Approfondimenti

lunedì 19 ottobre 2015

69 Il Risorgimento italiano: dalla Restaurazione alla Prima guerra d'indipendenza


Il Congresso di Vienna eliminò gli Stati  che erano sorti nel territorio italiano per iniziativa di Napoleone e restituì i loro domini ai sovrani che vi regnavano nel Settecento: l’Italia meridionale (Regno delle Due Sicilie) alla dinastia dei Borboni; il Regno di Sardegna (che acquistò anche il territorio della Repubblica di Genova) ai Savoia; lo Stato della Chiesa al papa.
L’Austria, che già controllava una parte dell’Italia, ampliò i suoi domini: i territori dei ducati di Milano e di Mantova e quello della Repubblica di Venezia formarono il Regno del Lombardo-Veneto, dipendente direttamente dall’Austria; i granducati di Toscana, Parma e Piacenza, Modena e Lucca furono assegnati ai rami diversi della dinastia degli Asburgo. Facevano inoltre parte dei domini austriaci anche il Trentino, Trieste, Zara e le città italiane dell’Istria.


L’applicazione dei principi della Restaurazione in questi Stati fu sicuramente facilitata dalla presenza di una larga parte di popolazione che viveva nella indigenza materiale e nell’assenza di ogni formazione culturale. Ciò nonostante una ristretta percentuale di italiani, pur divisa nella lingua, dato che si esprimeva nei vari dialetti locali, e pur priva di una stampa libera capace – come avveniva in altre nazioni europee – di creare una efficace propaganda politica, riuscì a smuovere la situazione socio-economica.
Infatti nei trent’anni successivi al dominio napoleonico l’Italia cambiò profondamente: innanzitutto la popolazione crebbe rapidamente, grazie al miglioramento della qualità della vita, soprattutto nel nord Italia, dovuto ai progressi della medicina e dell’igiene e al maggior reddito conseguente all’applicazione di nuove tecniche agricole. Furono costruiti e potenziati acquedotti e fognature e le sepolture cominciarono ad essere effettuate in cimiteri fuori città, anziché in fosse, con conseguente diminuzione di epidemie e infezioni.


Non si registrarono, invece, progressi nel campo dell’istruzione: oltre tre quarti della popolazione italiana era analfabeta (il 54,2% nel nord Italia, il 75% al centro, il 90% al sud). La popolazione era dotata, quindi, solamente di una cultura orale e solo una piccola parte dei cittadini poteva leggere libri, manifesti e giornali. Il sistema scolastico presentava enormi differenze tra i diversi Stati: la scuola pubblica era stata introdotta soltanto in Piemonte, che aveva una scuola elementare gratuita e obbligatoria. In Lombardia esistevano numerose scuole private, mentre negli altri Stati l’insegnamento era in gran parte curato dalla Chiesa.

Giuseppe Costantini, La scuola del villaggio (1870 circa)

Gli Stati italiani erano economicamente poco sviluppati e l’agricoltura era ovunque l’attività principale. Nell’Italia meridionale l’agricoltura era particolarmente arretrata per la presenza dei latifondi, grandi proprietà in mano ai nobili ma anche ai borghesi, i quali non erano interessati ad alcun miglioramento e innovazione nella produzione e facevano lavorare le campagne in maniera non dissimile dai tempi del feudalesimo. Qui erano numerosi i braccianti, cioè contadini che avevano un lavoro solo stagionale e vivevano in condizioni di estrema miseria.
Nella Pianura Padana era invece praticata un’agricoltura con maggiori investimenti, che aveva rese più alte, e le condizioni di vita dei contadini, per quanto molto dure, erano meno drammatiche. Nel nord, del resto, erano numerosi i borghesi (professionisti, imprenditori o commercianti) che avevano acquistato terre dai nobili o in seguito all’esproprio dei beni ecclesiastici avvenuto ai tempi di Napoleone. Questi borghesi portavano nelle loro tenute agricole la stessa mentalità imprenditoriale che li animava nelle restanti loro imprese: investimento di capitali, propensione alle innovazioni tecniche, ricerca delle condizioni ottimali dell’azienda.

