Il Congresso di Vienna eliminò
gli Stati che erano sorti nel territorio
italiano per iniziativa di Napoleone e restituì i loro domini ai sovrani che vi
regnavano nel Settecento: l’Italia meridionale (Regno delle Due Sicilie) alla
dinastia dei Borboni; il Regno di Sardegna (che acquistò anche il territorio
della Repubblica di Genova) ai Savoia; lo Stato della Chiesa al papa.
L’Austria, che già controllava
una parte dell’Italia, ampliò i suoi domini: i territori dei ducati di Milano e
di Mantova e quello della Repubblica di Venezia formarono il Regno del
Lombardo-Veneto, dipendente direttamente dall’Austria; i granducati di Toscana,
Parma e Piacenza, Modena e Lucca furono assegnati ai rami diversi della
dinastia degli Asburgo. Facevano inoltre parte dei domini austriaci anche il
Trentino, Trieste, Zara e le città italiane dell’Istria.
L’applicazione dei principi della
Restaurazione in questi Stati fu sicuramente facilitata dalla presenza di una
larga parte di popolazione che viveva nella indigenza materiale e nell’assenza
di ogni formazione culturale. Ciò nonostante una ristretta percentuale di
italiani, pur divisa nella lingua, dato che si esprimeva nei vari dialetti locali,
e pur priva di una stampa libera capace – come avveniva in altre nazioni
europee – di creare una efficace propaganda politica, riuscì a smuovere la
situazione socio-economica.
Infatti nei trent’anni successivi
al dominio napoleonico l’Italia cambiò profondamente: innanzitutto la
popolazione crebbe rapidamente, grazie al miglioramento della qualità della
vita, soprattutto nel nord Italia, dovuto ai progressi della medicina e
dell’igiene e al maggior reddito conseguente all’applicazione di nuove tecniche
agricole. Furono costruiti e potenziati acquedotti e fognature e le sepolture
cominciarono ad essere effettuate in cimiteri fuori città, anziché in fosse,
con conseguente diminuzione di epidemie e infezioni.
Non si registrarono, invece,
progressi nel campo dell’istruzione: oltre tre quarti della popolazione
italiana era analfabeta (il 54,2% nel nord Italia, il 75% al centro, il 90% al
sud). La popolazione era dotata, quindi, solamente di una cultura orale e solo
una piccola parte dei cittadini poteva leggere libri, manifesti e giornali. Il
sistema scolastico presentava enormi differenze tra i diversi Stati: la scuola
pubblica era stata introdotta soltanto in Piemonte, che aveva una scuola
elementare gratuita e obbligatoria. In Lombardia esistevano numerose scuole
private, mentre negli altri Stati l’insegnamento era in gran parte curato dalla
Chiesa.
Giuseppe Costantini, La scuola del villaggio (1870 circa)
Gli Stati italiani erano
economicamente poco sviluppati e l’agricoltura era ovunque l’attività principale.
Nell’Italia meridionale l’agricoltura era particolarmente arretrata per la
presenza dei latifondi, grandi proprietà in mano ai nobili ma anche ai borghesi,
i quali non erano interessati ad alcun miglioramento e innovazione nella
produzione e facevano lavorare le campagne in maniera non dissimile dai tempi
del feudalesimo. Qui erano numerosi i braccianti, cioè contadini che avevano un
lavoro solo stagionale e vivevano in condizioni di estrema miseria.
Nella Pianura Padana era invece
praticata un’agricoltura con maggiori investimenti, che aveva rese più alte, e
le condizioni di vita dei contadini, per quanto molto dure, erano meno
drammatiche. Nel nord, del resto, erano numerosi i borghesi (professionisti,
imprenditori o commercianti) che avevano acquistato terre dai nobili o in
seguito all’esproprio dei beni ecclesiastici avvenuto ai tempi di Napoleone.
Questi borghesi portavano nelle loro tenute agricole la stessa mentalità
imprenditoriale che li animava nelle restanti loro imprese: investimento di
capitali, propensione alle innovazioni tecniche, ricerca delle condizioni
ottimali dell’azienda.
La messe, dipinto ottocentesco di Francesco Netti
Le attività artigianali e
commerciali, per cui un tempo le città italiane erano state ai primi posti in Europa,
avevano perso la loro importanza e la divisione del territorio in tanti Stati
impediva uno sviluppo economico: ogni Stato, infatti, aveva un mercato interno
troppo ridotto per favorire lo sviluppo di imprese artigianali e il commercio
tra Stati era ostacolato dalle forti tariffe doganali, ossia le tasse che i
vari governi imponevano sulle merci straniere che entravano nei loro territori.
