VITA DI CRISTOFORO COLOMBO
Cristoforo Colombo nacque a
Genova, nel 1451, da una famiglia di lanaioli. Non sappiamo molto della sua
infanzia, poiché il figlio Fernando, preoccupato di nascondere le modeste
origini della famiglia, distrusse molti documenti relativi a suo padre e ne scrisse
di proprio pugno una biografia fantasiosa e poco attendibile.
Colombo scelse fin da giovane la
via del mare e tra il 1473 e il 1475 viaggiò su navi mercantili nell’Egeo e
lungo le coste del Portogallo e delle Fiandre. Stabilitosi a Lisbona intorno al
1477, sposò Felipa Moniz Perestrello, figlia di Bartolomeo, navigatore e
governatore portoghese di Porto Santo (Madera). Compì anche numerosi viaggi
sulle rotte atlantiche allora frequentate: per Londra, Bristol, l’Irlanda e l’Islanda;
visitò più volte le Canarie e si spinse fino a Elmina in Guinea.Questi viaggi gli permisero di acquisire una profonda conoscenza delle correnti e dei venti dell’Atlantico e di raccogliere numerosi indizi provanti l’esistenza di terre al di là dell’oceano. Fu in questi anni giovanili che sviluppò le sue riflessioni sull’andamento delle correnti oceaniche e sulla dinamica delle maree e che lesse trattati di navigazione e di geografia antichi e contemporanei. Inoltre, poiché venne a crollare la teoria medievale che riteneva inabitabile l’emisfero Sud, Colombo si convinse che gli antipodi fossero abitati e che non soltanto isole, ma una terra ampia dall’estremo Nord fino all’Equatore si trovasse di là dell’oceano. Siccome nessuno dubitava, a quel tempo, che i continenti fossero soltanto tre, egli ritenne che quella terra dovesse essere l’Asia.
A Lisbona Colombo venne a conoscenza delle teorie di Toscanelli, che confermavano la sfericità della Terra e attribuivano alla circonferenza terrestre all’Equatore una misura di 1/4 inferiore alla realtà. Il geniale progetto di «buscar el Levante por el Poniente» (arrivare al Levante per la via di Ponente) prese forma concreta tanto che, nel 1484, Colombo lo sottopose al re Giovanni II di Portogallo, che però lo rifiutò. Nello stesso anno, rimasto vedovo, si trasferì in Spagna e presentò il suo piano ai sovrani Isabella e Ferdinando; fi riunita una commissione perché lo vagliasse, ma il parere degli esperti fu negativo. I sovrani non delusero però completamente le speranze di Colombo e rimandarono ogni decisione definitiva alla fine della guerra contro i Mori (gli Arabi), quando stabilirono, con le Capitolazioni di Santa Fe, di finanziare l’impresa: in caso di successo Colombo avrebbe avuto il grado di ammiraglio dell’Oceano e il titolo di viceré delle terre scoperte.
Alla città di Palos, che era in debito con i sovrani di Spagna, fu imposto di armare due caravelle per la spedizione, la Niña (Ragazza) e la Pinta (Colorata), mentre la nave ammiraglia Santa María apparteneva alla flotta reale.
Disegno
della Santa María di Cristoforo Colombo
Il 25 settembre dello stesso anno, allestita una seconda grossa spedizione, ripartì da Cadice con 17 navi: il viaggio durò fino all’11 giugno 1496 e permise a Colombo di scoprire le isole Dominica, Guadalupa, Antigua, Puerto Rico e Giamaica e la costa sud-occidentale di Cuba. Ad Haiti, avendo trovato distrutto il forte Navidad e uccisi i coloni spagnoli, fondò, con il fratello Bartolomeo, in nuovo insediamento (Isabela).
Nel viaggio successivo (30 maggio 1498 – 20 novembre 1500), partito da Sanlúcar, toccò Trinidad e poi l’America meridionale presso le foci dell’Orinoco, quindi si diresse ad Haiti: qui trovò la popolazione spagnola in rivolta perché non si erano trovate le ricchezze sperate. I sovrani spagnoli, informati di ciò, lo destituirono dalle sue cariche e l’inviato governativo, Francisco de Bobadilla, lo fece ricondurre in Spagna in catene.
Riottenuta la libertà, l’11 maggio 1502 Colombo intraprese il suo quarto e ultimo viaggio, navigando nei mari dell’America Centrale, fra le Antille e lungo le coste settentrionali dell’Honduras. Fatto naufragio e fermatosi un anno in Giamaica, il 7 novembre 1504 rientrò a Sanlúcar. Defraudato dei suoi diritti e privato dei titoli promessigli, si ritirò a Valladolid, dove morì il 20 maggio 1506: non aveva ancora compiuto i 55 anni.
