Approfondimenti

sabato 18 luglio 2015

60 Il Settecento tra incremento demografico e innovazioni



IL SETTECENTO TRA INCREMENTO DEMOGRAFICO E INNOVAZIONI

Tra il 1700 e il 1800 la popolazione europea passa da 118 a 193 milioni di abitanti; a parte l’Africa, che è stazionaria intorno ai 100 milioni, l’incremento demografico è comune a tutto il pianeta: nel 1650 vi sono sulla Terra 470 milioni di abitanti, divenuti 510 nel 1700, 694 nel 1750, 919 nel 1800. L’incremento maggiore si registra nel Nord America: negli Stati Uniti (concentrati ancora quasi esclusivamente sulla costa atlantica) vivono 300.000 persone all’inizio del Settecento, ma nel 1800 sono già 5 milioni, con una crescita del 1.233%, seguita dalla crescita canadese che fu del 1.025%.
Queste cifre vanno prese con cautela, poiché solo nel corso del XIX secolo verranno usate forme di censimento della popolazione accurate e attendibili; nel Settecento si hanno le prime registrazioni in Svezia (1749), in Austria (1762), a Napoli (1764). Ciò nonostante noi oggi disponiamo di dati sufficienti per sostenete che l’incremento demografico ci fu, sebbene in forma diversa da Paese a Paese, e malgrado molti contemporanei avvertissero invece un fenomeno di spopolamento in atto in tutta l’Europa.
È interessante notare che il maggiore incremento demografico non si ebbe nelle zone economicamente più progredite, bensì nei grandi spazi aperti dell’Europa nord-orientale: in Prussia, in Pomerania, in Slesia, in Ungheria, ancor più in Russia e in Ucraina.

Scena domestica in una famiglia del secolo XVIII (incisione coeva): nel Settecento le regioni dell’Europa settentrionale e orientale furono quelle dal maggiore incremento demografico

Ma perché si ebbe questo incremento? Quali novità lo determinarono? Ci fu perché nascevano più bambini, o perché diminuì la mortalità? La risposta non è facile e andrebbe valutata area per area e caso per caso; gli storici si trovano in disaccordo su numerosi punti.
Per esempio fino agli anni Quaranta del Settecento in Inghilterra e in Galles si registrò un aumento della mortalità, favorito dal dilagante alcolismo dovuto all’espansione della produzione del gin (vedi approfondimento “Alimenti e bevande nei primi secoli dell’Età Moderna"); poi la mortalità calò.
Nei primi due decenni del Settecento varie aree europee furono colpite da nuove epidemie di peste, che provocarono migliaia di morti, come a Marsiglia, che vide quasi dimezzata la sua popolazione; però il caso marsigliese (se si esclude Messina vent’anni più tardi), fu l’ultimo episodio di epidemia che si verificò nell’Europa occidentale (nell’Europa orientale, invece, ce ne furono altri) e non esiste alcuna spiegazione certa sul perché ciò sia avvenuto.

La peste a Marsiglia in un dipinto di Michel Serre del 1721

La scomparsa della peste non spiega da sola il calo della mortalità, anche perché altre malattie endemiche continuarono a mietere vittime, in particolare il vaiolo, una malattia che provocava vesciche alla pelle, cecità, deformità agli arti e altro. Tra le cause va ricordata la diminuzione delle carestie, sostituite da crisi alimentari meno tragiche. Oppure i progressi medici e igienici del Settecento. In questo campo l’Inghilterra era all’avanguardia: per esempio nella fondazione di ospedali, che passarono nel XVIII secolo da 5 a circa 50, tra cui la prima clinica ostetrica, che portò un po’ alla volta alla scomparsa dell’abitudine di partorire in casa. Non tutti gli storici però vedono nella creazione degli ospedali una causa del calo della mortalità; anzi – dicono – i ricoveri in questi ospedali era pericolosissimo, per carenza di attrezzature e pessime condizioni igieniche, nonché per il numero esiguo di operazioni che si potevano eseguire prima che venissero scoperti gli anestetici.

