EUROPA E NORD AMERICA NELLA PRIMA METÀ DELL’OTTOCENTO
Nel periodo della Restaurazione i
governanti dei vari Stati europei cercano di far rivivere le condizioni
esistenti prima della rivoluzione francese e di Napoleone, ricorrendo spesso
alla repressione attuata dalle proprie forze di polizia; però la loro azione è
destinata al fallimento, non solo per l’opposizione netta della borghesia, ma
anche perché sia in Europa sia nel Nord America diverse e profonde
trasformazioni stanno avvenendo in campo economico e sociale.
Le industrie tessili, che erano
comparse in Inghilterra nel Settecento, incominciarono a diffondersi negli
U.S.A. e negli Stati europei più ricchi: qui infatti c’erano maggiori capitali,
che potevano essere investiti nella costruzione di fabbriche e nell’acquisto
delle macchine necessarie per la produzione. Di conseguenza Stati Uniti,
Francia, Germania, Paesi Bassi e Svizzera divennero anch’essi Stati
industrializzati, anche se a livelli ancora molto inferiori a quelli inglesi.
Soltanto nella seconda metà
dell’Ottocento l’industrializzazione di questi Paesi fu così ampia, da far
parlare gli storici di una “seconda rivoluzione industriale”.
La città borgognone di Le Creusot nel 1847; la Francia fu, dopo
l’Inghilterra, il primo Stato europeo a conoscere una forte industrializzazione
Nel primo Ottocento vi fu
un’innovazione destinata a trasformare profondamente la società in Europa e
negli U.S.A.: l’invenzione della locomotiva, nel modello di Stephenson del
1814. Con la locomotiva nacque il treno, dapprima utilizzato per il trasporto
delle merci e poi (1825) per quello dei passeggeri. Nel 1830 fu completato il
primo collegamento ferroviario tra le città inglesi di Liverpool e Manchester.
La prima ferrovia inglese tra Liverpool e Manchester: in alto un
convoglio di prima classe,
in basso uno di seconda classe
Gli Stati fecero grandi
investimenti per realizzare una rete ferroviaria, che permetteva trasporti più
rapidi a costi inferiori e non si preoccuparono minimamente delle grandi
trasformazioni del paesaggio (spesso negative) che derivavano dalla costruzione
di chilometri di binari. Negli Stati Uniti le ferrovie, che vennero costruite
nella seconda metà del XIX secolo, attraversavano spesso i territori dei nativi
americani, i quali non vedevano di buon occhio quei treni che attraversavano le
praterie sbuffando fumo dalle locomotive e spaventando le mandrie di bisonti
che erano fondamentali per il loro sostentamento.
L’apertura della ferrovia da Darlington a Stockton
nel 1825 (stampa di J.R. Brown del 1888)
Intanto l’applicazione della
macchina a vapore stava trasformando la navigazione: i battelli a vapore, in
grado dal 1819 di attraversare anche l’oceano, affiancarono i velieri, per poi
sostituirli del tutto prima della fine del secolo.
Il treno e i battelli a vapore
portarono a un grande sviluppo del commercio nazionale e internazionale, perché
mentre prima trasportare un prodotto in una località lontana richiedeva grandi
spese, ora i costi di trasporto si ridussero. Perciò i prezzi divennero più
simili, sia all’interno di ogni Stato, sia anche all’interno dell’Europa,
perché se un prodotto costava molto di più in una regione, esso veniva fatto
arrivare dalle regioni in cui costava di meno.
Velieri e battelli di metà del XIX secolo
In ogni regione perciò vennero
abbandonate le produzioni (agricole e industriali) che non erano competitive
(cioè che non reggevano la concorrenza) e ci fu una specializzazione
produttiva: in ogni regione si investiva soprattutto nella produzione di quei
prodotti agricoli e industriali che era possibile produrre a bassi costi e poi
vendere anche in altre regioni e in altri Stati.