La messe, dipinto ottocentesco di Francesco Netti

Le attività artigianali e commerciali, per cui un tempo le città italiane erano state ai primi posti in Europa, avevano perso la loro importanza e la divisione del territorio in tanti Stati impediva uno sviluppo economico: ogni Stato, infatti, aveva un mercato interno troppo ridotto per favorire lo sviluppo di imprese artigianali e il commercio tra Stati era ostacolato dalle forti tariffe doganali, ossia le tasse che i vari governi imponevano sulle merci straniere che entravano nei loro territori. Perciò anche lo sviluppo industriale fu molto limitato, sebbene nell’Italia settentrionale si sia registrato un significativo incremento delle industrie tessili (seta e cotone in Lombardia, anche lana in Piemonte), che fece da traino anche all’industria metallurgico-meccanica e a quella cantieristica a Genova. Quasi inesistente fu la crescita industriale nello Stato pontificio, mentre nel Regno delle Due Sicilie i progressi nell’industria tessile e in quella metallurgica non riuscirono a far fronte alla concorrenza internazionale, molto più agguerrita. Qui venne aperta la prima linea ferroviaria italiana (7 chilometri da Napoli a Portici nel 1839), ma ciò avveniva con notevole ritardo rispetto ad altri Stati europei.

Una stampa del XIX secolo raffigurante il tratto appenninico della ferrovia Torino-Genova

Ma proprio il fatto che il territorio italiano fosse diviso in tanti Stati, unito alla mancanza delle più elementari libertà, per giunta ostacolate dai governi nati con la Restaurazione, diedero un forte impulso in Italia al liberalismo e al nazionalismo. Molti patrioti speravano in un Risorgimento dell’Italia, cioè in una rinascita, che avrebbe portato alla formazione di uno Stato italiano unito e indipendente dal dominio asburgico.
Le idee liberali e nazionaliste si diffusero soprattutto tra la borghesia, la quale era meno numerosa e potente in Italia rispetto ad altri Stati europei, ma operò per dar vita ad associazioni segrete, che perseguivano proprio gli scopi di questo Risorgimento; la più importante di queste associazioni segrete fu la Carboneria, il cui programma era noto solo ai suoi affiliati (cioè aderenti).

“Il Risorgimento” fu anche il nome di un giornale politico pubblicato in Piemonte tra il 1847 e il 1852; sopra la prima pagina del 23 marzo 1848

La Carboneria ispirò anche le prime rivolte (1820-21: Napoli, Sicilia, Piemonte). Questi tentativi rivoluzionari e quelli successivi del 1830 (Modena, Parma, Stato Pontificio) fallirono, sia perché non ci fu una vasta partecipazione popolare, sia perché l’esercito austriaco intervenne a reprimerli.
Nel 1830 Giuseppe Mazzini fondò un’associazione chiamata Giovine Italia, che aveva un programma pubblico, ma i cui membri dovevano agire segretamente, per evitare arresti e condanne.
Vi furono ancora due tentativi di provocare un’insurrezione popolare nell’Italia meridionale (spedizione dei fratelli Bandiera nel 1844 e di Carlo Pisacane nel 1857), che però non ottennero il risultato voluto.

La fucilazione dei fratelli Bandiera (l’episodio accadde nel 1844) in una litografia acquerellata
del terzo quarto del XIX secolo

