LA RIVOLUZIONE RUSSA
Per comprendere la storia moderna della
Russia c’è un dato fondamentale da tener presente: la sua vastità, che ne fa lo
Stato più grande nel mondo. Pur così grande, l’Impero russo aveva una necessità
particolare, quella di raggiungere il mare ad una latitudine conveniente,
poiché le zone costiere sul Mar Glaciale Artico non permettevano certo grandi
possibilità di sviluppo.
Ciò spiega le conquiste che gli zar
operarono dai tempi di Pietro il Grande (fine ‘600 – inizio ‘700) in poi: in
particolare con Pietro il Grande alcuni territori sul Baltico e la penisola di
Kamčatka; con Caterina II (seconda metà del ‘700) l’area che va dalla Lettonia
al Caucaso e comprendente una parte dell’Ucraina; nella prima metà
dell’Ottocento la Finlandia, la Polonia, la Georgia e il Turkestan (Asia
centrale); nella seconda metà dell’Ottocento la regione a oriente del Mar
Caspio e quella dell’Amur (a nord della Corea).
Un territorio così vasto ha bisogno, per
essere governato, di un potere fortemente centralizzato; gli zar, inoltre,
inglobando nel loro impero una grande quantità di popoli diversi, dovevano
riuscire a russificarli, cioè ad estendere a questi popoli la cultura, le
tradizioni, il senso di appartenenza etnica tipici della Russia. Operazione più
facile a oriente, dove si trovavano o spazi relativamente vuoti, oppure popoli
in parte nomadi e sprovvisti di una marcata identità nazionale; più difficile a
occidente, con i Polacchi che erano cattolici (mentre i Russi erano ortodossi),
o con i popoli baltici, diversi per etnia e religione e che subivano una forte
influenza tedesca.
Un caso a parte era costituito dagli
Ebrei, che in Russia erano circa 5 milioni: nei loro confronti vi erano un
forte e antico odio razziale e l’accusa di sfruttamento economico. Lo stato
zarista incoraggiò, con successo, l’antisemitismo, con numerosi pogrom, ossia
con esplosioni di violenza popolare contro gli Ebrei, già soggetti a diverse
restrizioni e impediti nei loro sforzi di assimilarsi agli altri russi.
Raffigurazione di un gruppo di Ebrei
a Kiev nel 1881
Dal punto di vista economico l’Impero
Russo era sicuramente arretrato rispetto all’Europa occidentale. Solo nel 1861
lo zar Alessandro II aveva abolito la servitù della gleba e ai contadini
vennero affidate alcune terre, che però rimanevano di proprietà di comunità di
villaggio (dette mir), le quali le
distribuivano alle singole famiglie; ma la Russia era uno stato prevalentemente
agricolo, con problemi nel modo di produrre e nella proprietà terriera, in
grandissima maggioranza nelle mani dei nobili.
Scena
contadina in un dipinto di Sergej V. Ivanov del 1908
La costruzione di ferrovie a partire dal
1870, la nascita di un’industria pesante alla fine del secolo, lo sviluppo dell’industria
tessile che a sua volta alimentò il commercio, la scoperta di petrolio nel
Caucaso fanno pensare che la Russia avrebbe potuto intraprendere la strada già
percorsa dagli Stati europei più avanzati; in realtà nel 1914 lo sviluppo
industriale nell’Impero Russo era appena agli inizi.
Operai
di un’industria russa all’inizio del Novecento
Infine, dal punto di vista politico la
Russia era uno stato autocratico (cioè dispotico e assolutistico), in
particolare con la salita al trono di Alessandro III nel 1881; proprio per
questo gli zar dovettero fare i conti con numerosi attentati terroristici e con
un diffuso malcontento popolare, che portò alla creazione di movimenti o
partiti rivoluzionari di vario tipo. Tra questi il Partito socialdemocratico,
fondato nel 1898, che introdusse in Russia le idee marxiste e che, diviso in
correnti diverse, vide nel 1903 in un congresso tenuto a Londra la maggioranza
andare al gruppo più estremo guidato da Lenin (pseudonimo con cui è noto
Vladimir Ilič Uljanov): questo gruppo viene comunemente detto dei bolscevichi,
termine russo che significa semplicemente “maggioranza”, di contro al gruppo
dei menscevichi, ossia “minoranza”.