Lo sviluppo delle industrie e
della rete ferroviaria in alcuni Stati ne favorì la crescita economica, mentre
gli Stati che non avevano industrie e ferrovie rimasero fortemente arretrati.
Si creò perciò una differenza sempre più forte tra le regioni e gli Stati
industrializzati, che accumularono grandi ricchezze, e quelli più poveri, in
cui non vi era sviluppo e in cui potevano verificarsi ancora annate di scarso
raccolto, che portavano alla miseria e alla morte per fame intere popolazioni,
come accadde in Irlanda, con la grande carestia del 1845-1847, che causò oltre
700.000 morti.
Un’illustrazione del 1900 di autore sconosciuto sulla grande carestia
irlandese
Nei Paesi industrializzati l’asse
della produzione di spostò dalla campagna alla città, determinando un
progressivo incremento della popolazione urbana e un calo della popolazione
rurale.
Anche la società degli Stati
industrializzati si modificò profondamente. Si formò una borghesia di
proprietari di industrie, banche, miniere e imprese commerciali, che
controllava l’economia e accumulava grandi ricchezze. Divennero numerosi anche gli impiegati, che lavoravano
sia nelle imprese commerciali e nelle banche, sia nell’amministrazione
pubblica, mentre diminuì sensibilmente il numero dei contadini e degli
artigiani e la nobiltà perse definitivamente il proprio potere economico.
Nelle città vi fu un grande
aumento del numero di operai che lavoravano nelle fabbriche e di minatori nelle
miniere. Essi formavano un proletariato urbano sempre più numeroso, ma poiché
vivevano in condizioni di grande povertà (dato che allora la borghesia non
aveva limiti nello sfruttamento del lavoro operaio), era più che naturale che
essi cercassero di organizzarsi per migliorare la propria condizione.
Operai in una fonderia inglese del XIX secolo
La “questione sociale” (come
venne chiamato il problema delle condizioni di vita dei proletari) fu al centro
di molte polemiche e portò alla nascita di movimenti e partiti, che cercavano
di trovare una soluzione alla povertà di grandi masse di popolazioni. Proprio
perché si occupavano della “questione sociale” questi movimenti e partiti
vennero chiamati complessivamente socialisti e due di essi in particolare
furono importanti nella prima metà dell’Ottocento.
Il primo fu quello dei cartisti,
che prese le mosse nel 1836 da un gruppo di operai inglesi che fondarono la
società operaia di Londra. Nel 1837 alcuni di essi, capeggiati da William
Lowett, un operaio tessile, formularono per la prima volta un chiaro manifesto
con le rivendicazioni della classe operaia: salari più elevati, diritto di
sciopero, assistenza ai malati, agli invalidi, ai disoccupati, ai vecchi. Essi inoltre
volevano dar vita a un partito politico della classe operaia, che (grazie al
diritto di voto esteso anche ai proletari) potesse eleggere i propri
rappresentanti in Parlamento. I cartisti (così chiamati perché THE PEOPLE’S CHARTER
era il nome del documento con cui avanzavano le loro richieste) furono i
fondatori di quello che viene chiamato socialismo
riformista, che voleva battersi per le proprie conquiste rimanendo
all’interno delle libertà parlamentari.
La Carta del Popolo (The People’s Charter) del 1838
Il secondo movimento nacque più o
meno negli stessi anni in Francia e portò a quello che viene chiamato socialismo rivoluzionario; ebbe origine
dall’azione di Louis-Auguste Blanqui, che organizzò una serie di gruppi, il cui
scopo doveva essere il rifiuto radicale della società borghese e il
rovesciamento di essa mediante la rivoluzione, cioè mediante il ricorso ad
azioni violente.
Più tardi, nel 1848, nacque anche
il cosiddetto socialismo scientifico,
o anche comunismo, poiché basato su un libretto scritto da due filosofi ed
economisti tedeschi, Karl Marx e Friedrich Engels, intitolato “Manifesto del
Partito Comunista” (se ne parlerà in una prossima lezione).
Louis-Auguste Blanqui (a sinistra) e Karl Marx
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