LE ARMI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
La lunga durata del primo conflitto
mondiale e la forma che esso assunse quando divenne guerra di trincea, sono i
motivi per cui in quegli anni si usò un vasto campionario di armi: alcune
comparvero allora per la prima volta, altre, già esistenti, vennero
perfezionate e trovarono una crescente e sempre più potente applicazione sui
campi di battaglia.
Su tutte queste armi, una prevalse
nettamente nella memoria dei popoli europei, così come testimoniato dai
documenti dell’epoca: la mitragliatrice.
LA MITRAGLIATRICE
Le prime “mitraglie” avevano fatto la loro
comparsa nel terzo quarto dell’Ottocento: i due modelli più riusciti furono
l’americana Gatling (1862) e la mitrailleuse, nata in Francia negli stessi
anni. Il ritmo di fuoco si otteneva moltiplicando il numero delle canne: dieci
nella Gatling e fino a 37 in certe mitrailleuse. Nessuna delle due era una vera
mitragliatrice, poiché in entrambe tutto dipendeva dalla velocità con cui
l’operatore girava la manovella per sparare con la canna successiva, non
esistendo ancora un meccanismo automatico che sfruttasse l’energia del rinculo
per caricare e tirare un nuovo colpo. Tale sistema fu inventato dall’americano
Hiram Maxim (1840-1916), che brevettò la sua arma nel 1882 e fabbricò il primo
esemplare nel 1884.
Cannone
Gatling statunitense: fu usato durante la guerra civile, ma l’esercito
americano lo adottò soltanto nel 1866. In seguito fu adottato da molte nazioni
europee, tra cui Russia e Gran Bretagna.
Mitrailleuse
Montigny: cannone a 37 canne, di invenzione belga, adottato nel 1869
dall’esercito francese.
A
sinistra l’americana Gardner a canna singola, a destra quella a due canne.
Dal
1880 fu usata su installazioni fisse a bordo delle navi militari inglesi.
Cannone
mitragliatore Maxim Mark 3, tipico dell’epoca prebellica. Adottato
dall’esercito inglese nel 1889, nel 1912 fu sostituito dalla Vickers, peraltro
costruita sulle stesse basi del Maxim, come le mitragliatrici tedesche,
austriache e russe.
Il cannone Maxim fu messo ampiamente alla
prova dai principali eserciti europei nel 1887 e dagli Stati Uniti nel 1888.
Successivamente ciascuna nazione produsse il proprio armamento, ma sempre in
base al principio della mitraglia di Maxim. Tre furono fin dall’inizio gli
scopi perseguiti:
- un efficiente meccanismo di carica e di
espulsione
- cartucce affidabili
- l’eliminazione del surriscaldamento
(quindi la necessità di raffreddare la singola canna).
La Hotchkiss, di produzione francese,
funzionava con principi leggermente differenti: sfruttava per la ricarica i gas
di scoppio di ciascun proiettile invece del rinculo, evitando così la camicia
di raffreddamento ad acqua.
Nel 1814 l’esercito tedesco aveva circa
12.000 mitragliatrici, ossia da sei a dodici per ciascun reggimento. All’epoca
erano armi troppo grosse e pesanti per poter essere usate da un singolo
operatore: la Maschinengewehr 08 tedesca standard pesava 24,66 kg e con il
carrello e l’acqua saliva a 32 kg.
Un ingegnere tedesco disegnò la
mitragliatrice Schwatzlose, che fu adottata nel 1907 dall’esercito
austroungarico: essendo composta di soli dieci pezzi principali era molto
affidabile. Russi e italiani la usarono spesso, dopo averla presa al nemico.
L’ARTIGLIERIA
All’inizio della Prima guerra mondiale
l’artiglieria da campo riscuoteva grande fiducia, di solito nella gamma da 75 a
85 mm. Come accadde per il cannone da campo francese da 75 mm (il soixante-quinze),
che era stato realizzato negli anni novanta dell’Ottocento e aveva
rappresentato un’autentica novità rivoluzionaria: il meccanismo idraulico del
rinculo permetteva un fuoco preciso e rapidissimo, senza dover riposizionare il
pezzo ad ogni tiro. Richiedeva un equipaggio di nove persone e un tiro da sei
cavalli per trasportarlo insieme all’avantreno. Sulla Marna il cannone ebbe
grande successo, sia come sostegno agli attacchi della fanteria, sia nel
bloccare l’avanzata tedesca sparando scariche di shrapnel (un tipo di
proiettile cavo, riempito di sfere di piombo o di acciaio, inventato dal
britannico Henry Shrapnel nel 1784); non aveva però una potenza né una
traiettoria tali da renderlo efficace contro le trincee.
