Le armi della Prima guerra mondiale

LE ARMI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

La lunga durata del primo conflitto mondiale e la forma che esso assunse quando divenne guerra di trincea, sono i motivi per cui in quegli anni si usò un vasto campionario di armi: alcune comparvero allora per la prima volta, altre, già esistenti, vennero perfezionate e trovarono una crescente e sempre più potente applicazione sui campi di battaglia.
Su tutte queste armi, una prevalse nettamente nella memoria dei popoli europei, così come testimoniato dai documenti dell’epoca: la mitragliatrice.

LA MITRAGLIATRICE

Le prime “mitraglie” avevano fatto la loro comparsa nel terzo quarto dell’Ottocento: i due modelli più riusciti furono l’americana Gatling (1862) e la mitrailleuse, nata in Francia negli stessi anni. Il ritmo di fuoco si otteneva moltiplicando il numero delle canne: dieci nella Gatling e fino a 37 in certe mitrailleuse. Nessuna delle due era una vera mitragliatrice, poiché in entrambe tutto dipendeva dalla velocità con cui l’operatore girava la manovella per sparare con la canna successiva, non esistendo ancora un meccanismo automatico che sfruttasse l’energia del rinculo per caricare e tirare un nuovo colpo. Tale sistema fu inventato dall’americano Hiram Maxim (1840-1916), che brevettò la sua arma nel 1882 e fabbricò il primo esemplare nel 1884.

Cannone Gatling statunitense: fu usato durante la guerra civile, ma l’esercito americano lo adottò soltanto nel 1866. In seguito fu adottato da molte nazioni europee, tra cui Russia e Gran Bretagna.

Mitrailleuse Montigny: cannone a 37 canne, di invenzione belga, adottato nel 1869 dall’esercito francese.

A sinistra l’americana Gardner a canna singola, a destra quella a due canne.
Dal 1880 fu usata su installazioni fisse a bordo delle navi militari inglesi.

Cannone mitragliatore Maxim Mark 3, tipico dell’epoca prebellica. Adottato dall’esercito inglese nel 1889, nel 1912 fu sostituito dalla Vickers, peraltro costruita sulle stesse basi del Maxim, come le mitragliatrici tedesche, austriache e russe.

Il cannone Maxim fu messo ampiamente alla prova dai principali eserciti europei nel 1887 e dagli Stati Uniti nel 1888. Successivamente ciascuna nazione produsse il proprio armamento, ma sempre in base al principio della mitraglia di Maxim. Tre furono fin dall’inizio gli scopi perseguiti:
- un efficiente meccanismo di carica e di espulsione
- cartucce affidabili
- l’eliminazione del surriscaldamento (quindi la necessità di raffreddare la singola canna).
La Hotchkiss, di produzione francese, funzionava con principi leggermente differenti: sfruttava per la ricarica i gas di scoppio di ciascun proiettile invece del rinculo, evitando così la camicia di raffreddamento ad acqua.
Nel 1814 l’esercito tedesco aveva circa 12.000 mitragliatrici, ossia da sei a dodici per ciascun reggimento. All’epoca erano armi troppo grosse e pesanti per poter essere usate da un singolo operatore: la Maschinengewehr 08 tedesca standard pesava 24,66 kg e con il carrello e l’acqua saliva a 32 kg.
Un ingegnere tedesco disegnò la mitragliatrice Schwatzlose, che fu adottata nel 1907 dall’esercito austroungarico: essendo composta di soli dieci pezzi principali era molto affidabile. Russi e italiani la usarono spesso, dopo averla presa al nemico.

Una mitragliatrice inglese Vickers da .303 pollici; funzionava con lo stesso principio della Maxim.

Una mitragliatrice Schwartzlose

L’ARTIGLIERIA

All’inizio della Prima guerra mondiale l’artiglieria da campo riscuoteva grande fiducia, di solito nella gamma da 75 a 85 mm. Come accadde per il cannone da campo francese da 75 mm (il soixante-quinze), che era stato realizzato negli anni novanta dell’Ottocento e aveva rappresentato un’autentica novità rivoluzionaria: il meccanismo idraulico del rinculo permetteva un fuoco preciso e rapidissimo, senza dover riposizionare il pezzo ad ogni tiro. Richiedeva un equipaggio di nove persone e un tiro da sei cavalli per trasportarlo insieme all’avantreno. Sulla Marna il cannone ebbe grande successo, sia come sostegno agli attacchi della fanteria, sia nel bloccare l’avanzata tedesca sparando scariche di shrapnel (un tipo di proiettile cavo, riempito di sfere di piombo o di acciaio, inventato dal britannico Henry Shrapnel nel 1784); non aveva però una potenza né una traiettoria tali da renderlo efficace contro le trincee.

Cannone francese da 75 millimetri.