La
tomba di Cristoforo Colombo nella Cattedrale di Siviglia
Colombo è considerato lo
scopritore dell’America, ma molti storici ritengono che egli non abbia capito
mai di essere arrivato in un nuovo continente e non in Asia. Anche se il nuovo
continente non è stato battezzato col suo nome, diversi territori americani
sono stati denominati in suo onore: lo Stato della Colombia, la British
Columbia in Canada e il District of Columbia, ossia il distretto che comprende
Washington, la capitale degli Stati Uniti. Moltissime città negli U.S.A. si
chiamano Columbia. Inoltre l’anniversario dello sbarco è celebrato in molti Stati
americani: ad esempio negli U.S.A. il 12 ottobre è il Columbus Day, una festa celebrata per la prima volta a San
Francisco nel 1869 su desiderio della comunità italiana e divenuta festa nazionale in tutti gli Stati Uniti nel
1937.
Nel
Columbus Day l’Empire State Building di New York accende le sue luci
in modo da
far risplendere i colori della bandiera italiana
Al di là della pura biografia,
che cosa si può dire sulla personalità di Cristoforo Colombo? Come si può
interpretare la sua esperienza di uomo?
Trovo interessante quanto ne ha
scritto il professor Stefano Andretta nel saggio “I conquistadores – La vita e
l’avventura”, pubblicato come dossier alla rivista Storia Dossier n° 12 del novembre 1987, edita da Giunti:
«Cristoforo Colombo aveva
intrapreso il suo viaggio con un bagaglio personale scientifico e culturale
intriso di errori e false opinioni. Com’è risaputo, egli voleva raggiungere la
grande isola di Cipangu (Giappone) e il Catai (la Cina) navigando verso ovest e
inaugurando, esaltato dalla lettura di Marco Polo e del suo Milione, una nuova rotta delle spezie
che liberasse l’Europa dall’intermediario islamico, che controllava gli
itinerari terrestri. Egli aveva compiuto un gravissimo errore di calcolo della
distanza dalle Canarie al presunto continente asiatico, stimando il miglio
arabo del cosmografo medievale Alfragan, citato nel Cosmographie Tractatus del cardinale Pierre d’Ailly, anch’esso
lontanissimo dalla realtà, come miglio romano significativamente più corto.
Comprese male anche i calcoli, peraltro astrusi, del suo corrispondente e
scienziato geografo fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli. Il risultato fu la
sottovalutazione della distanza reale che venne ridotta di due terzi!
Abilissimo navigatore, mistico,
visionario, fortemente influenzato dal profetismo, Colombo parte mal informato
e soprattutto, una volta sbarcato, continua a informare male: vuoi per
interesse personale (l’esclusiva del possesso dei nuovi territori), vuoi per
l’inadeguatezza della sua strumentazione culturale. Egli è un uomo cha ha
scarsa disponibilità ad accettare il completamente nuovo e il totalmente
diverso. Pur essendo un esteta e un curioso naturale non riesce ad organizzare
scientificamente ciò che vede: confonde le piante, scambia l’aloe per l’agave;
confonde gli animali, chiama coccodrillo l’iguana, polli i tacchini. È imbevuto
di credenze che si trasformano in visioni e certezze: giura di aver visto le
sirene, di aver localizzato luoghi abitati da ciclopi, amazzoni, uomini con la
coda. Nel terzo viaggio si abbandona alla visione e alla convinzione, scoprendo
le foci dell’Orinoco, di essere vicino al giardino dell’Eden. Prova dell’approssimarsi
del paradiso terrestre sono la mitezza del clima, la dolcezza crescente delle
acque, la lussureggiante e bellissima vegetazione che ricordano le descrizioni
del Genesi e dell’Imago Mundi del citato d’Ailly. Corregge la rotondità della
terra immaginandola come una pera sormontata da un capezzolo, che è il punto
più vicino al cielo e dove si trova appunto il paradiso; il quale non
assomiglia ad una montagna scoscesa ma ad un rassicurante elemento della
maternità.
E poi le menzogne su quello che
costituirà una delle molle principali della conquista: l’oro. L’oro, il metallo
prezioso che assolve ad un duplice riscatto: quello personale dell’arricchimento
individuale e quello collettivo di rendere più ricca e più forte la Spagna.
Colombo lo insegue, lo promette e
sogna di finanziare una nuova crociata per la liberazione del Santo Sepolcro,
ma non ne troverà mai in quantità rilevanti.
Tuttavia, l’apice della
contraddittorietà delle primissime informazioni viene raggiunto nella
descrizione antropologica e nel comportamento colombiano nei confronti degli
indigeni, dei «selvaggi». Prima mansueti, timidi, candidamente nudi, dolci,
generosi in attesa soltanto di essere evangelizzati e civilizzati, facilmente
divengono, alle prime difficoltà, vigliacchi, ostili, crudelissimi, stupidi
bruti, ladri (Colombo sarà il primo ad avviare la loro schiavizzazione). Sulla prima
considerazione si fonderà il lungo dibattito sull’età dell’oro e il mito del
buon selvaggio e la sperimentazione utopica cinquecentesca; sul secondo l’animalizzazione
degli indios e la dichiarazione della loro inferiorità razziale.»
Mi piace ed è molto interessante
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