Approfondimenti

domenica 15 maggio 2016

84 - L'U.R.S.S. e lo stalinismo

L'U.R.S.S. E LO STALINISMO

Nata ufficialmente nel dicembre 1922, l’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) adottò nel 1924 una Costituzione – rimasta in vigore fino al 1936 – che fissava la struttura e i compiti del governo centrale (formato da vari organismi che avevano il potere legislativo e quello esecutivo), ma che in realtà era completamente sottomesso ai capi del Partito Comunista, l’unico partito ammesso nell’Unione. La “dittatura del proletariato” che doveva essere la realizzazione delle teorie marxiste, era in realtà la dittatura dei capi comunisti e in particolare del Segretario Generale del Partito Comunista.

Poster sovietico celebrativo di Lenin e Stalin

Così l’U.R.S.S. divenne uno Stato basato su un socialismo coercitivo, fondato cioè sulla costrizione, ossia la limitazione della volontà individuale: il socialismo non era una scelta della popolazione, ma un'imposizione del partito e nessuna critica venne tollerata.
Già nel 1918 era stata decretata la totale separazione dello Stato dalla Chiesa ortodossa; nel 1921 furono vietati l’insegnamento religioso alla gioventù e la stampa e la diffusione di libri religiosi. Alla fede religiosa, considerata «l’oppio del popolo», fu contrapposto l’ateismo, fondato sulla concezione materialistica della vita. Molti luoghi di culto vennero chiusi; il matrimonio fu riconosciuto unicamente nella forma civile.

La chiesa della Resurrezione a San Pietroburgo; dopo aver preso il potere i bolscevichi cercarono di cancellare la tradizione religiosa russa e di sostituirla con l’ateismo di Stato

Si stabilì la piena parità tra i diritti dell’uomo e quelli della donna; l’aborto diventò una libera decisione della donna; il divorzio venne concesso dietro la semplice richiesta di uno dei coniugi; i figli illegittimi furono equiparati a quelli legittimi. Furono provvedimenti che cambiarono profondamente la famiglia tradizionale e che ebbero effetti negativi nella società russa, in particolare per quanto riguarda i figli: a causa della povertà generale molti di essi furono abbandonati, senza che lo Stato avesse i mezzi per provvedere alle loro necessità.

Poster del 1930 contro le molestie sessuali

Uno sforzo enorme fu compiuto, invece, per combattere la piaga dell’analfabetismo, che era estremamente diffusa: furono aperte molte scuole e nell’istruzione superiore si diede una netta prevalenza alle materie tecnico-scientifiche, giudicate più importanti per lo sviluppo industriale del Paese. Dall’istruzione superiore e universitaria, però, vennero esclusi i figli di origini nobile e borghese e ai docenti e intellettuali che non accettavano le idee socialiste fu vietato l’insegnamento e impedita la loro attività, cosicché a decine di migliaia emigrarono in Occidente.

Poster del 1929 che invita tutti a frequentare le biblioteche

Per alcuni anni dopo la rivoluzione di Ottobre la cultura fiorì godendo di una certa libertà: il partito comunista non era ancora in grado di operare un ferreo controllo su di essa. Così si ebbero movimenti artistici di avanguardia come il futurismo, l’espressionismo e il simbolismo; la cinematografia ebbe uno sviluppo straordinario, con registi come Ejzenštejn e Pudovkin, che celebrarono nei loro film la lotta dei rivoluzionari contro lo Stato zarista; in campo musicale si affermò Dmitri Shostakovič.

Un fotogramma dal celebre film di Sergej Ejzenštejn “La corazzata Potëmkin” (1925)

La politica coercitiva dell’U.R.S.S. si accentuò in seguito alla morte di Lenin (1924): anche se aveva dichiarato che, data l’arretratezza delle masse, il potere in Russia era esercitato non già direttamente dai lavoratori, bensì da chi governava «per i lavoratori», Lenin non assunse le vesti di un dittatore e governò sempre assieme a un gruppo di eminenti personalità. Prima di morire, però, compì scelte molto contradditorie su colui che finì con il succedergli alla direzione del Partito Comunista: Josif Vissarionovič Stalin. Infatti nel 1922 l’aveva fatto eleggere segretario generale del Partito (era la massima carica comunista) per le sue notevoli capacità organizzative, ma nel testamento lasciò scritto di rimuoverlo da quell’incarico, dopo essersi reso conto di quanto Stalin fosse brutale, autoritario e incline al nazionalismo.