Cannone tedesco da 77mm: usava proiettili con esplosivo ad alto potenziale.

Cannone da campo britannico da 18 libbre (calibro 83,7 mm)

Cannone britannico da 60 libbre (calibro 127mm): era il più grande cannone da campo britannico e doveva essere tirato da una squadra di cavalli robusti. Di notevole precisione, aveva una portata di 9,4 km. Nella foto lo si vede in azione a Gallipoli nel 1915.

La nascita della rete di trincee rese necessari, infatti, cannoni più pesanti e obici, ossia cannoni dalla canna corta, che sparavano bombe più grandi con traiettoria alta. All’inizio della guerra i grandi obici erano considerati pezzi da assedio, mentre per obiettivi come le stazioni ferroviarie o i ponti si usavano cannoni più leggeri. Con la guerra di trincea gli obici furono usati anche in campo aperto, situati in cavità o nelle retrovie. Una volta posizionati era molto difficile spostarli: l’obice da 9,2 pollici pesava 15 tonnellate e per smontarlo occorrevano 36 ore.
Si riteneva che l’uso prolungato di questi cannoni costituisse un contributo decisivo al successo della fanteria, perché saturava (riempiva di fumo, polvere, esplosioni) il sistema difensivo nemico: ciò era ritenuto più importante dell’effetto sorpresa.

Obice austriaco del 1914, custodito sul Monte Grappa

Obice britannico da 9,2 pollici, conservato a Canberra (Australia)

Tra i cannoni usati nei primi anni del conflitto è noto l’M42 tedesco, soprannominato “dicke Bertha” (la “grande Bertha”, dal nome della figlia maggiore del costruttore, della famiglia Krupp), o anche “fleissige Bertha” (Berta la zelante). Era un cannone molto potente: l’onda d’urto provocata da un suo sparo poteva infrangere i vetri delle case nel raggio di 3 chilometri. Venne usato fino alla battaglia di Verdun (1916), quando la sua gittata (circa 12 metri con proiettili da 400 kg) venne giudicata troppo corta e il cannone non fu più utilizzato.

La “grande Bertha” tedesca

Nel corso della guerra tre furono le novità più importanti introdotte nell’artiglieria. In primo luogo furono ideati vari cannoni e obici di medio peso: in passato la taglia massima era fissata da quanto poteva essere trainato da un tiro da cavalli, ma verso la fine della guerra i cavalli furono sostituiti dai trattori.
In secondo luogo nacque l’artiglieria mobile con il carro armato. Era la risposta al fatto che, quando il fuoco d’artiglieria sbaragliava le posizioni difensive, diventava in pratica impossibile spostare i pezzi sul campo di battaglia per ripetere l’operazione contro la successiva linea nemica.
La terza novità fu l’elaborazione di una nuova arma – il cannone ferroviario – quando divenne chiaro che l’uso dei pezzi medi e pesanti richiedeva troppe forze umane e troppe perdite: infatti le squadre di artiglieri, che potevano essere formate anche da 28 uomini, erano sempre soggette a un intenso fuoco di controbatteria. Alcuni cannoni ferroviari (quello britannico, quello tedesco o quello americano) erano armi standard montate su carri ferroviari, ma il modello più famoso (il cannone di Parigi con cui nel 1918 i tedeschi bombardarono la capitale francese) fu costruito appositamente.
L’impiego dei cannoni esigeva che gli ufficiali fossero ben istruiti nella scienza balistica e avessero molti strumenti per calcolare la giusta traiettoria del tiro. Ma nella concitazione della battaglia poteva accadere che le batterie perdessero il contatto con gli osservatori e spesso il fuoco colpiva i loro stessi compagni.

Un cannone ferroviario francese mentre viene mimetizzato (Belgio 1917)

MACCHINE BLINDATE

Le operazioni belliche in Belgio e nella Francia settentrionale durante le ultime fasi della “guerra lampo” furono caratterizzate da una frenetica mobilità. Sulle strade piatte delle Fiandre correvano anche automobili usate sia per ricognizione, sia per soccorrere i piloti di aerei abbattuti: i viaggi di tali automobili diventavano sempre più rischiosi, per questo si pensò di rivestirle di una improvvisata corazzatura in lamiera. Furono proprio i belgi a utilizzare per primi rudimentali forme di autoblindo. In seguito automobili di questo tipo furono ordinate alla Rolls-Royce, che provvide alla fabbricazione di veicoli dotati di una blindatura completa e una torretta girevole. Quando questi veicoli furono pronti, nel mese di dicembre, era però già finito il breve periodo di mobilità dei combattimenti e la guerra era divenuta “guerra di trincea”.

