I FASCISMI IN EUROPA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
Oltre a quello italiano di
Mussolini e a quello tedesco di Hitler, altri fascismi nacquero e si diffusero
in Europa nel periodo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Furono
movimenti e partiti che ebbero, a volte, anche caratteristiche molto diverse
nei vari Paesi, dato che, originandosi da un generale nazionalismo
ottocentesco, ricevevano dalle proprie peculiarità nazionali elementi
costitutivi specifici. Ma tutti si uniformavano per alcune somiglianze:
l’anticapitalismo, l’antibolscevismo, l’antisemitismo.
I ritratti di Mussolini e di Hitler sopra i simboli dei loro regimi
fascisti
Nella loro creazione fu
fondamentale l’esperienza della Grande Guerra, che ebbe 4 conseguenze
importanti:
1- la creazione di una nuova
carta politica dell’Europa, con numerosi nuovi Stati, all’interno dei quali
consistenti gruppi etnici (per esempio di tedeschi e di ungheresi) si vennero a
trovare nella posizione di minoranze;
La carta politica dell’Europa dopo la Prima guerra mondiale
2- l’imposizione di democrazie
parlamentari in Paesi non pronti ad accoglierle, soprattutto se avevano
un’economia poco sviluppata, una numerosa popolazione contadina, un forte
analfabetismo e tradizioni che assegnavano l’esercizio dell’autorità a
ristretti gruppi di aristocratici, di capi militari e di burocrati di
professione;
3- la formazione di Stati deboli,
incapaci di contrastare le minacce rivoluzionarie (vere o gonfiate) di stampo
comunista;
4- il forte contrasto
generazionale, che contrappose i giovani che in guerra avevano conosciuto il cameratismo
delle trincee e della vita in comune, ai “vecchi” che mantenevano il potere tra
divisioni e intolleranze sociali; i giovani, idealisti e impazienti, si volsero
spontaneamente a quei movimenti – di destra o di sinistra – che promettevano
loro una trasformazione radicale della società.
Giovani austriaci partecipano a un rogo di libri a Salisburgo nel 1938
La crisi economica incominciata
nel 1929 contribuì notevolmente ad aggravare le tensioni interne in Europa e in
tutto il mondo: operai e contadini, ridotti dalla depressione in condizioni di
miseria estrema, richiedevano riforme sociali, che i proprietari, già
danneggiati nei loro interessi dalla crisi, rifiutavano di accettare. La
borghesia, spaventata dalle richieste popolari, reagì favorendo la formazione
di movimenti fascisti o di governi dittatoriali.
La Grande Depressione in Francia
Vediamo di seguito cosa accadde
nei diversi Paesi europei.
L’AUSTRIA
In Austria esistevano condizioni
simili a quelle italiane e tedesche: sconfitta militare (ricordiamo che
l’Italia, pur vincitrice, si sentiva sconfitta dai trattati di pace), crisi
economica, disgregazione sociale, paralisi parlamentare dovuta al fatto che i
tre maggiori raggruppamenti politici (socialisti, cattolici e conservatori)
avevano un peso uguale, antimarxismo, nazionalismo frustrato e presenza di una
consistente massa di ex-combattenti. In queste condizioni il Paese vide sorgere
due organizzazioni rivali di destra: le Heimwehren e le formazioni naziste. Le
prime ebbero un fortissimo sviluppo a partire dal 1927, puntando sui timori
antisocialisti e organizzando attività contro gli scioperi, nonché ottenendo da
Mussolini dei finanziamenti. Nel 1936 decaddero, prive di organizzazione e in
disaccordo sull’ideologia, a vantaggio dei nazisti. Questi si organizzarono più
lentamente che in Germania, ma avevano la stessa base sociale: piccola
borghesia urbana (soprattutto impiegati pubblici) e un 25% di operai. Messo
fuori legge nel 1933 da Kurt von Schuschnigg, cancelliere di un governo
“semifascista” e moderatamente aggressivo, nonché fortemente antihitleriano, il
Partito nazista austriaco si avvantaggiò dell’Anschluss che nel 1938 portò la
Germania a occupare l’Austria.