Stalin in una foto del 1935 e in un ritratto in alta uniforme

Il testamento di Lenin non fu reso pubblico e all’interno del partito comunista si scatenò una lotta feroce per la conquista del potere, che si concluse nel 1927 con la completa vittoria di Stalin.
Egli accumulò un immenso potere, diventando di fatto un dittatore; in particolare negli anni Trenta si affermò un sistema politico che gli storici chiamano “stalinismo”, un sistema totalitario contraddistinto da una serie di componenti quali:
- il culto della personalità del capo supremo, esaltato come unico fedele erede di Lenin;
- l’infallibilità di Stalin, per cui ogni opposizione al suo volere costituiva un delitto politico;
- la teoria che il socialismo fosse ostacolato in ogni modo (con il sabotaggio o il tradimento) dai tanti “nemici del popolo”, che agivano sia all’estero, sia all’interno dell’URSS;
- la pratica del terrore di Stato quale mezzo per annientare con la morte, la prigione o la deportazione tutti gli oppositori (per Stalin scoprire i complotti contro il suo potere divenne un’ossessione);
- l’incoraggiamento e la diffusione della delazione (sospetti e paure si sparsero ovunque; persino i figli vennero incoraggiati a denunciare i genitori ostili al regime);
- l’uso sistematico dei mezzi di comunicazione di massa per esaltare la «linea generale» del regime, denunciarne gli oppositori presunti o reali e alimentare il consenso a suo favore (partito, sindacati, organizzazioni giovanili, scuole, stampa, radio, associazioni culturali provvidero a diffondere gli ordini del gruppo dirigente e a glorificare Stalin nelle maniere più iperboliche).

Un numero del 1936 della Pravda (Verità), l’organo ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica

Stalin lanciò una campagna di epurazione (cioè di eliminazione di tutti gli oppositori) sia nel partito sia nella società: furono le cosiddette “purghe staliniane”. I grandi processi del periodo 1935-38, basati su prove inesistenti e su confessioni estorte con la forza, portarono all'eliminazione di centinaia di migliaia di uomini e donne (800.000 fucilazioni solo tra il luglio 1937 e l'agosto 1938). Tra le vittime vi furono quasi tutti i maggiori dirigenti comunisti, molti ufficiali dell'esercito e un gran numero di comuni cittadini, condannati per sospetta o reale ostilità al regime.
Molti altri furono condannati ai lavori forzati o alla deportazione nei campi di lavoro (i gulag, abbreviazione di un’istituzione traducibile in «amministrazione centrale dei campi di lavoro correttivi»), che si estendevano dalla Russia orientale alla Siberia.

Lavori forzati in un gulag nel 1932

I deportati nei gulag (almeno 600.000 prigionieri politici nel momento di massimo sviluppo, oltre a 2 milioni di detenuti comuni) costituivano una immensa riserva di lavoro servile, impiegata per la costruzione di opere, quali dighe, canali, centrali, ferrovie, eccetera, spesso nelle località più impervie. Posti sotto il controllo di un ramo speciale della polizia politica, vivevano in condizioni miserabili, con scarso cibo, al freddo e in condizioni durissime (numerosi furono gli incidenti sul lavoro).
Intere popolazioni vennero deportate in regioni dell'interno, perché Stalin non si fidava della loro realtà al governo, come successe a oltre un milione di tedeschi della Volga: si calcola che forse sei milioni di individui furono deportati o imprigionati.