Nel 1848 anche in Italia si ebbero rivolte, che costrinsero i re a concedere costituzioni, come avveniva in diversi Stati europei.
Quando la rivolta scoppiò anche a Milano (le cinque giornate di Milano del marzo 1848) e a Venezia e le truppe austriache furono costrette a ritirarsi, il re di Sardegna, Carlo Alberto, dichiarò guerra all’Austria, nella speranza di unificare l’Italia settentrionale: fu questa la prima guerra d’indipendenza, in cui le truppe sarde, con la partecipazione di volontari di tutte le regioni, ottennero alcune vittorie, ma la superiorità dell’esercito austriaco costrinse Carlo Alberto alla resa (1848 e 1849).
Le rivolte ancora in corso, in particolare a Roma e a Venezia, dove erano stati formati governi repubblicani, furono soffocate (1849), a Roma dalle truppe francesi, a Venezia da quelle austriache. L’Italia ritornò così sotto i suoi sovrani, che perseguitarono i patrioti. I re ritirarono le costituzioni concesse, ad eccezione del re di Sardegna: lo Statuto Albertino (così chiamato perché concesso da Carlo Alberto) rimase in vigore e negli anni seguenti il Regno di Sardegna fu l’unico Stato costituzionale dell’Italia.

La pagina iniziale dello Statuto Albertino

Se vuoi vedere/ascoltare questa lezione, clicca sul link seguente:
Il Risorgimento italiano parte prima



mercoledì 14 ottobre 2015

68 Europa e Nord America nella prima metà dell'Ottocento



EUROPA E NORD AMERICA NELLA PRIMA METÀ DELL’OTTOCENTO

Nel periodo della Restaurazione i governanti dei vari Stati europei cercano di far rivivere le condizioni esistenti prima della rivoluzione francese e di Napoleone, ricorrendo spesso alla repressione attuata dalle proprie forze di polizia; però la loro azione è destinata al fallimento, non solo per l’opposizione netta della borghesia, ma anche perché sia in Europa sia nel Nord America diverse e profonde trasformazioni stanno avvenendo in campo economico e sociale.
Le industrie tessili, che erano comparse in Inghilterra nel Settecento, incominciarono a diffondersi negli U.S.A. e negli Stati europei più ricchi: qui infatti c’erano maggiori capitali, che potevano essere investiti nella costruzione di fabbriche e nell’acquisto delle macchine necessarie per la produzione. Di conseguenza Stati Uniti, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svizzera divennero anch’essi Stati industrializzati, anche se a livelli ancora molto inferiori a quelli inglesi.
Soltanto nella seconda metà dell’Ottocento l’industrializzazione di questi Paesi fu così ampia, da far parlare gli storici di una “seconda rivoluzione industriale”.

La città borgognone di Le Creusot nel 1847; la Francia fu, dopo l’Inghilterra, il primo Stato europeo a conoscere una forte industrializzazione

Nel primo Ottocento vi fu un’innovazione destinata a trasformare profondamente la società in Europa e negli U.S.A.: l’invenzione della locomotiva, nel modello di Stephenson del 1814. Con la locomotiva nacque il treno, dapprima utilizzato per il trasporto delle merci e poi (1825) per quello dei passeggeri. Nel 1830 fu completato il primo collegamento ferroviario tra le città inglesi di Liverpool e Manchester.

La prima ferrovia inglese tra Liverpool e Manchester: in alto un convoglio di prima classe, 
in basso uno di seconda classe

Gli Stati fecero grandi investimenti per realizzare una rete ferroviaria, che permetteva trasporti più rapidi a costi inferiori e non si preoccuparono minimamente delle grandi trasformazioni del paesaggio (spesso negative) che derivavano dalla costruzione di chilometri di binari. Negli Stati Uniti le ferrovie, che vennero costruite nella seconda metà del XIX secolo, attraversavano spesso i territori dei nativi americani, i quali non vedevano di buon occhio quei treni che attraversavano le praterie sbuffando fumo dalle locomotive e spaventando le mandrie di bisonti che erano fondamentali per il loro sostentamento.

L’apertura della ferrovia da Darlington a Stockton nel 1825 (stampa di J.R. Brown del 1888)

Intanto l’applicazione della macchina a vapore stava trasformando la navigazione: i battelli a vapore, in grado dal 1819 di attraversare anche l’oceano, affiancarono i velieri, per poi sostituirli del tutto prima della fine del secolo.
Il treno e i battelli a vapore portarono a un grande sviluppo del commercio nazionale e internazionale, perché mentre prima trasportare un prodotto in una località lontana richiedeva grandi spese, ora i costi di trasporto si ridussero. Perciò i prezzi divennero più simili, sia all’interno di ogni Stato, sia anche all’interno dell’Europa, perché se un prodotto costava molto di più in una regione, esso veniva fatto arrivare dalle regioni in cui costava di meno.

