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giovedì 29 dicembre 2016

87 I fascismi in Europa tra le due guerre mondiali

I FASCISMI IN EUROPA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI

Oltre a quello italiano di Mussolini e a quello tedesco di Hitler, altri fascismi nacquero e si diffusero in Europa nel periodo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Furono movimenti e partiti che ebbero, a volte, anche caratteristiche molto diverse nei vari Paesi, dato che, originandosi da un generale nazionalismo ottocentesco, ricevevano dalle proprie peculiarità nazionali elementi costitutivi specifici. Ma tutti si uniformavano per alcune somiglianze: l’anticapitalismo, l’antibolscevismo, l’antisemitismo.

I ritratti di Mussolini e di Hitler sopra i simboli dei loro regimi fascisti

Nella loro creazione fu fondamentale l’esperienza della Grande Guerra, che ebbe 4 conseguenze importanti:
1- la creazione di una nuova carta politica dell’Europa, con numerosi nuovi Stati, all’interno dei quali consistenti gruppi etnici (per esempio di tedeschi e di ungheresi) si vennero a trovare nella posizione di minoranze;

La carta politica dell’Europa dopo la Prima guerra mondiale

2- l’imposizione di democrazie parlamentari in Paesi non pronti ad accoglierle, soprattutto se avevano un’economia poco sviluppata, una numerosa popolazione contadina, un forte analfabetismo e tradizioni che assegnavano l’esercizio dell’autorità a ristretti gruppi di aristocratici, di capi militari e di burocrati di professione;
3- la formazione di Stati deboli, incapaci di contrastare le minacce rivoluzionarie (vere o gonfiate) di stampo comunista;
4- il forte contrasto generazionale, che contrappose i giovani che in guerra avevano conosciuto il cameratismo delle trincee e della vita in comune, ai “vecchi” che mantenevano il potere tra divisioni e intolleranze sociali; i giovani, idealisti e impazienti, si volsero spontaneamente a quei movimenti – di destra o di sinistra – che promettevano loro una trasformazione radicale della società.

Giovani austriaci partecipano a un rogo di libri a Salisburgo nel 1938

La crisi economica incominciata nel 1929 contribuì notevolmente ad aggravare le tensioni interne in Europa e in tutto il mondo: operai e contadini, ridotti dalla depressione in condizioni di miseria estrema, richiedevano riforme sociali, che i proprietari, già danneggiati nei loro interessi dalla crisi, rifiutavano di accettare. La borghesia, spaventata dalle richieste popolari, reagì favorendo la formazione di movimenti fascisti o di governi dittatoriali.

La Grande Depressione in Francia

Vediamo di seguito cosa accadde nei diversi Paesi europei.

L’AUSTRIA
In Austria esistevano condizioni simili a quelle italiane e tedesche: sconfitta militare (ricordiamo che l’Italia, pur vincitrice, si sentiva sconfitta dai trattati di pace), crisi economica, disgregazione sociale, paralisi parlamentare dovuta al fatto che i tre maggiori raggruppamenti politici (socialisti, cattolici e conservatori) avevano un peso uguale, antimarxismo, nazionalismo frustrato e presenza di una consistente massa di ex-combattenti. In queste condizioni il Paese vide sorgere due organizzazioni rivali di destra: le Heimwehren e le formazioni naziste. Le prime ebbero un fortissimo sviluppo a partire dal 1927, puntando sui timori antisocialisti e organizzando attività contro gli scioperi, nonché ottenendo da Mussolini dei finanziamenti. Nel 1936 decaddero, prive di organizzazione e in disaccordo sull’ideologia, a vantaggio dei nazisti. Questi si organizzarono più lentamente che in Germania, ma avevano la stessa base sociale: piccola borghesia urbana (soprattutto impiegati pubblici) e un 25% di operai. Messo fuori legge nel 1933 da Kurt von Schuschnigg, cancelliere di un governo “semifascista” e moderatamente aggressivo, nonché fortemente antihitleriano, il Partito nazista austriaco si avvantaggiò dell’Anschluss che nel 1938 portò la Germania a occupare l’Austria.

