IL RISORGIMENTO ITALIANO: DALLA SECONDA GUERRA
D’INDIPENDENZA ALLA CONQUISTA DI ROMA
Nel 1849 divenne re di Sardegna
Vittorio Emanuele II di Savoia, che nel 1852 scelse come primo ministro il
conte Camillo Benso di Cavour. Costui avviò un’opera di modernizzazione del
Regno di Sardegna, facendo costruire le prime ferrovie, potenziando il porto di
Genova, favorendo lo sviluppo industriale ed eliminando molti ordini religiosi.
Camillo Benso, conte di Cavour in un ritratto del XIX secolo conservato
nel Castello di Sales
Cavour si occupò anche della
preparazione della guerra contro l’Austria, con una serie di abili mosse. Prima
inviò un corpo di spedizione a partecipare alla guerra di Crimea (1855), in
modo da poter intervenire alle trattative di pace, che si tennero a Parigi
(1856): qui Cavour accusò l’Austria di provocare con i suoi interventi in
Italia una situazione di tensione che avrebbe potuto portare a una rivoluzione.
Poi Cavour riuscì a ottenere l’appoggio di Napoleone III, che mirava a
estendere l’influenza francese sul Mediterraneo (accordi stipulati a
Plombières, in Francia, nel 1858): la Francia sarebbe intervenuta a favore del
Regno di Sardegna se questo fosse stato attaccato; al termine della guerra
l’Italia sarebbe divenuta una federazione e il Regno di Sardegna avrebbe ceduto
alla Francia la Savoia e Nizza.
Il Congresso di Parigi conclude
la guerra di Crimea, olio di
Édouard-Louis Dubufe del 1855 circa; Cavour (il primo a sinistra nel dipinto)
si alleò con Francia e Inghilterra che erano in guerra
contro la Russia ed
inviò in Crimea 15.000 soldati. In questo modo al Congresso di Parigi poté
porre all’attenzione generale la «questione italiana»
Gli accordi di Plombières
puntavano alla creazione di uno Stato italiano indipendente, in linea con il
pensiero di molti patrioti moderati, secondo i quali l’unica possibilità per
ottenere la creazione di tale Stato era che re e principi d’Italia si
accordassero tra loro per formare una confederazione di Stati. Tra questi
moderati si distingueva il filosofo Vincenzo Gioberti, autore di un trattato
intitolato Primato morale e civile degli
Italiani (1843), in cui sosteneva che il papa avrebbe potuto avere la
presidenza di questa federazione. Questa posizione è detta neoguelfismo, perché
nel Medioevo i guelfi erano i sostenitori del pontefice nella lotta tra papa e
imperatore.
Anche il democratico Carlo
Cattaneo credeva che una confederazione fosse l’organizzazione migliore per
l’Italia, perché solo una federazione avrebbe rispettato la libertà dei
cittadini e permesso loro di autogovernarsi.
Altri patrioti, sia democratici,
sia moderati, ritenevano che non una confederazione, bensì uno Stato unitario
dovesse sorgere in Italia: questo Stato avrebbe dovuto essere una repubblica
per i democratici, o una monarchia per i moderati. Questi ultimi pensavano che
i re di Sardegna avrebbero potuto essere a capo del nuovo Stato.
Altri pensavano che si sarebbe
raggiunta l’unità italiana solo muovendo guerra all’Austria e che l’esercito di
liberazione dovesse essere guidato dal re di Sardegna. Molti democratici,
invece, ritenevano che solo una rivoluzione popolare avrebbe portato all’unità
d’Italia e alla formazione di uno Stato democratico e repubblicano. Tra costoro
vi furono Giuseppe Mazzini, i fratelli Bandiera, Carlo Pisacane e Giuseppe
Garibaldi.
Da sinistra: Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini,
tre
protagonisti del Risorgimento italiano
Nell’aprile 1859 l’Austria,
abilmente provocata da Cavour, attaccò il Regno di Sardegna: fu la seconda
guerra d’indipendenza. L’esercito francese, quello sardo e le truppe di
volontari guidate da Giuseppe Garibaldi ottennero una serie di vittorie (a
Montebello, a Magenta, a Solferino, a San Martino), che portarono alla
liberazione della Lombardia.
Gerolamo Induno, La battaglia di Magenta (1862)
Alla notizia dello scoppio della
guerra si ebbero rivolte in Emilia, in Romagna e in Toscana, dove le
popolazioni richiesero l’unione al Regno di Sardegna.
Napoleone III, probabilmente
temendo che si formasse un forte Stato italiano ai confini della Francia,
preferì arrivare a un armistizio con l’Austria (armistizio di Villafranca, 8
luglio 1859). La Francia si ritirò dalla guerra e la Lombardia passò al Regno
di Sardegna.
In Emilia, Romagna e Toscana le
popolazioni votarono l’annessione (= l’unione) al Regno di Sardegna (marzo
1860).
Bettino Ricasoli presenta il
plebiscito toscano a Vittorio Emanuele II
(dipinto di S. Capisanti del XIX secolo)
Nel maggio 1860 una spedizione di
circa mille uomini guidata da Giuseppe Garibaldi partì da Quarto (in Liguria) e
sbarcò a Marsala (in Sicilia), con l’obiettivo di liberare l’Italia meridionale
dal governo dei Borboni. L’esercito garibaldino ottenne diverse vittorie
(Calatafimi, Milazzo, Volturno) e, ingrossato da numerosi volontari dell’Italia
meridionale (circa 5.000 uomini in Sicilia, 20.000 alla battaglia del
Volturno), conquistò tutto il Regno delle Due Sicilie.