Velieri e battelli di metà del XIX secolo

In ogni regione perciò vennero abbandonate le produzioni (agricole e industriali) che non erano competitive (cioè che non reggevano la concorrenza) e ci fu una specializzazione produttiva: in ogni regione si investiva soprattutto nella produzione di quei prodotti agricoli e industriali che era possibile produrre a bassi costi e poi vendere anche in altre regioni e in altri Stati.
Lo sviluppo delle industrie e della rete ferroviaria in alcuni Stati ne favorì la crescita economica, mentre gli Stati che non avevano industrie e ferrovie rimasero fortemente arretrati. Si creò perciò una differenza sempre più forte tra le regioni e gli Stati industrializzati, che accumularono grandi ricchezze, e quelli più poveri, in cui non vi era sviluppo e in cui potevano verificarsi ancora annate di scarso raccolto, che portavano alla miseria e alla morte per fame intere popolazioni, come accadde in Irlanda, con la grande carestia del 1845-1847, che causò oltre 700.000 morti.

Un’illustrazione del 1900 di autore sconosciuto sulla grande carestia irlandese

Nei Paesi industrializzati l’asse della produzione di spostò dalla campagna alla città, determinando un progressivo incremento della popolazione urbana e un calo della popolazione rurale.
Anche la società degli Stati industrializzati si modificò profondamente. Si formò una borghesia di proprietari di industrie, banche, miniere e imprese commerciali, che controllava l’economia e accumulava grandi ricchezze. Divennero  numerosi anche gli impiegati, che lavoravano sia nelle imprese commerciali e nelle banche, sia nell’amministrazione pubblica, mentre diminuì sensibilmente il numero dei contadini e degli artigiani e la nobiltà perse definitivamente il proprio potere economico.
Nelle città vi fu un grande aumento del numero di operai che lavoravano nelle fabbriche e di minatori nelle miniere. Essi formavano un proletariato urbano sempre più numeroso, ma poiché vivevano in condizioni di grande povertà (dato che allora la borghesia non aveva limiti nello sfruttamento del lavoro operaio), era più che naturale che essi cercassero di organizzarsi per migliorare la propria condizione.

Operai in una fonderia inglese del XIX secolo

La “questione sociale” (come venne chiamato il problema delle condizioni di vita dei proletari) fu al centro di molte polemiche e portò alla nascita di movimenti e partiti, che cercavano di trovare una soluzione alla povertà di grandi masse di popolazioni. Proprio perché si occupavano della “questione sociale” questi movimenti e partiti vennero chiamati complessivamente socialisti e due di essi in particolare furono importanti nella prima metà dell’Ottocento.
Il primo fu quello dei cartisti, che prese le mosse nel 1836 da un gruppo di operai inglesi che fondarono la società operaia di Londra. Nel 1837 alcuni di essi, capeggiati da William Lowett, un operaio tessile, formularono per la prima volta un chiaro manifesto con le rivendicazioni della classe operaia: salari più elevati, diritto di sciopero, assistenza ai malati, agli invalidi, ai disoccupati, ai vecchi. Essi inoltre volevano dar vita a un partito politico della classe operaia, che (grazie al diritto di voto esteso anche ai proletari) potesse eleggere i propri rappresentanti in Parlamento. I cartisti (così chiamati perché THE PEOPLE’S CHARTER era il nome del documento con cui avanzavano le loro richieste) furono i fondatori di quello che viene chiamato socialismo riformista, che voleva battersi per le proprie conquiste rimanendo all’interno delle libertà parlamentari.