Un ospedale londinese, incisione del 1755

Progressi furono fatti nella lotta contro il vaiolo, che faceva strage tra la popolazione (è stato calcolato che nella sola Francia morissero da 50.000 a 80.000 persone ogni anno); già a metà del secolo si era scoperto che, iniettando pus vaioloso nella pelle di un soggetto sano, si provocava una reazione per cui il soggetto non si sarebbe più ammalato di vaiolo. Questa tecnica, però, comportava molti rischi, perché alcuni pazienti morivano: secondo alcuni, anzi, anziché prevenire la malattia, la diffuse. Nel 1798 un medico inglese, Edward Jenner, venne a conoscenza di una credenza popolare, secondo la quale chi si era infettato con il vaiolo bovino (che non era mortale), diventava immune a quello umano; i suoi studi lo portarono a scoprire l’efficacia di tale metodo, che, proprio perché derivava da vacche infette, prese il nome di vaccinazione. La vaccinazione permise di ridurre, e in seguito di eliminare del tutto, la mortalità del vaiolo; qualcuno dice che a sconfiggere la malattia non fu la vaccinazione di massa, bensì l’isolamento dei suoi focolai.

Edward Jenner mentre vaccina un bambino contro il vaiolo, dipinto del 1796

Alcuni storici hanno messo in discussione anche i miglioramenti igienici, che, secondo altri, avrebbero invece contribuito al calo della mortalità. È vero che sia in città sia in campagna le abitazioni, specialmente quelle dei poveri, erano poco aerate e poco riscaldate; spesso si viveva in una sola stanza, assieme anche a chi era affetto da malattie infettive; mancava un adeguato sistema di scarichi e di fognature e ciò favoriva le malattie trasmesse da acque inquinate; altre malattie erano causate da alimenti (in primo luogo il latte) provenienti da animali infetti.
Che cosa, in conclusione, ha provocato il calo della mortalità nel Settecento europeo? Gli storici non sanno trovare una risposta totalizzante e parlano perciò di una pluralità di cause, che spesso si sono casualmente manifestate tutte assieme; tra queste le principali sono probabilmente la minore violenza devastatrice delle guerre, il rarefarsi delle carestie, la scomparsa della peste dall’Europa occidentale, un’alimentazione più abbondante ed equilibrata.

Una venditrice di latte e pane per le vie di Londra, dipinto di Francis Wheatley del 1790

Tra le innovazioni che caratterizzano il Settecento ve ne sono alcune che riguardano le vie di comunicazione e i trasporti. Innanzitutto si cercò di migliorare le condizioni della rete stradale, che come nel Medioevo era assai precaria: erano proverbiali le vie di Parigi per cattivi odori e fango. Pare che i parigini avessero acquisito una particolare abilità nell’evitare con scarti e salti appropriati le pozzanghere e le immondizie disseminate sul loro cammino, ma se il percorso era particolarmente lungo, era impossibile arrivare a destinazione senza essere inzaccherati; per questo agli angoli delle vie erano appostati numerosi lustrascarpe. Camminare per Parigi (o per altre città) comportava fare una particolare attenzione a ciò che poteva cadere dall’alto: era normale, infatti, gettare rifiuti organici dalle finestre, dato che nelle case i servizi igienici non esistevano o erano primitivi. Del resto, qualunque luogo, compresi il palazzo di giustizia e le chiese, era buono per fare i propri bisogni.