Cannone
britannico da 60 libbre (calibro 127mm): era il più grande cannone da campo
britannico e doveva essere tirato da una squadra di cavalli robusti. Di
notevole precisione, aveva una portata di 9,4 km. Nella foto lo si vede in
azione a Gallipoli nel 1915.
La nascita della rete di trincee rese
necessari, infatti, cannoni più pesanti e obici, ossia cannoni dalla canna
corta, che sparavano bombe più grandi con traiettoria alta. All’inizio della
guerra i grandi obici erano considerati pezzi da assedio, mentre per obiettivi
come le stazioni ferroviarie o i ponti si usavano cannoni più leggeri. Con la
guerra di trincea gli obici furono usati anche in campo aperto, situati in cavità
o nelle retrovie. Una volta posizionati era molto difficile spostarli: l’obice
da 9,2 pollici pesava 15 tonnellate e per smontarlo occorrevano 36 ore.
Si riteneva che l’uso prolungato di questi
cannoni costituisse un contributo decisivo al successo della fanteria, perché
saturava (riempiva di fumo, polvere, esplosioni) il sistema difensivo nemico:
ciò era ritenuto più importante dell’effetto sorpresa.
Tra i cannoni usati nei primi anni del
conflitto è noto l’M42 tedesco, soprannominato “dicke Bertha” (la “grande
Bertha”, dal nome della figlia maggiore del costruttore, della famiglia Krupp),
o anche “fleissige Bertha” (Berta la zelante). Era un cannone molto potente:
l’onda d’urto provocata da un suo sparo poteva infrangere i vetri delle case
nel raggio di 3 chilometri. Venne usato fino alla battaglia di Verdun (1916),
quando la sua gittata (circa 12 metri con proiettili da 400 kg) venne giudicata
troppo corta e il cannone non fu più utilizzato.
Nel corso della guerra tre furono le
novità più importanti introdotte nell’artiglieria. In primo luogo furono ideati
vari cannoni e obici di medio peso: in passato la taglia massima era fissata da
quanto poteva essere trainato da un tiro da cavalli, ma verso la fine della
guerra i cavalli furono sostituiti dai trattori.
In secondo luogo nacque l’artiglieria
mobile con il carro armato. Era la risposta al fatto che, quando il fuoco
d’artiglieria sbaragliava le posizioni difensive, diventava in pratica
impossibile spostare i pezzi sul campo di battaglia per ripetere l’operazione
contro la successiva linea nemica.
La terza novità fu l’elaborazione di una nuova
arma – il cannone ferroviario – quando divenne chiaro che l’uso dei pezzi medi
e pesanti richiedeva troppe forze umane e troppe perdite: infatti le squadre di
artiglieri, che potevano essere formate anche da 28 uomini, erano sempre
soggette a un intenso fuoco di controbatteria. Alcuni cannoni ferroviari
(quello britannico, quello tedesco o quello americano) erano armi standard
montate su carri ferroviari, ma il modello più famoso (il cannone di Parigi con
cui nel 1918 i tedeschi bombardarono la capitale francese) fu costruito
appositamente.
L’impiego dei cannoni esigeva che gli
ufficiali fossero ben istruiti nella scienza balistica e avessero molti
strumenti per calcolare la giusta traiettoria del tiro. Ma nella concitazione
della battaglia poteva accadere che le batterie perdessero il contatto con gli
osservatori e spesso il fuoco colpiva i loro stessi compagni.
MACCHINE BLINDATE
Le operazioni belliche in Belgio e nella
Francia settentrionale durante le ultime fasi della “guerra lampo” furono
caratterizzate da una frenetica mobilità. Sulle strade piatte delle Fiandre
correvano anche automobili usate sia per ricognizione, sia per soccorrere i
piloti di aerei abbattuti: i viaggi di tali automobili diventavano sempre più
rischiosi, per questo si pensò di rivestirle di una improvvisata corazzatura in
lamiera. Furono proprio i belgi a utilizzare per primi rudimentali forme di
autoblindo. In seguito automobili di questo tipo furono ordinate alla
Rolls-Royce, che provvide alla fabbricazione di veicoli dotati di una
blindatura completa e una torretta girevole. Quando questi veicoli furono
pronti, nel mese di dicembre, era però già finito il breve periodo di mobilità
dei combattimenti e la guerra era divenuta “guerra di trincea”.
