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venerdì 30 giugno 2017

96 L'Italia del secondo dopoguerra


Dopo la liberazione di Roma dall’occupazione nazista (giugno 1944) l’Italia, ancora monarchica, aveva già annunciato le elezioni a guerra finita di un’assemblea costituente, incaricata di elaborare una nuova carta costituzionale; ciò era la premessa della creazione, dopo vent’anni di dittatura fascista, di uno Stato democratico, formato da tutte le diverse forze politiche operanti in Italia. Il compito era gravoso e la creazione di un sistema democratico era tutta da inventare, significativo era stato già nell’aprile 1944 un discorso di Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, che è passato alla storia come «la svolta di Salerno» e che auspicava la collaborazione dei comunisti a un governo di coalizione con tutte le forze democratiche.
Il primo governo italiano dopo la guerra nacque il 21 giugno 1945, sulla base appunto di un accordo che includeva i comunisti, i socialisti, i democristiani, i liberali, gli azionisti e i democratici del lavoro, ossia i vari partiti riformatisi dopo il fascismo; venne detto “governo di unità nazionale” ed era guidato da uno dei capi della Resistenza antifascista, Ferruccio Parri, del Partito d’Azione. Durò poco, per una serie di motivi tra cui le difficoltà economiche di un paese in cui la maggioranza degli abitanti non aveva se non lo stretto necessario per la sopravvivenza e a volte neanche quello.

Palmiro Togliatti (a sinistra) e Ferruccio Parri

Il 10 dicembre 1945 Parri venne sostituito da Alcide De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana (DC), un nuovo partito popolare di impronta cattolica, dopo quello che era stato sciolto dal fascismo nel 1926. De Gasperi ottenne il consenso dei ceti intermedi rurali e urbani, timorosi di cambiamenti radicali nelle istituzioni e impauriti dai partiti di massa di sinistra (socialisti e comunisti).
Il governo De Gasperi stabilì le elezioni per una Assemblea Costituente e per un referendum che permettesse agli italiani di scegliere se continuare a vivere in una monarchia, o se passare a una repubblica. Così il 2 giugno 1946 si tennero per la prima volta dopo vent’anni di dittatura fascista delle libere votazioni, le prime a suffragio realmente universale: per la prima volta anche le donne poterono esercitare il diritto di voto.

La scheda su cui gli italiani votarono il referendum del 2 giugno 1946

Gli italiani scelsero la Repubblica (12.717.923 voti contro 10.719.284), ma non ovunque allo stesso modo: il Centro e il Nord, dove il livello di istruzione era più alto e la Resistenza si era sviluppata di più, votarono per la repubblica, il sud per la monarchia. Il re Vittorio Emanuele III, percependo l’ostilità della maggioranza degli italiani nei suoi confronti, nel maggio 1946 aveva abdicato in favore del figlio Umberto II, ma ciò non bastò a salvare la monarchia; gli italiani imputavano al re di essersi dissociato dal fascismo e dalla sua scelta di entrare in guerra troppo tardi e, in più, di avere dimostrato con la fuga dell’8 settembre 1943 una scarsa dignità.

Anna Iberti, una milanese di 24 anni, in una celebre foto di Federico Patellani scattata nel giugno 1946 per la vittoria della Repubblica nel referendum

All’interno dell’Assemblea Costituente ottennero più voti tre partiti: la Democrazia Cristiana, che ebbe 207 seggi; i Socialisti (la cui sigla era PSIUP, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), con 115 seggi; il Partito Comunista Italiano (PCI), con 104 seggi. Vi era perciò un certo equilibrio tra lo schieramento di centro-destra (DC) e quello di sinistra (PSIUP e PCI). Accanto a questi partiti di massa erano presenti alcune forze minori che si richiamavano alla tradizione liberale.
Tra il 1946 e il 1947 l’Assemblea Costituente preparò la nuova Costituzione della Repubblica Italiana, che venne approvata nel dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

Il primo Presidente della Repubblica Enrico De Nicola firma la Costituzione italiana il 27 dicembre 1947, alla presenza di Alcide De Gasperi (il primo a sinistra) e di Umberto Terracini (ultimo a destra)

