L’odio per gli ebrei fu una
componente fondamentale della dottrina nazista e fu presente anche negli altri
fascismi europei. L’antisemitismo, del resto, era un fenomeno antico.
Alla fine del XIX secolo in
Francia al tradizionale antisemitismo cattolico, fondato sull’odio per il
popolo “deicida” (in quanto aveva condannato a crocifissione Gesù Cristo), si
erano aggiunti un antisemitismo socialista (contrario al capitalismo) e un
antisemitismo apertamente razzista.
Nei territori imperiali austriaco
e tedesco e nel mondo slavo (Impero russo compreso) la situazione non era molto
diversa: all’antisemitismo cristiano di origine medievale e a quello razzista,
si era aggiunta una forma di nazionalismo, nata nell’ultimo trentennio del XIX
secolo, detta Völkisch,
dal termine tedesco Volk, che significa non solo “popolo”, ma anche “nazione” e
“stirpe”.
Manifesto per un movimento ideologico dello scrittore Ludwig Fahrenkrog
(il Germanische Glaubens Gemeinschaft = Comunità di Fede Germanica) vicino al Völkisch:
si noti il simbolo della svastica
Il movimento Völkisch era impregnato più di razzismo “spiritualista”
(per cui un popolo è superiore a un altro per cultura, valori, visione del
mondo), che di razzismo “biologicista” (che comunque c’era e distingueva da un
punto di vista biologico tra singoli individui, popoli e persino sessi). Era inoltre
un movimento che rigettava l’assimilazione, la mescolanza tra i popoli, anzi,
che invitava a far di tutto per impedirla, e propugnava insieme l’antisemitismo,
l’antislavismo e l’antifemminismo. Per questo movimento, che si accrebbe in
seguito agli sconvolgimenti della Prima guerra mondiale, gli ebrei divennero i
capri espiatori di tutte le difficoltà della Germania: per esso gli ebrei simboleggiavano
la modernità, il capitalismo, l’espansione urbana, la distruzione della cultura
e della società tradizionali.
Questo antisemitismo esercitò una
notevole influenza in quei partiti politici di destra che si affermarono all’inizio
del Novecento e di conseguenza su Hitler, che aderì a uno di tali partiti;
Hitler vedeva negli ebrei il principio di ogni male, perché secondo lui avevano
corrotto la purezza razziale dei tedeschi (gli “ariani”) e avevano distrutto la
cultura germanica.
Hitler e altri capi del Partito nazionalsocialista a Monaco nel 1930
Quando Hitler salì al potere
(1933), la Germania si trovò perciò guidata da un gruppo di politici fieramente
antisemiti: già nel marzo del 1933 il governo nazista sosteneva il boicottaggio
contro negozi, grandi magazzini, studi legali e altre attività economiche
ebraiche. In aprile venne varata una legge che cacciò tutti i funzionari, gli
impiegati e gli operai ebrei dalle istituzioni statali (ministeri, comuni,
teatri pubblici, ospedali, farmacie comunali).
Era considerato ebreo chiunque
dicesse di esserlo, o – in caso di non ammissione – chiunque avesse avuto
almeno tre nonni di religione ebraica: secondo un censimento del 1933 le
persone di religione ebraica erano lo 0,77% dell’intera popolazione.
Sfilata di miliziani delle SA per le vie di Berlino con cartelli che
invitano al boicottaggio dei negozi e delle imprese degli ebrei (aprile 1933)
La propaganda antisemita dovette
procedere per gradi, perché non voleva compromettere gli affari degli ariani e perché
ci voleva tempo per istigare la maggioranza della popolazione tedesca contro la
minoranza ebraica: vennero diffusi scritti antisemiti e venne preparata una
speciale letteratura antisemita per i bambini delle scuole elementari.
Questi ed altri provvedimenti
provocarono una fuga in massa soprattutto di coloro che esercitavano
professioni da cui furono estromessi: presso le università, gli istituti
superiori di studio e di ricerca, i teatri, gli ospedali, la stampa, l’editoria,
gli ambiti giudiziari (magistrati, pubblici ministeri e avvocati).
Nel 1935 gli ebrei furono
dichiarati «non degni di
portare le armi» (cioè di lavorare nell’esercito) e poi si stabilì che tutti
gli ebrei senza eccezione sarebbero stati considerati cittadini di seconda
classe. A seguito di queste leggi vennero progressivamente emanate delle
disposizioni, fino a quella del 1941 che privò completamente della cittadinanza
gli ebrei tedeschi, relegati nei ghetti, deportati nei campi di annientamento e
espropriati del loro patrimonio.