Esponenti delle Heimwehren in parata a Vienna nel 1933: al centro vi è il cancelliere Dollfus, amico personale di Mussolini

L’UNGHERIA
A differenza dell’Austria, in Ungheria non esisteva una forte classe operaia: la società era di tipo quasi feudale, con vaste proprietà fondiarie, contadini che vivevano in condizioni servili e un personale dirigente di estrazione nobiliare. Per tutto il periodo tra le due guerre l’Ungheria fu governata da un regime moderatamente autoritario e contrario a ogni cambiamento, che però si fece influenzare notevolmente dai movimenti fascisti locali (in Ungheria più numerosi e variegati che in qualunque Paese europeo): ad esempio con leggi antisemite e con azioni squadristiche delle cosiddette «croci frecciate» nelle regioni di confine.
Il fascismo ungherese era sostenuto soprattutto da ex-funzionari e ufficiali di estrazione nobiliare, che si erano rifugiati in Ungheria essendosi trovati a vivere nei nuovi Stati creati dopo la guerra, all’interno dei quali costituivano una minoranza.
Il più cospicuo esponente dell’ideologia fascista fu proprio un ufficiale di carriera, Gyula Gömbös, che fondò un partito con lo scopo di difendere la «razza magiara» e divenne nel 1932 Primo ministro del suo Paese: egli si dichiarava seguace dell’Italia e della Germania.

Mussolini e Gömbös nel 1934

Un certo peso ebbe anche il partito delle «croci ferrate» di Ferenc Szálasi, il quale voleva creare una grande patria carpato-danubiana sotto il dominio “civilizzatore” dei magiari. Pur facendo presa su una massa interclassista (dall’aristocrazia tradizionalista agli ufficiali militari, dai burocrati agli artigiani, dai piccoli commercianti agli operai), le «croci frecciate» non riuscirono a impadronirsi del potere, salvo quando vi furono installate per breve tempo da Hitler nel 1944.

Ferenc Szálasi nel 1944

I PAESI BALCANICI
Negli anni Trenta negli Stati balcanici si assistette al fallimento totale della democrazia parlamentare, sostituita con dittature monarchiche di destra: avvenne in Jugoslavia (1929-1939), in Albania (1928-1939), in Romania (1938-1940), in Bulgaria (1935-1943), in Grecia (1936-1941). Tutti questi Stati erano caratterizzati dal forte predominio dell’economia agricola e dall’esiguità delle classi medie urbane, che si erano sviluppate in ritardo, avvantaggiando gli ebrei nel commercio, nella finanza e nell’industria: nei confronti degli ebrei vi era un radicato antisemitismo.
In Bulgaria e in Grecia il nazionalismo non assunse forme aggressive, però in entrambi i Paesi si creò un regime militare e autoritario che adottò forme esteriori di fascismo: ad esempio in Grecia ci fu un movimento giovanile che si esprimeva con grida di saluto e aveva adottato l’emblema della doppia scure cretese.
In Jugoslavia e in Romania vi erano consistenti minoranze etniche: in Jugoslavia il 54% della popolazione era costituito da Croati, Sloveni, Bulgari e Albanesi; in Romania Magiari, ebrei, Ucraini e Tedeschi rappresentavano il 24% della popolazione. La presenza di tali minoranze favorì il formarsi di movimenti fascisti, soprattutto dopo il 1933, in seguito alla depressione economica, mentre gli altri partiti (contadini o cattolici) si fascistizzarono per l’impulso dei regimi italiano e tedesco.
In Croazia nel 1929 si formò un movimento ustascia per opera di Ante Pavelić, che con metodi squadristi voleva coordinare la resistenza croata contro il regime autoritario imposto quell’anno dal re Alessandro. Protetti dall’Italia, dalla Germania e dall’Ungheria, che offrirono basi di addestramento, gruppi ustascia assassinarono nel 1934 re Alessandro a Marsiglia.