La Costituzione nacque dall’accordo di tutte le forze politiche presenti nell’Assemblea Costituente: esse avevano posizioni molto diverse, ma gli articoli vennero quasi sempre approvati con il voto di una larga maggioranza.
Questo accordo fu possibile perché i diversi partiti, nonostante le loro differenze, avevano in comune l’esperienza della guerra, della Resistenza e dell’antifascismo: la Costituzione italiana perciò si ispirò agli ideali di libertà e di uguaglianza che il fascismo aveva sempre negato e la Resistenza aveva difeso.
La Costituzione stabiliva i diritti e i doveri dei cittadini, ristabilendo le libertà che erano state eliminate dal fascismo: la libertà personale, la libertà di opinione, di riunione e di associazione, le garanzie giudiziarie (relative al giudizio in tribunale).
La Costituzione fissava anche l’ordinamento dello Stato: l’Italia diveniva una repubblica parlamentare, in cui il Parlamento era al centro della vita politica. Infatti il presidente della Repubblica veniva eletto dal Parlamento e anche il governo doveva ottenere la fiducia del Parlamento.
La Costituzione istituiva anche una Corte Costituzionale, con il compito di eliminare le leggi, risalenti perlopiù all’epoca fascista, che non erano in accordo con la Costituzione.

Fascicolo originale della Costituzione Italiana con le firme di De Nicola, De Gasperi e Terracini

Fino al 1947 il governo fu formato dai rappresentanti di tutti i partiti antifascisti: continuarono ad esserci, perciò, una serie di “governi di unità nazionale”, che riunivano partiti dalle posizioni molto diverse, sia sui rapporti internazionali, sia sulle scelte economiche interne. E intanto la popolazione, in prevalenza contadina, continuava a fare i conti con le proprie difficoltà economiche ed esprimeva il proprio malcontento con forti tensioni sociali in varie parti d’Italia.
Ad esempio nell’aprile 1947 si tennero in Sicilia le elezioni regionali, che videro la vittoria della sinistra ma anche una buona affermazione di diverse liste di destra. Dieci giorni dopo, il 1° maggio, gli uomini della banda del bandito Salvatore Giuliano, per ordine della mafia siciliana e dei politici ad essa legati, spararono sui lavoratori che si recavano in corteo pacifico a Portella della Ginestra (una località vicina a Palermo), uccidendone undici e ferendone una trentina.

Il Memoriale della strage di Portella della Ginestra

I governi di unità nazionale erano malvisti dagli Stati Uniti, dalla Chiesa e da una parte consistente della popolazione, perché al suo interno vi erano le forze della sinistra. Nel 1947 Alcide De Gasperi riuscì a formare un governo di centro, che escludeva socialisti e comunisti.
Alle elezioni del 18 aprile 1948 vi fu una netta vittoria della Democrazia Cristiana (ottenne il 48% dei voti), appoggiata dagli Stati Uniti, che fornivano gli aiuti del Piano Marshall, e dalla Chiesa cattolica, che fece un’intensa opera di propaganda in tutte le parrocchie; per la prima volta dopo il ventennio fascista a queste elezioni si presentò anche un partito (il Movimento Sociale Italiano, MSI), che si richiamava apertamente al fascismo. Il parlamento che si formò in seguito alle elezioni del 1948 elesse come Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, al posto di Enrico De Nicola, che era stato capo provvisorio dello Stato all’indomani delle elezioni del 1946.

Manifesti e striscioni elettorali per le elezioni del 1948

Le elezioni del 1948 non eliminarono le tensioni sociali, che proseguirono il 14 luglio con l’attentato da parte di uno studente di destra a Palmiro Togliatti, ferito gravemente da alcuni colpi di rivoltella. Ciò nonostante da allora e per quasi vent’anni la Democrazia Cristiana governò da sola, o con alcuni partiti minori di centro-destra.
I governi democristiani non attuarono mai profonde riforme e rimase perciò forte lo squilibrio esistente tra le diverse regioni, in particolare tra l’Italia nord-occidentale, più industrializzata, e quella meridionale, in prevalenza agricola e molto povera. Inoltre molte norme della Costituzione non vennero attuate e l’Italia rimase uno Stato molto accentrato.

Togliatti portato in ospedale dopo l’attentato




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