Le SS scortano una lunga fila di ebrei verso un campo di concentramento
nel 1934 a Berlino
Nel frattempo l’antisemitismo si diffondeva nei territori
conquistati dalla Germania: in Austria gli ebrei vennero vessati in tutti i
modi e alcuni di essi furono deportati nel campo di concentramento di Dachau,
per spingere gli altri a darsi alla fuga oltre confine.
In Germania vennero organizzati pogrom, come quello della «notte
dei cristalli» (9-10 novembre 1938); 26.000 ebrei di sesso maschile vennero
deportati in vari campi di concentramento, dove molti morirono in seguito a
torture fisiche e psichiche, a malattie e alla mancanza di cure mediche
adeguate. La maggioranza dei superstiti venne rilasciata dopo settimane o mesi
di prigionia, in cambio dell’impegno scritto a espatriare immediatamente.
Vetrine infrante
in seguito alla “notte dei cristalli”
Una serie di decreti antisemiti venne emanata nel tempo:
negozi e aziende artigianali di proprietà o gestite da ebrei furono costretti a
chiudere, e i loro proprietari, impiegati e operai perdettero il lavoro. Ai bambini
ebrei fu vietato frequentare la scuola pubblica. Vennero limitati il diritto di
spostarsi liberamente all’interno del territorio tedesco e quello di risiedere
dove si voleva. Talvolta fu imposto agli ebrei di vendere le proprietà (negozi,
aziende, beni immobili), talaltra fu vietata la vendita dei patrimoni personali
(preziosi, gioielli, oggetti d’arte e così via). Venne loro proibito l’accesso
ad alcune zone metropolitane (come strade e piazze del centro di Berlino) e
venne loro inibito l’esercizio delle professioni di ostetrico, dentista,
medico, veterinario, farmacista, terapista e infermiere.
Nel 1939 si adottarono misure per favorire l’emigrazione
degli ebrei: i più giovani abbandonarono il territorio del Reich, mentre molti
dei più anziani non accettarono di venir sradicati dalla Germania. Nel censimento
di quell’anno gli ebrei (compresi quelli con un solo genitore ebreo)
risultarono essere lo 0,35% della popolazione. Allo scoppio della Seconda
guerra mondiale in Germania vi erano ancora 190.000 ebrei: le possibilità di
espatrio a quel punto furono estremamente esigue.
Con l’inizio della guerra le misure antisemite vennero
rafforzate: agli ebrei fu imposto uno specifico coprifuoco, che impediva loro
di uscire dalle abitazioni per una parte del giorno. Il razionamento alimentare
metteva a loro disposizione generi in quantità minore rispetto alla popolazione
ariana e alcune merci (come l’abbigliamento e i tessuti) furono loro
interdette; quindi fu loro imposta la consegna degli apparecchi radio che
possedevano.
Nel 1939 cominciarono anche le prime deportazioni dall’Austria
e dalla Cecoslovacchia (territori annessi alla Germania) verso la Polonia
occupata e da alcune regioni tedesche verso la Francia di Vichy.
L’occupazione polacca fece insorgere un nuovo problema, in
quanto in Polonia vivevano 2-3 milioni di ebrei: si decise di rinchiuderli in
ghetti nelle maggiori città, con l’intento poi di trasferirli ancora più a
oriente, giacché Hitler considerava come imminente l’allargamento a est dei
confini tedeschi. Tra il 1939 e il 1940 vennero istituiti in Polonia circa 400
ghetti: la ghettizzazione fu accompagnata da stragi e condotta con metodi
brutali, che provocarono migliaia di morti, per mano delle cosiddette Einsatzgruppen (= gruppi operativi).
Nel ghetto di
Varsavia si potevano verificare scene come questa: una persona crolla a terra
per strada, vinta dalla denutrizione
Con l’inizio dell’operazione
Barbarossa (l’invasione della Russia, giugno 1941) le Einsatzgruppen operarono massacri indiscriminati di ebrei, zingari,
militanti comunisti e soldati russi fatti prigionieri, come quello di Babij
Jar, in Ucraina, che costò la vita a 30.000 ebrei di Kiev.
Complessivamente le quattro Einsatzgruppen attive sul fronte
orientale uccisero da 1 milione a 1,5 milioni di persone, in grande maggioranza
ebrei. Inizialmente le vittime venivano fucilate in massa nei pressi di cave,
miniere, fosse o gigantesche buche, spesso scavate dai prigionieri stessi. Ma l’eliminazione
sistematica, in particolare di donne e bambini, ebbe conseguenze sullo stato di
salute psichica dei carnefici: molti manifestarono segni di disagio, che si
espressero attraverso la diffusione dell’alcolismo, disturbi psicosomatici e
crolli psicologici. Perciò nell’agosto 1941 si decise di mettere a disposizione
di questi “gruppi operativi” un nuovo metodo di sterminio, che era già stato
sperimentato in Germania per la soppressione di malati mentali, malati
incurabili, anziani ospedalizzati cronici, portatori di gravi handicap fisici o
psichici: questo metodo consisteva in camere a gas mobili montate su autocarri,
che utilizzavano i gas di scarico delle stesse vetture.