Auto blindata della Rolls-Royce

IL CARRO ARMATO

L’idea di un veicolo blindato capace di muoversi su qualunque terreno venne per prima alla marina britannica. Dopo l’uso delle autoblindo nei primi mesi di guerra, nel novembre 1914, quando il fronte si era stabilizzato, le autoblindo non furono più utilizzate, perché non potevano attraversare le trincee o il filo spinato; si cominciò allora a cercare possibili alternative. Al ministero della Guerra britannica erano scettici, ma il primo lord dell’ammiragliato, Winston Churchill, si interessò alla cosa e nel febbraio 1915 istituì una Commissione mezzi terrestri. Furono presi in considerazione molti progetti, uno per superare le trincee, uno per tagliare il filo spinato, un altro per trasportare le truppe oltre la “terra di nessuno”. Alcuni preferivano veicoli con grandi ruote, altri i cingoli usati per i trattori, e questi ultimi alla fine prevalsero.
Gli autori del progetto che fu poi realizzato erano Walter Wilson e William Tritton, delle officine meccaniche Fosters di Lincoln (Inghilterra). Il prototipo fu sperimentato il 2 febbraio 1916 e riuscì a superare una trincea di 3 metri e un ostacolo verticale alto 1,4 metri; i funzionari del governo e i pezzi grossi delle forze armate rimasero molto colpiti e ne furono ordinati cento esemplari. Era in sostanza il progetto che l’esercito britannico avrebbe usato per il resto della guerra e quindi il prototipo prese il nome di Mother; dalla “madre” derivò il Mark I, usato più tardi sulla Somme, che aveva due versioni, il “maschio” e la “femmina”. Il “maschio” era dotato di due cannoni navali da 6 libbre situati in semitorrette sporgenti ai lati del carro armato e quattro mitragliatrici; la “femmina” aveva sette mitragliatrici ed era stata ideata come protezione, nel timore che i “maschi” potessero essere bloccati da masse di fanti nemici.
Il Mark I aveva un equipaggio di otto persone: un ufficiale e il guidatore seduti davanti, un cannoniere e il compagno in ciascuna torretta e due addetti agli ingranaggi dell’albero motore connessi alle ruote dentate che permettevano ai cingoli di svoltare. Il motore era un Daimler da 105 hp progettato per i trattori. Dopo essere entrato in produzione a Lincoln, venne prodotto anche nella più grande Metropolitan Carriage Co. di Birmingham.

Il 30 giugno 1915 la marina britannica fece una dimostrazione con un trattore americano Killen-Strait equipaggiato sul davanti con tagliafili: il collaudo fu poco entusiasmante e dimostrò che non era quella la soluzione migliore.

Il prototipo presentato da Tritton e Wilson nel settembre 1915 e chiamato “Little Willie”, somigliava ai carri armati attuali, ma era molto limitato quanto a capacità di superare le trincee e nessuno lo prese in seria considerazione. Sopravvive come pezzo da museo.

Il prototipo del primo carro armato britannico, Mark I, detto Big Willie.

I militari erano ben decisi a far arrivare i carri armati sul fronte occidentale prendendo del tutto alla sprovvista i tedeschi. Perciò, sui corpi dei trattori (senza torrette né cannoni) caricati sui treni all’uscita dalla fabbrica, era posta la dicitura in russo “A Pietrogrado”, per fuorviare eventuali spie.

La foto ritrae un carro armato con la scritta in russo “A Pietrogrado”.

Nessuno sapeva bene che cosa aspettarsi dai nuovi carri armati, quando il 15 settembre 1916 ne furono inviati 50 sulla Somme: si sperava per lo più che travolgessero le mitragliatrici, schiacciassero il filo spinato e servissero da scudo per i fanti in avanzata sulla terra di nessuno. In realtà, circa un terzo dei carri armati si guastò e molti altri furono distrutti dall’artiglieria tedesca, ma quelli che continuarono a funzionare riuscirono a ricacciare indietro il nemico. Soprattutto, però, le nuove armi ebbero un effetto psicologico sensazionale: in un primo tempo i tedeschi si sentirono impotenti di fronte a quelli che sembravano “mostri” capaci di arrampicarsi sulle trincee e di sottoporli a un continuo mitragliamento trasversale.

Un Mark I “maschio” vicino a Thiepval (dipartimento della Somme, Piccardia) il 25 settembre 1916.

La guerra di trincea e gli insuccessi dei primi carri armati fecero capire che c’era bisogno sia di carri armati da battaglia capaci di sfondare le difese nemiche, sia di carri leggeri in grado di sfruttare la breccia. I britannici migliorarono il loro Mark I, ideando il Mark IV e poi il Mark V, che era un po’ più lungo, più adatto ad attraversare le trincee, e fu il primo carro armato con un solo guidatore. Rispetto al Mark I, il Mark IV aveva anche un radiatore migliore, un silenziatore e cingoli dalla presa più efficace, ma anche questi veicoli rimanevano spesso incagliati nelle trincee nemiche.