La Carta del Popolo (The People’s Charter) del 1838

Il secondo movimento nacque più o meno negli stessi anni in Francia e portò a quello che viene chiamato socialismo rivoluzionario; ebbe origine dall’azione di Louis-Auguste Blanqui, che organizzò una serie di gruppi, il cui scopo doveva essere il rifiuto radicale della società borghese e il rovesciamento di essa mediante la rivoluzione, cioè mediante il ricorso ad azioni violente.
Più tardi, nel 1848, nacque anche il cosiddetto socialismo scientifico, o anche comunismo, poiché basato su un libretto scritto da due filosofi ed economisti tedeschi, Karl Marx e Friedrich Engels, intitolato “Manifesto del Partito Comunista” (se ne parlerà in una prossima lezione).

Louis-Auguste Blanqui (a sinistra) e Karl Marx


sabato 3 ottobre 2015

67 I moti rivoluzionari in Europa e in America nella prima metà dell'Ottocento



La diffusione del nazionalismo e del liberalismo portò a diverse rivolte, guidate di solito dalla borghesia e chiamate complessivamente "moti rivoluzionari".
In America tra il 1810 e il 1824 le colonie spagnole si ribellarono al dominio della madrepatria, sconfiggendo l'esercito spagnolo e dando vita a molti nuovi Stati: solo Cuba rimase sotto il controllo della Spagna.

Gli Stati che si formarono nell’America Centro-meridionale all’inizio del XIX secolo

In Europa vi furono rivolte tra il 1820 e il 1848 in numerosi Paesi: Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Russia, Francia, Belgio, Polonia, Svizzera.
Le prime rivolte, ispirate alle idee liberali, scoppiarono nel biennio 1820-21 e inizialmente ottennero alcuni successi, ma alla fine furono soffocate, soprattutto per l'intervento della Francia (in Spagna) e della Santa Alleanza (in Italia), i cui eserciti aiutarono i sovrani a riprendere il potere. I re ritirarono le costituzioni che avevano dovuto concedere e fecero arrestare e spesso giustiziare i capi delle rivolte.
I Greci si ribellarono al dominio turco (1822) e con una lunga guerra d'indipendenza, grazie anche al sostegno delle potenze europee, liberarono parte del loro territorio: nacque così il Regno di Grecia (1830).

Eugène Delacroix, Il massacro di Scio:
in questo dipinto del 1824 è rappresentato uno degli eventi repressivi dei Turchi contro la Grecia

Nel dicembre 1825 in Russia alcuni patrioti cercarono di indurre alla ribellione la guarnigione di Pietroburgo, che doveva prestare giuramento al nuovo zar Nicola I. il movimento decabrista, così chiamato dal mese in cui esplose la rivolta, fallì e i congiurati furono condannati a morte o esiliati in Siberia.
Alcune delle rivoluzioni del 1830 ebbero successo. In Francia il re Carlo X, che aveva cercato di eliminare le libertà esistenti, fu costretto a fuggire (1830); venne perciò scelto un nuovo sovrano, Luigi Filippo d'Orléans, e le libertà dei cittadini vennero ampliate da una nuova carta costituzionale, che aumentò il numero degli elettori (passati a oltre 200.000).
Quando si diffuse la notizia della rivoluzione parigina, anche i polacchi si sollevarono. La rivolta partì da Varsavia e dilagò in tutta la Polonia; i liberali polacchi speravano nell'appoggio della Francia, che non intervenne e la rivolta fu soffocata dall'esercito russo.
Il Belgio si staccò dai Paesi Bassi, dando vita a un nuovo Stato. Altre rivolte, come quelle italiane e quella polacca, furono invece soffocate.