Un’esecuzione di ebrei da parte di una Einsatzgruppe in Ucraina nell’estate-autunno del 1941
L’occupazione dei territori russi
da parte della Wehrmacht portò alla creazione di nuovi ghetti: a Minsk, a
Kaunas (in Lituania), a Vilnius, a Riga. Molti dei ghetti creati nei territori
sovietici ebbero vita breve e così avvenne con altri ghetti in Polonia, che
furono sottoposti a durissimi rastrellamenti: centinaia di migliaia di ebrei
vennero trasportati verso i campi di sterminio appositamente allestiti
(Treblinka, Belzec, Sobibor, Majdanek). Era già cominciata l’era della «soluzione finale», il termine
usato nel linguaggio burocratico del Terzo Reich per indicare lo sterminio di
massa degli ebrei d’Europa.
Il 20 gennaio 1942 si tenne la conferenza di Wannsee, in cui
il capo della polizia politica tedesca Reinhard Heydrich comunicò ai
partecipanti di aver «ricevuto l’incarico di preparare la soluzione definitiva
della questione ebraica»; tale conferenza non decise lo sterminio degli ebrei,
ma lo coordinò e lo estese a quelle aree dell’Europa occidentale e meridionale
che fino ad allora erano state risparmiate. In effetti lo sterminio ebraico era
in atto già da mesi.
Un ritratto di
Reinhard Heydrich, uno dei più potenti gerarchi nazisti; venne ucciso nel 1942
(pochi mesi dopo la Conferenza di Wannsee) da partigiani cecoslovacchi
Nell’ottobre 1941 era stata decisa la costruzione in
territorio polacco di sei lager di nuovo tipo (Vernichtungslager, cioè campo di sterminio, o di annientamento),
destinati all’eliminazione totale di masse enormi di esseri umani.
Sebbene le autorità naziste li chiamassero ancora “campi di
concentramento”, la storiografia successiva ha preferito chiamarli “campi di
sterminio”: la loro stessa architettura, che prevedeva spazi limitati per l’accoglienza
dei deportati, rivelava la fine a cui era destinata la quasi totalità dei
prigionieri.
Il 3 settembre 1941 nel campo di Auschwitz venne provata per
la prima volta su 600 deportati, in gran parte prigionieri di guerra sovietici,
l’efficacia dei cristalli di acido prussico (il famigerato Zyklon B) per la
gassazione degli internati.
Numerosi campi di sterminio vennero costruiti in molti
luoghi dell’Europa orientale e rimasero in attività fino al novembre del 1944,
anche se in maggioranza vennero chiusi alla fine del 1943. Diversamente da
quanto accadeva con i campi di concentramento, la cui esistenza era nota, anche
per scoraggiare gli oppositori al regime nazista, per i campi di sterminio le
autorità si sforzarono di mantenere la massima segretezza; ma la popolazione
civile che risiedeva nei pressi di tali campi aveva sufficienti informazioni
per comprendere quello che vi avveniva.
Deportati ebrei in
un lager dell'est europeo (1942)
Lo scopo e il funzionamento dei campi di concentramento era
in parte diverso da quello dei campi di annientamento. Al loro arrivo in
alcuni dei campi di concentramento, i prigionieri subivano una prima selezione:
solo gli uomini e le donne giovani e dall’aspetto sano (circa il 25% ad
Auschwitz, il più noto dei lager) venivano inviati al lavoro. Gli altri,
anziani, malati, bambini, venivano immediatamente eliminati nelle camere a gas.
Ai prigionieri che non venivano
eliminati subito veniva tatuato sull’avambraccio un numero, che diventava il
loro nuovo nome: durante gli appelli al mattino e alla sera, i prigionieri
venivano chiamati con quel numero, naturalmente in tedesco, che i detenuti
dovevano imparare in fretta per evitare maltrattamenti, se non rispondevano
subito. Quindi gli internati venivano obbligati a diversi lavori da svolgere
nel campo o nelle fabbriche vicine. Nel corso della guerra infatti le industrie
tedesche, in particolare quelle belliche, avevano un bisogno crescente di manodopera,
perché gli uomini validi erano in larga maggioranza al fronte. Perciò in tutti
i lager i prigionieri erano costretti a lavorare come schiavi, con orari e
ritmi massacranti e sotto il controllo ferreo delle SS o dei kapò, che erano
dei prigionieri a cui si dava il controllo delle varie baracche: poiché
venivano scelti tra coloro che più si dimostravano obbedienti e poiché il loro
compito dava ad essi qualche privilegio in più rispetto agli altri prigionieri,
i kapò spesso si comportavano ancor più crudelmente dei tedeschi con le persone
rinchiuse nei lager.