Esponenti delle Heimwehren in parata a Vienna nel 1933: al centro vi è
il cancelliere Dollfus, amico personale di Mussolini
L’UNGHERIA
A differenza dell’Austria, in
Ungheria non esisteva una forte classe operaia: la società era di tipo quasi
feudale, con vaste proprietà fondiarie, contadini che vivevano in condizioni
servili e un personale dirigente di estrazione nobiliare. Per tutto il periodo
tra le due guerre l’Ungheria fu governata da un regime moderatamente
autoritario e contrario a ogni cambiamento, che però si fece influenzare
notevolmente dai movimenti fascisti locali (in Ungheria più numerosi e
variegati che in qualunque Paese europeo): ad esempio con leggi antisemite e
con azioni squadristiche delle cosiddette «croci frecciate» nelle regioni di confine.
Il fascismo ungherese era sostenuto soprattutto da
ex-funzionari e ufficiali di estrazione nobiliare, che si erano rifugiati in
Ungheria essendosi trovati a vivere nei nuovi Stati creati dopo la guerra,
all’interno dei quali costituivano una minoranza.
Il più cospicuo esponente
dell’ideologia fascista fu proprio un ufficiale di carriera, Gyula Gömbös, che fondò un partito con
lo scopo di difendere la «razza magiara» e divenne nel 1932 Primo ministro del
suo Paese: egli si dichiarava seguace dell’Italia e della Germania.
Mussolini e
Gömbös nel 1934
Un certo peso ebbe anche il partito delle «croci ferrate» di
Ferenc Szálasi, il quale voleva creare una grande patria carpato-danubiana
sotto il dominio “civilizzatore” dei magiari. Pur facendo presa su una massa
interclassista (dall’aristocrazia tradizionalista agli ufficiali militari, dai
burocrati agli artigiani, dai piccoli commercianti agli operai), le «croci
frecciate» non riuscirono a impadronirsi del potere, salvo quando vi furono
installate per breve tempo da Hitler nel 1944.
Ferenc Szálasi nel
1944
I PAESI BALCANICI
Negli anni Trenta negli Stati balcanici si assistette al
fallimento totale della democrazia parlamentare, sostituita con dittature
monarchiche di destra: avvenne in Jugoslavia (1929-1939), in Albania
(1928-1939), in Romania (1938-1940), in Bulgaria (1935-1943), in Grecia
(1936-1941). Tutti questi Stati erano caratterizzati dal forte predominio
dell’economia agricola e dall’esiguità delle classi medie urbane, che si erano
sviluppate in ritardo, avvantaggiando gli ebrei nel commercio, nella finanza e
nell’industria: nei confronti degli ebrei vi era un radicato antisemitismo.
In Bulgaria e in Grecia il nazionalismo non assunse forme
aggressive, però in entrambi i Paesi si creò un regime militare e autoritario
che adottò forme esteriori di fascismo: ad esempio in Grecia ci fu un movimento
giovanile che si esprimeva con grida di saluto e aveva adottato l’emblema della
doppia scure cretese.
In Jugoslavia e in Romania vi erano consistenti minoranze
etniche: in Jugoslavia il 54% della popolazione era costituito da Croati,
Sloveni, Bulgari e Albanesi; in Romania Magiari, ebrei, Ucraini e Tedeschi
rappresentavano il 24% della popolazione. La presenza di tali minoranze favorì
il formarsi di movimenti fascisti, soprattutto dopo il 1933, in seguito alla
depressione economica, mentre gli altri partiti (contadini o cattolici) si
fascistizzarono per l’impulso dei regimi italiano e tedesco.
In Croazia nel 1929 si formò un movimento ustascia per opera
di Ante Pavelić, che con metodi squadristi voleva coordinare la resistenza
croata contro il regime autoritario imposto quell’anno dal re Alessandro.
Protetti dall’Italia, dalla Germania e dall’Ungheria, che offrirono basi di
addestramento, gruppi ustascia assassinarono nel 1934 re Alessandro a Marsiglia.
Ante Pavelić (a
sinistra) e re Alessandro I di Jugoslavia
Malgrado l’efficienza terroristica, Ustascia non riuscì ad
allargare in Croazia il suo influsso al di fuori dei circoli urbani di studenti
e di intellettuali, perché il Partito contadino croato restava forte nelle
campagne. Soltanto nel 1941, in seguito all’occupazione nazifascista, gli ustascia
giunsero al potere nello Stato Croato che venne creato in quell’occasione,
scorporandolo dall’Jugoslavia.