IL CARRO ARMATO
L’idea di un veicolo blindato capace di
muoversi su qualunque terreno venne per prima alla marina britannica. Dopo
l’uso delle autoblindo nei primi mesi di guerra, nel novembre 1914, quando il
fronte si era stabilizzato, le autoblindo non furono più utilizzate, perché non
potevano attraversare le trincee o il filo spinato; si cominciò allora a
cercare possibili alternative. Al ministero della Guerra britannica erano
scettici, ma il primo lord dell’ammiragliato, Winston Churchill, si interessò
alla cosa e nel febbraio 1915 istituì una Commissione
mezzi terrestri. Furono presi in considerazione molti progetti, uno per superare
le trincee, uno per tagliare il filo spinato, un altro per trasportare le
truppe oltre la “terra di nessuno”. Alcuni preferivano veicoli con grandi
ruote, altri i cingoli usati per i trattori, e questi ultimi alla fine
prevalsero.
Gli autori del progetto che fu poi
realizzato erano Walter Wilson e William Tritton, delle officine meccaniche
Fosters di Lincoln (Inghilterra). Il prototipo fu sperimentato il 2 febbraio
1916 e riuscì a superare una trincea di 3 metri e un ostacolo verticale alto
1,4 metri; i funzionari del governo e i pezzi grossi delle forze armate
rimasero molto colpiti e ne furono ordinati cento esemplari. Era in sostanza il
progetto che l’esercito britannico avrebbe usato per il resto della guerra e
quindi il prototipo prese il nome di Mother;
dalla “madre” derivò il Mark I, usato più tardi sulla Somme, che aveva due
versioni, il “maschio” e la “femmina”. Il “maschio” era dotato di due cannoni
navali da 6 libbre situati in semitorrette sporgenti ai lati del carro armato e
quattro mitragliatrici; la “femmina” aveva sette mitragliatrici ed era stata
ideata come protezione, nel timore che i “maschi” potessero essere bloccati da
masse di fanti nemici.
Il Mark I aveva un equipaggio di otto persone:
un ufficiale e il guidatore seduti davanti, un cannoniere e il compagno in
ciascuna torretta e due addetti agli ingranaggi dell’albero motore connessi
alle ruote dentate che permettevano ai cingoli di svoltare. Il motore era un
Daimler da 105 hp progettato per i trattori. Dopo essere entrato in produzione
a Lincoln, venne prodotto anche nella più grande Metropolitan Carriage Co. di
Birmingham.
Il
30 giugno 1915 la marina britannica fece una dimostrazione con un trattore
americano Killen-Strait equipaggiato sul davanti con tagliafili: il collaudo fu
poco entusiasmante e dimostrò che non era quella la soluzione migliore.
Il
prototipo presentato da Tritton e Wilson nel settembre 1915 e chiamato “Little
Willie”, somigliava ai carri armati attuali, ma era molto limitato quanto a
capacità di superare le trincee e nessuno lo prese in seria considerazione.
Sopravvive come pezzo da museo.
I militari erano ben decisi a far arrivare
i carri armati sul fronte occidentale prendendo del tutto alla sprovvista i
tedeschi. Perciò, sui corpi dei trattori (senza torrette né cannoni) caricati
sui treni all’uscita dalla fabbrica, era posta la dicitura in russo “A
Pietrogrado”, per fuorviare eventuali spie.
Nessuno sapeva bene che cosa aspettarsi
dai nuovi carri armati, quando il 15 settembre 1916 ne furono inviati 50 sulla
Somme: si sperava per lo più che travolgessero le mitragliatrici,
schiacciassero il filo spinato e servissero da scudo per i fanti in avanzata
sulla terra di nessuno. In realtà, circa un terzo dei carri armati si guastò e molti
altri furono distrutti dall’artiglieria tedesca, ma quelli che continuarono a
funzionare riuscirono a ricacciare indietro il nemico. Soprattutto, però, le
nuove armi ebbero un effetto psicologico sensazionale: in un primo tempo i
tedeschi si sentirono impotenti di fronte a quelli che sembravano “mostri”
capaci di arrampicarsi sulle trincee e di sottoporli a un continuo
mitragliamento trasversale.
La guerra di trincea e gli insuccessi dei
primi carri armati fecero capire che c’era bisogno sia di carri armati da
battaglia capaci di sfondare le difese nemiche, sia di carri leggeri in grado
di sfruttare la breccia. I britannici migliorarono il loro Mark I, ideando il
Mark IV e poi il Mark V, che era un po’ più lungo, più adatto ad attraversare
le trincee, e fu il primo carro armato con un solo guidatore. Rispetto al Mark
I, il Mark IV aveva anche un radiatore migliore, un silenziatore e cingoli
dalla presa più efficace, ma anche questi veicoli rimanevano spesso incagliati
nelle trincee nemiche.