Un kapo ebreo del lager di Salaspils (Lettonia)
Il lavoro nei lager costava
pochissimo agli industriali (dovevano pagare solo una quota per prigioniero
alle SS), che così traevano notevoli guadagni da quella manodopera sfruttata
fino all’esaurimento delle forze: poi i prigionieri che non erano più in grado
di lavorare, per le malattie e il deperimento, venivano eliminati nelle camere
a gas e sostituiti con nuovi prigionieri. La vita media di un prigioniero in lager
era inferiore a un anno, perché l’alimentazione era insufficiente, i ritmi di
lavoro massacranti, gli abiti troppo leggeri per riparare dal freddo intenso
dei mesi invernali, le condizioni igieniche disastrose: i prigionieri spesso
dormivano in due o tre per letto e non avevano sapone per lavarsi. Fatica,
freddo, fame, malattie portavano rapidamente alla morte.
Un medico americano osserva i forni crematori del lager di Buchenwald
(aprile 1945)
In molti lager i prigionieri
vennero usati come cavie per esperimenti scientifici. Medici tedeschi (tra cui
il famigerato dottor Mengele) studiarono ad esempio farmaci e vaccini o lo
sviluppo di alcune malattie, iniettando i batteri nel sangue dei prigionieri,
oppure la resistenza del corpo e la durata dell’agonia in condizioni estreme
(immersione in acqua gelata, mancanza di ossigeno e così via; a Dachau si
costruì una camera a vuoto, in cui i prigionieri venivano gettati da grande
altezza, per verificare gli effetti sul corpo umano dopo una caduta di molti
metri). Altri prigionieri vennero usati per studiare il trapianto di tessuti da
un corpo all’altro.
I prigionieri usati come cavie
quasi sempre morivano durante l’esperimento, oppure per le sue conseguenze.
Altrimenti venivano di solito eliminati, perché i tedeschi non volevano
lasciare testimonianze di questi esperimenti.
Il dottor Klein medico di Bergen Belsen tra i corpi dei cadaveri del
lager
Quando i tedeschi dovettero
abbandonare i campi di fronte all’avanzata russa (il campo di Auschwitz fu
liberato dall’Armata Rossa il 27 gennaio 1945, giorno che è stato scelto per la
celebrazione della Giornata della Memoria,
a ricordo degli orrori compiuti nei lager), essi cercarono di distruggere tutti
i documenti e i campi stessi, in modo da non lasciare tracce delle stragi
compiute. I prigionieri vennero eliminati o trasferiti in altri campi con
grandi marce, in cui morirono a decine di migliaia. È perciò difficile calcolare con precisione il numero
complessivo delle vittime dei lager, di concentramento e di sterminio.
Complessivamente si calcola che vi morirono da quattro a otto milioni di
persone, in prevalenza ebrei:
dettagliate ricerche hanno fornito la certezza che la cifra oscilla tra un
minimo di 5.290.000 e un massimo di poco più di 6.000.000 di individui.
Se in grande maggioranza le vittime furono ebree, nei lager
morirono anche soldati polacchi o russi presi prigionieri, oppositori e
partigiani di diverse nazionalità, zingari, omosessuali, testimoni di Geova e
criminali comuni.
Grafico didattico per SS con i diversi simboli usati per distinguere i
detenuti nei lager
Va infine ricordato che tutto
questo non poté avvenire senza la zelante partecipazione delle burocrazie dei
Paesi occupati. Con l’unica eccezione della Danimarca, dove le autorità
permisero alla piccola comunità ebraica danese di mettersi in salvo nella
vicina e neutrale Svezia, i governi collaborazionisti dei vari Stati occupati
si attivarono ampiamente per consegnare gli ebrei ai tedeschi, o per prendere
in prima persona iniziative persecutorie contro i propri concittadini di
religione ebraica. Per permette, cioè, la Shoah, termine ebraico che significa “distruzione”.
Un medico ceco esamina un detenuto di Buchenwald morto di inedia sotto
gli occhi di altri prigionieri (aprile 1945)
Nessun commento:
Posta un commento