In Romania il fascismo fu diverso
che nel resto dei Balcani: era il fascismo di una maggioranza nazionale,
anziché di una minoranza, e non doveva nulla né al fascismo italiano, né a
quello tedesco, pur avendo in comune con essi il nazionalismo xenofobo,
l’antisemitismo e l’antibolscevismo. Si caratterizzò per un fervore religioso,
che portò alla costituzione della legione di Michele Arcangelo, concepita come
un austero ordine religioso, a cui aderirono soprattutto studenti, che
praticava una specie di mistico recupero del cristianesimo ortodosso, prima che
esse venisse occidentalizzato. Numerosi legionari, tra cui il loro capo
Corneliu Zelia Codreanu, vennero uccisi nel 1938, dopo che avevano assassinato
vari dirigenti del Partito contadino, che aveva la maggioranza. Perseguitati da
re Carol dopo un colpo di stato del 1938, essi praticarono un terrorismo
continuo, giunsero al potere nel 1940, ma furono poi soppressi con il consenso
di Hitler.
Alcuni legionari di Michele Arcangelo (al centro, Corneliu Zelia
Codreanu)
LA CECOSLOVACCHIA
In Cecoslovacchia, Paese più industrializzato degli altri,
la democrazia rimase in vigore fino al 1938. Anche qui, però, vi erano forti
minoranze etniche: il 54% era costituito da Slovacchi, Tedeschi, Magiari,
Ucraini, Polacchi ed ebrei. In Cecoslovacchia esisteva il Partito del popolo
slovacco, nazionale-populista, dominato dal clero cattolico, conservatore e
autoritario, sostenuto ampiamente dal popolo: l’ala destra del partito portò lo
stesso alla fascistizzazione, così come avvenne alla minoranza tedesca che,
dopo la crisi del 1929, appoggiò massicciamente il Partito nazista dei Sudeti.
I PAESI BALTICI
Gli Stati del Baltico orientale
furono caratterizzati più che dal fascismo da regimi autoritari. Polonia,
Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia erano tutte nate dopo la Prima guerra
mondiale: al loro interno vi erano minoranze etniche e tutte avevano subito la
minaccia concreta del comunismo russo negli anni 1918-1921.
Nella cattolica Lituania nel 1926
vi fu un colpo di mano militare che portò Antanas Smetona (già precedentemente
presidente del Paese) a instaurare un regime che negli anni Trenta divenne a
partito unico.
Antanas Smetona
Nella protestante Estonia, di
fronte alla minaccia fascista di un gruppo di ex-combattenti, si ebbe un colpo
di stato, che instaurò un regime moderatamente autoritario, mantenendo comunque
in vita un Parlamento.
In Lettonia, anch’essa
protestante, si ebbe un analogo colpo di stato, rivolto sia contro i comunisti,
sia contro un’organizzazione (le «croci
tonanti») di ispirazione nazista.
Nei tre Paesi baltici il timore del potente vicino germanico
era assai forte.
Lo stesso accadeva in Polonia, dove al sentimento
antitedesco si aggiunse anche quello antirusso. Anche quando nella seconda metà
degli anni Trenta l’influenza nazista aumentò di forza nel Paese, i fascisti
polacchi rimasero visceralmente antitedeschi, resistendo attivamente
all’invasione nazista del 1939. Ma in Polonia i movimenti fascisti rimasero
marginali, per la presenza di un regime autoritario, quello del maresciallo
Piłsudski, che divenne ancora più repressivo alla morte del militare (1935).
Il maresciallo
Józef Piłsudski
In Finlandia nelle elezioni del
1929 i comunisti guadagnarono voti e ciò provocò un’esplosione di violenza
anticomunista fra gli agricoltori ricchi e le guardie civili (organizzazioni
paramilitari con compiti di protezione e vigilanza). Nello stesso anno la crisi
economica mondiale spinse il movimento fascista Lapua a organizzarsi in vari
modi, fino al tentativo di colpo di stato militare del 1932, che però fallì.
Nacque allora un altro movimento fascista (IKL) che nel 1936 ottenne l’8,3% dei
voti e aveva tra i dirigenti molti ecclesiastici; ma subito dopo iniziò il suo
declino, sia in seguito alla ripresa economica, sia perché il sistema
parlamentare finlandese seppe coinvolgere i partiti politici e la popolazione
contro i pericoli di un movimento che stava assomigliando sempre di più a
quello nazista.
