schiavo non era una bestia da sfruttare, bensì una persona a tutti gli effetti. Se si convertiva ed era fedele al suo padrone, restava per la legge sempre uno schiavo, però era libero di sposarsi, guadagnare, mettere soldi da parte; se poi era colto e intelligente, poteva aspirare a una carriera addirittura superiore a quella di un arabo (molti schiavi divennero, per esempio, visir, vale a dire primi ministri dei califfi).
Lo Stato Islamico, infine, era basato su una forte differenziazione tra maschi e femmine. Anche se Maometto aveva migliorato la condizione della donna, per esempio proibendo l’infanticidio femminile (cioè l’uccisione delle neonate femmine subito dopo la nascita, una praticata dettata dall’estrema povertà di molte tribù del deserto, le quali preferivano avere dei figli maschi) e stabilendo che anche le donne avevano diritto ad una parte dell’eredità dei genitori (ma inferiore a quella dei fratelli), nella società musulmana la donna rimase in una posizione nettamente inferiore all’uomo. Il marito infatti poteva ripudiare la moglie e praticare la poligamia, sposando fino a quattro donne (ma i ricchi e i potenti avevano numerose concubine – di solito schiave – nei loro harem, le stanze appartate dove nessun maschio, tranne il padrone, poteva entrare).

Donne dell’harem in giardino con il loro signore e un suonatore di liuto (miniatura del XIII secolo)

Nei territori sotto dominio arabo, dopo un periodo di crisi legato alle guerre di conquista, ci fu un grande sviluppo economico, che ebbe i suoi centri nelle numerose e popolose città, quali Damasco, Palermo, Il Cairo, Baghdad, Fès (in Marocco) e Córdoba (in Spagna).
Ci furono grandi progressi in agricoltura, grazie alle tecniche di irrigazione, che gli Arabi avevano appreso dai Persiani, e ai nuovi prodotti di cui diffusero la coltivazione, come arance, limoni, pesche e albicocche.
La sicurezza delle strade e dei mari permise lo sviluppo del commercio, che si serviva della moneta: nel 695 vennero coniate le prime monete d’oro (dinar) e d’argento (dirham), che sostituirono le monete bizantine fino ad allora in uso. Lo sviluppo del commercio portò a costruire o riadattare i porti sulle cose del Mediterraneo e del Mar Rosso, mentre lungo le piste carovaniere sorsero i caravanserragli, dei grandi complessi fortificati, che venivano innalzati alla distanza regolare di una giornata di viaggio l’uno dall’altro. Essi erano in grado di offrire ospitalità agli uomini, agli animali e alle merci, gratuitamente per tre giorni; vi si trovavano una cucina, foraggio per le bestie, un medico e un veterinario, acqua da bere e una sala per la preghiera.

Il caravanserraglio di Miandasht (Iran)

La presenza di una rete commerciale molto ampia favorì lo sviluppo dell’artigianato.
Un’altra attività assai praticata era la pirateria, a danno dei paesi cristiani, che mirava soprattutto alla cattura di schiavi da rivendere.
All’interno del mondo arabo-musulmano l’istruzione era molto diffusa.
Gli Arabi, entrando in contatto con tutte le grandi civiltà del loro tempo, poterono sviluppare le scienze e le tecniche. Rinnovarono la medicina, basandosi sugli antichi testi greci; rivoluzionarono la matematica, introducendo lo zero e i numeri su base decimale che noi usiamo ancora oggi; misero le basi della chimica, la scienza che studia le proprietà e la composizione delle sostanze; fecero notevoli progressi in astronomia; svilupparono la geografia.

Farmacista arabo intento a preparare medicinali (miniatura da un codice del secolo XIII)

Furono gli Arabi a introdurre in Europa la carta e probabilmente la bussola, già usate precedentemente dai Cinesi, e il mulino a vento, di origine asiatica.
La letteratura araba ha la sua opera maggiore nella celebre raccolta di racconti Le mille e una notte, scritta da diversi autori a partire dal X secolo.
Le arti figurative (pittura e scultura) si svilupparono in modo diverso da quelle europee, perché Maometto proibì ai musulmani di rappresentare persone o animali, probabilmente perché temeva che gli Arabi tornassero ad adorare idoli. Perciò le moschee, cioè i templi musulmani, vennero decorate con motivi geometrici o floreali (fiori e foglie), detti arabeschi, o con i versetti del Corano.

Le decorazioni nella moschea del sultano Hassan a Il Cairo (Egitto)

L’architettura araba ha creato nei secoli degli autentici capolavori: le moschee e i palazzi dei califfi.
Le moschee sono innanzitutto dei luoghi di preghiera: in origine erano solamente delle grandi sale in cui si apriva una nicchia che indicava la direzione della Mecca, perché è in quella direzione che bisogna mettersi quando si prega. Dopo le conquiste le moschee divennero anche biblioteche e centri della cultura religiosa: accanto all’edificio per la preghiera sorse spesso la madrasa, cioè appunto la scuola religiosa. Ogni moschea è affiancata da una torre molto alta, il minareto, dalla cui terrazza un fedele scelto dalla comunità, il muezzin, chiama i cittadini alla preghiera cinque volte al giorno. In ogni moschea vi è un impianto idrico con una fontana, perché i fedeli devono lavarsi prima della preghiera.

La moschea di Córdoba

La cura per l’igiene predicata da Maometto ha portato alla creazione dei bagni pubblici in tutti i centri dotati di una moschea. Ugualmente le città arabe sono dotate di suk (o bazar), cioè di mercati (coperti o all’aperto), a volte grandi come interi quartieri, perché vi si trovano non solo le botteghe, ma anche i laboratori artigianali; nei tempi passati vi erano anche aree per le tende dei mercanti girovaghi e stalle per gli animali.

Il suq di Marrakesh (Marocco) oggi


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