Lenin
in una foto del 1917
La Russia nel 1904 si trovò in guerra
contro il Giappone per il controllo delle terre dell’estremo Oriente: con
sorpresa dello stesso piccolo Giappone, il colosso russo perse la guerra per
terra e per mare e anche alcuni territori. La sconfitta, inoltre, fece
scoppiare una rivoluzione (1905), che costrinse lo zar Nicola II (al trono dal
1894) a concedere una costituzione e a creare un Parlamento (Duma); poiché,
però, il potere rimaneva comunque nelle mani dello zar, il malcontento del
popolo continuava. In particolare quello dei socialdemocratici, che diedero
vita a un’organizzazione nuova, i soviet (= consigli), formata da operai che si
diedero il compito sia di organizzare scioperi, sia di cercare la strada più
opportuna per prendere il potere. Di fronte alla repressione dell’esercito e
della polizia, con migliaia di oppositori incarcerati e giustiziati, la spinta
rivoluzionaria si esaurì entro la fine del 1906.
Lo
zar Nicola II
Era in queste condizioni che la Russia
entrò nella Prima guerra mondiale nel 1914 a fianco della Francia, con cui era
alleata dal 1892.
Ma la condotta disastrosa delle operazioni
belliche (già nel 1915 la Russia aveva perso Polonia, Lituania, parte
dell’Ucraina, della Bielorussia e della Lettonia), la paurosa inefficienza e
corruzione dell’amministrazione statale, l’arroganza e gli intrighi della corte
zarista, la penuria di generi alimentari scavarono un baratro tra gli ambienti
governativi e la popolazione.
A Pietrogrado (il nome assunto nel 1914 da
San Pietroburgo, la capitale dell’Impero Russo) il 23 febbraio 1917 (l’8 marzo
secondo il calendario gregoriano in uso in occidente, sfasato di qualche giorno
rispetto a quello ortodosso russo) si svolse una manifestazione pacifica di
donne, alle quali si unirono operai licenziati e migliaia di lavoratori in
sciopero. Nei giorni successivi gli scioperanti crebbero di numero e si
scontrarono con le forze di polizia a cavallo; l’esercito, chiamato a
intervenire per far cessare i disordini, si ribellò all’ordine di sparare sui
dimostranti e numerosi reparti di soldati fraternizzarono con gli operai. Si
formò un nuovo soviet, formato non solo da operai, ma anche da militari.
Soldati
armati a Pietrogrado nel 1917
La rivoluzione del febbraio (o marzo) 1917
si estese da Pietrogrado a Mosca e ad altre città russe: Nicola II dovette
abdicare, lasciando il potere a un governo provvisorio, il quale si venne a
trovare in contrasto con i diversi soviet che erano sorti nelle diverse città e
che erano controllati dai bolscevichi.
Nei mesi successivi contrasti su come
agire e lotte tra i diversi gruppi si susseguirono un po’ dappertutto: grazie
al prestigio di cui godeva, Lenin riuscì a far accettare il suo programma, che
comprendeva quattro punti principali:
- il ritiro della Russia dalla guerra
- la distribuzione delle terre ai
contadini
- il controllo delle fabbriche assegnato
agli operai
- la libertà di scelta per tutte le
minoranze nazionali presenti all’interno della Russia.
Nel luglio 1917 si formò un nuovo governo,
guidato da Aleksandr Kerenskij, un moderato, che manifestò la volontà di
continuare ad ogni costo la guerra contro i tedeschi, sebbene al fronte la
situazione peggiorasse irrimediabilmente: sempre più numerosi erano gli
ammutinamenti, le diserzioni, le violenze contro gli ufficiali, gli episodi di
fraternizzazione con i soldati nemici.
Soldati
russi fraternizzano con i tedeschi sul fronte orientale
Intanto i bolscevichi riscuotevano
consensi sempre più ampi tra le masse popolari, su cui era sempre più forte lo
spettro della fame e della disoccupazione. In ottobre Lenin maturò l’idea che
fosse possibile attuare una nuova insurrezione armata, stavolta contro il
governo Kerenskij: venne scelta la data del 25 ottobre (il 7 novembre secondo
il calendario gregoriano).