Carlo Bossoli, La guerra sul Vulturno, combattimento a Porta Romana
presso Santa Maria Maggiore, litografia
acquerellata (1860-62)
Garibaldi era un democratico e
Cavour temeva che volesse creare uno Stato repubblicano nell’Italia
meridionale; inoltre se Garibaldi avesse proseguito nella sua marcia, giungendo
a Roma, questo avrebbe provocato un intervento francese, perché Napoleone III
proteggeva il papa. Perciò l’esercito piemontese partì per raggiungere quello
garibaldino, attraversando il territorio dello Stato della Chiesa e occupando
le Marche e l’Umbria (vittoria di Castelfidardo). Garibaldi consegnò il Regno delle
Due Sicilie a Vittorio Emanuele II (incontro di Teano).
Pietro Aldi, L’incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele
II a Teano (affresco del 1886 nel Palazzo
Comunale di Siena)
Nell’ottobre 1860 (nei territori
del Regno delle Due Sicilie) e nel novembre dello stesso anno (nelle Marche e
nell’Umbria, che facevano parte dello Stato Pontificio) si tennero dei
plebisciti (ossia delle votazioni popolari) che confermarono l’unione dei
territori conquistati da Garibaldi e dall’esercito piemontese al Regno di
Sardegna.
Il 17 marzo 1861 venne poi
proclamato il Regno d’Italia, con capitale Torino. Vittorio Emanuele II divenne
“re d’Italia per grazia di Dio e volontà della Nazione”, mentre soltanto tre
mesi dopo moriva Cavour. Roma e il Veneto non facevano parte del nuovo Regno.
Esso nacque come Stato unico e
fortemente accentratore: le province furono poste sotto il controllo di
prefetti, cioè di rappresentanti del governo centrale dotati di grandi poteri,
e il governo si preoccupò di uniformare le leggi e l’amministrazione di tutto
il Regno. Al nuovo Regno fu esteso lo Statuto Albertino, che garantiva al re
pieni poteri e limitava il suffragio ad appena il 2% della popolazione.
L’aula del primo parlamento del Regno d’Italia a palazzo Carignano a
Torino
In realtà le differenze
all’interno dell’Italia erano molto grandi. Le regioni settentrionali avevano
un’agricoltura abbastanza sviluppata, una rete ferroviaria e alcune industrie,
per cui era in corso una crescita economica. Nelle regioni meridionali l’agricoltura
era molto arretrata e le industrie poco numerose e spesso non competitive.
Molti contadini avevano sperato
che il nuovo governo distribuisse le terre a chi le lavorava, ma questo non
avvenne e la coscrizione (cioè l’arruolamento nell’esercito) obbligatoria
peggiorò le condizioni di vita. Si ebbe perciò, già nel 1861, una rivolta
popolare in tutta l’Italia meridionale. Essa è chiamata brigantaggio, perché i
gruppi di contadini e di soldati sbandati dell’esercito meridionale formavano
bande di briganti, che si rifugiavano sulle montagne e vivevano di furti,
aggressioni e ricatti.
I componenti della banda Barile in una fotografia dell’epoca
Il governo non cercò di ridurre
la miseria da cui era nata la rivolta, ma attuò una durissima repressione militare:
vennero approvate leggi d’emergenza e l’esercito fece arresti di massa,
fucilazioni immediate, distruzione di interi paesi. Questi provvedimenti misero
fine al brigantaggio (1865), senza che le condizioni di vita dei contadini
venissero migliorate.
Nel 1866 la Prussia, che
preparava una guerra contro l’Austria, strinse un’alleanza militare con
l’Italia: in questo modo per l’Austria si sarebbe aperto un secondo fronte di
guerra e l’esercito austriaco avrebbe dovuto dividersi per schierarsi su due linee
di combattimento. La Prussia sconfisse l’Austria e l’Italia poté ottenere il
Veneto e il Friuli, nonostante la sconfitta subita dall’esercito a Custoza e
dalla marina a Lissa: questa guerra viene chiamata terza guerra d’indipendenza.
Litografia colorata del 1866 ca. di Pinot e Sagaire, raffigurante la Battaglia
navale di Lissa.
Nella stampa compaiono
soltanto velieri, ma la battaglia di Lissa fu uno dei primi grandi scontri
sul
mare in cui vennero impiegate navi a vapore corazzate
Roma, sotto il controllo del
papa, era difesa da una guarnigione francese e Napoleone III non avrebbe
accettato che il papa venisse privato del suo dominio, perché avrebbe perso
l’appoggio dei cattolici francesi. Perciò quando Garibaldi cercò di conquistare
Roma (1862 e 1867), fu lo stesso esercito italiano a fermarlo. Ma quando la
Francia fu sconfitta dalla Prussia nella guerra che scoppiò nel 1870, le truppe
italiane poterono entrare facilmente a Roma, che divenne la nuova capitale del
Regno, dopo Torino (che lo era stata dal 1861 al 1865) e dopo Firenze (dal 1865
al 1871).
La breccia di Porta Pia in una litografia colorata dell’epoca.
Il
20 settembre 1870 i soldati del generale Raffaele Cadorna, dopo aver vinto la
debole resistenza delle truppe pontificie, sfondarono a cannonate le mura
presso Porta Pia a Roma
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Il Risorgimento italiano parte seconda
Il Risorgimento italiano parte seconda