L’EUROPA OCCIDENTALE
Se, in conclusione, si può dire
che nell’Europa orientale il fascismo fallì perché nei vari Paesi si
instaurarono regimi autoritari meno radicali (i quali, pur avendo un consenso
sociale analogo a quello dei fascisti, seppero mantenere il potere, a volte
anche contro la minaccia fascista), nell’Europa occidentale, invece, fallì
perché la democrazia, l’economia e la cultura costituivano un elemento di
aggregazione molto forte per la popolazione, tale da fronteggiare le proposte
di un cambiamento radicale predicate dai fascisti.
Solo in Irlanda, in Belgio e
soprattutto in Spagna e in Portogallo queste condizioni non prevalsero. In
Irlanda vi erano condizioni favorevoli al fascismo, ma esso rimase un movimento
protestatario di agricoltori (le «camicie
azzurre» di Eoin O’Duffy): il nazionalismo irlandese era stato soddisfatto
dall’indipendenza raggiunta nel 1922 ed aveva nella Chiesa cattolica un
elemento culturale molto forte.
Eoin O’Duffy con
alcuni membri delle camicie azzurre negli anni Trenta
In Belgio nacquero numerosi movimenti fascistoidi, che
puntavano sul nazionalismo fiammingo, violentemente antifrancofono, e
cavalcarono le spettro della depressione economica, ma furono tutti destinati
al fallimento, poiché i partiti politici democratici seppero trovare l’unità,
in un Paese fortemente industrializzato, con un alto livello di istruzione e di
sviluppo.
Negli altri Stati occidentali (Paesi Bassi, Danimarca,
Svezia, Norvegia, Svizzera, Gran Bretagna) il fascismo rimase ai margini,
ottenendo l’adesione di poche migliaia di persone, per lo più giovani. Inoltre
in questi Paesi i movimenti fascisti sorsero troppo tardi (generalmente dopo il
1933) per poter cavalcare gli scontenti popolari derivati dalla Grande
Depressione.
In Francia il fascismo si caratterizzò per l’adesione ad
esso di intellettuali di alto livello e per alcuni aspetti vistosi, quali il
terrorismo dell’organizzazione la Cagoule,
che assassinò nel 1937 i fratelli Carlo e Nello Rosselli, dietro mandato del
governo italiano. Ma anche in Francia, dopo aver esercitato una certa
attrazione sui giovani, sugli intellettuali delusi sia di sinistra sia di
destra, sui piccoli commercianti e agricoltori, non fu in grado di consolidare
il consenso di fronte all’organizzarsi dei partiti politici democratici.
Quattro cagoulards
e (a destra) i fratelli Rosselli
Il Portogallo e la Spagna erano
differenti dal resto dell’Europa occidentale: avevano una maggiore arretratezza
economica, il potere era nelle mani di grandi proprietari terrieri e della
Chiesa, l’esercito interferiva nella vita politica e i partiti di massa si
erano diffusi in ritardo. Entrambi gli Stati, inoltre, avevano sperimentato
anche prima dittature autoritarie, per lo più militari.
In Portogallo António Salazar
istituzionalizzò la dittatura militare già esistente, instaurando nel 1933 uno
Stato corporativo, autoritario e rigorosamente cattolico.
In Spagna fascisti e antifascisti
si scontrarono nella guerra civile (vedi prossima lezione): la vittoria di
Francisco Franco permise alla sua dittatura di restare al potere della Spagna
fino alla sua morte (1975).
Gli storici si sono chiesti se i
regimi portoghese e spagnolo furono effettivamente fascisti: sia Salazar sia
Franco si affrettarono (dopo il 1945!) a prendere le distanze dal fascismo; ma
fino alla Seconda guerra mondiale è indubbio che entrambi adottarono stili
fascisti (la milizia, i movimenti giovanili, il controllo della cultura
popolare) e si appoggiarono ai tradizionali detentori dell’autorità (la Chiesa,
l’esercito, i proprietari terrieri, gli industriali). Diversamente, i due Paesi
non adottarono una politica estera aggressiva e non usarono il partito come
strumento di mobilitazione.
Per questo (e per altre ragioni)
Spagna e Portogallo vengono definiti pienamente fascisti da alcuni,
semplicemente autoritari da altri.
Falangisti a San Sebastián nel 1936
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