LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Nella seconda metà del Settecento
l’America settentrionale era quasi tutta sotto il controllo dell’Inghilterra:
dall’inizio del Seicento, quando vennero fondati i primi insediamenti inglesi a
Jamestown (1607) e a Plymouth (1620), si erano formate tredici colonie. Esse
erano distinte in 3 parti: Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina e
Georgia formavano il sud; New York, Pennsylvania, New Jersey e Delaware il
centro; Connecticut, Rhode Island, New Hampshire e Massachusetts il nord, chiamato anche Nuova Inghilterra.
Più a nord i Francesi avevano
occupato la colonia chiamata Canada, che al termine della guerra dei Sette anni
(1756-1763) venne ceduta all’Inghilterra; nel meridione, lungo le coste del
Golfo del Messico, vi erano gli Spagnoli.
La popolazione di origine europea
viveva quasi esclusivamente lungo la costa atlantica (nel 1763 aveva già
raggiunto la quota di due milioni e mezzo di coloni): mano a mano che ci si
allontanava dalla costa, gli europei diventavano meno numerosi e la maggioranza
della popolazione era costituita dagli indiani pellerossa, divisi in numerose
tribù. Numerosi erano anche i neri di origine africana portati in America come
schiavi.
Le tredici colonie inglesi
avevano sviluppato stili di vita e di economia piuttosto differenti tra nord e
sud: le colonie settentrionali erano abitate da borghesi, tutti dediti ad
arricchirsi con le loro imprese mercantili e artigianali, che li stavano
portando a sviluppare quella mentalità capitalistica che nella lontana
madrepatria farà nascere nella seconda metà del Settecento la rivoluzione
industriale. Le colonie meridionali, invece, erano essenzialmente agricole,
formate dalle grandi piantagioni in cui ricchi uomini comandavano su folle di
schiavi, mentre conducevano una vita elegante e raffinata, dedita alla cultura,
all’abilità politica e militare, a un atteggiamento bonario e paternalistico
nei confronti di chi era inferiore a loro.
La villa di Thomas Jefferson (terzo presidente degli U.S.A.) in
Virginia è chiaramente ispirata
ai modelli architettonici del Palladio; ciò
succedeva per le magioni di tutti i grandi piantatori
delle colonie
meridionali, imbevuti di neoclassicismo francese
Nel complesso i coloni avevano
creato una società sicura di se stessa, ricca e forte. In particolare nel nord
si distinguevano le attività metallurgiche (alimentate dal carbone di legna
ottenuto da immense foreste), la produzione e il commercio di rum (negli Stati
della Nuova Inghilterra) e la manifattura cantieristica (concentrata in
particolare nel Massachusetts e capace nella seconda metà del ‘700 di fare
concorrenza ai cantieri inglesi, tant’è che il 30 % della flotta mercantile
inglese era costituito da navi costruite in America).
Cantiere navale nella Nuova Inghilterra
Nel sud le attività
manifatturiere erano scarsissime, ma la ricchezza derivava, oltre che dalle
piantagioni, dall’esportazione di alcuni prodotti quali il tabacco, l’indaco
(la pianta da cui si otteneva il colorante azzurro) e il legname.
Allo sviluppo economico delle
tredici colonie la Gran Bretagna guardava con molta preoccupazione: per
limitare la concorrenza americana il governo inglese non seppe che emanare una
serie di leggi in favore del proprio commercio. Così le colonie furono
obbligate a esportare certi prodotti solo in Gran Bretagna e ad acquistarne
altri solo dalla Gran Bretagna, anche nel caso di manufatti che le colonie
erano in grado di produrre da sé.
I coloni reagirono praticando il
contrabbando, ma la marina inglese iniziò una caccia spietata ai
contrabbandieri, i quali, se catturati, venivano arruolati forzatamente nelle
navi reali, il che equivaleva a un invio ai lavori forzati.
Incisione raffigurante dei contrabbandieri del XVIII secolo
Inoltre nel 1765 la scelta
dell’Inghilterra di imporre una tassa sulla carta bollata, presentata come
necessaria per pagare l’esercito che difendeva le colonie, nonché il rifiuto
della richiesta delle colonie di essere considerate come Paesi liberi, ancorché
fedeli alla corona, provocarono una prima ondata di violente proteste, che
costrinse la Gran Bretagna a ritirare la tassa sul bollo. Nello stesso tempo,
però, vennero varati dei dazi doganali su alcune merci che lo colonie
importavano. Lo scontento popolare riprese, mentre il diffondersi delle idee
dell’Illuminismo tra il ceto colto (in particolare quello dei piantatori del
sud) alimentava idee sempre più forti in opposizione alla corona inglese.
Nel 1770 un episodio minimo in
termini di sangue (l’uccisione di 5 manifestanti da parte di soldati inglesi)
divenne il «massacro di Boston», un evento che si caricò da subito di profondi
significati: le vittime divennero i primi martiri della rivoluzione.
Il massacro di Boston (5 marzo 1770) in un’incisione di P. Revere
Londra fu costretta a fare marcia
indietro e ritirò tutte le imposte, tranne quella sul tè, mantenuta solo per
salvare il principio dell’autorità inglese. Per protesta, nel 1773 alcuni
cittadini di Boston, travestiti da indiani, assalirono le navi inglesi ancorate
nel porto e gettarono in mare una gran quantità di casse di tè pronte per
essere vendute: fu il cosiddetto Boston tea party.
