Approfondimenti

mercoledì 20 agosto 2014

15 Chiesa cattolica e monachesimo



CHIESA CATTOLICA E MONACHESIMO

IL RUOLO DI PAPI E VESCOVI NELLE CITTÀ

In un’Europa divisa in tanti regni e attraversata da una profonda crisi economica e sociale, la Chiesa era l’unica istituzione dotata di un’organizzazione efficiente e che fosse presente un po’ ovunque. Inoltre disponeva di grandi ricchezze, poiché molti fedeli donavano ai vescovi terre che venivano coltivate da servi e contadini. Infine era l’unica istituzione che provvedeva alla sopravvivenza della cultura, in quanto i sacerdoti sapevano (quasi tutti) leggere e scrivere, mentre i Germani erano analfabeti e i discendenti dei Romani lo diventavano sempre più con il passare del tempo.
Inizialmente la Chiesa era divisa in tante chiese locali autonome, guidate da un vescovo, che aveva un seguito di sacerdoti e di servitori. Col tempo il vescovo di Roma, chiamato papa, venne riconosciuto come il capo della cristianità nell’Europa occidentale, perché Roma era l’antica capitale dell’impero e perché il primo vescovo della città era stato Pietro, uno dei principali apostoli di Gesù. Solo nell’Impero Bizantino questa supremazia del papa non venne riconosciuta.
Nell’Alto Medioevo papi e vescovi adoperarono le proprie forze e la propria autorevolezza per convertire i capi germanici al cattolicesimo; per appoggiarli nei loro sforzi di imporsi come re dei propri popoli; per aiutarli nell’organizzazione di uno stato efficiente; per diffondere tra i guerrieri germanici regole morali cristiane (in primo luogo il rifiuto dell’assassinio).
Importante fu il ruolo di Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), che riuscì a convertire Longobardi, Visigoti, Svevi e Anglosassoni e che assunse sempre più funzioni politiche e amministrative (si deve a lui, per esempio, la riuscita a fare del vescovo di Roma il principale vescovo del mondo cristiano).

Gregorio Magno detta a un discepolo le regole del canto liturgico cristiano, 
che da lui prenderà il nome di “canto gregoriano”

Inoltre, poiché i nobili germanici e i loro guerrieri preferivano vivere in campagna, i vescovi erano gli unici che potevano rivestire nelle città un ruolo autorevole e che avessero cognizioni adeguate per organizzare la difesa e il rifornimento di acqua e cibo in caso di attacco.
Progressivamente molti capi germanici si convertirono al Cristianesimo, cosicché l’importanza della Chiesa cattolica aumentò, finché nell’VIII secolo i Franchi furono protagonisti di un fatto, che ebbe notevoli conseguenze per la storia della Chiesa.

PIPINO IL BREVE E STEFANO II

Pipino (detto il Breve per la sua bassa statura) era figlio di Carlo Martello, Maestro di Palazzo (ossia primo ministro) del re dei Franchi. Carlo Martello aveva acquisito meriti e gloria per aver sconfitto, nella battaglia di Poitiers del 732, gli Arabi di Spagna che facevano continue incursioni in Francia e minacciavano di conquistarla.
Uomo ambizioso, Pipino fece prigioniero il re dei Franchi, Childerico III, e, convocata l’assemblea dei guerrieri, si fece acclamare re (751). La sua fu una usurpazione, così si chiama il gesto di togliere il potere a un re legittimo con un atto di violenza (oggi si usa piuttosto il termine “colpo di stato”).
Consapevole che un’usurpazione può essere prima o poi contestata, Pipino ebbe l’idea di legittimare il suo atto, chiedendo al papa di essere “unto” con l’olio santo. L’unzione era la cerimonia che consacrava vescovi e preti e che soltanto per loro era prevista.
Il papa (Stefano II) accettò, senza essere del tutto consapevole che la cerimonia dell’unzione trasformava Pipino in un re-sacerdote, dotato di un potere che derivava direttamente da Dio (tale era la forza simbolica di quel gesto in quei tempi); in quanto “unto del Signore”, Pipino (e con lui tutti i suoi discendenti) era divenuto superiore a tutti gli altri sovrani.

Pipino il Breve come è stato immaginato da Nicolas de Larmessin in una stampa del 1690

In cambio dell’unzione Stefano II chiese a Pipino un intervento armato contro i Longobardi, che avevano conquistato terre appartenenti all’Impero d’Oriente e minacciavano di estendere i loro domini su Roma stessa. Pipino scese in Italia, sconfisse i Longobardi e nel 756 donò al papa le chiavi di 22 città, sottratte ai Longobardi tra quelle che essi avevano conquistato ai Bizantini. Quando la notizia giunse all’imperatore romano d’Oriente, questi protestò sdegnato, chiedendo al papa di restituire il frutto del dono di Pipino. La corte pontificia reagì, stendendo un falso documento, secondo il quale quelle terre erano già state donate alla Chiesa molto tempo prima dall’imperatore Costantino (questo falso documento, chiamato Donazione di Costantino, interverrà nella storia anche più avanti). Il papa, ovviamente, rifiutò di restituire quelle terre a Bisanzio.
Se con l’unzione Pipino il Breve era diventato un re-sacerdote, con questa donazione il papa diventava un sacerdote-re, poiché si trovava padrone di una vasta area (tra le attuali Emilia, Marche e Umbria), che andava ad aggiungersi a quella già posseduta dal pontefice nella zona laziale: quello che poi verrà chiamato Stato della Chiesa (o Stato pontificio) era ormai una realtà.