Perciò anche lo sviluppo industriale fu molto limitato, sebbene nell’Italia
settentrionale si sia registrato un significativo incremento delle industrie
tessili (seta e cotone in Lombardia, anche lana in Piemonte), che fece da
traino anche all’industria metallurgico-meccanica e a quella cantieristica a
Genova. Quasi inesistente fu la crescita industriale nello Stato pontificio,
mentre nel Regno delle Due Sicilie i progressi nell’industria tessile e in
quella metallurgica non riuscirono a far fronte alla concorrenza
internazionale, molto più agguerrita. Qui venne aperta la prima linea
ferroviaria italiana (7
chilometri da Napoli a Portici nel 1839), ma ciò
avveniva con notevole ritardo rispetto ad altri Stati europei.
Una stampa del XIX secolo raffigurante il tratto appenninico della
ferrovia Torino-Genova
Ma proprio il fatto che il
territorio italiano fosse diviso in tanti Stati, unito alla mancanza delle più
elementari libertà, per giunta ostacolate dai governi nati con la Restaurazione,
diedero un forte impulso in Italia al liberalismo e al nazionalismo. Molti
patrioti speravano in un Risorgimento dell’Italia, cioè in una rinascita, che
avrebbe portato alla formazione di uno Stato italiano unito e indipendente dal
dominio asburgico.
Le idee liberali e nazionaliste
si diffusero soprattutto tra la borghesia, la quale era meno numerosa e potente
in Italia rispetto ad altri Stati europei, ma operò per dar vita ad
associazioni segrete, che perseguivano proprio gli scopi di questo Risorgimento;
la più importante di queste associazioni segrete fu la Carboneria, il cui
programma era noto solo ai suoi affiliati (cioè aderenti).
“Il Risorgimento” fu anche il nome di un giornale politico pubblicato
in Piemonte tra il 1847 e il 1852; sopra la prima pagina del 23 marzo 1848
La Carboneria ispirò anche le
prime rivolte (1820-21: Napoli, Sicilia, Piemonte). Questi tentativi rivoluzionari
e quelli successivi del 1830 (Modena, Parma, Stato Pontificio) fallirono, sia
perché non ci fu una vasta partecipazione popolare, sia perché l’esercito
austriaco intervenne a reprimerli.
Nel 1830 Giuseppe Mazzini fondò
un’associazione chiamata Giovine Italia, che aveva un programma pubblico, ma i
cui membri dovevano agire segretamente, per evitare arresti e condanne.
Vi furono ancora due tentativi di
provocare un’insurrezione popolare nell’Italia meridionale (spedizione dei
fratelli Bandiera nel 1844 e di Carlo Pisacane nel 1857), che però non
ottennero il risultato voluto.
La fucilazione dei fratelli Bandiera (l’episodio accadde nel 1844) in
una litografia acquerellata
del terzo quarto del XIX secolo
Nel 1848 anche in Italia si
ebbero rivolte, che costrinsero i re a concedere costituzioni, come avveniva in
diversi Stati europei.
Quando la rivolta scoppiò anche a
Milano (le cinque giornate di Milano del marzo 1848) e a Venezia e le truppe
austriache furono costrette a ritirarsi, il re di Sardegna, Carlo Alberto,
dichiarò guerra all’Austria, nella speranza di unificare l’Italia
settentrionale: fu questa la prima guerra d’indipendenza, in cui le truppe
sarde, con la partecipazione di volontari di tutte le regioni, ottennero alcune
vittorie, ma la superiorità dell’esercito austriaco costrinse Carlo Alberto
alla resa (1848 e 1849).
Le rivolte ancora in corso, in
particolare a Roma e a Venezia, dove erano stati formati governi repubblicani,
furono soffocate (1849), a Roma dalle truppe francesi, a Venezia da quelle
austriache. L’Italia ritornò così sotto i suoi sovrani, che perseguitarono i
patrioti. I re ritirarono le costituzioni concesse, ad eccezione del re di
Sardegna: lo Statuto Albertino (così chiamato perché concesso da Carlo Alberto)
rimase in vigore e negli anni seguenti il Regno di Sardegna fu l’unico Stato
costituzionale dell’Italia.
La pagina iniziale dello Statuto Albertino
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Il Risorgimento italiano parte prima
Il Risorgimento italiano parte prima