LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE:
CONSEGUENZE
La Prima rivoluzione industriale
trasformò l’economia e la società; cominciamo osservando le trasformazioni
nell’economia.
A causa del grande sviluppo
industriale, si ridusse l’importanza dell’agricoltura: mentre nel 1750 essa
forniva circa la metà del prodotto nazionale lordo (cioè dell’insieme della
ricchezza prodotta nel Paese), un secolo dopo forniva appena il 20%, mentre
l’industria e il commercio fornivano ormai una parte molto maggiore.
L’Inghilterra fu il primo Stato che passò da un’economia sostanzialmente
agricola (com’era sempre stato dall’inizio della storia umana) a un’economia
industriale.
Il complesso industriale di New Lanark, in Scozia, dove grazie a Robert
Owen le condizioni di vita e di lavoro degli operai erano molto migliori che
nel resto del Paese
Anche l’artigianato si ridusse e
molte lavorazioni, come quella del cotone e poi delle altre fibre tessili,
scomparvero, perché i prodotti industriali, che costavano molto di meno,
sostituirono completamente quelli artigianali.
Il commercio, in particolare
quello internazionale, ebbe invece un grande sviluppo, perché aumentò la
quantità di merci in circolazione: le materie prime che servivano alle
industrie, i prodotti industriali, il cibo per una popolazione in crescita.
Le attività finanziarie conobbero
anch’esse una crescita molto forte, perché impiantare un’industria o avviare
un’attività commerciale richiedeva grandi capitali e gli imprenditori si
rivolgevano alle banche.
Per le industrie era importante
vendere i prodotti il più in fretta possibile, in modo da non avere inutili
scorte di merce e continuare a produrre e a guadagnare; per questo gli
industriali favorirono l’ampliamento delle vie di comunicazione. Tra la fine
del Settecento e l’inizio dell’Ottocento vennero costruiti numerosi canali,
come quello tra Liverpool e Manchester inaugurato nel 1778, perché allora il
trasporto dei prodotti industriali si svolgeva in larga maggioranza per via
d’acqua.
La città di Bristol nel secolo XVIII, con il suo canale artificiale
essenziale per lo smercio industriale
Vennero comunque costruite anche
nuove strade e ci furono alcune invenzioni riguardanti i trasporti terrestri:
ad esempio nel 1804 l’invenzione di molle d’acciaio per le carrozze permise di
rendere i viaggi su strada più comodi. Nel 1814 l’invenzione della locomotiva
cambiò notevolmente i trasporti e il paesaggio.
Uno dei primi modelli di locomotiva
Vediamo ora le trasformazioni
della società.
Innanzitutto si ebbe un aumento
della popolazione, che in un secolo quasi triplicò; fu allora una crescita
demografica eccezionale, la prima di una lunga serie che non è più terminata.
Se fino al 1750 la popolazione
inglese viveva in larghissima maggioranza in campagna, come accadeva in tutta
Europa, e le grandi città erano poco numerose, un secolo dopo la percentuale di
popolazione urbana era fortemente cresciuta e numerose erano le città
importanti. Vi fu infatti un massiccio spostamento della popolazione dalla
campagna alle aree industriali e minerarie, dove erano maggiori le occasioni di
trovare lavoro e dove nacquero nuove città, mentre quelle esistenti si
ingrandirono.
La città di Wolverhampton, nel centro dell’Inghilterra, con le sue
decine di ciminiere
Una parte del Terzo stato subì
una importante trasformazione. La borghesia, che fino ad allora era stata
formata da mercanti e artigiani, vide la nascita di una nuova figura sociale,
quella del padrone di fabbrica, o industriale, o anche capitalista, perché
possedeva il capitale necessario a costruire una fabbrica, a rifornirsi delle
materie prime che gli servivano per la sua produzione, ad acquistare i
macchinari che svolgevano il lavoro. Dalle proprie fabbriche gli industriali
ottennero grandi guadagni e spesso enormi fortune.
Illustrazione di John Leech per il Canto di Natale di Dickens (1843):
il personaggio di
Ebenezer Scrooge, un ricco ed avaro finanziere londinese, riflette l’astio che
molti avevano nei confronti dei capitalisti, ricchi sulla pelle degli operai
Gli artigiani videro un
fortissimo peggioramento delle loro condizioni di vita e persero il lavoro,
perché i loro prodotti non erano concorrenziali a quelli industriali e non
venivano più acquistati. Molte furono le proteste e le sommosse, organizzate da
artigiani che assalivano le fabbriche e distruggevano le macchine, ma il
governo represse queste rivolte con la forza, condannando a morte i capi o
deportandoli in Australia, che in quel periodo era per l’Inghilterra una
colonia penale, cioè un luogo dove recludere prigionieri indesiderati, spesso
condannandoli ai lavori forzati.
