L'U.R.S.S. E LO STALINISMO
Nata ufficialmente nel dicembre
1922, l’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) adottò nel
1924 una Costituzione – rimasta in vigore fino al 1936 – che fissava la
struttura e i compiti del governo centrale (formato da vari organismi che
avevano il potere legislativo e quello esecutivo), ma che in realtà era completamente
sottomesso ai capi del Partito Comunista, l’unico partito ammesso nell’Unione.
La “dittatura del proletariato” che doveva essere la realizzazione delle teorie
marxiste, era in realtà la dittatura dei capi comunisti e in particolare del
Segretario Generale del Partito Comunista.
Poster sovietico celebrativo di Lenin e Stalin
Così l’U.R.S.S. divenne uno Stato
basato su un socialismo coercitivo, fondato cioè sulla costrizione, ossia la
limitazione della volontà individuale: il socialismo non era una scelta della
popolazione, ma un'imposizione del partito e nessuna critica venne tollerata.
Già nel 1918 era stata decretata
la totale separazione dello Stato dalla Chiesa ortodossa; nel 1921 furono
vietati l’insegnamento religioso alla gioventù e la stampa e la diffusione di
libri religiosi. Alla fede religiosa, considerata «l’oppio del popolo», fu contrapposto l’ateismo, fondato
sulla concezione materialistica della vita. Molti luoghi di culto vennero
chiusi; il matrimonio fu riconosciuto unicamente nella forma civile.
La chiesa della
Resurrezione a San Pietroburgo; dopo aver preso il potere i bolscevichi
cercarono di cancellare la tradizione religiosa russa e di sostituirla con
l’ateismo di Stato
Si stabilì la piena parità tra i diritti dell’uomo e quelli
della donna; l’aborto diventò una libera decisione della donna; il divorzio
venne concesso dietro la semplice richiesta di uno dei coniugi; i figli
illegittimi furono equiparati a quelli legittimi. Furono provvedimenti che
cambiarono profondamente la famiglia tradizionale e che ebbero effetti negativi
nella società russa, in particolare per quanto riguarda i figli: a causa della
povertà generale molti di essi furono abbandonati, senza che lo Stato avesse i
mezzi per provvedere alle loro necessità.
Poster del 1930
contro le molestie sessuali
Uno sforzo enorme fu compiuto, invece, per combattere la
piaga dell’analfabetismo, che era estremamente diffusa: furono aperte molte
scuole e nell’istruzione superiore si diede una netta prevalenza alle materie
tecnico-scientifiche, giudicate più importanti per lo sviluppo industriale del
Paese. Dall’istruzione superiore e universitaria, però, vennero esclusi i figli
di origini nobile e borghese e ai docenti e intellettuali che non accettavano
le idee socialiste fu vietato l’insegnamento e impedita la loro attività,
cosicché a decine di migliaia emigrarono in Occidente.
Poster del 1929
che invita tutti a frequentare le biblioteche
Per alcuni anni dopo la rivoluzione di Ottobre la cultura
fiorì godendo di una certa libertà: il partito comunista non era ancora in
grado di operare un ferreo controllo su di essa. Così si ebbero movimenti
artistici di avanguardia come il futurismo, l’espressionismo e il simbolismo;
la cinematografia ebbe uno sviluppo straordinario, con registi come Ejzenštejn
e Pudovkin, che celebrarono nei loro film la lotta dei rivoluzionari contro lo
Stato zarista; in campo musicale si affermò Dmitri Shostakovič.
Un fotogramma dal
celebre film di Sergej Ejzenštejn “La corazzata Potëmkin” (1925)
La politica coercitiva dell’U.R.S.S. si accentuò in
seguito alla morte di Lenin (1924): anche se aveva dichiarato che, data
l’arretratezza delle masse, il potere in Russia era esercitato non già
direttamente dai lavoratori, bensì da chi governava «per i lavoratori», Lenin non assunse le vesti di un
dittatore e governò sempre assieme a un gruppo di eminenti personalità. Prima
di morire, però, compì scelte molto contradditorie su colui che finì con il
succedergli alla direzione del Partito Comunista: Josif Vissarionovič Stalin.