Lavori forzati in un gulag nel 1933

Nel periodo staliniano nella Russia e nelle altre repubbliche che formavano l'URSS vi fu un notevole sviluppo economico, favorito dalla ricchezza di risorse (territorio, fonti di energia, materie prime, manodopera), che rendeva il paese autosufficiente. L’economia venne posta completamente sotto il controllo statale, cosicché non fu lasciato alcuno spazio all'iniziativa privata.
La produzione agricola venne organizzata in 3 strutture particolari:
- i kolchoz, ossia delle fattorie collettive a carattere cooperativo, nelle quali ai contadini era lasciata una piccola quota di terra per la coltivazione individuale;
- i sovchoz, aziende agricole statali, in cui i contadini lavoravano come operai agricoli;
- le MTS (stazioni di macchine e trattori), che avevano il compito di fornire i macchinari alle aziende collettivizzate.

Bambini scavano patate con le mani in un kolchoz nel 1933

La resistenza dei contadini fu fortissima e nelle campagne si scatenò una nuova guerra civile: i contadini macellavano in massa il bestiame e riducevano le aree coltivate. Milioni di kulaki (i contadini più ricchi), ma anche di contadini poveri, vennero in parte sterminati, in parte condannati al lavoro forzato.

Poster sulla collettivizzazione agricola

L’industria divenne il centro dell’economia sovietica: il suo sviluppo venne pianificato secondo “piani quinquennali” (cioè da attuare in periodi di 5 anni). Il primo piano quinquennale cominciò nel 1928 e si concentrò sull’incremento dell’industria pesante, considerata la base di ogni ulteriore progresso. Lo sforzo dei lavoratori fu tale, che esso venne realizzato addirittura in anticipo: la produzione industriale nel 1933 era aumentata di quattro volte rispetto al 1913, il numero di operai aumentò progressivamente e la disoccupazione scomparve.

Poster del 1936 sui successi industriali in URSS

Il secondo piano quinquennale (1932-37) vide un incremento della produzione industriale del 121%: una parte crescente di essa fu rivolta a soddisfare le esigenze delle forze armate, bisognose di essere modernizzate.

In questo dipinto di Alexander Samokhvalov, “Komsomol militarizzato” (1932-33), l’Unione comunista della gioventù (il Komsomol, appunto) passa dalla vanga al fucile in un attimo

Queste misure prese per l’economia sovietica (che secondo Stalin dovevano permettere al Paese «il grande balzo in avanti») si accompagnarono alla militarizzazione della forza lavoro (i lavoratori, cioè, erano come dei militari obbedienti agli ordini dei capi) e anche a sempre maggiori differenziazioni retributive: i salari vennero calcolati in base alla produttività, così da incentivare i singoli alla massima produzione. Nel 1935 ebbe inizio il movimento “stachanovista”, che prese nome dal minatore Stachanov, il quale venne additato come esempio per le prestazioni eccezionali conseguite (“stacanovismo” è divenuto un sostantivo comune in molte lingue del mondo, per indicare un efficientismo, uno zelo fuori dal comune nel lavoro). Stachanov e altri lavoratori maggiormente produttivi vennero ritenuti “eroi del lavoro” e premiati con salari più alti, abitazioni più confortevoli, una migliore assistenza sanitaria, mense speciali, vacanze in luoghi di villeggiatura e così via. Il risultato fu che l’U.R.S.S. diventò il Paese dove le differenze salariali tra operai erano le maggiori del mondo.

Statua al minatore Stachanov nella città omonima (che da lui ha preso il nome) in Ucraina

L’industrializzazione forzata del Paese portò l’U.R.S.S. a divenire la terza potenza industriale, dopo Stati Uniti e Germania. Invece nel settore agricolo, a causa della mancanza di fondi e di macchinari, i risultati furono decisamente negativi: nelle annate di cattivo raccolto si ebbero carestie che provocarono la morte di milioni di persone.