Un Mark IV con l’estensione dei cingoli posteriori

I carri pesanti francesi avevano un impiego limitato: il 16 aprile 1917 vennero usati 132 Schneider, 57 dei quali furono distrutti e molti altri subirono danni irreparabili. Nel maggio 1917 dei 16 St-Chamond usati, 15 rimasero incagliati nelle trincee, non essendo in grado di superarle. I francesi allora si concentrarono sul carro armato leggero Renault FT 17, che fu il più riuscito, tanto da essere usato anche dall’esercito americano. Anche se le sue prestazioni non erano eccezionali, aveva una torretta mobile con una singola mitragliatrice, che risultò particolarmente innovativa e a fine guerra ne erano stati fabbricati 4.000.

Un Renault FT 17 conservato al Museo del carro armato di Thun (Svizzera)

L’unico carro armato tedesco fu lo Sturmpanzerwagen A7V, che aveva un cannone principale da 57mm, sei mitragliatrici e 18 uomini di equipaggio. Era però lento, instabile e non superava il terreno accidentato o con buche profonde; fu perciò un insuccesso e se ne fabbricarono solo 15. I tedeschi preferivano i Mark IV presi al nemico.

Uno Sturmpanzerwagen A7V

Il carro armato leggero britannico, il Medium A, detto Whippet (il nome di una razza di cani da corsa), aveva il motore e i serbatoi di carburante nella parte anteriore, e dietro la torretta con tre mitragliatrici fisse. Tutti i primi modelli avevano problemi che ne limitavano l’efficacia; raggiungeva i 13,4 km/h il che ne faceva un velocista, a paragone degli altri carri armati della Grande Guerra.

Un carro armato britannico Medium A nel 1918

Infatti i carri pesanti erano limitati sia in velocità sia in autonomia, ma contemporaneamente i carri leggeri non riuscivano a superare le avversità del terreno ed erano vulnerabili al fuoco nemico. La visibilità era limitata e non c’erano radio per comunicare con gli altri carri o con le forze di appoggio; inoltre gli equipaggi uscivano stremati per il caldo, la mancanza di ventilazione e l’uso di caschi e protezioni, per ripararsi dalle schegge di metallo incandescente provocate dai proiettili che colpivano i veicoli.

Un Mark IV incagliato in una trincea tedesca vicino a Cambrai (Francia settentrionale).

Caschi per carristi della Prima guerra mondiale.

L’ARMAMENTO DA TRINCEA

Le trincee crearono esigenze nuove (e in gran parte impreviste da tutti gli eserciti belligeranti) in fatto di armi per il combattimento a distanza ravvicinata. Così tornarono in auge armi come il fuoco e le bombe a mano.
Il fuoco – creato accendendo un getto di benzina con una bomba incendiaria – fu usata per la prima volta nell’ottobre 1914 nella battaglia delle Argonne (Francia).
Il lanciafiamme, invece, fu usato per la prima volta il 26 febbraio 1915 dai tedeschi contro le posizioni francesi davanti a Verdun. Fu usato in modo concertato per la prima volta il 30 luglio 1915, contro gli inglesi a Hooge, nel saliente (= sporgenza verso il nemico) di Ypres, in un punto in cui le trincee erano a meno di 4,5 metri di distanza l’una dall’altra. Anche così da vicino le perdite maggiori si ebbero quando i fanti uscirono allo scoperto e furono attaccati dai nemici appostati, più che a causa del fuoco stesso. I lanciafiamme, del resto, potevano raggiungere la distanza massima di 18 metri, ma le linee del fronte erano situate per lo più a distanze maggiori, dunque la loro efficacia era limitata.

Soldati tedeschi si esercitano nell’uso del lanciafiamme. L’arma era dotata di liquido infiammabile sufficiente per due minuti di fuoco.

Notevole fu negli anni della Grande Guerra l’incremento dei mortai, pezzi di artiglieria ad avancarica, capaci di effettuare tiri con traiettoria molto curva a gittata relativamente corta. Nell’agosto 1914 solo i tedeschi avevano mortai (160 in tutto); nel 1918 gli inglesi ne avevano 3.022. Nella primavera 1916 i britannici usavano il mortaio leggero Stokes da 3 pollici, che poteva sparare 30 colpi al minuto, ma in un primo tempo fu usato solo con proiettili fumogeni. Nel maggio dello stesso anno gli inglesi introdussero un mortaio medio, capace di sparare un proiettile da 27 kg a 140 metri. Il mortaio pesante britannico, introdotto verso la fine del 1916, sparava un proiettile da 68 kg a 915 metri. Doveva sparare da una posizione di 7,5 m sotto il livello del suolo, e poteva sventrare una trincea di analoga profondità. L’equivalente tedesco era una versione da 90 kg con una portata di 550 metri. I mortai da trincea tedeschi erano detti Minenwerfer (lanciabombe) ed erano di tre misure: quelli più leggeri funzionavano con 6 serventi, quelli più pesanti con 21. I mortai sparavano proiettili ad alto potenziale, shrapnel, fumogeni e gas. Le granate più grandi si vedevano, perché venivano sparate a candela, con una traiettoria alta: la loro efficacia maggiore consisteva nel minare il morale delle truppe.