Incisione raffigurante l’episodio passato alla storia come “The Boston
Tea Party”
Il Parlamento inglese chiuse il
porto di Boston e sospese le garanzie costituzionali nel Massachusetts.
L’esercito venne inviato contro i «ribelli», che si erano riuniti a poche
miglia da Boston; nell’aprile 1775
a Lexington (nel North Carolina) avvenne il primo
scontro tra l’esercito inglese e una settantina di miliziani americani.
La battaglia di Lexington in un’incisione di Amos Doolittle del 1775,
colorata qualche anno dopo
Costretti a ritirarsi, essi
assalirono nuovamente l’esercito reale nei giorni successivi, con un esito
clamoroso: i soldati inglesi, splendenti nelle loro uniformi rosse, furono
costretti a ritirarsi e a rifugiarsi dentro le mura di Boston, assediata dai
«ribelli». I quali ebbero modo di organizzarsi nei mesi seguenti, sotto il
comando di George Washington, un tranquillo piantatore della Virginia, che,
durante la guerra dei Sette anni, aveva imparato il mestiere delle armi.
George Washington prima della battaglia di Trenton, dipinto di John
Trumbull del 1792
Dal 1776 al 1782 si combatté
quella che viene chiamata Rivoluzione americana, o anche Guerra d’indipendenza
americana: non riconoscendo più l’autorità del re e del Parlamento inglesi, le
tredici colonie approvarono il 4 luglio 1776 una Dichiarazione di indipendenza
e la nascita di una nuova Nazione, gli Stati Uniti d’America. Ancora oggi il 4
luglio è giorno di festa negli U.S.A.
La Dichiarazione d’Indipendenza, dipinto di John Trumbull del 1819
Uno storico ha calcolato che un
terzo degli abitanti delle colonie aderì alla Rivoluzione, un terzo rimase
indeciso e un terzo si dichiarò lealista, cioè fedele al re inglese, che in
quegli anni era Giorgio III del Casato di Hannover.
Dalla parte dei ribelli si
schiereranno più avanti Francesi e Spagnoli, mentre con gli Inglesi si
schierarono quasi tutte le tribù pellerossa (in particolare gli Irochesi),
spaventate dal desiderio dei coloni di occupare le pianure oltre i monti
Allegheny e quindi di invadere le loro terre.
Il dipinto rappresenta una scena di massacro operato dagli Irochesi
durante la Rivoluzione americana nel 1778 in Pennsylvania
Gli anni di guerra si
succedettero con una serie di vittorie e di sconfitte da entrambe le parti, ma
la clamorosa sconfitta subita dagli Inglesi nell’ottobre 1777 a Saratoga spinse
Francia e Spagna ad appoggiare i coloni, inviando loro armi, munizioni e materiale
bellico, che arrivò in America nella primavera del 1778, in un momento
particolarmente critico per le truppe di George Washington.
La resa del generale Burgoyne a Saratoga, un dipinto di John Trumbull
(1826)
Durante l’inverno precedente,
infatti, i soldati avevano patito la fame per mesi e si erano ritrovati senza
munizioni, armi, materiale sanitario, scarpe e persino sapone, mentre i cavalli
morivano di fame a centinaia.
L’atto finale della guerra si
ebbe a Yorktown, dove gli Inglesi si arresero alle milizie americane dopo un lungo
assedio, il 19 ottobre 1781: le trattative di pace iniziarono l’anno successivo
a Versailles e il 3 settembre 1783 venne riconosciuta l’indipendenza degli
Stati Uniti dalla corona britannica. L’Inghilterra cedette al nuovo Stato anche
un vasto territorio all’interno, fino al fiume Mississippi, dove la popolazione
era costituita quasi esclusivamente da indiani.
La prima bandiera statunitense (con 13 stelle e 13 strisce a
raffigurare le 13 colonie)
viene issata al posto di quella britannica a New
York in un’incisione dell’epoca
Tra il 1786 e il 1787 le tredici
colonie divenute Stati Uniti d’America si diedero una costituzione ispirata
alle idee illuministe. Essa prevedeva la divisione dei tre poteri tra un
parlamento (il Congresso, cui spettava il potere legislativo), il presidente (a
capo del potere esecutivo) e i tribunali (che ebbero il potere giudiziario).
Gli Stati Uniti d’America divennero una repubblica federale, in cui ogni Stato
poteva avere leggi diverse, ma la difesa e la politica estera erano in comune.
Il presidente (il primo fu George Washington) ottenne poteri molto vasti, non
molto inferiori a quelli del re d’Inghilterra.
La Costituzione degli Stati Uniti
stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma in realtà
le donne furono escluse dal voto e all’interno di ogni Stato le leggi
stabilivano chi poteva votare e chi no. Agli indiani che ancora vivevano
all’interno dei tredici Stati e agli schiavi neri non fu riconosciuto alcun
diritto.
George Washington si rivolge all’Assemblea costituente
Nei decenni successivi alla
Rivoluzione americana i bianchi si diffusero sempre più a ovest, nelle terre
dei pellerossa; nacquero nuovi Stati, che si andarono ad aggiungere ai tredici
iniziali e per i quali restarono valide le regole decise con la Costituzione;
essa non può essere modificata, ma solo integrata, cioè è possibile solamente
aggiungere a quelli originari dei nuovi articoli, chiamati emendamenti.
La rivoluzione americana
Nessun commento:
Posta un commento