Nella notte dal 24 al 25 ottobre le
guardie rosse bolsceviche occuparono le stazioni ferroviarie e i principali
edifici pubblici di Pietrogrado: Kerenskij fuggì con l’intenzione di tornare
nella capitale alla testa di truppe fedeli. Per completare la presa del potere
mancava solo la conquista del Palazzo d’Inverno, l’ex residenza degli zar,
divenuta la sede del governo provvisorio. La presa del Palazzo e l’arresto dei
ministri da parte dei rivoltosi sancì la vittoria dell’insurrezione, attuata
con estrema decisione e rapidità e senza eccessivo spargimento di sangue: si
tratta di quella che viene comunemente chiamata rivoluzione d’ottobre.
L’assalto
al Palazzo d’Inverno in un francobollo russo emanato nel 1987 per il 70°
anniversario della Rivoluzione d’ottobre, con un dipinto di V. A. Serov
Il nuovo governo (di tipo socialista)
stabilì un armistizio con gli imperi centrali. La situazione di inferiorità in
campo militare, una nuova avanzata tedesca e i gravi problemi che comportava la
gestione del potere (osteggiata da varie forze interne) costrinsero il governo
rivoluzionario russo ad accettare una pace durissima, che comportò la perdita
di tutti i territori occidentali dello Stato (pace di Brest-Litovsk, marzo
1918).
La
firma della pace di Brest-Litovsk
Dopo la rivoluzione d’ottobre i
bolscevichi cominciarono ad attuare il loro programma di riforme. Le fabbriche
passarono sotto il controllo dei consigli operai e le terre dello Stato, dei
nobili e dei monasteri furono distribuite a tutti coloro che ne facevano
richiesta, in modo che ognuno potesse vivere del proprio lavoro di contadino.
La distribuzione della terra migliorò le condizioni di vita nelle campagne, ma
non poté risolvere i problemi che nascevano dall’arretratezza delle tecniche di
coltivazione.
Un
soviet a Pietrogrado nel luglio 1920
Le potenze europee erano ostili al governo
sovietico (cioè dei soviet), perché temevano che la rivoluzione potesse
diffondersi negli altri Paesi. Esse perciò attuarono un blocco economico,
eliminando ogni forma di commercio con la Russia. Inoltre favorirono la
formazione di eserciti controrivoluzionari, chiamati armate bianche, in
opposizione all’armata rossa, ossia l’esercito rivoluzionario. Grazie anche ai
finanziamenti europei, la Russia fu agitata da una guerra civile che tra il
1918 e il 1920 tolse al controllo del governo bolscevico vaste regioni, bloccò
i trasporti, impedì i rifornimenti di combustibile, grano e materie prime e
provocò grandi distruzioni. Nel luglio 1918 il soviet della città di
Ekaterinburg, temendo l’avanzata di un’armata bianca, decise l’uccisione dello
zar Nicola II e di tutta la sua famiglia: la moglie e i cinque figli.
Lo
zar Nicola II con la sua famiglia
In Russia la situazione divenne sempre più
grave: nelle città mancava completamente il cibo, le epidemie facevano strage
tra la popolazione affamata, il legname veniva utilizzato come combustibile
nelle industrie, perciò mancava il riscaldamento nelle case. Il governo
sovietico cercò di risolvere il problema con provvedimenti d’emergenza, che
finirono per peggiorare la situazione, tanto che nel 1921 il cattivo raccolto
provocò almeno cinque milioni di morti per fame.
Bambini
fotografati durante la carestia seguita alla guerra civile del 1919-1921
Nel 1922 l’Impero Russo divenne l’Unione
delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), una federazione in cui il
territorio di ogni popolo formava una repubblica autonoma.
Il partito bolscevico russo, che nel 1918
prese il nome di Partito comunista, organizzò a Mosca una conferenza
internazionale comunista (1919): da questa conferenza nacque la Terza
Internazionale o Internazionale Comunista (Comintern) che riuniva i partiti
socialisti rivoluzionari.
Questi partiti, nella maggior parte nati
dalla scissione dei partiti socialisti esistenti (Germania, 1917; Francia,
1920; Italia, 1921), si chiamarono comunisti per distinguersi dai partiti
socialisti riformisti, che miravano a trasformare la società attraverso riforme
e non attraverso la lotta rivoluzionaria.
Lenin
alla conferenza internazionale comunista del 1919
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