Caricamento di un Minenwerfer da 17 cm; un buon equipaggio poteva lanciare in un’ora 30-35 granate ad alto potenziale da 49,5 kg e ben 40-45 delle più leggere granate a gas.

La bomba a mano, sebbene usata su larga scala dagli alleati durante la guerra russo-giapponese del 1904-1905, fu adottata dalle forze tedesche soltanto nel 1914. Fino alla primavera del 1915 i britannici non ne avevano quasi nessuna e spesso le loro Mills Mark II esplodevano in mano al soldato che le tirava. Solo nel 1916, con le Mark III, gli incidenti divennero una rarità, un caso su 20.000. In Gran Bretagna furono fabbricati in tutto 75 milioni di bombe a mano; fu predisposta anche una prolunga (detta tromboncino) per poterle sparare con un fucile. Le bombe a mano acquistarono una tale importanza che i loro ordini di rifornimento avevano la precedenza su quelli per le munizioni da fucili.

Una bomba a mano Mills del 1916: lo spaccato permette di vederne il funzionamento

Le prime bombe a mano erano corredate da strisce di stoffa, paracadute o propulsori, per far sì che toccassero terra (e quindi esplodessero) con la parte della spoletta; quelle fabbricate a mano, dovevano essere accese prima del lancio. Col tempo assunsero varie forme: di limone, lampadina, mela candita e perfino disco. Fra le bombe a percussione, che esplodevano all’impatto, c’erano la francese P1 e la tedesca “a disco” o “tartaruga”, che esplodeva qualunque fosse la parte che urtava il terreno. Gli alleati preferivano le bombe a forma di ananas, che esplodendo producevano la massima quantità di schegge. In tutti i modelli il problema maggiore era la miccia: la franco-italiana Besozzi aveva una miccia semplice intinta nel fosforo, che si accendeva come un fiammifero. Gli inglesi preferivano le Mills, con una leva che si doveva tenere stretta alla bomba: lasciando la presa, si accendeva la miccia da 5 secondi.

Vari tipi di bombe a mano della Prima guerra mondiale, conservati al Museo Gilles Login 
di Marigny-en-Orxois (Francia)

Nelle trincee vennero usate pistole di tutti i tipi, ma uno scopo particolare era quello delle pistole lanciarazzi: i razzi venivano sparati verso l’alto per mandare un segnale prestabilito, spesso usando colori diversi. Alcuni razzi erano dotati di un paracadute, che rallentava la discesa. I razzi luminosi si usavano per illuminare la terra di nessuno, rivelando i movimenti del nemico.
Nei combattimenti corpo a corpo si usarono anche armi di forme medievali, come le mazze chiodate inglesi o i bastoni metallici tedeschi. Le mazze, spesso fabbricate dai soldati stessi, si dimostravano utili soprattutto per le incursioni e le ronde notturne delle trincee.
La terra di nessuno tra due trincee nemiche era una distesa di filo spinato, perciò tra gli strumenti di vitale importanza del soldato vi era la pinza tagliafili. Spesso, prima di un attacco, alcune squadre venivano mandate a tagliare i fili con il favore delle tenebre; ciò nonostante era frequente che durante l’attacco i soldati restassero intrappolati nei grovigli di filo spinato e diventassero un facile bersaglio per il nemico. Le pinze tagliafili – magari montate sulla canna del fucile – potevano salvare una vita.

Vari tipi di mazze tedesche usate nella Prima guerra mondiale

Fanti tedeschi si apprestano a srotolare una massa di filo spinato (1916)

Pinze tagliafili e ferro spinato della Grande Guerra, inglese (a sinistra), tedesco (a destra)

I GAS ASFISSIANTI

La sera del 22 aprile 1915 a Ypres (Belgio) la IV armata tedesca cominciò l’attacco al settore francese, utilizzando una nuova arma: il gas asfissiante. Dopo un breve ma intenso bombardamento, due unità tedesche partirono all’attacco precedute da una nube di gas al cloro, fuoriuscita da 5.730 bombole. I francesi, senza alcuna protezione, si ritirarono in fretta, ma i tedeschi non seppero sfruttare appieno l’occasione, anche perché la fanteria non voleva seguire troppo da vicino la nube di gas. Anche se in quell’occasione il gas si era dimostrato efficace, i belligeranti scoprirono in seguito che c’era sempre il rischio che il vento rivolgesse la nube di gas dalla parte di coloro che l’avevano provocata.