Pipino il Breve e papa Stefano II (illustrazione di Paolo Giudici del 1930)

IL MONACHESIMO DEI PRIMI SECOLI

Facciamo un passo indietro nel tempo. Ancor prima della fine dell’Impero Romano d’Occidente, soprattutto a partire dal IV secolo, in Egitto e in altre regioni del Mediterraneo orientale alcuni cristiani scelsero di vivere isolati dalla società, per lo più in luoghi solitari, dedicandosi alla preghiera, rinunciando a tutti i piaceri del corpo (e a volte anche in condizioni di brutalità), alcuni sottoponendosi anche a particolari penitenze per rendersi degni di Dio; tra questi Simeone, che visse per 40 anni (nella prima metà del V secolo) in cima ad una colonna alta 15 metri e fu per questo detto lo stilita (da stylos, che significa appunto colonna).

Simeone lo stilita in questa rappresentazione del VI secolo è raffigurato tra Cristo che lo benedice 
e il demonio (il serpente) che lo tenta

Questi uomini vennero detti monaci (dal greco monos = solo) anacoreti (dal greco anachoreo = mi tiro in disparte) ed erano molto venerati dagli altri cristiani, che ne ammiravano la santità.
Altri monaci, invece, preferirono, anziché vivere da eremiti, riunirsi in comunità con altri monaci in luoghi chiamati monasteri; questi (ce n’erano di maschili e di femminili) divennero numerosi, soprattutto in Egitto: ognuno aveva le proprie regole, che chi diventava monaco si impegnava a rispettare.
Nel VI secolo molti monasteri si trasformarono, adottando il regolamento che era stato inventato da un monaco di nobili origini, di nome Benedetto.

BENEDETTO DA NORCIA

Nato verso il 480 a Norcia (Umbria), Benedetto visse per molti anni come eremita, coltivando un orticello con cui sostentarsi, vestendo come i contadini più semplici con un sacco di tela grezza e conducendo una vita estremamente sobria. La sua fama di uomo semplice ma devoto si diffuse e attirò attorno a lui un gruppo di seguaci, affascinati dalla sua fede e dalla sua moderazione.
Quando il gruppo si ingrandì, Benedetto decise di andare a vivere con loro in luogo che potessi ospitare tutti i seguaci. Nel 525 fondò un’abbazia (altro termine per indicare un monastero) in cima al Monte Cassino, al confine tra Lazio e Campania.

San Benedetto riceve l’abbazia di Montecassino dall’abate Desiderio (miniatura del 1202)

Qui stilò una Regola, ispirata a una disciplina rigorosa, ma che teneva conto anche delle necessità del corpo, oltre che di quello dello spirito; questa regola si riassume nella formula Ora et labora (= prega e lavora), che stabilisce che un monaco deve sì pregare Dio, ma non rimanendo nell’ozio, anzi, lavorando in modo da sfamare sé stesso e se possibile anche gli altri.
Benedetto morì nel 543 e fu poi fatto santo.

San Benedetto con sua sorella Santa Scolastica: anche lei creò un monastero di monache benedettine

La sua regola, che rappresentava una grande novità rispetto al monachesimo degli eremiti orientali, fu seguita da un gran numero di altri monaci e in tutta Europa nacquero dei monasteri benedettini, che si ingrandirono con terre donate dai fedeli, fino al punto di diventare dei veri e propri centri economici (come le curtes descritte nella lezione precedente), in cui si praticavano un’agricoltura e un allevamento in grado di nutrire non solo i monaci, ma anche un gran numero di bisognosi: poveri, viandanti e pellegrini trovavano nelle abbazie benedettine vitto, alloggio e riparo.
Inoltre, poiché i monaci benedettini erano istruiti, i loro monasteri divennero anche dei centri culturali; tra i lavori svolti dai monaci vi era quello degli amanuensi, così detti perché ricopiavano a mano i testi greci e latini, che con gli anni erano riusciti ad accumulare nelle loro biblioteche. Fu proprio il paziente lavoro di questi uomini che permise di conservare molte opere antiche, che altrimenti sarebbero andate perdute. In più questi manoscritti erano spesso ornati da miniature (cioè illustrazioni a base di minio, un colore rosso che veniva usato nelle pergamene), che sono una delle poche fonti illustrate che ci sono state lasciate dall’Alto Medioevo.