Ante Pavelić (a sinistra) e re Alessandro I di Jugoslavia

Malgrado l’efficienza terroristica, Ustascia non riuscì ad allargare in Croazia il suo influsso al di fuori dei circoli urbani di studenti e di intellettuali, perché il Partito contadino croato restava forte nelle campagne. Soltanto nel 1941, in seguito all’occupazione nazifascista, gli ustascia giunsero al potere nello Stato Croato che venne creato in quell’occasione, scorporandolo dall’Jugoslavia.
In Romania il fascismo fu diverso che nel resto dei Balcani: era il fascismo di una maggioranza nazionale, anziché di una minoranza, e non doveva nulla né al fascismo italiano, né a quello tedesco, pur avendo in comune con essi il nazionalismo xenofobo, l’antisemitismo e l’antibolscevismo. Si caratterizzò per un fervore religioso, che portò alla costituzione della legione di Michele Arcangelo, concepita come un austero ordine religioso, a cui aderirono soprattutto studenti, che praticava una specie di mistico recupero del cristianesimo ortodosso, prima che esse venisse occidentalizzato. Numerosi legionari, tra cui il loro capo Corneliu Zelia Codreanu, vennero uccisi nel 1938, dopo che avevano assassinato vari dirigenti del Partito contadino, che aveva la maggioranza. Perseguitati da re Carol dopo un colpo di stato del 1938, essi praticarono un terrorismo continuo, giunsero al potere nel 1940, ma furono poi soppressi con il consenso di Hitler.

Alcuni legionari di Michele Arcangelo (al centro, Corneliu Zelia Codreanu)


LA CECOSLOVACCHIA
In Cecoslovacchia, Paese più industrializzato degli altri, la democrazia rimase in vigore fino al 1938. Anche qui, però, vi erano forti minoranze etniche: il 54% era costituito da Slovacchi, Tedeschi, Magiari, Ucraini, Polacchi ed ebrei. In Cecoslovacchia esisteva il Partito del popolo slovacco, nazionale-populista, dominato dal clero cattolico, conservatore e autoritario, sostenuto ampiamente dal popolo: l’ala destra del partito portò lo stesso alla fascistizzazione, così come avvenne alla minoranza tedesca che, dopo la crisi del 1929, appoggiò massicciamente il Partito nazista dei Sudeti.

I PAESI BALTICI
Gli Stati del Baltico orientale furono caratterizzati più che dal fascismo da regimi autoritari. Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia erano tutte nate dopo la Prima guerra mondiale: al loro interno vi erano minoranze etniche e tutte avevano subito la minaccia concreta del comunismo russo negli anni 1918-1921.
Nella cattolica Lituania nel 1926 vi fu un colpo di mano militare che portò Antanas Smetona (già precedentemente presidente del Paese) a instaurare un regime che negli anni Trenta divenne a partito unico.

Antanas Smetona

Nella protestante Estonia, di fronte alla minaccia fascista di un gruppo di ex-combattenti, si ebbe un colpo di stato, che instaurò un regime moderatamente autoritario, mantenendo comunque in vita un Parlamento.
In Lettonia, anch’essa protestante, si ebbe un analogo colpo di stato, rivolto sia contro i comunisti, sia contro un’organizzazione (le «croci tonanti») di ispirazione nazista.
Nei tre Paesi baltici il timore del potente vicino germanico era assai forte.
Lo stesso accadeva in Polonia, dove al sentimento antitedesco si aggiunse anche quello antirusso. Anche quando nella seconda metà degli anni Trenta l’influenza nazista aumentò di forza nel Paese, i fascisti polacchi rimasero visceralmente antitedeschi, resistendo attivamente all’invasione nazista del 1939. Ma in Polonia i movimenti fascisti rimasero marginali, per la presenza di un regime autoritario, quello del maresciallo Piłsudski, che divenne ancora più repressivo alla morte del militare (1935).

Il maresciallo Józef Piłsudski

In Finlandia nelle elezioni del 1929 i comunisti guadagnarono voti e ciò provocò un’esplosione di violenza anticomunista fra gli agricoltori ricchi e le guardie civili (organizzazioni paramilitari con compiti di protezione e vigilanza). Nello stesso anno la crisi economica mondiale spinse il movimento fascista Lapua a organizzarsi in vari modi, fino al tentativo di colpo di stato militare del 1932, che però fallì. Nacque allora un altro movimento fascista (IKL) che nel 1936 ottenne l’8,3% dei voti e aveva tra i dirigenti molti ecclesiastici; ma subito dopo iniziò il suo declino, sia in seguito alla ripresa economica, sia perché il sistema parlamentare finlandese seppe coinvolgere i partiti politici e la popolazione contro i pericoli di un movimento che stava assomigliando sempre di più a quello nazista.