I carri pesanti francesi avevano un
impiego limitato: il 16 aprile 1917 vennero usati 132 Schneider, 57 dei quali
furono distrutti e molti altri subirono danni irreparabili. Nel maggio 1917 dei
16 St-Chamond usati, 15 rimasero incagliati nelle trincee, non essendo in grado
di superarle. I francesi allora si concentrarono sul carro armato leggero
Renault FT 17, che fu il più riuscito, tanto da essere usato anche
dall’esercito americano. Anche se le sue prestazioni non erano eccezionali,
aveva una torretta mobile con una singola mitragliatrice, che risultò
particolarmente innovativa e a fine guerra ne erano stati fabbricati 4.000.
L’unico carro armato tedesco fu lo
Sturmpanzerwagen A7V, che aveva un cannone principale da 57mm, sei
mitragliatrici e 18 uomini di equipaggio. Era però lento, instabile e non
superava il terreno accidentato o con buche profonde; fu perciò un insuccesso e
se ne fabbricarono solo 15. I tedeschi preferivano i Mark IV presi al nemico.
Il carro armato leggero britannico, il
Medium A, detto Whippet (il nome di una razza di cani da corsa), aveva il
motore e i serbatoi di carburante nella parte anteriore, e dietro la torretta
con tre mitragliatrici fisse. Tutti i primi modelli avevano problemi che ne
limitavano l’efficacia; raggiungeva i 13,4 km/h il che ne faceva un velocista,
a paragone degli altri carri armati della Grande Guerra.
Infatti i carri pesanti erano limitati sia
in velocità sia in autonomia, ma contemporaneamente i carri leggeri non riuscivano
a superare le avversità del terreno ed erano vulnerabili al fuoco nemico. La
visibilità era limitata e non c’erano radio per comunicare con gli altri carri
o con le forze di appoggio; inoltre gli equipaggi uscivano stremati per il
caldo, la mancanza di ventilazione e l’uso di caschi e protezioni, per
ripararsi dalle schegge di metallo incandescente provocate dai proiettili che
colpivano i veicoli.
Caschi per carristi della Prima guerra
mondiale.
L’ARMAMENTO DA TRINCEA
Le trincee crearono esigenze nuove (e in
gran parte impreviste da tutti gli eserciti belligeranti) in fatto di armi per
il combattimento a distanza ravvicinata. Così tornarono in auge armi come il
fuoco e le bombe a mano.
Il fuoco – creato accendendo un getto di
benzina con una bomba incendiaria – fu usata per la prima volta nell’ottobre
1914 nella battaglia delle Argonne (Francia).
Il lanciafiamme, invece, fu usato per la
prima volta il 26 febbraio 1915 dai tedeschi contro le posizioni francesi
davanti a Verdun. Fu usato in modo concertato per la prima volta il 30 luglio
1915, contro gli inglesi a Hooge, nel saliente (= sporgenza verso il nemico) di
Ypres, in un punto in cui le trincee erano a meno di 4,5 metri di distanza
l’una dall’altra. Anche così da vicino le perdite maggiori si ebbero quando i
fanti uscirono allo scoperto e furono attaccati dai nemici appostati, più che a
causa del fuoco stesso. I lanciafiamme, del resto, potevano raggiungere la
distanza massima di 18 metri, ma le linee del fronte erano situate per lo più a
distanze maggiori, dunque la loro efficacia era limitata.
Soldati
tedeschi si esercitano nell’uso del lanciafiamme. L’arma era dotata di liquido
infiammabile sufficiente per due minuti di fuoco.
Notevole fu negli anni della Grande Guerra
l’incremento dei mortai, pezzi di artiglieria ad avancarica, capaci di
effettuare tiri con traiettoria molto curva a gittata relativamente corta.
Nell’agosto 1914 solo i tedeschi avevano mortai (160 in tutto); nel 1918 gli
inglesi ne avevano 3.022. Nella primavera 1916 i britannici usavano il mortaio
leggero Stokes da 3 pollici, che poteva sparare 30 colpi al minuto, ma in un
primo tempo fu usato solo con proiettili fumogeni. Nel maggio dello stesso anno
gli inglesi introdussero un mortaio medio, capace di sparare un proiettile da
27 kg a 140 metri. Il mortaio pesante britannico, introdotto verso la fine del
1916, sparava un proiettile da 68 kg a 915 metri. Doveva sparare da una
posizione di 7,5 m sotto il livello del suolo, e poteva sventrare una trincea
di analoga profondità. L’equivalente tedesco era una versione da 90 kg con una
portata di 550 metri. I mortai da trincea tedeschi erano detti Minenwerfer (lanciabombe) ed erano di
tre misure: quelli più leggeri funzionavano con 6 serventi, quelli più pesanti
con 21. I mortai sparavano proiettili ad alto potenziale, shrapnel, fumogeni e
gas. Le granate più grandi si vedevano, perché venivano sparate a candela, con
una traiettoria alta: la loro efficacia maggiore consisteva nel minare il
morale delle truppe.