Amanuensi al lavoro nello scriptorium (= il luogo in cui si ricopiavano i testi) 
dell’abbazia di Echternach (Lussemburgo)

MAPPA CONCETTUALE:


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Chiesa cattolica e monachesimo

martedì 19 agosto 2014

14 L'inizio del Medioevo: un periodo di grandi trasformazioni



L’INIZIO DEL MEDIOEVO: UN PERIODO DI GRANDI TRASFORMAZIONI

Il termine Medioevo venne inventato tra il XV e il XVI secolo con un senso negativo: stava ad indicare quel periodo lungo ormai 10 secoli, che era stato come una parentesi di decadenza tra lo splendore dell’età classica (quella della Grecia e di Roma) e il rinnovamento che stava avvenendo appunto nel XV secolo.
Oggi gli storici non considerano più “l’età di mezzo” come un’epoca completamente negativa: fu sicuramente un’epoca percorsa da gravi tensioni sociali, economiche e politiche, ma fu anche il periodo in cui avvennero quelle trasformazioni, che diedero un volto nuovo all’Europa occidentale.
Il termine Medioevo è comunque comunemente accettato, per indicare quel periodo che inizia con il 476 d.C. (deposizione di Romolo Augustolo) e termina con il 1.492 (anno dell’inconsapevole scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo). Anzi, gli storici dividono quest’epoca in due parti, divise dall’anno 1.000: la prima parte viene chiamata Alto Medioevo, la seconda Basso Medioevo.


Torniamo a osservare cosa accadde negli anni attorno al 476 d.C.
Ancor prima della caduta dell’Impero Romano vaste aree in mano ai Romani erano diventate di dominio dei vari popoli germanici che vi si erano insediate; costoro le avevano occupate e le governavano secondo i loro metodi, che erano quelli propri di genti che avevano un’organizzazione di tipo tribale. Cosa significa?
Ogni popolo germanico, pur riconoscendosi unito per lingua, religione ed usi comuni, era in realtà diviso in clan, ossia in gruppi familiari composti da nonni, genitori, fratelli e cugini e guidati dall’anziano più autorevole.

Una tribù germanica in un disegno di fantasia. Ogni clan era composto da molte persone, di tutte 
le generazioni, e comprendeva anche i parenti acquisiti mediante matrimoni.

Quando una tribù germanica conquistava un territorio, ogni clan si ritagliava il suo pezzo e su quello il capo del clan governava in totale autonomia, cercando di mantenere – e se possibile di migliorare – il prestigio e la prosperità della famiglia. Per questo non era affatto raro che tra i vari clan si scatenassero lotte di conquista, che potevano trasformarsi in faide, ossia in una serie di vendette private tra famiglie rivali, giustificate da qualche torto subito, magari in tempi lontani.
Poteva accadere anche che tra due clan sorgesse un’amicizia, magari cementata con il matrimonio tra due membri del clan; in questo caso le due famiglie si alleavano nelle guerre e nelle razzie contro gli altri clan.
Solo in caso di attacco da parte di un nemico esterno (cioè di un’altra tribù) i clan ritrovavano momentaneamente l’unità e accettavano provvisoriamente di sottomettersi al potere di un uomo di valore, che operasse per difendersi dal pericolo; seguendo l’esempio dei Romani, quest’uomo veniva chiamato re.
Superato il pericolo – magari con una grande vittoria e un grande bottino – il re tornava ad essere solo il capo del suo clan; però, con il tempo, alcuni di questi re cercarono di affermare la propria autorità anche in tempo di pace. Il prestigio accumulato durante la guerra contro il nemico, oppure l’essere riusciti ad accumulare più bottino di altri, o ancora l’astuzia o la brama di potere, portarono questi personaggi ad assumere veramente il potere regale presso quasi tutti i popoli germanici (anche se era un potere sempre in pericolo, poiché molti erano i pretendenti a ricoprire il ruolo).
Quando l’Impero Romano si dissolse, al suo posto si formarono degli organismi politici a capo dei quali c’era quasi ovunque un re; gli storici li chiamano infatti regni romano-barbarici, perché erano abitati sia da Romani che da Germani, i primi discendenti delle famiglie romane un tempo dominanti, i secondi discendenti dei popoli invasori. In linea di massima i Romani costituivano il 90% della popolazione e i Germani solo il 10%, però questi ultimi erano i vincitori.
Osserva la cartina seguente:


Essa ti illustra in maniera semplificata la situazione dell’Europa all’inizio del VI secolo; tieni presente, però, che la situazione era molto mutevole, i regni cambiavano in fretta, i popoli si spostavano ancora da un territorio all’altro.
Vediamo quali erano i popoli più importanti, in particolare quelli che avranno una storia più duratura.
I FRANCHI: stabilitesi nel nord della Gallia, furono il popolo che riuscì a creare il regno più solido tra tutti quelli chiamati romano-barbarici (e che darà il nome all’attuale Francia). Già nel 486 il loro re Clodoveo ampliò i domini franchi a tutta la Gallia, escluse le aree meridionali. La forza del regno dei Franchi derivò da una serie di scelte vincenti: la conversione al Cristianesimo, l’assimilazione dell’esperienza amministrativa dei Romani, l’integrazione con i proprietari terrieri gallo-romani, la trasformazione dei capi militari in aristocrazie fondiarie. Ciò che fecero in seguito i Franchi, lo vedremo tra qualche lezione.

Battesimo di Clodoveo (rilievo in avorio dell’ultimo quarto del IX secolo, 
custodito al Musée de Picardie di Amiens)

I VISIGOTI: furono il primo popolo germanico a stabilirsi dentro i confini dell’Impero. Dopo aver saccheggiato Roma nel 410, si spostarono in Spagna, poi nella Gallia sudoccidentale, quindi nuovamente in Spagna, dove sconfissero altre tribù e fondarono il regno di Toledo, che durò fino a quando gli Arabi conquistarono la penisola Iberica (711).