L’EUROPA OCCIDENTALE
Se, in conclusione, si può dire che nell’Europa orientale il fascismo fallì perché nei vari Paesi si instaurarono regimi autoritari meno radicali (i quali, pur avendo un consenso sociale analogo a quello dei fascisti, seppero mantenere il potere, a volte anche contro la minaccia fascista), nell’Europa occidentale, invece, fallì perché la democrazia, l’economia e la cultura costituivano un elemento di aggregazione molto forte per la popolazione, tale da fronteggiare le proposte di un cambiamento radicale predicate dai fascisti.
Solo in Irlanda, in Belgio e soprattutto in Spagna e in Portogallo queste condizioni non prevalsero. In Irlanda vi erano condizioni favorevoli al fascismo, ma esso rimase un movimento protestatario di agricoltori (le «camicie azzurre» di Eoin O’Duffy): il nazionalismo irlandese era stato soddisfatto dall’indipendenza raggiunta nel 1922 ed aveva nella Chiesa cattolica un elemento culturale molto forte.

Eoin O’Duffy con alcuni membri delle camicie azzurre negli anni Trenta

In Belgio nacquero numerosi movimenti fascistoidi, che puntavano sul nazionalismo fiammingo, violentemente antifrancofono, e cavalcarono le spettro della depressione economica, ma furono tutti destinati al fallimento, poiché i partiti politici democratici seppero trovare l’unità, in un Paese fortemente industrializzato, con un alto livello di istruzione e di sviluppo.
Negli altri Stati occidentali (Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Norvegia, Svizzera, Gran Bretagna) il fascismo rimase ai margini, ottenendo l’adesione di poche migliaia di persone, per lo più giovani. Inoltre in questi Paesi i movimenti fascisti sorsero troppo tardi (generalmente dopo il 1933) per poter cavalcare gli scontenti popolari derivati dalla Grande Depressione.
In Francia il fascismo si caratterizzò per l’adesione ad esso di intellettuali di alto livello e per alcuni aspetti vistosi, quali il terrorismo dell’organizzazione la Cagoule, che assassinò nel 1937 i fratelli Carlo e Nello Rosselli, dietro mandato del governo italiano. Ma anche in Francia, dopo aver esercitato una certa attrazione sui giovani, sugli intellettuali delusi sia di sinistra sia di destra, sui piccoli commercianti e agricoltori, non fu in grado di consolidare il consenso di fronte all’organizzarsi dei partiti politici democratici.

Quattro cagoulards e (a destra) i fratelli Rosselli

Il Portogallo e la Spagna erano differenti dal resto dell’Europa occidentale: avevano una maggiore arretratezza economica, il potere era nelle mani di grandi proprietari terrieri e della Chiesa, l’esercito interferiva nella vita politica e i partiti di massa si erano diffusi in ritardo. Entrambi gli Stati, inoltre, avevano sperimentato anche prima dittature autoritarie, per lo più militari.
In Portogallo António Salazar istituzionalizzò la dittatura militare già esistente, instaurando nel 1933 uno Stato corporativo, autoritario e rigorosamente cattolico.
In Spagna fascisti e antifascisti si scontrarono nella guerra civile (vedi prossima lezione): la vittoria di Francisco Franco permise alla sua dittatura di restare al potere della Spagna fino alla sua morte (1975).
Gli storici si sono chiesti se i regimi portoghese e spagnolo furono effettivamente fascisti: sia Salazar sia Franco si affrettarono (dopo il 1945!) a prendere le distanze dal fascismo; ma fino alla Seconda guerra mondiale è indubbio che entrambi adottarono stili fascisti (la milizia, i movimenti giovanili, il controllo della cultura popolare) e si appoggiarono ai tradizionali detentori dell’autorità (la Chiesa, l’esercito, i proprietari terrieri, gli industriali). Diversamente, i due Paesi non adottarono una politica estera aggressiva e non usarono il partito come strumento di mobilitazione.
Per questo (e per altre ragioni) Spagna e Portogallo vengono definiti pienamente fascisti da alcuni, semplicemente autoritari da altri.

Falangisti a San Sebastián nel 1936





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