Infatti nel 1922 l’aveva fatto eleggere segretario generale del Partito (era la
massima carica comunista) per le sue notevoli capacità organizzative, ma nel
testamento lasciò scritto di rimuoverlo da quell’incarico, dopo essersi reso
conto di quanto Stalin fosse brutale, autoritario e incline al nazionalismo.
Stalin in una foto
del 1935 e in un ritratto in alta uniforme
Il testamento di Lenin non fu reso pubblico e all’interno
del partito comunista si scatenò una lotta feroce per la conquista del potere,
che si concluse nel 1927 con la completa vittoria di Stalin.
Egli accumulò un immenso potere,
diventando di fatto un dittatore; in particolare negli anni Trenta si affermò
un sistema politico che gli storici chiamano “stalinismo”, un sistema
totalitario contraddistinto da una serie di componenti quali:
- il culto della personalità del
capo supremo, esaltato come unico fedele erede di Lenin;
- l’infallibilità di Stalin, per
cui ogni opposizione al suo volere costituiva un delitto politico;
- la teoria che il socialismo
fosse ostacolato in ogni modo (con il sabotaggio o il tradimento) dai tanti
“nemici del popolo”, che agivano sia all’estero, sia all’interno dell’URSS;
- la pratica del terrore di Stato
quale mezzo per annientare con la morte, la prigione o la deportazione tutti
gli oppositori (per Stalin scoprire i complotti contro il suo potere divenne
un’ossessione);
- l’incoraggiamento e la
diffusione della delazione (sospetti e paure si sparsero ovunque; persino i
figli vennero incoraggiati a denunciare i genitori ostili al regime);
- l’uso sistematico dei mezzi di
comunicazione di massa per esaltare la «linea
generale» del regime, denunciarne gli oppositori presunti o reali e alimentare
il consenso a suo favore (partito, sindacati, organizzazioni giovanili, scuole,
stampa, radio, associazioni culturali provvidero a diffondere gli ordini del
gruppo dirigente e a glorificare Stalin nelle maniere più iperboliche).
Un numero del 1936
della Pravda (Verità), l’organo ufficiale del Partito Comunista dell’Unione
Sovietica
Stalin lanciò una campagna di
epurazione (cioè di eliminazione di tutti gli oppositori) sia nel partito sia
nella società: furono le cosiddette “purghe staliniane”. I grandi processi del
periodo 1935-38, basati su prove inesistenti e su confessioni estorte con la
forza, portarono all'eliminazione di centinaia di migliaia di uomini e donne
(800.000 fucilazioni solo tra il luglio 1937 e l'agosto 1938). Tra le vittime
vi furono quasi tutti i maggiori dirigenti comunisti, molti ufficiali
dell'esercito e un gran numero di comuni cittadini, condannati per sospetta o
reale ostilità al regime.
Molti altri furono condannati ai
lavori forzati o alla deportazione nei campi di lavoro (i gulag, abbreviazione
di un’istituzione traducibile in «amministrazione
centrale dei campi di lavoro correttivi»), che si estendevano dalla
Russia orientale alla Siberia.
Lavori forzati in un gulag nel 1932
I deportati nei gulag (almeno
600.000 prigionieri politici nel momento di massimo sviluppo, oltre a 2 milioni
di detenuti comuni) costituivano una immensa riserva di lavoro servile,
impiegata per la costruzione di opere, quali dighe, canali, centrali, ferrovie,
eccetera, spesso nelle località più impervie. Posti sotto il controllo di un
ramo speciale della polizia politica, vivevano in condizioni miserabili, con
scarso cibo, al freddo e in condizioni durissime (numerosi furono gli incidenti
sul lavoro).
Intere popolazioni vennero
deportate in regioni dell'interno, perché Stalin non si fidava della loro
realtà al governo, come successe a oltre un milione di tedeschi della Volga: si
calcola che forse sei milioni di individui furono deportati o imprigionati.
Lavori forzati in un gulag nel 1933
Nel periodo staliniano nella
Russia e nelle altre repubbliche che formavano l'URSS vi fu un notevole
sviluppo economico, favorito dalla ricchezza di risorse (territorio, fonti di
energia, materie prime, manodopera), che rendeva il paese autosufficiente.