Guerrieri visigoti in un disegno di fantasia

I VANDALI: già insediati nella Pannonia (una regione compresa tra Austria, Slovenia, Croazia e Ungheria attuali) ai tempi di Costantino, si erano convertiti al Cristianesimo. Spinti dagli Unni di Attila invasero la Gallia e poi la Spagna, ma vennero più volte sconfitti dai Romani e dai Visigoti. Occuparono quindi la parte meridionale della penisola Iberica, fondandovi un proprio regno, la Vandalusia (termine rimasto nell’attuale Andalusia). L’arrivo dei Visigoti in Spagna ne causò il trasferimento in Africa (nel 429), che conquistarono fino a Cartagine. Furono i primi popoli germanici a dotarsi di una flotta navale, con la quale occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le isole Baleari. In guerra con l’Impero Romano d’Oriente dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, il loro regno ebbe fine alla metà del VI secolo.

Papa Leone cerca di convincere Genserico re dei Vandali a non saccheggiare Roma, 
mentre alcuni soldati sottopongono un uomo alla tortura dell’acqua

GLI SVEVI (o SUEBI): il nome indica una serie di tribù germaniche, tra le quali una che nel 409 occupò l’attuale Galizia (nord-ovest della penisola Iberica) e conquistò alcune città fino a Tolosa, dove creò un regno di cui si ha notizia fino al 585, quando venne annesso al regno dei Visigoti.
I BURGUNDI: originari forse della Scandinavia, i Burgundi entrarono nei confini dell’Impero all’inizio del V secolo, stabilendosi in una zona tra la Francia orientale e la Germania occidentale. Poi alcune tribù si spostarono in Spagna e altre presso il lago di Ginevra, dove crearono uno stato che si estese lungo la valle del Rodano. I Burgundi si romanizzarono e diventarono cristiani, ma nel 534 il loro regno venne assorbito da quello dei Franchi.
GLI ANGLI e I SASSONI: erano due popoli germanici che, assieme ad altre tribù, nel V secolo si spostarono in Inghilterra (che significa appunto “terra degli Angli”); non avevano un re vero e proprio, però proprio in Inghilterra si formerà una delle monarchie più importanti nella storia dell’umanità.
GLI OSTROGOTI: si stabilirono in Italia dal 488 e vi rimasero fino a quando l’imperatore d’Oriente Giustiniano non scatenò contro di loro la cosiddetta guerra gotica (dal 535 al 553), che li vide sconfitti. Tra i re ostrogoti in Italia va ricordato Teodorico, che cercò di attenuare i contrasti con i Romani, scegliendone alcuni come suoi collaboratori.

Il Mausoleo di Teodorico a Ravenna

I LONGOBARDI: originari della Scandinavia, nel 568 varcarono le Alpi, sconfissero le truppe bizantine (cioè dell’Impero Romano d’Oriente) e s’impadronirono dell’Italia settentrionale e della Toscana, mentre una parte di essi proseguì verso sud, fino alla Calabria. Non riuscirono a conquistare tutta la penisola per l’intervento di Bisanzio. Nel 603 Longobardi e Bizantini stipularono un trattato di pace, che divise l’Italia in due parti: una bizantina e una longobarda. Dopo secoli di unità sotto le insegne di Roma la nostra penisola si trovò politicamente divisa e lo rimarrà da allora per più di 1.200 anni.

Il re longobardo Ratchis in una pagina del Codex Legum Langobardorum 
(Cava dei Tirreni, Abbazia della Trinità)

I rapporti tra Germani (meno numerosi ma vincitori) e i Romani (in maggioranza ma vinti) erano segnati da contrasti profondi, perché profonde erano le differenze tra i due popoli. Possiamo riassumerle in una tabella:

ROMANI
GERMANI
Praticavano un’agricoltura e un allevamento progrediti e avevano nell’artigianato e nel commercio le attività più redditizie.
Praticavano un’agricoltura primitiva e si dedicavano prevalentemente alla caccia, alla pesca e all’allevamento. L’artigianato e il commercio (spesso in forma di baratto) erano poco praticati.
Vivevano in città, o comunque le città costituivano il cuore dell’Impero.
Vivevano in villaggi e spesso spostavano le loro abitazioni trasferendosi altrove.
Consideravano l’istruzione un segno di superiorità e – a parte i poveri che erano analfabeti – i giovani frequentavano le scuole o avevano maestri privati.
Disprezzavano l’istruzione e ritenevano necessario per i giovani che sapessero affrontare il pericolo e la lotta, combattere e cacciare; perciò erano analfabeti.
Avevano leggi scritte, basate sulla responsabilità personale: chi commetteva un reato veniva punito secondo la legge e solo lo Stato poteva condannare e punire.
Non avevano leggi scritte, ma solo tramandate per tradizione; spesso la responsabilità di un reato non era solo di chi l’aveva commesso, ma di tutta la sua famiglia e la punizione poteva essere inflitta anche privatamente da chi aveva subito un torto (da questo derivavano le faide).
Erano cristiani.
Erano pagani, o, se si convertivano al Cristianesimo, seguivano per lo più la dottrina ariana, che la Chiesa condannava come eretica.
Parlavano in latino e conoscevano, se erano istruiti, il greco.
Usavano lingue diverse tra di loro e molto differenti rispetto al latino.