Soldati francesi uccisi dal gas a Ypres (1915)

Dopo quella prima terribile volta entrambe le parti cominciarono a usare vari tipi di gas, compreso il fosgene, una sostanza insidiosa il cui effetto si manifestava 24 ore dopo. Tutti questi gas uccidevano per asfissia dopo giorni di sofferenze, ma quello che faceva più vittime era l’iprite. Provocava una degenerazione dei tessuti interni ed esterni del corpo: la pelle si copriva di vesciche e la mucosa bronchiale si staccava. Il dolore era quasi insopportabile e poteva continuare anche per quaranta giorni. Era difficile bloccare l’effetto del gas e i sopravvissuti rimanevano segnati a vita.
Entrambi i contendenti adottarono nel 1916 delle granate contenenti gas liquido, che evaporava all’impatto: era un mezzo molto più efficace delle bombole, per far arrivare il gas sulle postazioni nemiche.

Un’arma per lanciare granate al gas contro il nemico

Al primo segnale di gas i soldati dovevano suonare dei fischietti e delle raganelle per lanciare l’allarme e dovevano indossare immediatamente quanto era previsto in questi casi.
In un primo tempo per proteggersi i soldati a Ypres usarono fazzoletti o asciugamani imbevuti d’acqua o di urina: tre giorni dopo al fronte furono spediti in tutta fretta tamponi impregnati di bicarbonato di soda. Nei mesi seguenti si usarono tamponi di garza, impregnati di una soluzione di iposolfito e con un lembo per coprire gli occhi, che si fissavano con delle fettucce. Poi gli alleati elaborarono protezioni più complesse; verso la fine del 1917 divenne parte dell’equipaggiamento regolare inglese la maschera a cassetta, con filtri a carbone o antidoti chimici per neutralizzare i gas; ma gli antidoti erano efficaci solo per mezz’ora, dopo di che bisognava cambiare il filtro: un procedimento che poteva essere fatale.
Altre maschere antigas comprendevano un tubo metallico con la punta di gomma, che si teneva fra i denti per espirare. I tedeschi fabbricarono una maschera con un filtro cilindrico avvitato.

Fucilieri scozzesi (i Cameronians) pronti a entrare in azione nel 1915, con le prime maschere antigas, semplici occhiali e tamponi di garza, ben poco efficaci contro il cloro e il fosgene.

I SOTTOMARINI

La Prima guerra mondiale non si combatté solo nel fango delle trincee, ma anche in mare e in aria.
L’impiego di sommergibili (che erano stati pensati ben prima della Grande Guerra) divenne preponderante proprio con il conflitto del 1914-1918, soprattutto per l’impiego che ne fece la marina tedesca al fine di combattere l’Inghilterra dove era fortissima e per aggirare il blocco navale alleato imposto dalla supremazia navale britannica. I sommergibili tedeschi erano chiamati U-boot, abbreviazione di Unterseeboot, letteralmente “battello sottomarino”.

U-boot di tipo UBIII e UCII nel porto della città tedesca di Kiel nel 1917

Durante la Prima guerra mondiale i sommergibili trascorrevano ben poco tempo sott’acqua: immergersi era una manovra complessa, a cui si ricorreva solo per lanciare un siluro o per mettersi in salvo. Sott’acqua gli U-boot usavano motori elettrici azionati da una serie di enormi batterie ricaricabili, e non i motori diesel con cui navigavano in superficie: perciò erano più lenti e limitavano le immersioni, con le quali esaurivano anche le riserve d’aria.

Sommergibile tedesco in emersione nel 1916 nel Mare del Nord

Nel 1914 la marina tedesca aveva due tipi di sommergibili: i piccoli scafi di classe UB1 e quelli a più lunga portata per il pattugliamento oceanico delle classi U5 e U19, il tipo Mittel-U. I primi non potevano superare una velocità di 7 nodi e mezzo (un po’ meno di 14 km all’ora), erano dotati di due lanciasiluri da 450mm e 14 uomini di equipaggio. I secondi in superficie toccavano i 14 nodi (quasi 26 km/h) e gli 8 nodi in immersione, ed erano muniti di 4 lanciasiluri e un cannone da 51mm, con 28 uomini di equipaggio. Sebbene fossero l’arma più temibile degli U-boot, i siluri erano inefficaci oltre gli 800 metri di profondità. Un solo tiro, comunque, poteva affondare un incrociatore, ma più difficilmente una nave mercantile, che aveva meno pescaggio.
Nel corso della guerra nacque una terza classe di sottomarini posamine. La flotta fu migliorata, al punto che alla fine della guerra i sommergibili costieri tedeschi avevano più o meno le stesse caratteristiche di quelli da pattuglia del 1914. Nelle ultime fasi del conflitto gli U-boot da pattuglia riuscivano ad arrivare alle coste nordamericane.