Una signora fa i suoi bisogni per strada, stampa del XVIII secolo

Solo a secolo inoltrato le cose cominciarono lentamente a cambiare: furono costruiti nuovi ponti e strade e quelli esistenti vennero migliorati, in modo da permettere trasporti più rapidi. Nel 1762 a Londra venne promulgata una legge per la pavimentazione delle strade, che erano percorse, da chi se lo poteva permettere, da carrozze, dalle quali i pedoni dovevano stare molto attenti a non farsi travolgere. I principali mezzi di trasporto pubblico su strada divennero le diligenze, grandi carrozze pubbliche trainate da cavalli e adibite al trasporto di viaggiatori e bagagli, che effettuavano un servizio regolare di collegamento tra le città. Utilizzando le diligenze vennero create le prime reti di servizi postali nazionali; prima fu la Francia nel 1774.

Julius Caesar Ibbetson, La diligenza (1792)

In Francia venne inventata anche la mongolfiera, un pallone aerostatico (in grado di volare senza motore) così chiamato dai fratelli Montgolfier che ne furono gli inventori. Essa non ebbe alcuna importanza economica, ma costituisce ugualmente un momento significativo nella storia dell’umanità: i due uomini che il 21 ottobre 1783 si sollevarono in aria, sorvolarono Parigi e ritornarono a terra, dimostrarono a un pubblico stupefatto ed entusiasta che era possibile realizzare l’antico sogno di volare.

Julius Caesar Ibbetson, Il volo della mongolfiera (1785)

Nel XVIII secolo ebbero un notevole sviluppo i giornali. I primi erano apparsi all’inizio del Seicento nell’Europa occidentale, ma contenevano poche notizie e uscivano non più di una volta alla settimana. All’inizio del secolo apparvero i primi quotidiani: il primo fu a Londra nel 1702, mentre il primo in Italia fu nel 1735 la “Gazzetta di Parma” (che però uscì con regolarità solo dal 1760).
All’inizio del Settecento comparvero anche i primi giornali politici in Inghilterra, dove esisteva una notevole libertà di stampa: nel 1788 un foglio, che da 3 anni pubblicava solo annunci pubblicitari, diventa “The Times”, quotidiano politico conservatore e legato al governo. In Stati come la Francia e l’Italia la pubblicazione di giornali politici non fu possibile, perché il potere era nelle mani dei re, che non accettavano di veder discusse le loro scelte politiche.

Il numero del Times del 4 dicembre 1788

Il Settecento fu anche un secolo di progressi scientifici. Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) gettò le basi della chimica moderna, individuando i principali gas presenti nell’aria (in particolare l’ossigeno) e la loro importanza nella respirazione e nella combustione (cioè nel processo del bruciare). Egli fissò il campo di studio della chimica (la composizione dei corpi e le relazioni che si determinano tra essi) e riconobbe l’esistenza di almeno 33 elementi in natura, mentre secondo la tradizione dell’antichità greca tutto ciò che esiste era formato solo da quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco.

Lavoisier durante un esperimento sull’acqua

Ugualmente importanti furono i primi studi sull’elettricità, condotti dal fisico Alessandro Volta (1745-1827): a lui si devono la definizione di alcuni concetti fondamentali (tensione, carica) e l’invenzione del primo apparecchio a pila, in grado di generare corrente elettrica.

Alessandro Volta

Al medico svedese Carl von Linné (Linneo in italiano, forma derivata dal latino) si deve la classificazione di piante e animali con il doppio nome latino, di cui il primo (che si scrive sempre con la maiuscola) indica il genere, mentre il secondo la specie: per esempio Canis lupus o Rosa canina. Linneo (1707-1778) enumerò, denominò e descrisse oltre 7.700 specie di piante e circa 4.400 di animali.

Ritratto di Linneo e un disegno tratto da una sua opera

In un secolo segnato dall’enorme sviluppo dei commerci intercontinentali stupisce il fatto che non ci siano state grandissime innovazioni tecnologiche nelle costruzioni navali e nell’arte nautica. Si ebbero piuttosto solo dei progressi parziali e assai lenti, come il rivestimento in rame dello scafo delle navi, che, incominciato dagli Inglesi negli anni Settanta, impediva il rallentamento provocato dall’impigliarsi delle alghe. Attorno al 1730 venne inventato il sestante per la misurazione della latitudine (era stato preceduto da un altro strumento chiamato ottante), mentre per quella della longitudine si cominciò a usare dal 1766 i cronometri marini, che permisero di evitare i frequentissimi errori di rotta.