Un signore in costume germanico parte per la caccia
(mosaico da Cartagine del secolo V o VI, conservato al Museo del Bardo di Tunisi)

Queste diversità portavano spesso ad un reciproco disprezzo: i Germani consideravano i Romani deboli e poco coraggiosi, i Romani consideravano i Germani ignoranti e brutali. Entrambi si consideravano superiori.
Ciò nonostante, l’incontro tra i due popoli – come sempre accade – provocò uno scambio culturale, più o meno pacifico e più o meno equilibrato, che portò alla trasmissione di esperienze, tecniche e usanze dai Romani ai Germani e viceversa.
Un esempio curioso: i Germani non usavano come i Romani le vesti o le toghe, bensì le brache, le antenate dei nostri pantaloni. Inizialmente i Romani sorridevano di quelle stoffe o pelli che fasciavano le gambe e venivano legate alle caviglie mediante dei lacci, ma ben presto ne compresero la praticità e l’utilità, soprattutto nella stagione fredda, e finirono con l’usarle anche loro.

Disegno di fantasia in cui sono stati raffigurati alcuni uomini germanici che indossano le brache

Le invasioni barbariche – come abbiamo visto – sconvolsero l’Europa dal punto di vista politico, dividendola in tanti regni là dove con i Romani si era creato un unico impero.
Ma la conseguenza più importante delle migrazioni germaniche fu la crisi economica e sociale che colpì le terre dell’ex Impero d’Occidente.
Guerre e saccheggi favorirono la diffusione di carestie e di epidemie, che causarono un calo demografico enorme: secondo alcuni storici la popolazione europea passò da oltre 60 milioni a meno di trenta.
Il commercio quasi scomparve, perché, diminuita la popolazione, diminuì anche la richiesta di prodotti; inoltre il trasporto delle merci divenne pericoloso, per le continue incursioni di bande armate, e quindi molti commercianti rinunciarono a compiere viaggi mercantili, soprattutto se su lunghe distanze.
Mancando il commercio, non si sentì più il bisogno di mantenere in efficienza le strade (che divennero impraticabili) e i ponti (che in molti casi crollarono), aumentando l’isolamento tra i villaggi; fu una lunga caratteristica degli abitanti dei villaggi medievali quella di vivere senza mai, o quasi mai, uscire dal villaggio natale, spesso circondato da foreste abitate da bestie feroci e popolate da briganti. Fiabe come “Cappuccetto Rosso” sono nate proprio da questa situazione.

Particolare dagli affreschi del mese di aprile nella Torre Aquila del Castello del Buonconsiglio (Trento); pur essendo del 1400, questa scena ti può dare l’idea di come un villaggio dell’Alto Medioevo fosse circondato da boschi e paludi e isolato da tutti gli altri villaggi vicini

La crisi demografica provocò una diminuzione dell’artigianato, che si ridusse alla produzione di oggetti fondamentali per la vita quotidiana e a pochi beni di lusso richiesti solo dai nobili germanici.
L’allevamento (soprattutto suino, poiché quello bovino richiedeva maggiore cura) sostituì in molte zone l’agricoltura: in caso di attacco gli animali potevano essere allontanati o nascosti, mentre i campi venivano devastati e il raccolto andava perduto; molte terre vennero perciò abbandonate e le foreste tornarono a occupare i campi. Solo nelle ville di campagna alcuni ricchi romani riuscirono a mantenere una efficiente produzione agricola e artigianale: fortificate per difendersi dagli attacchi, queste ville (chiamate in latino curtes, da cui deriva il nome di economia curtense) riuscivano a produrre tutto ciò che poteva servire alla vita quotidiana. Il diffondersi del monachesimo – vedi una prossima lezione – aggiunse i monasteri alle curtes nel salvare un minimo di economia organizzata.
La crisi dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio (in una parola, la crisi economica) ebbe ripercussioni sulle città, che si spopolarono, diventando dei grossi villaggi in cui molti edifici e abitazioni andarono in rovina e interi quartieri si trasformavano in prati e pascoli, con gli animali che vagavano indisturbati tra i monumenti e le piazze che avevano abbellito le città romane.
Il decadimento delle città provocò una crisi culturale, dato che l’istruzione diminuì e le città non erano più centri in cui si faceva arte, si tenevano spettacoli, si progettavano nuove idee. L’analfabetismo raggiunse punte altissime e il grande patrimonio culturale greco e romano si perse.

La tenuta del dominus Julius (mosaico del IV secolo da Tabarka, Museo del Bardo, Tunisi)

MAPPA CONCETTUALE:


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L'inizio del Medioevo: un periodo di grandi trasformazioni

sabato 16 agosto 2014

13 I popoli germanici e la fine dell'Impero Romano d'Occidente



I POPOLI GERMANICI E LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE

Ancor prima della fondazione dell’Impero i Romani ebbero occasione di entrare in contatto con quei popoli che essi chiamavano con disprezzo barbari e che oggi si preferisce chiamare germanici; essi vivevano nell’Europa centro-settentrionale, in una zona che si estendeva dal fiume Reno alla Scandinavia meridionale, dalle regioni baltiche all’est danubiano.