Caricamento
di un Minenwerfer da 17 cm; un buon equipaggio poteva lanciare in un’ora 30-35
granate ad alto potenziale da 49,5 kg e ben 40-45 delle più leggere granate a
gas.
La bomba a mano, sebbene usata su larga
scala dagli alleati durante la guerra russo-giapponese del 1904-1905, fu
adottata dalle forze tedesche soltanto nel 1914. Fino alla primavera del 1915 i
britannici non ne avevano quasi nessuna e spesso le loro Mills Mark II
esplodevano in mano al soldato che le tirava. Solo nel 1916, con le Mark III,
gli incidenti divennero una rarità, un caso su 20.000. In Gran Bretagna furono
fabbricati in tutto 75 milioni di bombe a mano; fu predisposta anche una
prolunga (detta tromboncino) per poterle sparare con un fucile. Le bombe a mano
acquistarono una tale importanza che i loro ordini di rifornimento avevano la
precedenza su quelli per le munizioni da fucili.
Le prime bombe a mano erano corredate da
strisce di stoffa, paracadute o propulsori, per far sì che toccassero terra (e quindi
esplodessero) con la parte della spoletta; quelle fabbricate a mano, dovevano
essere accese prima del lancio. Col tempo assunsero varie forme: di limone,
lampadina, mela candita e perfino disco. Fra le bombe a percussione, che
esplodevano all’impatto, c’erano la francese P1 e la tedesca “a disco” o
“tartaruga”, che esplodeva qualunque fosse la parte che urtava il terreno. Gli
alleati preferivano le bombe a forma di ananas, che esplodendo producevano la
massima quantità di schegge. In tutti i modelli il problema maggiore era la
miccia: la franco-italiana Besozzi aveva una miccia semplice intinta nel
fosforo, che si accendeva come un fiammifero. Gli inglesi preferivano le Mills,
con una leva che si doveva tenere stretta alla bomba: lasciando la presa, si
accendeva la miccia da 5 secondi.
Vari
tipi di bombe a mano della Prima guerra mondiale, conservati al Museo Gilles
Login
di Marigny-en-Orxois (Francia)
Nelle trincee vennero usate pistole di
tutti i tipi, ma uno scopo particolare era quello delle pistole lanciarazzi: i
razzi venivano sparati verso l’alto per mandare un segnale prestabilito, spesso
usando colori diversi. Alcuni razzi erano dotati di un paracadute, che
rallentava la discesa. I razzi luminosi si usavano per illuminare la terra di
nessuno, rivelando i movimenti del nemico.
Nei combattimenti corpo a corpo si usarono
anche armi di forme medievali, come le mazze chiodate inglesi o i bastoni
metallici tedeschi. Le mazze, spesso fabbricate dai soldati stessi, si
dimostravano utili soprattutto per le incursioni e le ronde notturne delle
trincee.
La terra di nessuno tra due trincee
nemiche era una distesa di filo spinato, perciò tra gli strumenti di vitale
importanza del soldato vi era la pinza tagliafili. Spesso, prima di un attacco,
alcune squadre venivano mandate a tagliare i fili con il favore delle tenebre;
ciò nonostante era frequente che durante l’attacco i soldati restassero
intrappolati nei grovigli di filo spinato e diventassero un facile bersaglio
per il nemico. Le pinze tagliafili – magari montate sulla canna del fucile –
potevano salvare una vita.
I GAS ASFISSIANTI
La sera del 22 aprile 1915 a Ypres
(Belgio) la IV armata tedesca cominciò l’attacco al settore francese,
utilizzando una nuova arma: il gas asfissiante. Dopo un breve ma intenso
bombardamento, due unità tedesche partirono all’attacco precedute da una nube
di gas al cloro, fuoriuscita da 5.730 bombole. I francesi, senza alcuna
protezione, si ritirarono in fretta, ma i tedeschi non seppero sfruttare
appieno l’occasione, anche perché la fanteria non voleva seguire troppo da
vicino la nube di gas. Anche se in quell’occasione il gas si era dimostrato
efficace, i belligeranti scoprirono in seguito che c’era sempre il rischio che
il vento rivolgesse la nube di gas dalla parte di coloro che l’avevano
provocata.
