La Germania non era in grado di
competere con le potenze riunite degli Stati Uniti, dell’URSS e
dell’Inghilterra, però riuscì a resistere a lungo sfruttando le risorse
minerali, alimentari e industriali, che venivano prese nell’Europa occupata e
portate in Germania. A ciò va aggiunta la deportazione di manodopera
lavorativa: nel 1942 giunsero in Germania 5 milioni di lavoratori stranieri (di
cui solo un milione e mezzo costituito da prigionieri di guerra), che salirono
a più di 8 milioni nel dicembre 1944, in maggioranza trasferiti a forza dai
Paesi occupati.
Nel «nuovo ordine» europeo previsto da Hitler, la Germania non
solo era al vertice della gerarchia economica e politica, ma doveva esserlo
anche dal punto di vista sociale, con una evidente ideologia razzista. In fondo
a questa piramide gerarchica c’erano gli slavi e gli ebrei: per i primi si
prospettava il ritorno a una condizione di schiavi da impiegare nelle campagne,
nelle miniere e in tutte le fatiche pesanti; per i secondi il loro completo
sterminio.
All’occupazione tedesca e ai regimi nazifascisti si oppose
una parte della popolazione, dando vita al fenomeno della Resistenza, che fu
diversa da Paese a Paese, nelle forme in cui agì, negli obiettivi che si diede,
negli aiuti che ricevette dall’estero (in particolare dagli Stati Uniti e
dall’URSS).
Ci fu così una resistenza armata, formata da
organizzazioni segrete di lotta, che agivano contro gli occupanti tedeschi e
italiani (così come contro quelli giapponesi in Asia), con assalti alle truppe
di occupazione, uccisione di soldati e di uomini di potere e sabotaggi contro
le linee ferroviarie e i mezzi di comunicazione.
Partigiani francesi in addestramento militare: il movimento di
resistenza francese si chiamava maquis
In Germania la resistenza al
regime nazista si manifestò già nei primi anni della dittatura hitleriana,
soprattutto nelle fabbriche, dove gli operai organizzarono scioperi o
svolgevano passivamente il proprio lavoro, finendo così nei campi di prigionia.
In seguito ci furono altre forme di resistenza al nazismo, fino al fallito attentato
contro Hitler del 20 luglio 1944 organizzato da diverse personalità politiche e
militari. I tedeschi condannati a morte per attività contro il regime nazista
arrivano secondo alcuni dati a 40.000 circa.
Ci fu anche una resistenza non
violenta: stampa di volantini, opuscoli e giornali di propaganda antitedesca;
organizzazione di manifestazioni e di scioperi; sabotaggio della produzione
industriale, soprattutto di armi. Nella diffusione di volantini e giornali, o
nel trasporto di materiale e ordini, si impegnarono anche numerose donne. Nella
Polonia smembrata dalla Germania a ovest e dall’Unione Sovietica a est, dove
gli occupanti abolirono le strutture scolastiche, i polacchi resistenti
crearono un insegnamento clandestino che arrivava sino all’università. Anche
aiutare gli ebrei a nascondersi, come fecero molti in tutta Europa, fu una
forma di resistenza.
La repressione tedesca a
qualsiasi forma di resistenza fu durissima: i partigiani (cioè coloro che
resistevano contro i tedeschi) erano considerati banditi e se fatti prigionieri
venivano condannati a morte: spesso i loro cadaveri venivano esposti
pubblicamente per giorni, affinché servissero da monito contro altri
resistenti, o anche contro la popolazione che a volte aiutava i partigiani.
I 31 partigiani che vennero impiccati a Bassano del Grappa (Vicenza) il
26 settembre 1944 e rimasero esposti per 20 ore
I Tedeschi stabilirono inoltre
che per ogni soldato tedesco ucciso, dovevano essere giustiziati dieci o più
cittadini, scelti a caso: nel marzo del 1945, dopo un attentato contro il capo
della polizia tedesca in Olanda, furono fucilati 400 olandesi.
Anche l’esercito italiano
effettuò feroci rappresaglie (= azioni di vendetta) in Iugoslavia, Albania e
Grecia, fucilando ostaggi, saccheggiando e distruggendo paesi.
All’interno di ogni Stato
occupato alcuni cittadini scelsero di collaborare con i tedeschi. Il
collaborazionismo fu un fenomeno diffuso in tutta Europa: alcuni collaborarono
con gli occupanti perché ne condividevano le idee, ad esempio l’anticomunismo;
altri lo fecero per raggiungere i propri obiettivi politici, ad esempio per
imporre all’interno dello Stato il dominio di una popolazione sulle altre (come
avvenne in Iugoslavia, dove durante la guerra esplosero le tensioni tra Serbi e
Croati); molti per ricavarne vantaggi personali, raggiungere una posizione di
potere o anche solo avere maggiori possibilità di sopravvivere.
Molti, e furono la maggioranza,
non si impegnarono nella Resistenza, ma non collaborarono neppure con il
nemico, mirando esclusivamente a sopravvivere in attesa che la guerra finisse:
questa posizione è detta attendismo.
Alcuni francesi che aderirono alla “Legione volontaria contro il
bolscevismo” istituita dai tedeschi nel 1941, poco dopo l’inizio
dell’operazione Barbarossa contro l’URSS
In Europa la guerra provocò molti
più morti e danni di tutte le guerre precedenti, soprattutto tra la popolazione
civile. Non si trattò solo della repressione tedesca e del razionamento nella
vendita dei generi alimentari, che provocò ovunque fame e miseria: il maggior
numero di morti fu dovuto ai bombardamenti aerei e allo sterminio nei lager.