Oggetti di oreficeria visigota, facenti parte del Tesoro di Guarrazar (Madrid, Museo Arqueológico Nacional); è proprio partendo dalla scoperta e dall’analisi di oggetti simili che gli storici non accettano più la definizione dispregiativa di barbari, usata fino a qualche decennio fa,
 per designare i popoli germanici

Non sappiamo molto di queste popolazioni, sia perché i reperti archeologici sono insufficienti, sia perché le notizie lasciateci dai Romani non sono del tutto attendibili: troppe erano le differenze culturali, perché i Romani potessero veramente capire i Germani. Inoltre questi popoli sono stati usati successivamente come pretesto per la costruzione di concetti, in funzione anti-romana e a favore di una presunta purezza germanica, che sono arrivati fino alla fatidica ideologia della “razza ariana” del nazionalsocialismo di Hitler.
Oggi noi sappiamo che appartenevano al gruppo degli Indoeuropei e che, come altri popoli della stessa origine che si diffusero in ampie zone tra l’Europa e l’Asia, essi si insediarono inizialmente tra la Scandinavia e le regioni Baltiche, fondendosi con coloro che già abitavano in quei territori. Nel corso dei secoli si differenziarono in gruppi che assunsero caratteristiche proprie nella lingua, negli usi, nel nome stesso.

Guerrieri germanici (stampa dal “Costume antico e moderno” – Torino 1829)

Guerriero franco del V secolo, così come è stato immaginato da G. de Genouillac nel 1878
Un Visigoto in un’illustrazione moderna

Quando entrarono in contatto con i Romani per la prima volta, nel II secolo a.C., praticavano un’agricoltura primitiva, che impoveriva in fretta i campi e li costringeva a spostarsi con una certa frequenza (pur non essendo nomadi nel senso comune del termine). Quando tali spostamenti avvennero in direzione sud-ovest, fu inevitabile l’incontro con i Romani, che si stavano espandendo verso nord-ovest; importante fu il contatto con Giulio Cesare, il conquistatore della Gallia, a cui dobbiamo la prima descrizione di questi popoli nel suo De Bello Gallico (La Guerra Gallica) del 51 a.C.

Sarcofago Ludovisi, della metà del III secolo d.C. (Roma, Museo Nazionale Romano) 
con scena distribuita su 3 fasce; in quella superiore sono rappresentati i Romani vincitori, 
in quella mediana il combattimento tra Romani e Germani, in quella inferiore i barbari vinti

Negli anni dopo Cristo i rapporti tra Romani e Germanici furono soprattutto rapporti di guerra, ma, nello stesso tempo, il diffondersi della cultura latina nelle terre tra il Reno e l’Elba portò le classi superiori di questi popoli a richiedere sempre più i prodotti romani, particolarmente apprezzati. La romanizzazione di queste genti si intrecciò con la necessità dei Romani di avere soldati e per questo molti Germani entrarono a combattere nell’esercito imperiale.

Signifero (= portatore di insegne) germanico e condottiero romano 
(illustrazione tedesca della seconda metà del XIX secolo)

Non solo: i Romani si accordavano a volte con queste popolazioni, facendole stanziare in luoghi scelti lungo i confini dell’Impero, con lo scopo di farsi proteggere da loro in caso di eventuali invasioni (come accadde con i Franchi, gli Alemanni e i Burgundi).
In effetti nel III secolo il pericolo di invasioni si fece più concreto; diventò una minaccia nel IV secolo, quando l’arrivo nell’Europa orientale degli Unni (375), che da tre secoli avevano lasciato l’originaria Mongolia alla ricerca di nuove terre da predare, provocò massicci spostamenti di popoli germanici, i quali, scappando di fronte alle violenze degli Unni, cercarono riparo nella parte allora più debole dell’Impero Romano, ossia quella occidentale.

La cartina ti permette di vedere quanti e quali popoli premevano ai confini dell’Impero Romano 
ai tempi dell’imperatore Diocleziano (fine del III secolo)

Roma si trovò impreparata ad affrontare questi spostamenti e intere vaste aree dell’Impero passarono sotto il controllo di nuove popolazioni: la Britannia venne occupata dagli Angli e dai Sassoni, la Gallia dai Franchi e dai Burgundi, la colonia Elvetica (ossia la Svizzera) dagli Alemanni, l’Africa dai Vandali. La stessa penisola italica venne attaccata dai Visigoti, i quali, sotto il comando del re Alarico, devastarono nel 401 la ricca città di Aquileia (i cui abitanti fuggirono nelle isole della laguna veneta, fondando il primo nucleo della futura Venezia) e nel 410 saccheggiarono la stessa Roma.

I Visigoti di Alarico saccheggiano Roma 
(incisione di Ludovico Pogliaghi dalla Storia del Medioevo del 1892)



Un’altra incisione di Ludovico Pogliaghi sul Sacco di Roma

Sebbene Roma non fosse più, fin dal 402, la capitale dell’Impero (essendo stata scelta per questo ruolo la più tranquilla Ravenna, che era circondata da terre acquitrinose e quindi meno appetibili dagli invasori e possedeva un porto, da cui fuggire in fretta verso Oriente in caso di pericolo), il sacco di Roma fu un evento terribile, che suscitò un’enorme impressione nei contemporanei, tanto che sant’Agostino (allora vescovo in Algeria) pensò che stessero arrivando il Giorno del Giudizio e la fine del mondo.