Jean-Victor Schnetz, Combattimenti all’Hotel de Ville di Parigi del 28 luglio 1830

Nuove rivoluzioni, che coinvolsero gran parte dei Paesi europei, si verificarono nel 1848: furono così numerose e violente da far nascere nella lingua italiana l'espressione "fare un quarantotto", nel significato di "provocare un grande disordine". Esse si manifestarono in un periodo in cui era in corso una grave crisi agricola (malattia delle patate dal 1845 e cattivo raccolto del grano del 1846): l'aumento dei prezzi dei generi alimentari aveva provocato un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione e la situazione si era aggravata a causa di una delle frequenti crisi industriali, che si verificavano periodicamente negli Stati industrializzati. Vi era perciò un forte malcontento popolare, che spinse molti operai e contadini a partecipare a queste rivoluzioni.
La rivoluzione ebbe inizio a febbraio in Francia, dove fu scatenata dalla decisione del re Luigi Filippo di proibire una riunione politica. Tra il 22 e il 24 febbraio imponenti manifestazioni popolari costrinsero il re a fuggire e il parlamento a proclamare la repubblica (la seconda dopo quella del 1792).
La notizia del successo della rivoluzione in Francia provocò rivolte in moltissime città europee (tra cui Milano, Palermo, Napoli, Berlino, Vienna, Budapest, Praga): ovunque si innalzarono barricate (ossia dei ripari costruiti con materiali diversi con cui si bloccava il passaggio, solitamente in una via cittadina, dell'esercito) e ci furono scontri armati tra cittadini e truppe regolari.

Barricate a Vienna nel 1848

In molti Stati i sovrani furono costretti a concedere una costituzione che accoglieva alcuni dei principi liberali. Nelle rivoluzioni del 1848 furono molto forti anche le rivendicazioni nazionaliste: in Italia, in Germania, in Ungheria e in Boemia (l'attuale Repubblica Ceca) molti rivoluzionari richiedevano l'indipendenza e l'unità della loro patria.
In Francia gli operai delle industrie che partecipavano ai moti rivoluzionari reclamavano una riduzione dell'orario in fabbrica e il riconoscimento del diritto ad avere un lavoro. In un primo tempo le loro richieste vennero accolte: vennero creati dei centri di lavoro (detti Ateliers Nationaux) per gli operai disoccupati e la giornata lavorativa fu ridotta a dieci ore. Inoltre la nuova costituzione allargò il diritto di voto, introducendo il suffragio universale maschile a voto segreto: si passò quindi da 246.000 elettori a 10 milioni.
Le nuove leggi spaventarono la borghesia, che vedeva danneggiati i propri interessi e temeva di perdere il potere conquistato, ma poiché la rivoluzione coinvolgeva il proletariato solo a Parigi, le prime elezioni a suffragio universale portarono a un Parlamento controllato dalla borghesia e a un governo conservatore, cioè contrario alle innovazioni. I centri di lavoro vennero eliminati e le libertà dei cittadini limitate e questo provocò una nuova rivolta popolare (giugno 1848), che venne stroncata con una feroce repressione.

Barricate a Parigi nel 1848

Le elezioni del 1849 portarono al potere Luigi Napoleone Bonaparte, un nipote di Napoleone; egli attuò un colpo di stato, impadronendosi del potere nel 1851, e nel 1852 si proclamò imperatore con il nome di Napoleone III (secondo impero, dopo quello di Napoleone).

Alfred De Dreux, Ritratto di Napoleone III

Anche negli altri Stati europei le rivoluzioni vennero soffocate, ma esse portarono comunque a cambiamenti importanti: in Prussia e nell'Impero Austriaco vennero eliminati i residui del feudalesimo; venne concessa una costituzione in Prussia, nel Regno di Sardegna, nei Paesi Bassi, in Belgio e in Austria (revocata nel 1851, ma rimessa in vigore con poche modifiche nel 1867). Nella seconda parte del secolo gran parte di queste trasformazioni politiche vennero estese anche ad altri Stati europei.
Le aspirazioni nazionaliste non furono soddisfatte: l'Italia e la Germania rimasero divise in tanti Stati, l'Ungheria e la Boemia non ottennero l'indipendenza.

Un rivoluzionario sottoposto a tortura in seguito ai moti indipendentisti siciliani del 1820 (dipinto del secolo XIX)