Dipinto di Arkady Plastov, Giorno di festa nella fattoria collettiva (1937). Malgrado i risultati negativi, la collettivizzazione delle terre venne esaltata non solo sui giornali, ma anche mediante dipinti e film, in cui si vedono solo contadini che lavorano felici nei kolchoz


giovedì 12 maggio 2016

83 - La dittatura fascista

LA DITTATURA FASCISTA

Per conquistare il potere assoluto, Mussolini fece approvare una legge secondo la quale il partito che avesse ottenuto alle elezioni almeno il 25% dei voti, avrebbe avuto due terzi dei seggi in parlamento. Le elezioni si svolsero il 6 aprile 1924, ma le squadre fasciste impedirono a molti di votare liberamente e uccisero anche un candidato socialista. La lista formata dai fascisti, con un'ampia partecipazione dei liberali, ottenne così la maggioranza dei seggi. Quando in parlamento il deputato socialista Giacomo Matteotti chiese l'annullamento delle elezioni, denunciando le violenze commesse fai fascisti, essi lo rapirono e lo uccisero (giugno 1924).

A sinistra una foto di Giacomo Matteotti, a destra il ritrovamento del suo cadavere il 16 agosto 1924

Tra il 1924 e il 1927 in Italia si instaurò un regime dittatoriale: i partiti contrari al regime fascista furono sciolti (1926) e la libertà di stampa abolita. Il potere passò in mano al Gran Consiglio del fascismo, diretto da Mussolini, che si fece chiamare duce (dal latino dux, capo militare) del fascismo: egli ricoprì le più alte cariche e si presentò come un capo assoluto, anche se la politica fascista non dipese solo dalle sue scelte, ma da quelle di un ristretto gruppo di uomini alla direzione del partito.

Bambini di una scuola elementare siciliana seduti in modo da formare la scritta DUX nel 1831: cose del genere erano molto comuni nelle scuole italiane

Il principale appoggio al fascismo era venuto dall'alta borghesia e il regime approvò una serie di leggi a favore della borghesia: eliminò le leggi che regolavano le attività industriali e finanziarie; proibì gli scioperi; sciolse tutti i sindacati, ad eccezione di quelli fascisti (1926), e creò poi corporazioni che riunivano i datori di lavoro e i rappresentanti degli operai (1934). Inoltre aumentò le tasse indirette, cioè sui consumi, che colpivano soprattutto le classi sociali inferiori, e non le tasse sul reddito, cioè sui guadagni, che avrebbero colpito le classi sociali superiori.
Tuttavia, per non perdere il consenso popolare, il governo fascista prese una serie di misure a favore dei lavoratori, sul modello di quelle già da tempo presenti in molti Stati europei: furono introdotte o migliorate l'assicurazione contro la disoccupazione, la malattia e la vecchiaia e fu creata l'ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), per l'assistenza alle madri.

L’ONMI di Bra (Piemonte) nel 1936

Per ridurre la disoccupazione e aumentare il prestigio del regime furono anche avviati grandi lavori pubblici: la costruzione di acquedotti, strade, ferrovie, porti ed edifici pubblici. Essi permisero di dare lavoro a parecchi disoccupati, contribuendo a diffondere l'immagine di un regime che mirava a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Nel 1929 il governo fascista stipulò i Patti Lateranensi (o Concordato) con la Chiesa, che misero fine alla “questione romana” e assicurarono al regime l'appoggio di molti cattolici. Il regime fascista introdusse l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole medie, escluse dagli uffici statali coloro che avevano rinunciato al sacerdozio (ex-preti) e riconobbe il matrimonio religioso.

Mussolini a Palazzo Lateranense con degli alti prelati per firma del Concordato nel 1929

Il governo fascista cercò di controllare tutta la popolazione, mettendo sotto controllo i grandi mezzi di comunicazione, utilizzando la propaganda attraverso la radio (dal 1926), il cinema e i giornali e rendendo obbligatorio l'insegnamento della dottrina fascista nelle scuole, dove gli insegnanti dovevano avere la tessera del Partito nazionale fascista.