Il porto di Classe era il porto di Ravenna fatto costruire da Augusto verso il 27 a.C. 
(mosaico da Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna – inizio VI secolo)

Qualche anno dopo anche gli Unni, guidati da Attila, entrarono in Italia e saccheggiarono numerose città: di nuovo Aquileia, poi Padova, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia, Milano.

Attila in un’incisione del XVIII secolo

Nel 451 Roma venne nuovamente saccheggiata, questa volta dai Vandali, che erano arrivati dall’Africa attraverso il Mediterraneo.
L’Impero Romano d’Occidente, almeno di nome, esisteva ancora; in realtà era nelle mani di capi militari di origine germanica. Un generale del popolo dei Goti impose come imperatore suo figlio, che era appena un ragazzo, con il nome di Romolo Augustolo; ma nel 476 un altro militare germanico, Odoacre, depose Romolo Augustolo. Odoacre non assunse il titolo di imperatore, però inviò le insegne e i simboli dell’Impero d’Occidente a Costantinopoli, doveva viveva l’imperatore romano d’Oriente.

Odoacre e Romolo Augustolo (illustrazione di Ludovico Pogliaghi)

L’Impero Romano d’Occidente era praticamente finito.
Sebbene i fatti accaduti nel V secolo non siano stati percepiti come la fine di un’epoca (vuoi perché avvennero in un arco di tempo di decenni, vuoi perché la gente comune era troppo coinvolta nelle scorrerie e nelle violenze germaniche o unne per pensare ad altro che a salvar la pelle), gli storici successivi hanno scelto il 476 d.C. come una data fondamentale, che ha cambiato il corso del tempo: il 476 è diventato l’anno della fine dell’Età Antica e dell’inizio di un nuovo periodo storico, che chiamiamo Medioevo.

Popolazioni in fuga dalle invasioni barbariche (miniatura da un manoscritto  bizantino del V secolo, conservato a Parigi alla Bibliothèque Nationale)

sabato 9 agosto 2014

12 Il Cristianesimo



IL CRISTIANESIMO

L’affermarsi dell’Impero Romano coincise con il diffondersi di alcuni culti religiosi originari del Vicino Oriente, che misero in crisi la tradizionale religione politeista di Roma.
Il più importante tra i nuovi culti fu il Cristianesimo, la religione fondata da Gesù, ebreo vissuto in Palestina, allora sotto dominio romano.
Gesù, negli ultimi tre anni della sua vita, aveva formato attorno a sé un gruppo di seguaci con i quali viveva in povertà e predicava la rinuncia delle ricchezze e una vita basata sull’amore per il prossimo e per Dio. La sua predicazione suscitò la diffidenza dei sacerdoti ebraici e dei Romani e, poiché era vista come una minaccia per il governo romano in Palestina, venne condannato a morte e giustiziato mediante crocifissione (un’esecuzione capitale spesso usata dai Romani).

Formella della porta lignea della basilica di Santa Sabina a Roma, con una delle prime scene 
di crocifissione conosciute (prima metà del V secolo)

Già quand’era vivo Gesù aveva fatto presa con la sua predicazione su molte persone; alla sua morte si formarono sui suoi insegnamenti numerose comunità, che si definivano cristiane, da Cristo, l’appellativo che era stato dato a Gesù e che significa “messia”, o “l’unto”, cioè colui che è stato consacrato da Dio. Guidate dagli apostoli (i 12 discepoli principali di Gesù), queste comunità diffusero rapidamente il messaggio cristiano, prima tra gli Ebrei, poi anche tra coloro che professavano altre fedi, soprattutto in città come Antiochia, Damasco, Alessandria d’Egitto e Roma.

Fregio paleocristiano del II secolo d.C. con il simbolo di Cristo e colombe

Il diffondersi del Cristianesimo si spiega con il momento di crisi che stava attraversando l’Impero: guerre, epidemie, carestie, durissime condizioni di vita avevano creato sofferenze che la vecchia religione non riusciva più ad alleviare; il messaggio cristiano, invece, offriva consolazione e speranza in un mondo più giusto. Inoltre, all’interno delle comunità cristiane vi era un forte sentimento di solidarietà, per cui si era tenuti ad aiutarsi tutti a vicenda, a qualunque classe sociale si appartenesse; ciò però veniva assai criticato dai seguaci di altre religioni, abituati a considerare naturali le differenze sempre esistite tra ricchi e poveri, tra potenti e sudditi. Il messaggio cristiano aveva, insomma, un significato “rivoluzionario” molto forte, che metteva in discussione anche il modo di intendere i rapporti sociali. Se, oltre a questo, si tiene presente che chi si convertiva al Cristianesimo rifiutava di partecipare ai riti della religione tradizionale, si comprende come le comunità cristiane cominciassero ad essere mal viste da molti, tanto che i tribunali iniziarono ad emettere condanne a morte contro i Cristiani: condanne che venivano eseguite con massacri di massa, o con disumani spettacoli durante i quali i fedeli venivano fatti sbranare da animali feroci nei circhi.