A sinistra un ottante settecentesco, a destra un sestante austriaco d’epoca imprecisata

Nel Settecento, infine, i viaggi esplorativi del capitano inglese James Cook (1728-1779) portarono alla conoscenza di nuove terre prima ignorate: la Nuova Zelanda, poi l’Australia, la Nuova Guinea, le isole Hawaii e altre. Cook fu non solo un abile esploratore, ma anche un uomo di scienza: è a lui, attento alla dieta e alle condizioni igieniche del suo equipaggio, che si deve la sconfitta dello scorbuto, una malattia dovuta a carenza di vitamina C, talmente diffusa tra i naviganti, da essere chiamata anche proprio “malattia dei marinai”.

Nathaniel Dance-Holland, Ritratto di James Cook (1775 circa)

APPROFONDIMENTO:
-Alimenti e bevande nei primi secoli dell'Età Moderna

giovedì 9 luglio 2015

59 La Rivoluzione americana



LA RIVOLUZIONE AMERICANA

Nella seconda metà del Settecento l’America settentrionale era quasi tutta sotto il controllo dell’Inghilterra: dall’inizio del Seicento, quando vennero fondati i primi insediamenti inglesi a Jamestown (1607) e a Plymouth (1620), si erano formate tredici colonie. Esse erano distinte in 3 parti: Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina e Georgia formavano il sud; New York, Pennsylvania, New Jersey e Delaware il centro; Connecticut, Rhode Island, New Hampshire e Massachusetts  il nord, chiamato anche Nuova Inghilterra.
Più a nord i Francesi avevano occupato la colonia chiamata Canada, che al termine della guerra dei Sette anni (1756-1763) venne ceduta all’Inghilterra; nel meridione, lungo le coste del Golfo del Messico, vi erano gli Spagnoli.


La popolazione di origine europea viveva quasi esclusivamente lungo la costa atlantica (nel 1763 aveva già raggiunto la quota di due milioni e mezzo di coloni): mano a mano che ci si allontanava dalla costa, gli europei diventavano meno numerosi e la maggioranza della popolazione era costituita dagli indiani pellerossa, divisi in numerose tribù. Numerosi erano anche i neri di origine africana portati in America come schiavi.
Le tredici colonie inglesi avevano sviluppato stili di vita e di economia piuttosto differenti tra nord e sud: le colonie settentrionali erano abitate da borghesi, tutti dediti ad arricchirsi con le loro imprese mercantili e artigianali, che li stavano portando a sviluppare quella mentalità capitalistica che nella lontana madrepatria farà nascere nella seconda metà del Settecento la rivoluzione industriale. Le colonie meridionali, invece, erano essenzialmente agricole, formate dalle grandi piantagioni in cui ricchi uomini comandavano su folle di schiavi, mentre conducevano una vita elegante e raffinata, dedita alla cultura, all’abilità politica e militare, a un atteggiamento bonario e paternalistico nei confronti di chi era inferiore a loro.

La villa di Thomas Jefferson (terzo presidente degli U.S.A.) in Virginia è chiaramente ispirata 
ai modelli architettonici del Palladio; ciò succedeva per le magioni di tutti i grandi piantatori 
delle colonie meridionali, imbevuti di neoclassicismo francese

Nel complesso i coloni avevano creato una società sicura di se stessa, ricca e forte. In particolare nel nord si distinguevano le attività metallurgiche (alimentate dal carbone di legna ottenuto da immense foreste), la produzione e il commercio di rum (negli Stati della Nuova Inghilterra) e la manifattura cantieristica (concentrata in particolare nel Massachusetts e capace nella seconda metà del ‘700 di fare concorrenza ai cantieri inglesi, tant’è che il 30 % della flotta mercantile inglese era costituito da navi costruite in America).