Artigiani contro le macchine industriali
Per svolgere il lavoro gli
industriali avevano bisogno di molti lavoratori, che furono reclutati
soprattutto tra le masse di contadini in aumento e senza lavoro; essi formarono
la nuova classe degli operai. Essi venivano pagati con un salario molto basso,
anche perché la manodopera a disposizione era assai numerosa ed era facile
trovare qualcuno disposto a lavorare per meno soldi. Gli operai vivevano quindi
piuttosto miseramente e in condizioni di insicurezza, perché in caso di crisi
economica rischiavano facilmente di essere licenziati. Nell’Ottocento si
incominciò a chiamarli proletari, in quanto, a differenza degli industriali che
possedevano la fabbrica e tutto il necessario per la produzione, loro non
possedevano nulla che servisse al loro lavoro; essi possedevano solo la prole,
cioè i figli, che spesso erano anche numerosi.
Operai al lavoro
Operai e industriali avevano
interessi opposti: infatti gli operai aspiravano a salari maggiori e orari di
lavoro meno pesanti, mentre gli industriali miravano a ridurre i costi e quindi
a far lavorare gli operai il più possibile con salari minimi. Questi opposti
interessi sfociarono nell’Ottocento in quella che sarà definita “lotta di
classe” (ne parleremo in una prossima lezione), ma per il momento gli operai
non seppero far altro che accettare le condizioni di vita che la nuova realtà
industriale offriva loro: condizioni di vita quasi disumane.
Nelle fabbriche, infatti,
l’ambiente era spesso malsano, perché l’aria era piena di fumi prodotti dalle
diverse lavorazioni industriali, e il rischio di incidenti era molto alto: non
vi erano misure di sicurezza e non era raro che un operaio perdesse una mano,
rimasta incastrata in uno dei macchinari.
In una fabbrica come questa c’era, tra gli altri problemi, anche quello
dell’inquinamento acustico
Gli operai potevano essere sia
adulti, sia bambini: molti bambini venivano assunti perché erano in grado di
svolgere lavori semplici e venivano pagati di meno degli adulti. Era frequente
che bambini di età addirittura inferiore ai 7 anni lavorassero nelle miniere e
anche per loro l’orario era molto pesante e prevedeva turni di notte. Oltre ai
bambini, anche le donne venivano spesso assunte in fabbrica, per gli stessi
motivi: prive di qualifica professionale, venivano pagate meno degli uomini.
I bambini venivano impiegati nelle fabbriche e nelle miniere anche per
svolgere mansioni che solo una persona di corporatura minuta può fare, come si
vede nell’illustrazione
Il lavoro in miniera era per
molti aspetti ancora peggiore di quello in fabbrica. L’ambiente era sempre buio
e l’aria era irrespirabile, anche nel caso in cui vi fossero pozzi per
l’aerazione, cioè per il rifornimento d’aria. Inoltre il lavoro era molto
pericoloso: vi era il rischio, anche mortale, di crolli, o di allagamenti, o di
esplosioni provocate dal grisou, un miscuglio di gas metano e aria, che si
sviluppa nelle miniere di carbone fossile.
Lavoratori in una miniera
Il salario era tanto basso che di
solito non bastava nemmeno per soddisfare i bisogni fondamentali: il cibo e la
casa. I proprietari delle industrie e delle miniere tenevano i salari molto
bassi non solo per aumentare i propri guadagni, ma anche per impedire ai
lavoratori di risparmiare denaro: infatti se essi non fossero stati costretti a
lavorare sempre e a qualsiasi condizione per non morire di fame, avrebbero
potuto chiedere condizioni di lavoro migliori e un aumento salariale.
Sia in fabbrica, sia in miniera,
gli orari di lavoro erano molto pesanti: di solito da dodici a sedici ore. Per
questo motivo operai e minatori dovevano stabilirsi molto vicino al luogo di
lavoro, perché non avrebbero avuto il tempo per lunghi spostamenti. Così nei
pressi delle fabbriche e delle miniere sorsero i quartieri per gli operai e i
minatori; furono spesso gli stessi proprietari di industrie e miniere a
costruire alloggi, che affittavano ai loro lavoratori. In questi quartieri,
privi di spazi verdi, si accumulavano le scorie prodotte dalle lavorazioni
industriali e minerarie, l’aria era molto inquinata a causa dell’uso del
carbone da parte delle industrie e i corsi d’acqua erano avvelenati dagli
scarichi industriali.
Città industriale
Le case in cui vivevano operai e
minatori, costruite in mattoni e con i tetti in ardesia, presentavano
condizioni igieniche migliori delle abitazioni contadine, che erano ancora di
legno e con il tetto di paglia, ma nei quartieri operai il grande affollamento
e la mancanza di una rete fognaria favorivano la diffusione di epidemie: la
gravità della situazione divenne evidente nell’Ottocento, quando, tra il 1830 e
il 1860, si verificarono violente epidemie di colera.
Poiché molti bambini nelle
famiglie di operai e minatori incominciavano a lavorare molto presto, essi non
frequentavano più quei corsi scolastici che da poco erano stati istituiti per
il popolo. Questo portò a una netta diminuzione dell’istruzione: mentre nel
1750 un uomo su due era in grado di scrivere il proprio nome, nel 1840 nemmeno
un uomo su tre sapeva farlo.
Una via della Londra operaia in
un’incisione ottocentesca di Gustave Dorè
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