Dopo quella prima terribile volta entrambe
le parti cominciarono a usare vari tipi di gas, compreso il fosgene, una
sostanza insidiosa il cui effetto si manifestava 24 ore dopo. Tutti questi gas
uccidevano per asfissia dopo giorni di sofferenze, ma quello che faceva più
vittime era l’iprite. Provocava una degenerazione dei tessuti interni ed
esterni del corpo: la pelle si copriva di vesciche e la mucosa bronchiale si
staccava. Il dolore era quasi insopportabile e poteva continuare anche per
quaranta giorni. Era difficile bloccare l’effetto del gas e i sopravvissuti
rimanevano segnati a vita.
Entrambi i contendenti adottarono nel 1916
delle granate contenenti gas liquido, che evaporava all’impatto: era un mezzo
molto più efficace delle bombole, per far arrivare il gas sulle postazioni
nemiche.
Al primo segnale di gas i soldati dovevano
suonare dei fischietti e delle raganelle per lanciare l’allarme e dovevano
indossare immediatamente quanto era previsto in questi casi.
In un primo tempo per proteggersi i
soldati a Ypres usarono fazzoletti o asciugamani imbevuti d’acqua o di urina:
tre giorni dopo al fronte furono spediti in tutta fretta tamponi impregnati di
bicarbonato di soda. Nei mesi seguenti si usarono tamponi di garza, impregnati
di una soluzione di iposolfito e con un lembo per coprire gli occhi, che si
fissavano con delle fettucce. Poi gli alleati elaborarono protezioni più
complesse; verso la fine del 1917 divenne parte dell’equipaggiamento regolare
inglese la maschera a cassetta, con filtri a carbone o antidoti chimici per
neutralizzare i gas; ma gli antidoti erano efficaci solo per mezz’ora, dopo di
che bisognava cambiare il filtro: un procedimento che poteva essere fatale.
Altre maschere antigas comprendevano un
tubo metallico con la punta di gomma, che si teneva fra i denti per espirare. I
tedeschi fabbricarono una maschera con un filtro cilindrico avvitato.
Fucilieri
scozzesi (i Cameronians) pronti a entrare in azione nel 1915, con le prime
maschere antigas, semplici occhiali e tamponi di garza, ben poco efficaci
contro il cloro e il fosgene.
I SOTTOMARINI
La Prima guerra mondiale non si combatté
solo nel fango delle trincee, ma anche in mare e in aria.
L’impiego di sommergibili (che erano stati
pensati ben prima della Grande Guerra) divenne preponderante proprio con il
conflitto del 1914-1918, soprattutto per l’impiego che ne fece la marina
tedesca al fine di combattere l’Inghilterra dove era fortissima e per aggirare
il blocco navale alleato imposto dalla supremazia navale britannica. I
sommergibili tedeschi erano chiamati U-boot, abbreviazione di Unterseeboot, letteralmente “battello
sottomarino”.
Durante la Prima guerra mondiale i
sommergibili trascorrevano ben poco tempo sott’acqua: immergersi era una
manovra complessa, a cui si ricorreva solo per lanciare un siluro o per mettersi
in salvo. Sott’acqua gli U-boot usavano motori elettrici azionati da una serie
di enormi batterie ricaricabili, e non i motori diesel con cui navigavano in
superficie: perciò erano più lenti e limitavano le immersioni, con le quali
esaurivano anche le riserve d’aria.
Nel 1914 la marina tedesca aveva due tipi
di sommergibili: i piccoli scafi di classe UB1 e quelli a più lunga portata per
il pattugliamento oceanico delle classi U5 e U19, il tipo Mittel-U. I primi non
potevano superare una velocità di 7 nodi e mezzo (un po’ meno di 14 km
all’ora), erano dotati di due lanciasiluri da 450mm e 14 uomini di equipaggio.
I secondi in superficie toccavano i 14 nodi (quasi 26 km/h) e gli 8 nodi in
immersione, ed erano muniti di 4 lanciasiluri e un cannone da 51mm, con 28
uomini di equipaggio. Sebbene fossero l’arma più temibile degli U-boot, i
siluri erano inefficaci oltre gli 800 metri di profondità. Un solo tiro,
comunque, poteva affondare un incrociatore, ma più difficilmente una nave
mercantile, che aveva meno pescaggio.
Nel corso della guerra nacque una terza
classe di sottomarini posamine. La flotta fu migliorata, al punto che alla fine
della guerra i sommergibili costieri tedeschi avevano più o meno le stesse
caratteristiche di quelli da pattuglia del 1914. Nelle ultime fasi del
conflitto gli U-boot da pattuglia riuscivano ad arrivare alle coste
nordamericane.