Cantiere navale nella Nuova Inghilterra

Nel sud le attività manifatturiere erano scarsissime, ma la ricchezza derivava, oltre che dalle piantagioni, dall’esportazione di alcuni prodotti quali il tabacco, l’indaco (la pianta da cui si otteneva il colorante azzurro) e il legname.
Allo sviluppo economico delle tredici colonie la Gran Bretagna guardava con molta preoccupazione: per limitare la concorrenza americana il governo inglese non seppe che emanare una serie di leggi in favore del proprio commercio. Così le colonie furono obbligate a esportare certi prodotti solo in Gran Bretagna e ad acquistarne altri solo dalla Gran Bretagna, anche nel caso di manufatti che le colonie erano in grado di produrre da sé.
I coloni reagirono praticando il contrabbando, ma la marina inglese iniziò una caccia spietata ai contrabbandieri, i quali, se catturati, venivano arruolati forzatamente nelle navi reali, il che equivaleva a un invio ai lavori forzati.

Incisione raffigurante dei contrabbandieri del XVIII secolo

Inoltre nel 1765 la scelta dell’Inghilterra di imporre una tassa sulla carta bollata, presentata come necessaria per pagare l’esercito che difendeva le colonie, nonché il rifiuto della richiesta delle colonie di essere considerate come Paesi liberi, ancorché fedeli alla corona, provocarono una prima ondata di violente proteste, che costrinse la Gran Bretagna a ritirare la tassa sul bollo. Nello stesso tempo, però, vennero varati dei dazi doganali su alcune merci che lo colonie importavano. Lo scontento popolare riprese, mentre il diffondersi delle idee dell’Illuminismo tra il ceto colto (in particolare quello dei piantatori del sud) alimentava idee sempre più forti in opposizione alla corona inglese.
Nel 1770 un episodio minimo in termini di sangue (l’uccisione di 5 manifestanti da parte di soldati inglesi) divenne il «massacro di Boston», un evento che si caricò da subito di profondi significati: le vittime divennero i primi martiri della rivoluzione.

Il massacro di Boston (5 marzo 1770) in un’incisione di P. Revere

Londra fu costretta a fare marcia indietro e ritirò tutte le imposte, tranne quella sul tè, mantenuta solo per salvare il principio dell’autorità inglese. Per protesta, nel 1773 alcuni cittadini di Boston, travestiti da indiani, assalirono le navi inglesi ancorate nel porto e gettarono in mare una gran quantità di casse di tè pronte per essere vendute: fu il cosiddetto Boston tea party.

Incisione raffigurante l’episodio passato alla storia come “The Boston Tea Party”

Il Parlamento inglese chiuse il porto di Boston e sospese le garanzie costituzionali nel Massachusetts. L’esercito venne inviato contro i «ribelli», che si erano riuniti a poche miglia da Boston; nell’aprile 1775 a Lexington (nel North Carolina) avvenne il primo scontro tra l’esercito inglese e una settantina di miliziani americani.

La battaglia di Lexington in un’incisione di Amos Doolittle del 1775, colorata qualche anno dopo

Costretti a ritirarsi, essi assalirono nuovamente l’esercito reale nei giorni successivi, con un esito clamoroso: i soldati inglesi, splendenti nelle loro uniformi rosse, furono costretti a ritirarsi e a rifugiarsi dentro le mura di Boston, assediata dai «ribelli». I quali ebbero modo di organizzarsi nei mesi seguenti, sotto il comando di George Washington, un tranquillo piantatore della Virginia, che, durante la guerra dei Sette anni, aveva imparato il mestiere delle armi.

George Washington prima della battaglia di Trenton, dipinto di John Trumbull del 1792

Dal 1776 al 1782 si combatté quella che viene chiamata Rivoluzione americana, o anche Guerra d’indipendenza americana: non riconoscendo più l’autorità del re e del Parlamento inglesi, le tredici colonie approvarono il 4 luglio 1776 una Dichiarazione di indipendenza e la nascita di una nuova Nazione, gli Stati Uniti d’America. Ancora oggi il 4 luglio è giorno di festa negli U.S.A.