Un’illustrazione raffigurante l’affondamento della nave-ospedale Anglia, ad opera di una mina tedesca il 17 novembre 1915

I siluri provocarono agli alleati alcuni fra i più gravi naufragi della guerra, compreso quello del Lusitania, un transatlantico della Cunard, nel 1915. Erano però un’arma costosa e contro i mercantili era più pratico usare i cannoni, oppure salire a bordo della nave e minarla con l’esplosivo, per farla affondare.

Un siluro viene caricato a bordo di un sottomarino (1918 circa)

La Gran Bretagna rispose agli attacchi dei sommergibili tedeschi con le navi Q, ben armate e camuffate da mercantili, per attirare gli U-boot in uno scontro. Nel 1917, con la ripresa della guerra senza restrizioni, i sottomarini tedeschi arrivarono quasi a spezzare la resistenza degli alleati, ma la Gran Bretagna poté disporre di sufficienti forniture mercantili, nonostante le perdite crescenti.

Una Q ship inglese

Gli inglesi, inoltre, pensarono di confondere i tedeschi ricorrendo alla mimetizzazione delle loro navi. Le prime proposte per mimetizzare le navi consistevano nel dipingere lo scafo in modo da renderlo invisibile sullo sfondo del mare, del cielo e dell’orizzonte: si scoprì che con questa tecnica era possibile trarre in inganno i mezzi convenzionali di avvistamento, ma non il periscopio degli U-boot, che riusciva a individuare dal profilo la nave mimetizzata. Nacque allora l’idea di creare un motivo disegnato, capace di creare un’illusione ottica che impedisse, o quasi, di seguire con precisione la rotta della nave, e che quindi rendesse difficile stimare il bersaglio da colpire. Verso la fine del 1917 si era avviata la mimetizzazione illusionistica dell’intera flotta mercantile britannica e di alcune navi da guerra.

La nave civetta britannica Underwing mimetizzata a strisce bianche e nere ad angolo, che creano una percezione distorta.

DIRIGIBILI E AEROPLANI

Allo scoppio della guerra tutti gli Stati belligeranti possedevano qualche tipo di arma aerea, ma furono proprio le necessità del conflitto a far fare all’aeronautica militare rapidi progressi: i caccia del 1918 erano del tutto diversi da quelli del 1915.
Ogni Paese possedeva qualche modello di dirigibile (in sostanza palloni aerostatici a motore), usati di solito per compiti di vigilanza e di ricognizione. Gli Zeppelin tedeschi, a telaio rigido, erano i migliori ed erano considerati ideali per i bombardamenti a lungo raggio. Erano in grado di salire rapidamente a un’altitudine inaccessibile a quasi tutti i caccia e avevano una portata e una capacità di trasporto di bombe molto superiori a quelle degli aerei. Erano però vulnerabili ai tiri da terra, dipendevano dalle condizioni meteorologiche e, quando furono migliorati i caccia e i traccianti entrarono in uso, divennero evidenti i rischi di volare su un bersaglio lento e sotto un’enorme sacca di gas infiammabile. Tuttavia gli Zeppelin avevano una resistenza eccezionale: nel 1917, nel tentativo (fallito) di rifornire le forze tedesche in Africa orientale, l’L59 percorse oltre 6.400 km in 95 ore.

Uno Zeppelin

Il predominio dei cieli passò nel corso del conflitto più volte da uno Stato all’altro e ogni Paese dedicò ampie somme alla creazione di nuovi e sempre più efficienti aeroplani. Ecco un elenco dei principali aerei usati nella Prima guerra mondiale:

Rumpler Taube: realizzato nel 1910, questo aereo allo scoppio della guerra era già un pezzo da museo, ma tedeschi e austriaci nei primi mesi del conflitto lo usarono per la ricognizione; uno di essi volò persino su Parigi, lasciando cadere volantini e bombe. Sul fronte orientale ebbero un ruolo primario nella campagna di Tannenberg, fornendo notizie sui movimenti delle forze russe.

Un Rumpler Taube dalla caratteristica forma (Taube significa colomba)

Spad XIII: un robusto monoposto francese con due mitragliatrici Vickers sincronizzate, usato volentieri da tutti gli aviatori alleati. Nel corso della guerra ne vennero costruiti 8.472 esemplari e gli ordini per altri 10.000 vennero annullati con l’armistizio. Raggiungeva i 222 km/h a 2.400 metri di altitudine.

Un modello di Spad XIII

Albatros DIII: potente biplano usato dalla Germania e dall’Austria-Ungheria, munito di due mitragliatrici Spandau, in uso dal gennaio 1917 fino all’armistizio. A livello del mare arrivava al massimo a 175 km/h. Venne usato da molti piloti famosi, tra cui Manfred von Richthofen, soprannominato “Barone rosso”.