Un’illustrazione
raffigurante l’affondamento della nave-ospedale Anglia, ad opera di una mina
tedesca il 17 novembre 1915
I siluri provocarono agli alleati alcuni
fra i più gravi naufragi della guerra, compreso quello del Lusitania, un
transatlantico della Cunard, nel 1915. Erano però un’arma costosa e contro i
mercantili era più pratico usare i cannoni, oppure salire a bordo della nave e
minarla con l’esplosivo, per farla affondare.
La Gran Bretagna rispose agli attacchi dei
sommergibili tedeschi con le navi Q, ben armate e camuffate da mercantili, per
attirare gli U-boot in uno scontro. Nel 1917, con la ripresa della guerra senza
restrizioni, i sottomarini tedeschi arrivarono quasi a spezzare la resistenza
degli alleati, ma la Gran Bretagna poté disporre di sufficienti forniture
mercantili, nonostante le perdite crescenti.
Gli inglesi, inoltre, pensarono di
confondere i tedeschi ricorrendo alla mimetizzazione delle loro navi. Le prime
proposte per mimetizzare le navi consistevano nel dipingere lo scafo in modo da
renderlo invisibile sullo sfondo del mare, del cielo e dell’orizzonte: si
scoprì che con questa tecnica era possibile trarre in inganno i mezzi
convenzionali di avvistamento, ma non il periscopio degli U-boot, che riusciva
a individuare dal profilo la nave mimetizzata. Nacque allora l’idea di creare
un motivo disegnato, capace di creare un’illusione ottica che impedisse, o
quasi, di seguire con precisione la rotta della nave, e che quindi rendesse
difficile stimare il bersaglio da colpire. Verso la fine del 1917 si era
avviata la mimetizzazione illusionistica dell’intera flotta mercantile
britannica e di alcune navi da guerra.
La
nave civetta britannica Underwing mimetizzata a strisce bianche e nere ad
angolo, che creano una percezione distorta.
DIRIGIBILI E AEROPLANI
Allo scoppio della guerra tutti gli Stati
belligeranti possedevano qualche tipo di arma aerea, ma furono proprio le
necessità del conflitto a far fare all’aeronautica militare rapidi progressi: i
caccia del 1918 erano del tutto diversi da quelli del 1915.
Ogni Paese possedeva qualche modello di
dirigibile (in sostanza palloni aerostatici a motore), usati di solito per
compiti di vigilanza e di ricognizione. Gli Zeppelin tedeschi, a telaio rigido,
erano i migliori ed erano considerati ideali per i bombardamenti a lungo
raggio. Erano in grado di salire rapidamente a un’altitudine inaccessibile a
quasi tutti i caccia e avevano una portata e una capacità di trasporto di bombe
molto superiori a quelle degli aerei. Erano però vulnerabili ai tiri da terra,
dipendevano dalle condizioni meteorologiche e, quando furono migliorati i
caccia e i traccianti entrarono in uso, divennero evidenti i rischi di volare
su un bersaglio lento e sotto un’enorme sacca di gas infiammabile. Tuttavia gli
Zeppelin avevano una resistenza eccezionale: nel 1917, nel tentativo (fallito)
di rifornire le forze tedesche in Africa orientale, l’L59 percorse oltre 6.400
km in 95 ore.
Il predominio dei cieli passò nel corso
del conflitto più volte da uno Stato all’altro e ogni Paese dedicò ampie somme
alla creazione di nuovi e sempre più efficienti aeroplani. Ecco un elenco dei
principali aerei usati nella Prima guerra mondiale:
Rumpler Taube: realizzato nel 1910, questo
aereo allo scoppio della guerra era già un pezzo da museo, ma tedeschi e
austriaci nei primi mesi del conflitto lo usarono per la ricognizione; uno di
essi volò persino su Parigi, lasciando cadere volantini e bombe. Sul fronte
orientale ebbero un ruolo primario nella campagna di Tannenberg, fornendo
notizie sui movimenti delle forze russe.
Un Rumpler Taube dalla caratteristica
forma (Taube significa colomba)
Spad XIII: un robusto monoposto francese
con due mitragliatrici Vickers sincronizzate, usato volentieri da tutti gli
aviatori alleati. Nel corso della guerra ne vennero costruiti 8.472 esemplari e
gli ordini per altri 10.000 vennero annullati con l’armistizio. Raggiungeva i
222 km/h a 2.400 metri di altitudine.
Albatros DIII: potente biplano usato dalla
Germania e dall’Austria-Ungheria, munito di due mitragliatrici Spandau, in uso
dal gennaio 1917 fino all’armistizio. A livello del mare arrivava al massimo a
175 km/h. Venne usato da molti piloti famosi, tra cui Manfred von Richthofen,
soprannominato “Barone rosso”.