La Dichiarazione d’Indipendenza, dipinto di John Trumbull del 1819

Uno storico ha calcolato che un terzo degli abitanti delle colonie aderì alla Rivoluzione, un terzo rimase indeciso e un terzo si dichiarò lealista, cioè fedele al re inglese, che in quegli anni era Giorgio III del Casato di Hannover.
Dalla parte dei ribelli si schiereranno più avanti Francesi e Spagnoli, mentre con gli Inglesi si schierarono quasi tutte le tribù pellerossa (in particolare gli Irochesi), spaventate dal desiderio dei coloni di occupare le pianure oltre i monti Allegheny e quindi di invadere le loro terre.

Il dipinto rappresenta una scena di massacro operato dagli Irochesi
durante la Rivoluzione americana nel 1778 in Pennsylvania

Gli anni di guerra si succedettero con una serie di vittorie e di sconfitte da entrambe le parti, ma la clamorosa sconfitta subita dagli Inglesi nell’ottobre 1777 a Saratoga spinse Francia e Spagna ad appoggiare i coloni, inviando loro armi, munizioni e materiale bellico, che arrivò in America nella primavera del 1778, in un momento particolarmente critico per le truppe di George Washington.

La resa del generale Burgoyne a Saratoga, un dipinto di John Trumbull (1826)

Durante l’inverno precedente, infatti, i soldati avevano patito la fame per mesi e si erano ritrovati senza munizioni, armi, materiale sanitario, scarpe e persino sapone, mentre i cavalli morivano di fame a centinaia.
L’atto finale della guerra si ebbe a Yorktown, dove gli Inglesi si arresero alle milizie americane dopo un lungo assedio, il 19 ottobre 1781: le trattative di pace iniziarono l’anno successivo a Versailles e il 3 settembre 1783 venne riconosciuta l’indipendenza degli Stati Uniti dalla corona britannica. L’Inghilterra cedette al nuovo Stato anche un vasto territorio all’interno, fino al fiume Mississippi, dove la popolazione era costituita quasi esclusivamente da indiani.

La prima bandiera statunitense (con 13 stelle e 13 strisce a raffigurare le 13 colonie)
viene issata al posto di quella britannica a New York in un’incisione dell’epoca

Tra il 1786 e il 1787 le tredici colonie divenute Stati Uniti d’America si diedero una costituzione ispirata alle idee illuministe. Essa prevedeva la divisione dei tre poteri tra un parlamento (il Congresso, cui spettava il potere legislativo), il presidente (a capo del potere esecutivo) e i tribunali (che ebbero il potere giudiziario). Gli Stati Uniti d’America divennero una repubblica federale, in cui ogni Stato poteva avere leggi diverse, ma la difesa e la politica estera erano in comune. Il presidente (il primo fu George Washington) ottenne poteri molto vasti, non molto inferiori a quelli del re d’Inghilterra.
La Costituzione degli Stati Uniti stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma in realtà le donne furono escluse dal voto e all’interno di ogni Stato le leggi stabilivano chi poteva votare e chi no. Agli indiani che ancora vivevano all’interno dei tredici Stati e agli schiavi neri non fu riconosciuto alcun diritto.

George Washington si rivolge all’Assemblea costituente



Nei decenni successivi alla Rivoluzione americana i bianchi si diffusero sempre più a ovest, nelle terre dei pellerossa; nacquero nuovi Stati, che si andarono ad aggiungere ai tredici iniziali e per i quali restarono valide le regole decise con la Costituzione; essa non può essere modificata, ma solo integrata, cioè è possibile solamente aggiungere a quelli originari dei nuovi articoli, chiamati emendamenti.

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La rivoluzione americana