L’economia venne posta completamente sotto il controllo statale, cosicché non
fu lasciato alcuno spazio all'iniziativa privata.
La produzione agricola venne
organizzata in 3 strutture particolari:
- i kolchoz, ossia delle fattorie
collettive a carattere cooperativo, nelle quali ai contadini era lasciata una
piccola quota di terra per la coltivazione individuale;
- i sovchoz, aziende agricole
statali, in cui i contadini lavoravano come operai agricoli;
- le MTS (stazioni di macchine e
trattori), che avevano il compito di fornire i macchinari alle aziende
collettivizzate.
Bambini scavano patate con le mani in un kolchoz nel 1933
La resistenza dei contadini fu
fortissima e nelle campagne si scatenò una nuova guerra civile: i contadini
macellavano in massa il bestiame e riducevano le aree coltivate. Milioni di
kulaki (i contadini più ricchi), ma anche di contadini poveri, vennero in parte
sterminati, in parte condannati al lavoro forzato.
Poster sulla collettivizzazione agricola
L’industria divenne il centro
dell’economia sovietica: il suo sviluppo venne pianificato secondo “piani
quinquennali” (cioè da attuare in periodi di 5 anni). Il primo piano
quinquennale cominciò nel 1928 e si concentrò sull’incremento dell’industria
pesante, considerata la base di ogni ulteriore progresso. Lo sforzo dei
lavoratori fu tale, che esso venne realizzato addirittura in anticipo: la
produzione industriale nel 1933 era aumentata di quattro volte rispetto al
1913, il numero di operai aumentò progressivamente e la disoccupazione
scomparve.
Poster del 1936 sui successi industriali in URSS
Il secondo piano quinquennale
(1932-37) vide un incremento della produzione industriale del 121%: una parte
crescente di essa fu rivolta a soddisfare le esigenze delle forze armate,
bisognose di essere modernizzate.
In questo dipinto di Alexander Samokhvalov, “Komsomol militarizzato”
(1932-33), l’Unione comunista della gioventù (il Komsomol, appunto) passa dalla
vanga al fucile in un attimo
Queste misure prese per l’economia
sovietica (che secondo Stalin dovevano permettere al Paese «il grande balzo in avanti») si
accompagnarono alla militarizzazione della forza lavoro (i lavoratori, cioè,
erano come dei militari obbedienti agli ordini dei capi) e anche a sempre
maggiori differenziazioni retributive: i salari vennero calcolati in base alla
produttività, così da incentivare i singoli alla massima produzione. Nel 1935
ebbe inizio il movimento “stachanovista”, che prese nome dal minatore
Stachanov, il quale venne additato come esempio per le prestazioni eccezionali
conseguite (“stacanovismo” è divenuto un sostantivo comune in molte lingue del
mondo, per indicare un efficientismo, uno zelo fuori dal comune nel lavoro).
Stachanov e altri lavoratori maggiormente produttivi vennero ritenuti “eroi del
lavoro” e premiati con salari più alti, abitazioni più confortevoli, una
migliore assistenza sanitaria, mense speciali, vacanze in luoghi di
villeggiatura e così via. Il risultato fu che l’U.R.S.S. diventò il Paese dove
le differenze salariali tra operai erano le maggiori del mondo.
Statua al
minatore Stachanov nella città omonima (che da lui ha preso il nome) in Ucraina
L’industrializzazione forzata del Paese portò l’U.R.S.S. a
divenire la terza potenza industriale, dopo Stati Uniti e Germania.
Invece nel settore agricolo, a causa della mancanza di fondi e di macchinari, i
risultati furono decisamente negativi: nelle annate di cattivo raccolto si
ebbero carestie che provocarono la morte di milioni di persone.
Dipinto di Arkady Plastov, Giorno di festa nella fattoria collettiva
(1937). Malgrado i risultati negativi, la collettivizzazione delle terre venne
esaltata non solo sui giornali, ma anche mediante dipinti e film, in cui si
vedono solo contadini che lavorano felici nei kolchoz