I bombardamenti sia tedeschi sia
degli alleati, venivano effettuati preferibilmente di notte, quando i
bombardieri correvano meno rischi di essere abbattuti dalla contraerea. Essi
non colpivano solo obiettivi militari, perché, a causa dell’oscurità, era difficile
raggiungere e colpire un obiettivo preciso.
Si preferì perciò adottare il
bombardamento a tappeto sulle città, grandi obiettivi facilmente raggiungibili
anche quando veniva imposto l’oscuramento, ossia l’eliminazione nelle ore
serali e notturne di ogni fonte di luce (illuminazione pubblica o casalinga,
fari delle automobili, luci nei cimiteri, eccetera) che doveva servire appunto
a proteggere la città dagli attacchi aerei.
Un avviso del 1940 di oscuramento totale italiano
All’arrivo dei bombardieri
(segnalato da lugubri sirene) la popolazione correva nei rifugi antiaerei,
costruiti in diverse città. Coloro che potevano, sfollarono nelle campagne,
meno esposte ai bombardamenti: il numero degli sfollati, cioè di coloro che si
erano allontanati dai luoghi molto popolosi o a forte rischio di attacco nemico
(ad esempio, in Italia, le città industriali di Torino, Milano, Genova) fu assai
alto.
Malgrado queste misure, i
bombardieri fecero moltissime vittime: un solo bombardamento statunitense su
Tokyo (9 marzo 1945) provocò oltre 80.000 morti. Migliaia furono i morti dovuti
ai bombardamenti alleati su città tedesche come Lubecca, Dresda, Colonia,
Amburgo, Berlino: il numero dei morti non è mai stato conteggiato esattamente,
poiché molti furono disintegrati dalle esplosioni e i resti umani rinvenuti
sono stati parziali. Inoltre le cifre rese note all’epoca erano generalmente
gonfiate a scopi propagandistici.
La città di Colonia com’era nel 1945 dopo una serie di bombardamenti
Nei primi anni della guerra le
truppe italiane controllavano alcune regioni della penisola Balcanica e anche
qui si sviluppò una forte resistenza contro l’occupazione, alla quale anche gli
italiani, come i tedeschi, risposero con feroci rappresaglie contro la
popolazione civile, che spesso appoggiava i partigiani.
La repressione da parte
dell’esercito italiano fu particolarmente feroce in Slovenia: circa 35.000 sloveni
furono deportati e rinchiusi in campi di concentramento, in cui le condizioni
di vita non erano molto diverse da quelle dei lager tedeschi: nel solo campo
dell’isola di Arbe (Rab) morirono circa 4.500 persone, di cui molte per
denutrizione, e complessivamente dei 35.000 deportati almeno 7.000 non
sopravvissero alla prigionia.
Un uomo nel campo di concentramento italiano di Arbe
Prima della guerra i tedeschi
avevano scacciato dalla Germania molti degli ebrei che vi abitavano, ma la
fulminea espansione tedesca portò sotto dominio tedesco milioni di ebrei
presenti in tutta Europa. In tutti i territori occupati gli ebrei furono
costretti a portare una stella di Davide (a sei punte) gialla cucita sugli
abiti, che li rendeva immediatamente riconoscibili e i loro diritti vennero
fortemente limitati.
Una coppia di ebrei con la stella di Davide a Budapest nel 1945
I tedeschi progettarono per ciò
la “soluzione finale” della questione ebraica: lo sterminio completo degli
ebrei. Durante l’invasione dell’URSS gli ebrei vennero spesso massacrati non
appena le truppe tedesche occupavano una nuova regione (tra 800.000 e un
milione di ebrei sovietici assassinati tra il giugno 1941 e il gennaio 1942);
altri invece vennero utilizzati nella costruzione di grandi opere pubbliche (ad
esempio strade), in condizioni talmente dure che molti morivano, mentre i
sopravvissuti venivano eliminati al termine dei lavori.
In Polonia, dove era maggiore il
numero di ebrei, tutti gli ebrei furono progressivamente rinchiusi in ghetti,
in particolare nelle due città che già avevano una consistente popolazione
giudaica, Varsavia e Łódź: in questi due ghetti, del tutto isolati dal mondo
esterno, vennero portati anche gli ebrei di altre regioni. Qui essi vennero
utilizzati in lavori forzati per l’industria tedesca. Le razioni di cibo
vennero ridotte fino oltre il limite di sopravvivenza, per cui moltissimi
morirono di fame, oltre che per le malattie dovute alle condizioni igieniche
spaventose e al sovraffollamento:
a Łódź i morti furono oltre 45.000.
Il ghetto di Łódź nel 1940-41, con un soldato tedesco e un
uomo ebreo che dirigono la folla nel transitare da una parte all’altra del
ghetto; il cartello dice “Area residenziale giudaica. Vietato entrare”
Progressivamente però i
ghetti vennero chiusi e i loro abitanti deportati nei campo di concentramento,
dove trovarono la morte. Quando i nazisti decisero di chiudere il ghetto di
Varsavia e di deportarne la popolazione, scoppiò una rivolta, che i nazisti
repressero distruggendo l’intero ghetto (19 aprile – 16 maggio 1943) e
provocando la morte di altri 56.000 ebrei.
Una celebre foto
del 1943 scattata nel ghetto di Varsavia
Canti dell'antifascismo e della Resistenza
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