Apparato scenografico per l’inaugurazione nel 1937 degli Studi cinematografici di Cinecittà

L’indottrinamento delle idee fasciste fu perseguito scrupolosamente: nel 1926 venne fondata l’Opera Nazionale Balilla (ONB), che era complementare all’istruzione scolastica e aveva lo scopo dichiarato di provvedere all’educazione fisica e morale della gioventù; tale educazione prevedeva un’istruzione ginnico-sportiva, professionale e tecnica, ma anche esercitazioni pre-militari, che dovevano preparare i giovani ad affrontare le prove della vita in difesa del fascismo. Questa istruzione veniva impartita durante esercitazioni nel doposcuola, nelle manifestazioni dette “sabato fascista” e in adunate e campi-scuola di vario tipo; presidi e insegnanti erano tenuti a permettere lo svolgimento delle iniziative dell’ONB nelle scuole italiane e a invitare gli alunni di tutte le età ad aderirvi. Nell’ONB vennero inquadrati tutti i giovani dai 6 ai 18 anni, identificati con nomi così distinti: balilla (da 6 a 10 anni) e avanguardisti (da 11 a 18) per i maschi, figlie della lupa (da 6 a 8 anni), piccole italiane (da 9 a 13) e giovani italiane (da 14 a 18) per le femmine.

Mussolini premia un balilla per essersi distinto in qualche attività dell’ONB

Vi fu però una forte opposizione interna, in particolare socialista e comunista, ma anche liberale. Se tra i cattolici molti appoggiarono il fascismo, soprattutto in seguito ai Patti Lateranensi, altri invece vi si opposero.
Il governo fascista prese diverse misure per reprimere ogni opposizione: reintrodusse la pena di morte; aumentò i poteri della polizia, creando anche una polizia segreta, l'OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascista); istituì un Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, contro gli oppositori (1927). Tra il 1927 e il 1943 il tribunale speciale processò più di 5.000 persone, che vennero in maggioranza condannate a parecchi anni di carcere, più di rado a morte o all'ergastolo. Coloro che erano sospettati di essere antifascisti potevano anche essere inviati al confino, in un luogo isolato e molto lontano da casa, in cui non avrebbero potuto avere contatto con gli altri. Di frequente gli oppositori venivano percossi dalle squadre fasciste: Piero Gobetti morì in Francia per i postumi delle botte ricevute dai fascisti (1925), i fratelli Carlo e Nello Rosselli furono assassinati in Francia (1937).
Anche trovare lavoro divenne per gli oppositori quasi impossibile: ben 46.000 ferrovieri furono licenziati per “scarso rendimento”, in realtà perché il sindacato dei ferrovieri era uno dei più forti e combattivi. Molti antifascisti furono perciò costretti a emigrare in altri Paesi.

Cartolina degli anni Venti che inneggia all’uso dell’olio di ricino, un potente lassativo che, fatto bere agli oppositori del fascismo, provocava intensi dolori intestinali; anche con questi mezzi intimidatori il fascismo instaurò un clima di paura in Italia

La politica estera di Mussolini fu di tipo nazionalistico, tesa ad affermare la superiorità dell'Italia in campo internazionale, mentre nella realtà l'Italia non aveva i mezzi, militari ed economici, per sostenere questa politica di potenza. Le grandi ambizioni fasciste dovettero perciò limitarsi a pochi obiettivi: la Libia; l'Albania, su cui fu imposto un dominio quasi coloniale (1939); l'Etiopia.
La Libia era stata conquistata nel 1911-1912, ma, in seguito a una grande rivolta della popolazione araba, l'esercito italiano aveva perso il controllo delle regioni interne. Il governo fascista lanciò una spietata campagna di riconquista, operando una serie di massacri e di misure contro la popolazione civile: circa 100.000 libici, la metà della popolazione della Cirenaica (l'attuale Libia occidentale), vennero deportati e rinchiusi in campi di concentramento, lontano dalle loro terre. Le uccisioni, il trasferimento forzato e le durissime condizioni di vita nei campi, provocarono una vera strage: dei circa 200.000 abitanti della Cirenaica nel 1911 circa 40.000 morirono e altri 20.000 fuggirono in Egitto. Nel 1931 la colonia italiana aveva solo 142.000 abitanti circa.