Fokker Eindecker: monoplano tedesco
prodotto dall’ingegner Anthony Fokker in diverse versioni, la più famosa delle
quali fu l’EIII. Questo aereo, che nel 1915 avviò la fase detta “flagello
Fokker”, era famoso soprattutto perché era dotato del primo dispositivo di
sincronizzazione delle mitragliatrici, che permetteva al pilota di sparare
attraverso l’elica senza danneggiarla.
Fokker Dr1: triplano tedesco dalla
particolare configurazione alare, utilizzato dal 1917 fino alle ultime fasi
della guerra. Si alzava velocemente ed era facilmente manovrabile, ma non
superava i 165 km/h. rivelò dei difetti strutturali e non ne furono prodotti molti
esemplari; fu anch’esso usato dal famoso “Barone rosso”.
Nieuport 17: biplano monomotore francese,
prodotto dal 1916 e impiegato sia dall’aeronautica francese, sia da quella
inglese. Era armato con una mitragliatrice Vickers, raggiungeva i 177 km/h e
raggiungeva un’altitudine di 5.300 metri. Inizialmente si rivelò assai efficace
nelle operazioni di guerra, tanto che se un esemplare veniva catturato dai
tedeschi, questi ne studiavano attentamente il funzionamento, per applicarlo ai
propri aerei. Fu il primo aereo a essere dotato di razzi aria-aria.
Sopwith Camel: caccia biplano inglese, che
ha al suo attivo il maggior numero di “prede” colpite durante la Grande Guerra:
1.294. Nelle mani di piloti esperti aveva la peculiarità della brusca virata a
destra, che poteva mandare l’aereo in vite e diventare così un asso nella
manica; molti piloti inesperti, invece, precipitarono proprio a causa di questa
caratteristica.
SE5A: caccia biplano inglese veloce e
fidato, che a livello del mare arrivava a 221 km/h. Aveva una Vickers montata
sul muso e una Lewis sull’ala, in modo da sparare agli aerei nemici dal basso;
fu uno dei più importanti aerei della Prima guerra mondiale, pur entrando in
servizio solo nel marzo 1917.
I primi bombardieri aerei nacquero
dall’adattamento di aerei da ricognizione biposto; le prime bombe erano granate
da artiglieria, che venivano fatte cadere dalla cabina sperando che centrassero
il bersaglio. I primi bombardieri non erano in grado di sganciare un carico di
bombe rilevante; per questo, anche se durante la guerra furono fatti grandi
progressi, il bombardiere rimase un’arma secondaria, apprezzata più per
l’impatto psicologico sul nemico, che per le capacità di distruzione. Fin
dall’ottobre-novembre 1914 la RNAS (l’aviazione della marina britannica),
operante in Belgio, organizzò bombardamenti sulla base degli Zeppelin a
Friedrichshafen: trattandosi di obiettivi infiammabili e di grandi dimensioni,
i bombardamenti furono un successo.
Nel 1915 erano in azione veri e propri
bombardieri, tutti biplani, in Russia (Sikorskij), in Italia (Caproni, i primi
e fra i migliori) e in Germania (Gotha bimotori). Il primo bombardiere inglese,
l’Handley-Page O/100, decollò nel dicembre 1915.
Gabriele
D’Annunzio (al centro) con una squadriglia di piloti davanti al leggendario
Caproni CA 2378: il poeta usò un Caproni per bombardare le linee austriache
sull’Isonzo.
Ma i bombardamenti aerei continuarono a
essere operazioni marginali fino al 1917, quando furono prodotti numerosi
apparecchi più specializzati e più potenti. Erano gli aerei R (Riesenflugzeug, che significa “aerei
giganti”), in particolare la serie Zeppelin-Staaken, con due piloti in cabina,
ciascuno con una cloche simile a un timone di nave (come nei dirigibili) e
gondole per il motore con i compartimenti per i motoristi di bordo. Nel 1918 la
nuova RAF (la Royal Air Force britannica, istituita il 1° aprile) cominciò i
bombardamenti strategici di obiettivi industriali e stazioni ferroviarie, con
aerei equipaggiati con un carico di circa 900 kg di bombe. Il gigantesco
bombardiere Zeppelin-Staaken RVI, che fu usato per incursioni notturne su
Londra, portava un carico di 2.000 kg.
Sarebbe stato utile di sapere qualcosa dei fucili e pistole in uso.
RispondiEliminaSono d'accordo!
Eliminawww.exordinanza.net
EliminaSarebbe stato bello conoscere e vedere immagini dell'accenditore strazza speroni . solo il sito talpo ha una immagine ma furono fatti 4 esemplari
RispondiEliminano
RispondiEliminanoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
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