Affresco con San Daniele nella fossa dei leoni, nelle catacombe di via Anapo a Roma 
(inizi del IV secolo)

Nel III secolo alcuni imperatori promossero delle vere e proprie persecuzioni contro i Cristiani, ma il numero dei fedeli, ciò nonostante, continuò ad aumentare, tanto che essi divennero una forza considerevole all’interno dello stato.

Moneta d’argento con l’immagine dell’imperatore Diocleziano, l’ultimo grande persecutore 
di cristiani

Nel 311 l’imperatore Galerio con un editto (editto di Serdica) mise fine alle persecuzioni e concesse la piena libertà religiosa. Costantino (imperatore dal 311 al 337) confermò ed estese la libertà religiosa concessa da Galerio e protesse i Cristiani: secondo la tradizione fu l’editto emanato da Costantino nel 313 (editto di Milano) ad assicurare la libertà religiosa, ma in realtà Costantino confermò semplicemente l’editto del suo predecessore. Se la concessione della libertà religiosa viene attribuita comunemente al secondo imperatore anziché al primo, dipende forse dal fatto che Galerio morì appena sei giorno dopo l’editto di Serdica, oppure dal fatto che prima del 311 anche Galerio aveva perseguitato i Cristiani.

Testa dell’imperatore Galerio
Testa dell’imperatore Costantino

I successori di Costantino proseguirono la sua politica, finché alla fine del IV secolo l’imperatore Teodosio promulgò una serie di editti (dal 380 al 391), con cui ordinò ai popoli dell’Impero di seguire la religione cristiana, che divenne in tal modo la religione ufficiale dello Stato. Il politeismo romano tradizionale venne progressivamente abbandonato, anche perché i culti pagani non vennero più finanziati dallo Stato, le proprietà dei templi vennero confiscate ed iniziò un periodo di persecuzione contro coloro che non seguivano il Cristianesimo.

L’imperatore Teodosio in un’illustrazione tratta da un manoscritto del IX secolo

Inizialmente ogni comunità cristiana formava una chiesa, parola che significa “assemblea”, quindi “adunanza di fedeli”. Queste adunanze di fedeli avvenivano dove era possibile, di solito a casa di un fedele. Qui, tutti i membri della comunità, uomini e donne, pregavano assieme, istruivano i nuovi adepti, facevano la comunione; non tutti però potevano distribuire l’ostia sacra (la cialda di pane che simboleggia l’ultima cena di Gesù), perché quest’atto liturgico era una prerogativa del vescovo, cioè di quel fedele che rivestiva un’importanza maggiore e veniva considerato come successore degli apostoli.
Così, se all’inizio all’interno di una chiesa non vi era una precisa gerarchia, col tempo l’autorità dei vescovi andò aumentando e, sulla base di quanto era stato affermato da Paolo di Tarso (teologo del I secolo d.C. che morì vittima delle persecuzioni di Nerone e divenne poi santo con il nome di San Paolo), le donne furono escluse dalla predicazione.

Blocco scolpito con i profili dei SS. Pietro e Paolo (Museo Paleocristiano di Aquileia)

La prima età del Cristianesimo fu segnata da un aspetto interessante: non era raro che una comunità interpretasse l’insegnamento di Cristo in maniera diversa da altre comunità. Ciò faceva sorgere contrasti, anche violenti, tra le diverse comunità e per porre fine a questa situazione dal II secolo si tennero riunioni di vescovi (dette concili), nelle quali veniva stabilita la dottrina che tutti dovevano seguire.
Particolarmente importante fu il Concilio di Nicea del 325, che stabilì alcuni princìpi della fede cristiana:
- il dogma della Trinità (Dio è uno solo, ma si esprime nelle 3 forme del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo)
- l’incarnazione di Gesù
- la resurrezione di Gesù
- la resurrezione per tutti alla fine dei tempi e la vita eterna.
Chi interpretava in modo diverso la parola di Cristo veniva chiamato eretico e poiché, malgrado i vari concili, le eresie furono per lungo tempo numerose, a partire dal IV secolo gli imperatori intervennero più volte per combatterle.

Costantino e i vescovi del Concilio di Nicea



L’importanza del Cristianesimo nella storia è enorme: basta pensare che l’anno di nascita di Gesù (il cosiddetto anno 0) è diventato la base per la misurazione del tempo. Non tutti sanno, però, che l’anno 0 non è mai esistito: dopo l’anno 1 a.C. c’è stato l’anno 1 d.C.
Questo significa che i secoli incominciano tutti con il numero 1 come cifra per le unità e finiscono con 00 come cifre per decine e unità: come puoi vedere nella seguente tabella, che vale sia per gli anni avanti Cristo, sia per quelli dopo Cristo:

I secolo
1 – 100
II secolo
101 – 200
III secolo
201 – 300
IV secolo
301 – 400
V secolo
401 – 500
VI secolo
501 – 600
VII secolo
601 – 700.
VIII secolo
701 – 800
IX secolo
801 – 900
X secolo
901 – 1000
XI secolo
1001 – 1100
XII secolo
1101 – 1200
XIII secolo
1201 – 1300
XIV secolo
1301 – 1400
XV secolo
1401 – 1500
XVI secolo
1501 – 1600
XVII secolo
1601 – 1700
XVIII secolo
1701 – 1800
XIX secolo
1801 – 1900
XX secolo
1901 – 2000
XXI secolo
2001 – 2100