Un Albatros DIII dell’epoca

Fokker Eindecker: monoplano tedesco prodotto dall’ingegner Anthony Fokker in diverse versioni, la più famosa delle quali fu l’EIII. Questo aereo, che nel 1915 avviò la fase detta “flagello Fokker”, era famoso soprattutto perché era dotato del primo dispositivo di sincronizzazione delle mitragliatrici, che permetteva al pilota di sparare attraverso l’elica senza danneggiarla.

Un Fokker Eindecker EIII

Fokker Dr1: triplano tedesco dalla particolare configurazione alare, utilizzato dal 1917 fino alle ultime fasi della guerra. Si alzava velocemente ed era facilmente manovrabile, ma non superava i 165 km/h. rivelò dei difetti strutturali e non ne furono prodotti molti esemplari; fu anch’esso usato dal famoso “Barone rosso”.

Un modello di Fokker Dr1

Nieuport 17: biplano monomotore francese, prodotto dal 1916 e impiegato sia dall’aeronautica francese, sia da quella inglese. Era armato con una mitragliatrice Vickers, raggiungeva i 177 km/h e raggiungeva un’altitudine di 5.300 metri. Inizialmente si rivelò assai efficace nelle operazioni di guerra, tanto che se un esemplare veniva catturato dai tedeschi, questi ne studiavano attentamente il funzionamento, per applicarlo ai propri aerei. Fu il primo aereo a essere dotato di razzi aria-aria.

Un Nieuport 17 (fotografato nell’aprile 1917)

Sopwith Camel: caccia biplano inglese, che ha al suo attivo il maggior numero di “prede” colpite durante la Grande Guerra: 1.294. Nelle mani di piloti esperti aveva la peculiarità della brusca virata a destra, che poteva mandare l’aereo in vite e diventare così un asso nella manica; molti piloti inesperti, invece, precipitarono proprio a causa di questa caratteristica.

Un modello di Sopwith Camel

SE5A: caccia biplano inglese veloce e fidato, che a livello del mare arrivava a 221 km/h. Aveva una Vickers montata sul muso e una Lewis sull’ala, in modo da sparare agli aerei nemici dal basso; fu uno dei più importanti aerei della Prima guerra mondiale, pur entrando in servizio solo nel marzo 1917.

Un SE5A del 1918

I primi bombardieri aerei nacquero dall’adattamento di aerei da ricognizione biposto; le prime bombe erano granate da artiglieria, che venivano fatte cadere dalla cabina sperando che centrassero il bersaglio. I primi bombardieri non erano in grado di sganciare un carico di bombe rilevante; per questo, anche se durante la guerra furono fatti grandi progressi, il bombardiere rimase un’arma secondaria, apprezzata più per l’impatto psicologico sul nemico, che per le capacità di distruzione. Fin dall’ottobre-novembre 1914 la RNAS (l’aviazione della marina britannica), operante in Belgio, organizzò bombardamenti sulla base degli Zeppelin a Friedrichshafen: trattandosi di obiettivi infiammabili e di grandi dimensioni, i bombardamenti furono un successo.
Nel 1915 erano in azione veri e propri bombardieri, tutti biplani, in Russia (Sikorskij), in Italia (Caproni, i primi e fra i migliori) e in Germania (Gotha bimotori). Il primo bombardiere inglese, l’Handley-Page O/100, decollò nel dicembre 1915.

Gabriele D’Annunzio (al centro) con una squadriglia di piloti davanti al leggendario Caproni CA 2378: il poeta usò un Caproni per bombardare le linee austriache sull’Isonzo.

Ma i bombardamenti aerei continuarono a essere operazioni marginali fino al 1917, quando furono prodotti numerosi apparecchi più specializzati e più potenti. Erano gli aerei R (Riesenflugzeug, che significa “aerei giganti”), in particolare la serie Zeppelin-Staaken, con due piloti in cabina, ciascuno con una cloche simile a un timone di nave (come nei dirigibili) e gondole per il motore con i compartimenti per i motoristi di bordo. Nel 1918 la nuova RAF (la Royal Air Force britannica, istituita il 1° aprile) cominciò i bombardamenti strategici di obiettivi industriali e stazioni ferroviarie, con aerei equipaggiati con un carico di circa 900 kg di bombe. Il gigantesco bombardiere Zeppelin-Staaken RVI, che fu usato per incursioni notturne su Londra, portava un carico di 2.000 kg.

Bombardamento del quartiere di St. John’s Wood (nord-ovest di Londra) nel 1918.





6 commenti:

  1. Sarebbe stato utile di sapere qualcosa dei fucili e pistole in uso.

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  2. Sarebbe stato bello conoscere e vedere immagini dell'accenditore strazza speroni . solo il sito talpo ha una immagine ma furono fatti 4 esemplari

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  3. noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

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