Il campo di concentramento costruito dagli italiani a el Abiar (Libia), dove vennero deportati numerosi libici

L'Etiopia, l'unico Stato africano che aveva conservato la propria indipendenza, venne attaccata perché per i nazionalisti era necessario cancellare la vergogna della sconfitta subita ad Adua. La conquista dell'Etiopia (1935-1936) avvenne rapidamente grazie alla schiacciante superiorità dei mezzi a disposizione dell'esercito italiano, tra cui carri armati e aerei. Essa fu ottenuta facendo uso su larga scala anche dei gas tossici, proibiti dalla convenzione di Ginevra, che l'Italia aveva sottoscritto. Tutta la conquista fu accompagnata da stragi, che continuarono anche dopo l'occupazione della capitale, Adis Abeba.

Vincitori e vinti della guerra d’Etiopia (1935-1936)

Quando due eritrei compirono un attentato contro il generale Graziani (1937), ci fu un sistematico massacro della popolazione della capitale: moltissime case furono incendiate e i loro abitanti trucidati; i morti furono alcune migliaia. Per una presunta complicità nell'attentato di alcuni monaci cristiani del convento di Debrà Libanòs, uno dei principali centri religiosi dell'Etiopia, venne fucilata l'intera popolazione del monastero, almeno 1500-2000 tra sacerdoti e monaci. Nei mesi successivi furono giustiziati, spesso in base a semplici sospetti, molte altre migliaia di etiopi: intellettuali, capi militari, tutti coloro che avrebbero potuto in qualche modo organizzare una resistenza. Molte persone sospettate di essere ostili al dominio italiano furono rinchiuse in campi di concentramento, che furono spesso campi di sterminio: dei 6.500 etiopi rinchiusi tra il 1936 e il 1941 a Danane, in Somalia, circa 3.200 vi morirono. Nella colonia fu instaurato un regime di terrore e lo sfruttamento delle popolazioni locali fu durissimo: ad esempio in Somalia almeno 7.000 somali furono costretti a lavorare come schiavi al servizio dei coloni italiani, che si erano impossessati delle poche terre fertili della regione. Intanto in Italia si esaltava la conquista dell'Etiopia, che trasformava il Regno in Impero, e si ascoltavano con piacere alcune allegre canzonette dedicate all'impresa, come la famosa “Facetta nera”.

Quattro “cartoline ricordo” dall’Etiopia e un manifesto propagandistico sulla fondazione dell’Impero italiano: nelle cartoline è evidente il razzismo italiano nei confronti degli etiopi

L'attacco all'Etiopia provocò una condanna internazionale e molti Stati decisero di sospendere i rapporti commerciali con l'Italia. L'isolamento internazionale dell'Italia spinse il governo fascista a rafforzare i rapporti con la Germania, dove si era formato il regime dittatoriale nazista.
All'interno dell'Italia il fascismo condusse una politica di eliminazione culturale delle minoranze nazionali: slovena nella Venezia Giulia, croata in Istria e tedesca nel Tirolo meridionale. In quest'ultima regione furono imposti il divieto di insegnamento, persino privato, della lingua tedesca e la sostituzione dei nomi tedeschi (di luoghi e di persone) con nomi italiani. Negli uffici pubblici fu assunto personale proveniente da altre regioni: in questo modo la popolazione si trovò costretta a parlare a scuola e negli uffici sempre e soltanto la lingua italiana. La politica fascista creò forti tensioni in queste regioni, in particolare là dove fu incoraggiata l'immigrazione massiccia di italiani: nel Tirolo meridionale questi passarono da 27.000 nel 1921 a oltre 100.000 nel 1943.
L'esaltazione della nazione italiana portò anche all'emanazione di leggi razziali (1938), che discriminavano gli ebrei: essi vennero esclusi da tutti gli impieghi pubblici, dalle forze armate e dall'insegnamento, e furono proibiti i matrimoni tra ebrei e cristiani. Le leggi razziali vennero pubblicate sulla rivista “La difesa della razza”: vi si diceva tra l'altro che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana” e che “è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti”.

Gli effetti delle leggi razziali contro gli ebrei (due pagine tratte da “La Difesa della Razza”)

Approfondimenti:
Il fascismo e le sue canzoni